prova 4

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prova 4
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Leggi il testo seguente:
“Ero un pesce fuor d’acqua…”
Non succedeva mai niente. La vita mi1 passava accanto. Poi un giorno – ero appena tornata dalla
lavanderia – mia madre mi disse che dei ragazzi, i figli del Pastore2 che abitavano lì vicino, mi
avevano invitato ad uscire con loro quella sera. Lei aveva accettato per me. Ero emozionata.
Vennero a prendermi. Due ragazze alte e angolose, con sopracciglia sottili e i capelli legati in una
coda, e un ragazzo con i capelli cortissimi, occhiali e un vestito a quadretti. Ebbi un moto di delusione,
ma ero decisa. Sarei uscita con “tre ragazzi della mia età”. Non sapevo dove saremmo andati, ma le
possibilità erano infinite. (…) Mi portarono in chiesa e più tardi andammo a prendere il tè in una sala
dello stesso edificio. Erano tutti alti e pallidi, con capelli lisci castano chiari e abiti di tweed3. Mi
sentivo esageratamente piccola e scura ed ero dolorosamente conscia del mio aspetto diverso, e in
modo particolare dei miei capelli diversi (…).
Sulla strada di casa cercavo con lo sguardo i Teddy Boys e i Rockers4 che si pavoneggiavano agli
angoli delle strade. Provavo un desiderio struggente di stare con loro, con le loro motociclette e le loro
ragazze appariscenti nei vestiti colorati. Rappresentavano tutto quello che mi mancava, e ogni volta che
mi capitava di passare davanti ad uno di loro, il cuore cominciava a battermi al solo pensiero che
avrebbe potuto rivolgermi la parola. Era una speranza inutile, lo sapevo. I miei genitori non mi
avrebbero mai permesso di frequentarli. E quando un giorno un gruppetto di loro mi fischiò dietro,
seppi che era ancora peggio. Perché erano ostili. Mi resi conto che con i miei atteggiamenti da
educanda e la vocetta pedante5 , non mi avrebbero accettata comunque. Ero un pesce fuor d’acqua:
avevo i modi di un intellettuale borghese occidentalizzato e l’anima di un rocker6 .
Anche a scuola mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Nessuno mi aveva detto che si trattava di una scuola
femminile. In Egitto frequentavo scuole miste e mi ero sempre trovata meglio con i ragazzi che con le
ragazze.
D’improvviso la scuola non sembrava più una cosa così bella; era un luogo grande e freddo con
migliaia di ragazze alte in gonna blu.
“Tu puoi essere esonerata dalla preghiera, dal momento che sei maomettana”, mi sussurrò
l’insegnante che mi aveva portato là. Niente paura. Quello che desideravo di più era mescolarmi,
amalgamarmi silenziosamente e appartenere al gruppo, e non avevo intenzione di dichiararmi
maomettana o anche solo musulmana, per finire seduta nel corridoio con l’aria annoiata, insieme alle
pachistane con i loro calzoni bianchi sotto la gonna.
Il mio tentativo di scomparire nella massa non ebbe successo. Durante il primo intervallo mi
portarono da Susan, capogruppo del terzo anno “Da dove vieni?”, era una ragazza esile e pallida, con
le lentiggini e i capelli rossi. “Dall’Egitto”, risposi io.
“E’ dove ci sono i Faraoni e i coccodrilli e roba del genere”, spiegò alle altre. “Vai a scuola col
cammello?”, questo venne accompagnato da una risatina, ma io risposi seria: ”No”.
“Com’è che vai a scuola, allora?”. “A dire il vero, la mia scuola è molto vicina a casa. Ci vado a
piedi”. Mentre lo dicevo mi resi conto dell’ambiguità della mia risposta: non avevo spiegato
chiaramente che, anche se la scuola fosse stata lontana, non ci sarei andata comunque a dorso di
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chi racconta è una ragazza egiziana di 14 anni, Aisha, appena arrivata a Londra.
Pastore: prete anglicano.
3
tweed: stoffa pesante invernale, tipicamente britannica.
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Teddy Boys, Rockers: gruppi di giovani inglesi degli anni sessanta, caratterizzati da atteggiamenti di aperta contestazione.
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pedante: noiosa, da maestrina.
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l’anima di un rocker: di una ribelle, una contestatrice.
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cammello. Così ricominciai: “Per dire la verità, i cammelli li vediamo soltanto…”. “Stai in una
tenda?”. “No, abitiamo in un palazzo belga”. “Un che?”. “Un palazzo di proprietà di una
multinazionale belga”. “Ma perché parli così?”. “Così come?”. “Come un professore, sai”. No, non lo
sapevo. Sapevo che loro parlavano cockney7 e io parlavo un buon inglese. Sicuramente ero io nel
giusto. Il mio istinto, comunque, mi suggeriva di non dirglielo.”Quante mogli ha tuo padre?”. “Una”,
risposi sdegnata. “Ah, non c’ha dieci mogli allora? Ma comunque che lavoro fa?”. “I miei genitori sono
tutti e due professori universitari”. Un errore questo che avrei rimpianto per sempre; fui associata
subito alla professione del nemico.
(parzialmente adattato, da Ahdaf Soueif, Aisha,1983)
1. Riassumi il testo utilizzando circa 100 parole.
2. Scrivi una possibile continuazione della storia narrata in prima persona da Aisha, immaginando
un altro episodio in cui lei si sente vittima di pregiudizi, oppure inventando un finale in cui lei si
sente per la prima volta integrata con i suoi coetanei (150 parole circa).
3. Scegli una delle seguenti tracce:
a) Nel brano letto emergono atteggiamenti più o meno ostili nei confronti della protagonista,
che le fanno pesare la sua “diversità” e che si basano su pregiudizi nei suoi confronti.
Rifletti sull’influenza che gli stereotipi e i pregiudizi hanno sul nostro rapporto con gli altri
che può essere spesso compromesso dall’idea che per motivi culturali, sociali o
semplicemente estetici ci siamo fatti di una persona prima ancora di conoscerla. Analizza le
cause e le conseguenze di tali pregiudizi, facendo eventualmente riferimento a letture
personali e scolastiche (180/200 parole circa).
b) Aisha, la protagonista del brano appena letto, è una quattordicenne appena giunta
dall’Egitto a Londra. Come ogni adolescente è forte in lei il desiderio di assomigliare il più
possibile ai propri coetanei, di essere accettata e non emarginata. Secondo te fino a che
punto questo desiderio può essere positivo per un ragazzo della tua età e quali risvolti
negativi può avere sulla formazione della propria personalità? Esprimi le tue considerazioni
in proposito in un testo di circa 180/200 parole.
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cockney: un dialetto di Londra