I debiti pubblici (per ora) ballano il sirtaki e il flamenco. E la tarantella?

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I debiti pubblici (per ora) ballano il sirtaki e il flamenco. E la tarantella?
I debiti pubblici (per ora) ballano il sirtaki e il flamenco. E la tarantella?
di Giovanni Ferri
(pubblicato sulla “Gazzetta dell’Economia”, 23/2/2010)
Nell’autunno del 2008 in molti dissero “niente sarà più come prima” quando, nell’occhio del
ciclone della crisi finanziaria più grave degli ultimi sessanta anni, persino i giganti di Wall Street
mostravano piedi d’argilla. I governi di tutto il mondo venivano allora sollecitati al capezzale
delle banche d’investimento agonizzanti. Uno ad uno i più bei nomi – Bear Stearns, Lehman,
Merrill Lynch, JP Morgan e Goldman Sachs – caddero dalle stelle alle stalle in una danza
frenetica, come dervisci storditi dalle proprie giravolte spericolate. Allora, i debiti pubblici
nazionali sembravano l’ultimo dei problemi. C’era da salvare la finanza dai suoi eccessi
speculativi. Bisognava fare in fretta. Tranne Lehman, lasciata in modo improvvido fallire, tutti
quei blasoni della finanza vennero salvati col denaro pubblico.
Ma, si sa, la gratitudine, virtù quanto mai rara ovunque, non alberga certo nella finanza. Così, a
poco più di un anno di distanza da quel turbinio, le gengive dei salvati addentano ora le mani
dei salvatori pubblici. La memoria è breve, le situazioni cambiano rapidamente, occorre stare al
passo con i tempi. Oggi, dunque, molti di quei governi che venivano lodati – si pensi all’Irlanda
– per la celerità con cui si erano mossi nel salvataggio delle proprie banche sono sotto attacco
per la presunta insostenibilità dei loro debiti pubblici. A finire sul banco degli imputati sono
soprattutto i cosiddetti PIGS, dall’esplicito richiamo suino (in inglese “pigs” significa “maiali”). Se
usualmente il termine PIGS – in alternativa al più educato Euromed – veniva usato a Londra per
indicare il coacervo di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna, stavolta, per nostra fortuna, PIGS
indica Portogallo,
Irlanda, Grecia e Spagna. Si tratta di
quattro Paesi che, ciascuno per il proprio verso, sono finiti sotto i riflettori della speculazione
internazionale. L’Irlanda e la Spagna avevano sperimentato tra le più intense bolle speculative
nel prezzo degli immobili: lo scoppio di quelle bolle ha messo in ginocchio le relative economie,
costretto i governi a intervenire a sostegno degli indeboliti sistemi bancari nazionali e, perciò, i
loro deficit pubblici sono rapidamente lievitati. Secondo le stime dell’FMI riferite alla media
2009-10, ambedue i Paesi avranno deficit pubblici primari prossimi al 10% del PIL, molto più
dell’1% circa che sarebbe necessario per mantenere stabile il rapporto tra debito pubblico e
PIL: perciò Irlanda e Spagna accusano un innalzamento strutturale dei rispettivi livelli del debito
pubblico. Diverso il discorso per il Portogallo che, pur avendo vissuta una crescita dei prezzi
degli immobili ben inferiori, si è presentato all’appuntamento con la crisi mondiale dopo diversi
anni di conti pubblici “allegri” che gli lasciano in eredità un rapporto deficit/PIL di oltre il 9%.
Ancor più complicato il caso della Grecia. Anche se non aveva sperimentato una forte dinamica
dei prezzi delle case, il Paese ellenico è giunto ad avere, in rapporto al PIL, un deficit pubblico
di circa il 12% – valore astronomico nell’attuale fase di tassi di interesse assai bassi – e un
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debito pubblico di oltre il 120%. Come se non bastasse, è trapelata nei media la convinzione
che la Grecia avesse “truccato” i propri conti pubblici dieci anni fa’ per poter rispettare i
parametri di Maastricht e accedere all’euro. Pare che la Grecia si sia allora avvalsa in grande
quantità di “swaps” mediante i quali avrebbe artificialmente abbassato il proprio debito pubblico,
in modo peraltro solo temporaneo. In tale frangente, il Paese ellenico fu assistito da Goldman
Sachs che oggi, dimentica delle laute commissioni incassate allora, a rumor di media, sarebbe
uno dei protagonisti della speculazione contro il debito pubblico greco.
La Grecia sta cercando di riportare i propri conti pubblici sotto controllo ma gli interventi che
servirebbero sono probabilmente politicamente inaccessibili e, sinora, non si sono visti tagli
decisivi alla spesa pubblica ellenica. L’Unione Europea, nel frattempo, discute se e come
intervenire a supporto. E, mentre tardano decisioni capaci di assicurare un credibile rientro, gli
speculatori scommettono che la Grecia avrà problemi a ripagare il proprio debito. Il costo di
coprirsi dal rischio di default sul debito sovrano – misurato dallo spread dei relativi Credit
Default Swaps (CDS) – dall’estate scorsa è quadruplicato per la Grecia, passando da circa 100
a circa 400 punti base. Va ricordato che ogni aumento di questo spread comporta un maggior
costo di interessi da parte del governo e, perciò, rende il debito pubblico ancor più insostenibile.
E nei mesi recenti il malessere si è esteso anche a Portogallo e Spagna passati da valori
prossimi a 50 punti base dell’estate 2009 a, rispettivamente, 200 e 150 punti base. Ciò pare
indicare che, se la Grecia fosse costretta al default, Portogallo e Spagna sarebbero i prossimi a
essere attaccati dalla speculazione. Tale situazione ha ingenerato un significativo
deprezzamento dell’euro che, almeno, dovrebbe dare una mano agli esportatori europei.
Dunque, forse non è vero che nulla è più come prima. A chi si ricordi del 1992, sembra proprio
di rivivere qualcosa del genere. Allora la speculazione si concentrò su Italia, Regno Unito,
Spagna e Portogallo: la lira, la sterlina, la peseta e lo scudo furono costretti a uscire dal Sistema
Monetario Europeo e ciò ritardò la nascita dell’euro. Oggi la sterlina non è nell’euro. L’Italia si è
tenuta sinora fuori dalla tempesta – lo spread CDS sul debito pubblico italiano supera di poco i
100 punti base – perché, sebbene la caduta del nostro PIL sia stata molto forte, le nostre
finanze pubbliche sono peggiorate di meno che altrove. Ma il nostro debito pubblico, per
dimensione assoluta, è nettamente quello più grande di tutti nell’area euro. Speriamo che dopo
il sirtaki e il flamenco non si debba ballare la tarantella.
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