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maggio 2011 Compensazione e conferimento di capitale, Nota a Corte di Cassazione, Sez. I Civile 19 marzo 2009, n. 6711, di Fabrizio Cicchelli, Avvocato Sommario - 1. Fattispecie e decisum della Corte di Cassazione. – 2. Principali aspetti critici dell’operazione di aumento di capitale tramite compensazione. – 3. Compensazione e conferimento originario di capitale. – 4. Compensazione e iniziale conferimento del 25% del capitale. 1. Fattispecie e decisum della Corte di Cassazione. La sentenza in commento offre lo spunto per alcune brevi riflessioni sugli aspetti problematici che coinvolgono la compensazione, quando sia applicata all’obbligo di conferimento di capitale di società per azioni. Premettiamo una breve descrizione dei fatti di causa. La SpA Alfa deliberava un aumento di capitale per il conferimento di nuovi apporti di danaro ai sensi dell’art. 2438 cc. Fra i sottoscrittori delle nuove azioni risultava anche la società Beta, già partecipante della Alfa. In seguito, la Alfa veniva sottoposta a procedura fallimentare. Nel corso di questa, il giudice delegato ingiungeva alla Beta - per decreto ex art. 150 LF - il pagamento della somma di danaro corrispondente al valore delle azioni sottoscritte e non ancora liberate. Presentata opposizione, il decreto veniva confermato sia in primo che in secondo grado. Veniva al riguardo ritenuta inammissibile la compensazione dedotta dalla stessa Beta con un precedente credito pecuniario vantato nei confronti della emittente. La questione era pertanto sottoposta al vaglio della Suprema Corte. La Cassazione, con la sentenza in epigrafe, accoglieva il ricorso riconoscendo l’efficacia del conferimento eseguito in via compensativa. Risultava così espresso il principio per cui l’obbligo di conferimento di denaro, in occasione di un aumento di capitale, può venire soddisfatto attraverso il meccanismo della compensazione con debito parimenti di natura pecuniaria. Le conclusioni del giudice di legittimità poggiano sul rilievo del carattere pienamente satisfattivo della compensazione, venendo il creditore-società, per effetto di essa, ad acquisire un valore economico succedaneo al credito estinto ed espresso nella liberazione da un corrispondente debito. Si è dato, in questo modo, seguito ad un orientamento giurisprudenziale che annovera fra i suoi più significativi precedenti le decisioni della Cassazione n. 936 del 05/02/2006 e n. 4236 del 24/04/1998. Né è valsa la doglianza, espressa dalla curatela, secondo cui l’operare della compensazione, eliminando la necessità di una materiale erogazione, pregiudicherebbe la simmetria tra capitale nominale e la sua effettiva entità. Invero, ciò che è stato ritenuto rilevante è la corrispondenza tra patrimonio netto e capitale. L’elisione di un debito della società comporta l’accrescimento del patrimonio netto (grandezza relativa, data dalla differenza tra attivo e passivo) in una misura pari al debito che viene ad estinguersi. Ancora alcune notazioni di ordine preliminare. La compensazione in discorso è evidentemente quella legale ex art. 1243 cc, peraltro l’unica comunemente consentita nelle fattispecie di aumento di capitale sociale. In secondo luogo, l’operare della compensazione nell’ambito delle procedure fallimentari è espressamente previsto dall’art. 56 LF e costituisce una esplicita deroga al principio della par condicio creditorum, conseguendo il creditore il soddisfacimento integrale delle proprie ragioni1. La giurisprudenza, tuttavia, pretende che i fatti costitutivi dei crediti contrapposti si collochino – cronologicamente - entrambi nella fase antecedente all’apertura del concorso. Successivamente, il patrimonio, ormai vincolato alla procedura, resterebbe insensibile ad ogni effetto dispositivo-solutorio non rispettoso della regolazione concorsuale dei crediti (Tribunale di Milano, 29 dicembre 1 GUGLIELMUCCI, Diritto Fallimentare, Torino, 2008, p. 194. 2 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati 2004, in Corriere del merito 2005, pag. 629; Cassazione Civile, Sez. I 26 febbraio 1999, n. 1671). Per quanto concerne la deduzione della compensazione nel fallimento, si può ritenere che la stessa sarà oggetto di cognizione del giudice delegato nelle sole seguenti ipotesi: a) quando il creditore chieda di essere ammesso al passivo per un certo importo, dedotto il minor credito del fallito; b) quando sia il curatore, nella fase di verificazione del passivo, ad eccepire in compensazione l’esistenza del contro-credito del fallito. Nel caso di specie pare, invece, che il creditore non abbia provveduto alla previa insinuazione al passivo, limitandosi a far valere l’effetto legale della compensazione in sede di opposizione al decreto con il quale, ai sensi dell’art. 150 LF, gli era stato ingiunto il versamento dei conferimenti ancora dovuti. La compensazione è stata dunque accertata in sede ordinaria. Il modus procedendi è corretto. Il creditore che intende solo avvalersi della facoltà di compensare - senza avanzare pretese per un eventuale importo residuo - non è tenuto a partecipare al concorso. Inoltre, la dichiarazione in sede extra-fallimentare di compensazione non determina alcuna effettiva lesione del contraddittorio con i creditori concorsuali. La compensazione viene, in tal caso, in rilievo come semplice causa estintiva (opponibile al fallimento) del credito del fallito al pari, ad esempio, della prescrizione2. 2. Principali aspetti critici dell’operazione di aumento di capitale tramite compensazione. Ciò detto, consideriamo ora alcuni dei profili problematici che la fattispecie in discorso sembra porre. In primo luogo, si è fatta rilevare3 l’assonanza – come vedremo solo descrittiva – fra l’esecuzione del conferimento attuata tramite compensazione di un contro-credito e il conferimento in natura di crediti ex art. 2343 cc. 2 FABIANI, L’accertamento della compensazione e la competenza sulle domande riconvenzionali nei giudizi promossi dal fallimento, in appinter.csm.it. 3 Per una rassegna delle principali opinioni espresse sul punto, si veda GRIPPA, Legittimità della compensazione in sede di aumento del capitale sociale: difficoltà di inquadramento del fenomeno, in Giur. comm. 1998, 4, pagg. 505 e segg.. 3 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati In entrambe le ipotesi le azioni vengono liberate per mezzo di un credito, bene non direttamente assimilabile al denaro. Si è pertanto dedotto che anche il credito opposto in compensazione dovesse essere assoggettato alla procedura di stima, ai sensi dell’art. 2343 cc, a garanzia dell’effettività del valore dei conferimenti. L’accostamento è apparso ai più improprio. La differenza si pone sul piano strutturale e funzionale, venendo ad escludere ogni comunanza di ratio legis fra le due fattispecie. La compensazione è solo un modo di estinzione del debito del conferimento, un fatto che non può integrare una vicenda circolatoria, al contrario della cessione di credito. Gli effetti che ne derivano sono pertanto estintivi e mai acquisitivi (così anche Cassazione, Sez. I Civile 24 aprile 1998, n. 4236). L’art. 2343 non ha, perciò, alcun motivo di trovare applicazione neppure in via analogica. La ragione della stima dei crediti conferiti nasce, infatti, dalla esigenza di valutare il grado di realizzabilità del credito e solvibilità del debitore ceduto. Necessità, queste, che non possono ricorrere in caso di compensazione, laddove il credito è verso la società e si estingue nel momento stesso in cui si verifica il presupposto della coesistenza reciproca con l’obbligo di effettuare il conferimento (art. 1242 cc). Se è vero, dunque, che tramite la compensazione l’esposizione debitoria della società verso il socio viene, in tutto o in parte, convertita in capitale di rischio, tuttavia, non è apportato in società alcun credito. La sentenza in commento conferma tale posizione, precisando che il conferimento avviene pur sempre in danaro (nel rispetto dell’art. 2342 cc, comma 1), mutando solo le modalità di estinzione dell'obbligo di conferire. Sennonché un problema di tutela dell’integrità del capitale sociale potrebbe comunque porsi quando il credito vantato nei confronti della società sia fittizio. In tale ipotesi, le azioni verrebbero liberate senza che il sottoscrittore abbia conferito alcunché. Il pregiudizio verso i creditori si concretizza con particolare evidenza proprio in vicende analoghe a quella in esame, quando cioè, nel fallimento della società, il giudice delegato voglia avanzare richiesta di esecuzione dei versamenti ancora dovuti. L’operare fraudolento della compensazione finirebbe con l’impedire l’acquisizione alla massa attiva di parte del capitale di rischio. In simili frangenti la soluzione viene individuata nelle norme che garantiscono la verità e correttezza dei dati contabili posti in bilancio. La violazione di dette 4 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati disposizioni importa la responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo chiamati al risarcimento del danno. Come si vede, la soluzione proposta non incide sul funzionamento della compensazione, assicurando tutela ai creditori soltanto sul piano risarcitorio. Viene in rilievo altresì la responsabilità penale degli organi amministrativi e di vigilanza e la funzione di deterrenza che ad essa si riconduce. Merita al riguardo sottolineare che l’accertamento - in sede di verificazione dello stato passivo - del credito poi indebitamente compensato, non preclude una successiva tutela da esercitarsi in sede extra-concorsuale. Trattasi, infatti, di un accertamento con efficacia di mero giudicato endofallimentare, che investe direttamente il diritto di partecipare al riparto e non l’esistenza in sé del credito, elemento solo presupposto ed oggetto di una cognizione incidenter tantum. In linea del tutto teorica, dopo la chiusura del fallimento, sarebbe perfino possibile agire per il disconoscimento del credito fittizio, ai fini di una riapertura della procedura concorsuale quando vi siano ancora creditori insoddisfatti. La cancellazione del credito, producendo l’effetto di ripristinare il debito da conferimento, farebbe emergere nuove attività nel patrimonio del debitore e potrebbe rendere utile la riattivazione della detta procedura (art. 121 LF, I comma). Non deve escludersi la possibilità che il curatore, o altri creditori concorrenti, eccepiscano, già in sede di verificazione, l’apparenza del credito con lo scopo di far rigettare la relativa domanda di ammissione e scongiurare - a monte - l’evenienza dell’elisione del credito del fallito. È una strada, tuttavia, non semplice da percorrere, giacché la fase di verificazione ha struttura sommaria ed essenzialmente documentale. Il giudice delegato può procedere ad atti di istruzione su richiesta delle parti (ma) compatibilmente con le esigenze di speditezza del procedimento (art. 95 LF, III comma). Per contro, nel caso considerato dalla sentenza in esame, scontrandosi le parti nel giudizio di opposizione (giudizio ordinario di cognizione) il curatore avrebbe potuto far valere, quanto meno in via di eccezione, la natura simulata del credito impedendo la declaratoria dell’effetto compensativo. 5 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati 3. Compensazione e conferimento originario di capitale. Altro problema riguarda la possibilità di applicare la compensazione anche alla fase della costituzione della società, quando i conferimenti sono volti a formare il patrimonio iniziale. La Cassazione, nella presente decisione, si è infatti pronunciata, expressis verbis, solo riguardo alla ipotesi di aumento di capitale. Nondimeno, credo di poter affermare che le argomentazioni utilizzate dalla Corte consentano di estendere la portata delle proprie conclusioni fino a farne un principio di carattere generale in rapporto ad ogni debito di conferimento in danaro, iniziale o sopravvenuto alla costituzione della società. Si profila pertanto un cambiamento a livello di giurisprudenza di legittimità. La Cassazione ha per lungo tempo ritenuto non compensabile il debito da conferimento in relazione al capitale originario dovendo i conferimenti iniziali essere costituiti solo da beni idonei a formare oggetto di garanzia patrimoniale (Cassazione civile, Sez. I 5 febbraio 1996, n. 936). Sarebbe, dunque, la funzione di garanzia generica del capitale a rappresentare l’ostacolo all’operare della compensazione, ostacolo che, d’altra parte, non viene ravvisato laddove si versi in sede di aumento di capitale. In tale caso infatti - a fronte di un patrimonio già esistente - la compensazione determinerebbe un indiretto aumento della garanzia la quale non dovrebbe più coprire il credito del socio ormai convertito in capitale di rischio. Come detto, siamo dinanzi ad un inquadramento giuridico che la Cassazione sembra avere ora superato, se non altro implicitamente, con la sentenza in esame. La funzione di garanzia pare, infatti, perdere influenza, essendo il capitale concepito solo come quota ideale del patrimonio netto della società. In altri termini, il capitale nominale non identifica i beni vincolati al soddisfacimento dei creditori ma la misura (la frazione) del patrimonio netto non ripartibile dai soci in costanza del rapporto sociale. Il riferimento al patrimonio netto sposta la questione dal piano sostanziale a quello contabile e aritmetico. Dice ora infatti la Suprema Corte: [...] il patrimonio netto è la differenza fra le poste dell'attivo e le poste del passivo esposte in bilancio. Sicché si incrementa sia con l'aggiunta di una posta attiva (versamento in danaro) sia con la soppressione di una posta passiva (estinzione di un debito). E nella prospettiva della società, che è l'unica rilevante ai fini del conferimento, ciò che è davvero necessario è 6 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati appunto solo l'incremento del suo patrimonio netto, in una misura tale da coprire l'intero valore nominale delle azioni emesse e sottoscritte dal socio che conferisce mediante compensazione. Ciò che rileva è dunque l’accrescimento positivo del differenziale fra le poste attive e quelle passive iscritte in bilancio ed è tale differenziale che andrà imputato a capitale. Peraltro, il riferimento alla prospettiva della società, come la sola realmente determinante (con sottovalutazione delle ragioni di terzi), è indicativo di come il problema della presenza di un patrimonio espropriabile a vantaggio dei creditori assuma un rilievo niente affatto decisivo. Queste considerazioni valgono anche nella prospettiva del momento genetico della società. Se il capitale sociale è stato fissato a 100, ciò vuol dire che i soci si sono semplicemente impegnati a mantenere e dunque, a fortiori, a costituire un attivo, al netto delle passività, pari a 100. Del resto, la Suprema Corte, nella medesima decisione, ha pure sostenuto che la compensazione fra debiti pecuniari non modifica l'oggetto del conferimento, che avviene pur sempre in danaro, ma solo le modalità di estinzione dell'obbligo di conferire, con ciò sottolineando che un conferimento è comunque presente. 4. Compensazione e iniziale conferimento del 25% del capitale. In conclusione, si impone un’ultima riflessione che sebbene esorbiti dall’ambito dello specifico decisum della sentenza in commento, è tuttavia strettamente legata all’oggetto di queste brevi note. La dottrina4 ha spesso fatto rilevare come l’unica, accettabile, eccezione all’operare della compensazione, nella fase costitutiva della società, potrebbe riguardare il pagamento del 25% (ante riforma del diritto societario: dei tre decimi) dei conferimenti in danaro. Si è voluto così garantire, anche sotto questo profilo, la 4 Si veda per tutti F. COLUCCI, Un parziale revirement della Cassazione: ammessa la compensabilità del debito di conferimento del socio sorto in sede di aumento di capitale. Giur. Comm. 1997, pagg. 23 e segg.. 7 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati formazione di un capitale iniziale effettivo e quindi di una immediata liquidità funzionale alla prime operazioni sociali5. È una soluzione che, sebbene corretta nella conclusione, tuttavia non credo meriti di essere condivisa per le ragioni avanzate a sua giustificazione. L’ostacolo che viene – a tale specifico riguardo - posto all’utilizzo del meccanismo compensativo sembra, invece, avere motivazioni differenti. Procediamo con ordine. In primis, la compensazione ha carattere satisfattivo e risponde ad un principio di economia degli adempimenti: ciò che il socio manca di versare alla società è esattamente quanto la società stessa dovrebbe restituire al conferente. Avrebbe ben poco senso consentire alla società di riscuotere il credito, se poi essa debba nuovamente rivolgere quanto incassato al solvens. Pertanto, l’esigenza di garantire alla costituenda società i mezzi per l’esercizio della programmata attività economica non può essere un valido motivo per impedire al socio di compensare il debito da conferimento con un preesistente credito. Si torna a ripetere che la compensazione non determina la formazione di un capitale costituito da soli crediti, ma la conversione di una precedente esposizione debitoria della società in capitale di rischio. Né l’incameramento della somma risponde ad un reale bisogno della società di potere poi minacciarne la confisca per rendere più sicura l’esazione delle quote residue6. Attraverso la compensazione, la società verrebbe comunque ad incamerare un valore corrispondente alla somma dovuta dal socio e quest’ultimo verrebbe a perdere il correlativo credito. Il risultato economico, cioè, sarebbe il medesimo sia che il pagamento venisse effettuato materialmente, sia che alla liberazione del conferimento si giungesse attraverso la liberazione da un debito di pari ammontare. Come anticipato, le ragioni che invece escludono il ricorso alla compensazione per il versamento in danaro del 25%, devono essere ricercate altrove. 5 Si tratta della principale ragione posta a base delle disposizioni (art. 2329 n. 2 cc e art. 2342 cc, II comma) che prescrivono il versamento immediato del 25% del conferimento in danaro. Così G. F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale 2, Diritto delle Società, Torino, 2010, pag. 186. 6 Questa è la seconda delle giustificazioni comunemente portate per spiegare l’obbligo del versamento del 25% del conferimento. Si veda al riguardo FERRARA JR-CORSI, Gli Imprenditori e le Società, Milano, 2006 pag. 384. 8 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati La giurisprudenza ha pure ritenuto che l’impossibilità di procedere alla compensazione discenderebbe anche dal fatto che – nel momento in cui il versamento in parola va eseguito - la società ancora non esiste e non possono, quindi, configurarsi nei suoi confronti crediti da addurre in compensazione (Cassazione, Sez. I Civile 24 aprile 1998, n. 4236). Lo spunto offerto dalla Cassazione merita di essere meglio puntualizzato. È senza dubbio vero che il pagamento del 25% viene effettuato quando ancora la società non si è formata. Infatti, Il deposito della detta quota presso una banca – come richiesto dall’art. 2342 cc – costituisce una condizione per la istituzione della società (artt. 2329 n. 2, 2342 cc), dovendo tale percentuale essere liberata contestualmente alla sottoscrizione dell’atto costitutivo. In termini più generali, può dirsi che tutte le condizioni per la costituzione, individuate dall’art. 2329 cc, devono preesistere alla redazione dell’atto costitutivo da parte del notaio7. Ciò implica, come poc’anzi ricordato, che al tempo del versamento del 25% del conferimento pecuniario la società ancora non esiste e non possono quindi configurarsi crediti nei suoi confronti da opporre in compensazione8. Ma vi è di più. Da quanto precede risulta altresì che non può ritenersi sussistente nemmeno il credito all’immediato conferimento parziale. Il suddetto versamento costituisce, infatti, una sorta di condizione di procedibilità, in mancanza della quale il notaio non potrà provvedere al richiesto rogito. Non può rappresentare invece l’oggetto di un obbligo, salvo ipotizzare che l’adempimento di una obbligazione possa precedere la formazione del proprio titolo costitutivo (i. e.: il contratto sociale). Per contro, dal contratto sociale nascono effetti di diversa natura quale, segnatamente, il vincolo di indisponibilità delle somme in discorso per il termine di novanta giorni, sempre che nel frattempo la società non sia stata iscritta nel registro delle imprese. 7 G.F. CAMPOBASSO, op. cit., p. 161. 8 Non può condividersi quanto espresso da COLUCCI, op. cit., la quale ritiene che debiti preesistenti della società siano configurabili nelle ipotesi, ad esempio, in cui sia stata conferita un'azienda con passaggio dei relativi debiti. In realtà, quando l’atto costitutivo è sottoscritto e il conferimento dell’azienda perfezionato, il credito al versamento del 25% non sarà più compensabile perché già adempiuto. Come chiarito supra, infatti, il versamento deve essere contestuale alla sottoscrizione del contratto. 9 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati La compensazione sarà dunque inapplicabile per la stessa inesistenza delle reciproche poste debitorie. Non è tutto. L’esclusione della compensazione si spiega valorizzando anche un altro aspetto della vicenda, non colto in giurisprudenza ma non meno significativo. Si tratta di un profilo che investe la natura stessa del controllo notarile e del successivo controllo formale da parte dell’ufficio del registro delle imprese. Come è noto, il controllo di legalità del notaio rogante ha sostituito il giudizio di omologazione dell’autorità giudiziaria. Più in particolare, il notaio è chiamato a verificare la legalità sostanziale dell’atto costitutivo e, si ritiene, anche dell’adempimento delle condizioni di costituzione previste dalla legge, ivi compreso il rispetto delle disposizioni relative al conferimento. Orbene, non credo possa chiedersi al notaio un giudizio di accertamento dell’effetto legale di compensazione, vale a dire la verifica dei presupposti di legge sottesi al compiersi dell’effetto compensativo. Egli sarebbe infatti chiamato ad esaminare la fondatezza dell’eccezione di compensazione (sia pure opposta in sede extra-processuale), e cioè ad accertare l’esistenza del contro-credito in relazione alla liquidità del mezzo di prova addotto, oltre alla esigibilità e omogeneità delle reciproche prestazioni. Si tratterebbe, con piena evidenza, di una attività di carattere latamente giurisdizionale, che va ben oltre la semplice verifica di fatti certificabili (quale sarebbe il deposito in banca di una somma di danaro risultante dall’originale della ricevuta bancaria). Le medesime difficoltà incontrerebbe l’ufficio del registro delle imprese il quale ha il dovere di riscontrare la legalità formale della documentazione ricevuta e quindi non solo dell’atto costitutivo, ma altresì dei documenti allegati, comprovanti la realizzazione della condizioni prescritte dalla legge per la costituzione della società (incluso il versamento della quota iniziale del conferimento in danaro). La mancata produzione di tali documenti dovrebbe comportare il rifiuto dell’iscrizione. 10 www.dirittobancario.it - © Tutti i diritti riservati