capitolo 1 i frequentatori ed il ruolo dell`istruttore

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capitolo 1 i frequentatori ed il ruolo dell`istruttore
ALESSANDRO LANZANI
CAPITOLO 1
I FREQUENTATORI
ED IL RUOLO DELL’ISTRUTTORE
INTRODUZIONE
I frequentatori di una palestra non fanno parte di un’unica categoria di sportivi, ma al contrario si differenziano per molti
aspetti tanto che forse l’unica cosa che hanno in comune consiste proprio nel fatto che frequentano una palestra.
È opportuno innanzi tutto approfondire la conoscenza delle
motivazioni e delle caratteristiche sportive dei frequentatori
delle palestre. L’istruttore professionista deve infatti essere in
grado di confrontarsi con le differenti esigenze dei frequentatori che non possono essere ridotti ad un unico modello, ma
sono diversi per sesso, età, esperienza sportiva, caratteristiche fisiche ed altro ancora. Inoltre, da un punto di vista commerciale, una palestra moderna deve saper accogliere e richiamare varie fasce di utenti diversificando i servizi offerti. Per chi
lavora in palestra proporre a tutti la propria logica di allenamento, agonistica, estetica o quant’altro, senza ascoltare e comprendere le motivazioni e la situazione di partenza di chi si
iscrive, è controproducente. Controproducente in senso professionale in quanto sarà più difficile realizzare gli obiettivi dell’allenamento ed in senso economico in quanto l’iscritto che
non trovi soddisfazione alle proprie motivazioni non rinnoverà
l’iscrizione.
In pratica è l’istruttore che deve sapersi adattare a ciascun
iscritto-utente, non il contrario.
Per costruire un programma di allenamento è necessario valutare le caratteristiche fisiche di ogni soggetto. Osservare il
volume dei muscoli sotto la maglietta è già approssimativo in
un giovane ventenne in perfetta forma e un’osservazione
superficiale diventa insufficiente in un’impiegata quarantenne
sedentaria o in un atleta infortunato che giunge in palestra per
completare un programma riabilitativo. È necessario un siste7
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ma di valutazione dell’apparato locomotore per inquadrare in
maniera semplice le caratteristiche fondamentali di forza, mobilità articolare coordinazione ecc. Ciò corrisponde all’Esame
Obiettivo Motorio al quale dedichiamo una sezione particolare.
DATI DI UN’INDAGINE CONOSCITIVA
In occasione della prima edizione di questo volume è stata portata a termine un’indagine conoscitiva sui frequentatori di un
campione di 12 palestre milanesi per un totale di mille soggetti.
Un questionario anonimo prevedeva una serie di risposte sulle
caratteristiche della frequenza in palestra. In sintesi questi
sono i dati emersi.
Età. L’età media dei frequentatori è di 26 anni. La curva di
distribuzione dell’età è piuttosto ampia e va dai 14 ai 38 anni.
In questi due estremi è compreso il 95% degli iscritti. La tendenza comunque è che la distribuzione delle età tenda ad
aumentare sia verso la frequenza dei giovanissimi che degli
anziani. Naturalmente questo avviene più rapidamente nelle
palestre che si sono organizzate con delle attività particolari
per queste fasce di età.
Sesso. Gli uomini e le donne frequentano le palestre al 50%.
La cosa importante da segnalare è che questo non è un dato
omogeneo per tutte le palestre. In alcune c’è una netta predominanza di un sesso rispetto all’altro. In altre si avvicinano alla
parità. Questo con ogni probabilità dipende dal tipo di organizzazione e di immagine che si è data la palestra nonché dai
corsi che sono promossi al suo interno.
Professione. La distribuzione dei frequentatori è praticamente
sovrapponibile a quella delle occupazioni dei milanesi delle
stesse fasce di età. Pertanto il fenomeno palestra è penetrato
in tutte le categorie sociali. Va segnalato che gli impiegati, gli
insegnanti, gli studenti e le casalinghe costituiscono il 61% del
campione e sono accomunati dal fatto di svolgere delle mansioni sedentarie. Per questi soggetti generalmente la palestra
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era l’unica attività sportiva praticata con una certa regolarità.
Questo significa che al momento dell’iscrizione vanno considerati a tutti gli effetti dei sedentari con le caratteristiche tipiche
di questa categoria dal punto di vista dell’anatomia funzionale.
Anzianità di frequenza. La metà dei soggetti frequentava la
palestra da meno di un anno, il 14% da un anno, il 12% da
due, il 10% da tre. Si possono azzardare due considerazioni.
La prima é che fino al 1988 la partecipazione all’attività nelle
palestre è stato un fenomeno in ascesa. La seconda è che
nelle palestre si verifica un grande movimento di persone che
sono di passaggio e che una volta provata questa esperienza
per qualche mese la abbandonano. Il fatto che si verifichino
degli abbandoni è normale. Ognuno di noi ha provato delle
esperienza sportive che poi ha lasciato per perdita di interesse. Questi abbandoni creano dei problemi ai gestori delle palestre. Probabilmente si dovrebbe analizzare con tranquillità e più
approfonditamente se la qualità dei servizi forniti sia sempre
all’altezza delle promesse pubblicitarie e se una parte degli
abbandoni non sia dovuta al fatto che i soggetti meno motivati
trovano dei servizi carenti per qualità e quantità. A questo proposito è stato chiesto se il soggetto si riteneva soddisfatto
dalla frequenza in palestra. Il 35% si definiva soltanto parzialmente soddisfatto e ovviamente ha risposto chi ancora era
iscritto.
Frequenza settimanale. Dalla frequenza settimanale in palestra
si può dedurre indirettamente il tipo di impegno; se è ricreativo
e salutistico (2-3 volte in settimana) oppure avanzato e agonistico (4-5-6 volte). Ebbene circa il 70% degli iscritti va in palestra 2-3 volte in settimana. Il 18% 4 volte e il 12% 5 o 6 volte.
Pertanto la percentuale degli avanzati e possibili agonisti è esigua.
Tabella di allenamento. La tabella di allenamento dovrebbe
essere una costante nell’esperienza di ogni iscritto per una
serie di ragioni. Il principiante non sa il nome degli esercizi,
delle macchine, non conosce la tecnica di esecuzione, non è in
grado di elaborare un progetto di allenamento. L’avanzato se
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ha aspirazioni agonistiche dovrebbe essere seguito particolarmente con un programma di allenamento particolareggiato che
spesso l’esperienza personale non è in grado di intuire; inoltre
l’allenamento personalizzato è uno dei servizi più pubblicizzato
dalle palestre e presuppone un allenatore in grado di realizzarlo
sui diversi soggetti. Nonostante questo 211 soggetti (il 21 %)
affermavano di allenarsi senza tabella. Tutti bravi e autosufficienti?
LE MOTIVAZIONI DEI FREQUENTATORI
La motivazione è un aspetto fondamentale della frequenza in
palestra. Senza una motivazione sufficiente la pratica sportiva
è soltanto un’esperienza transitoria. L’istruttore è interessato a
comprendere quali sono le motivazioni che spingono un soggetto in palestra, una sua funzione è quella di rinforzarle e soddisfarle. Spesso chi viene in palestra per la prima volta non ha
le idee ben chiare rispetto a quello che vuole e a quello che
può trovare. L’istruttore deve dare quelle prime informazioni
corrette sia sui pregi che sui limiti dell’attività in palestra.
Uno degli errori più gravi che un istruttore può commettere è
quello di trasferire sul soggetto da allenare le proprie motivazioni. Un altro consiste nel disinteressarsi degli iscritti che
hanno motivazioni lontane e diverse da quelle dell’istruttore. Al
nuovo iscritto va chiesto perché è venuto in palestra, quali
sono i suoi obiettivi.
La motivazione più diffusa consiste nel desiderio di mantenersi
in forma, ossia il fitness. Spesso in questo c’è un desiderio di
controllare il peso; a volte la motivazione dimagrante è quella
più esplicita e prevalente.
Su questi argomenti l’istruttore deve inquadrare i soggetti
informandoli che la palestra da sola non basta a dimagrire, ma
si deve instaurare un corretto regime alimentare. Insomma ci si
allena in palestra, ma si dimagrisce soprattutto a tavola.
Associato al desiderio di mantenersi in forma a volte compare l’aspirazione di migliorare la propria estetica. La pratica di palestra
difficilmente può produrre dei risultati che vadano al di là del cambiamento dei rapporti tra mantello muscolare e mantello adiposo.
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Classicamente le motivazioni allo sport vengono suddivise in
primarie e secondarie.
Come motivazioni primarie abbiamo:
• il gioco con motivazioni psicologiche di tipo cognitivo a
affettivo.
Un gruppo di ragazzi che si divide in due squadre per giocare a pallone su un prato senza righe, una coppia che
gioca a racchettoni sulla spiaggia: sono esempi di attività
sportiva alla base dei quali ci sono semplicemente la voglia
di stare insieme, di conoscersi e di divertirsi. In età evolutiva attraverso il gioco si apprende come formulare una strategia finalizzata a conseguire degli obbiettivi e si sviluppa la
socializzazione;
• l’agonismo con motivazioni di tipo aggressivo e socializzante.
Facendo riferimento all’esempio precedente, una squadra
di calcio in un torneo indossa una maglia con dei colori,
gioca contro un’altra squadra composta da persone quasi
sempre sconosciute: ci si conosce, ci si affronta come
avversari nel rispetto di regole e si cerca la vittoria. È il confronto sportivo che, in termini corretti, prevede il mettersi
in relazione con l’estraneo, dare il meglio di se stessi ed
accettare il risultato, imparando che l’avversario non è il
nemico e che dopo le sconfitte verranno altre partite,
nuove occasioni. Negli sport individuali l’agonismo si traduce nel superare il proprio limite, di tempo per chi corre, di
pesi per il bodybuilder.
Tra le motivazioni secondarie abbiamo:
• la motivazione al successo.
Nel mondo moderno occidentale la cultura del primeggiare
si è diffusa nella popolazione e nei messaggi dei mass
media. Aldilà delle considerazioni etiche, bisogna tenere in
considerazione che la motivazione al successo se da una
parte costituisce la sana voglia di migliorare se stessi, dal11
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l’altra può giungere a pericolose esasperazioni quando si
vengano a creare conflitti con i propri limiti (vedi il fenomeno del doping) o con la realtà circostante.
• la motivazione affiliativa.
È una delle più evidenti, la voglia di stare insieme con altre
persone, lo “spogliatoio”. È quella che, entrando in palestra, ci spinge a chiedere alla reception se sia già arrivato
l’amico o per la quale "se la mia amica non si iscrive più
smetto anche io".
Data la sua importanza, questo tipo di motivazione non
dovrebbe essere trascurata dall’intero staff: riconoscere ad
ogni iscritto anche un semplice saluto lo renderà parte di
un ambiente più che semplice “frequentatore”. Se ciò è
vero per tutte le fasce di età, avvicinandosi alla terza età
questa motivazione diventa fondamentale e lo si nota
comunemente nelle palestre in cui vengono organizzati
corsi di ginnastica per anziani: anno dopo anno si forma un
gruppo compatto di persone per le quali il fitness fa da
sfondo rispetto all’occasione di uscire di casa e reincontrarsi un paio di volte alla settimana.
• la motivazione estetica
Se in palestra il mito della bellezza ha sempre affiancato
quello della forza, adesso si affianca anche a quello del
benessere. Non a caso “più sani, più belli”. I servizi estetici
sono comuni nei centri fitness e si integrano con l’allenamento per conseguire l’obiettivo della forma fisica. Nella
società appare ormai superato anche il preconcetto per cui
sono soprattutto le donne a dare importanza alla motivazione estetica: entrambi i sessi sono lanciati all'inseguimento
di canoni di bellezza fisica che vediamo sui manifesti, sulle
pagine dei giornali o in tv.
Bellezza fisica e salute possono correre in parallelo ma,
d'altro canto, essere brutti o in leggero sovrappeso non
significa essere malati. Anche in questo caso le esasperazioni possono diventare pericolose, ad esempio quando si
identifica nella magrezza assoluta un obiettivo per la salute
oltre che un ideale estetico, peraltro discutibile.
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• motivazioni psicopatologiche
A volte la palestra può essere uno dei luoghi in cui persone
con problemi di personalità e carattere possono trovarsi a
trascorrere le proprie ore con il loro bagaglio di convinzioni.
Un occhio vigile, l'esperienza dello staff e soprattutto il
buon senso possono smussare incomprensioni ed evitare
danni.
Esistono poi dei fattori concomitanti alla pratica sportiva:
•
•
•
sentimenti di inferiorità
ansia da prestazione
sovraccarico da frustrazione
Derivano dalla delusione rispetto ad obiettivi non raggiunti
o considerati irraggiungibili. Le possibili soluzioni possono
essere una riformulazione degli obiettivi o del piano di lavoro per conseguirli, ma spesso affondano le radici in difficili
contrasti interiori.
Aggiungerei un’aspirazione al benessere: il fitness. Una
condizione di efficienza fisica e di rilassamento psicologico
sviluppate e migliorate da una pratica sportiva.
Quali sono le caratteristiche della pratica del body building?
È uno sport praticato in modo individuale, ma in un ambiente che da grandi possibilità di aggregazione. Inoltre esiste
un ruolo particolare che è quello del compagno di allenamento. Non è un gioco e pertanto può essere assimilato
agli sport ripetitivi come il nuoto, il ciclismo dove il gesto
atletico viene ripetuto un’infinità di volte. Ciò nonostante
presenta una varietà enorme di gesti atletici, tanti quante
sono le possibilità di movimento dei diversi distretti corporei del corpo umano. È uno sport che viene praticato a livello agonistico da una percentuale esigua di soggetti. Meno
dell’1% partecipa a delle gare, ma contemporaneamente si
verificano diffusi sentimenti di identificazione e di emulazione nei confronti degli atleti più noti.
Un’altra caratteristica che probabilmente ha contribuito al
successo di questa pratica sportiva è che non necessita
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almeno nelle fasi iniziali di una particolare coordinazione motoria per poter realizzare gli esercizi base. Quindi può essere praticato da tutti proprio perché non occorre saper fare qualche
gesto atletico particolarmente complesso. In ogni caso è stato
chiesto ai 1000 soggetti dell’indagine conoscitiva quali sono i
motivi che li spingono ad andare in palestra.
Queste le risposte in percentuale:
1) dimagrire
2) mantenersi in forma
3) distrarsi dallo stress
4) stare in compagnia
5) essere più attraente
6) misurarsi con se stessi
7) misurarsi con gli altri
8) partecipare a gare di body building
9) prepararsi meglio allo sport preferito
10) recuperare a seguito di un trauma
9,9%
46,6%
16,8%
9,4%
4,1%
2,9%
0,3%
2,0%
5,1%
2,7%
Come si può notare la motivazione prevalente è “mantenersi in
forma”, seguita a ruota da “distrarsi dallo stress” con il 16,8%.
Le motivazioni di tipo competitivo sono solo il 5% del totale.
Quelle di tipo agonistico non più del 2%. È evidente che l’istruttore di body building per quanto possa essere appassionato
degli aspetti più ipertrofici del body building non deve cadere
nell’errore grossolano di pensare che i suoi allievi siano altrettanto appassionati dell’ipertrofia muscolare solo per il fatto che
frequentano la palestra. L’ipertrofia muscolare è uno degli obiettivi non sempre quello prevalente per le persone che frequentano. In questi ultimi anni possiamo affermare che le motivazioni
dei frequentatori delle palestre si sono ulteriormente spostate
verso il fitness, verso aspetti estetici e ricreativi.
LE CARATTERISTICHE ATLETICHE DEI
FREQUENTATORI
Le persone che frequentano una palestra possono essere divise
in alcune categorie indipendentemente dal loro livello atletico.
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Sedentari.
È il gruppo più numeroso; è costituito da studenti, impiegati, lavoratori di concetto. Spesso la palestra rappresenta la loro unica attività
motoria di tipo sportivo. A questi soggetti deve essere proposta
una tabella di allenamento adeguata alla loro condizione fisica di
partenza e a delle motivazioni solo in minima parte culturistiche.
Atleti di altre discipline sportive.
Sono atleti che hanno un rapporto attivo e positivo con l’attività sportiva.
Si rendono conto che la palestra dà delle ottime opportunità
per allenare in condizioni standard quei gruppi muscolari che
poi vengono utilizzati in modo specifico nei tipici gesti atletici
delle discipline sportive di provenienza.
Possiedono maggiore coordinazione neuromuscolare e consapevolezza dei propri limiti durante l’allenamento.
Culturisti.
Sono soggetti interessati soprattutto dall’ipertrofia muscolare.
La motivazione è molto netta, marcata. C’è disponibilità a scegliere allenamenti duri e faticosi pur di ottenere lo scopo.
Questa disponibilità riguarda anche la modificazione di abitudini di vita, alimentari e talvolta farmacologiche.
Purtroppo questa disponibilità li rende vulnerabili a tutta quella
serie di seduzioni di natura apparentemente scientifica, ma in
realtà commerciale che spingono verso una eccessiva medicalizzazione. Il riferimento è rivolto a protocolli di visite tanto
lunghi quanto inutili. Ai controlli ematochimici sempre più frequenti su dati inutilizzabili in modo corretto (aminoacidemie,
dosaggi ormonali). Alle misurazioni sempre più raffinate della
composizione corporea. Alla misurazione computerizzata del
fabbisogno vitaminico. Alla elaborazione computerizzata della
dieta, del fabbisogno aminoacidico.
Alla prescrizione del corredo di pastiglie, farine, polveri e compresse che assommate fra di loro durante l’arco della giornata
somigliano più alle terapie di un malato terminale piuttosto che
alla normale alimentazione di un atleta che sprizza di salute.
L’unico aspetto che non va bene in questa disciplina é proprio
la pressione del mercato attraverso gli organi di informazione
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specializzati che sta trasformando una pratica sportiva estremamente interessante in una specie di protocollo terapeutico
per malati di sport. Il body building non ha bisogno di questa
falsa medicina ma solo di una operazione di razionalizzazione.
Esercizi corretti non dannosi, adeguati alle possibilità e alle
motivazioni dei soggetti che possono essere consigliati per
abitudini di vita sane e il meno medicalizzate possibile.
Atleti infortunati.
Usano la palestra a scopo prevalentemente riabilitativo.
Questo aspetto è ancora più delicato dei precedenti per quanto riguarda l’effettiva professionalità dell’istruttore. Anche qui
come nel caso del medico non si tratta di sostituirsi ad un altra
professione, in questo caso quella del fisioterapista, ma occorre conoscere quei criteri di base che permettano di inquadrare
il problema e i limiti del proprio intervento. Il potenziamento di
un muscolo a seguito di un trauma richiede delle conoscenze
approfondite; non è sufficiente sapere che un certo esercizio
allena un certo muscolo per consigliarlo a chi deve recuperare.
Le caratteristiche dell’infortunio possono rendere inutili o dannosi certi esercizi di potenziamento. L’allenatore deve comunque evitare di cimentarsi nel tentativo di fare diagnosi e di prescrivere delle fisioterapie. È opportuno che richieda delle prescrizioni specifiche dal personale competente: medici e fisioterapisti.
Anziani.
Sono in genere assimilabili a dei sedentari ma con delle peculiarità fisiche e psicologiche. Anzitutto è esperienza comune
che esistano ottantenni in perfetta forma fisica e allo stesso
tempo cinquantenni con scarsa autonomia funzionale che
dipendono da varie terapie. È la differenza tra età anagrafica ed
età biologica che affronteremo in seguito.
Per comprendere i limiti di questi soggetti così diversi tra loro
è consigliabile un contatto diretto con una figura medica e non
la semplice presentazione del certificato.
Con l'età si assiste ad una riduzione progressiva delle capacità
di movimento delle singole articolazioni e soprattutto del controllo della postura e del movimento. Anche la forza muscolare
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diminuisce ma l'anziano solitamente ne ha meno bisogno.
L'attività aerobica, pur rimanendo di grande beneficio, spesso
dovrà essere controllata per evitare rischi in senso cardiovascolare.
Davanti a soggetti anziani non si possono applicare schemi
standard di allenamento ma la tabella personalizzata diventa
necessaria. Meglio ancora sarebbe creare gruppi di ginnastica
per la terza età con istruttori specificamente dedicati.
IL RUOLO DELL’ISTRUTTORE
Il ruolo dell’istruttore è diversificato. Non si può pensare di
affrontare la professione di istruttore con delle conoscenze
approssimative, col solo bagaglio dell’esperienza personale di
allenamento. In genere questa è una esperienza di carattere
agonistico che dà un taglio troppo univoco al lavoro dell’istruttore. Spesso l’istruttore proviene dalla categoria degli atleti
agonisti o avanzati. Se non è capace di diversificarsi e offrire
una serie di differenti risposte alle richieste delle altre categorie di frequentatori rimarrà sempre un istruttore incompleto.
L’istruttore non deve riprodurre se stesso, deve adattarsi alle
esigenze e alle motivazioni dei frequentatori della palestra e
quindi deve prima conoscerle. Un atleta infortunato che deve
recuperare in tempo per l'inizio della stagione ha sicuramente
un entusiasmo e degli obiettivi differenti da quelli del quarantenne in sovrappeso che vuole perdere qualche chilo prima
dell'estate. L'istruttore deve quindi individuare gli obiettivi di
queste persone per cercare di soddisfare un profilo psicologico-motivazionale. Ovviamente deve anche conoscere gli strumenti a disposizione in palestra, macchine ed esercizi, per
concertare un piano di lavoro. L'istruttore ha il compito di stimolare la motivazione degli iscritti trasmettendo il proprio
sapere e la propria esperienza. In questo non ci si può permettere di sbagliare sui fondamentali, ad esempio dimostrando
ignoranza riguardo all'anatomia dell’apparato locomotore, alla
fisiologia di base ed alle diverse possibilità di allenamento corretto: perderemmo di credibilità agli occhi dell'iscritto. La palestra diventerebbe una sala dove si affittano spazi e macchine
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ai soci per qualche mese e la figura dell'istruttore sarebbe
superflua, per assurdo sarebbe sufficiente un servizio di
hostess. Un altro errore è quello di nascondere le proprie mancanze culturali propinando novità (in senso di alimentazione,
allenamento ecc.) senza valutarle con spirito critico. In questo
caso l'istruttore perde il suo ruolo professionale e diventa un
espositore commerciale: senza una solida preparazione di
base si ritrova a diventare l'esclusivista della novità di oggi,
che è già il ricordo superato di domani, oppure ad inseguire
freneticamente le chimere del mercato, in una rincorsa spesso
improponibile dal punto di vista economico.
Schematicamente la professionalità dell'istruttore verte su tre
elementi:
•
•
•
Conoscere
Saper essere
Saper fare
Conoscere: principi ed effetti dell’attività motoria. Anatomia,
biomeccanica, fisiologia (e non solo queste), devono essere la
base culturale di chi lavora sull’apparato locomotore del prossimo. Inoltre è necessario riconoscere la difficoltà intrinseca
degli esercizi proposti e comprendere le difficoltà delle persone che con tali attività si cimentano. Tradotto in termini di
metodologia dell’allenamento questo significa che l’istruttore
deve conoscere oltre alle tecniche per il potenziamento
muscolare, per la “massa” e per la “definizione” anche le tecniche per un uso aerobico delle macchine, le tecniche di stretching, di riscaldamento muscolare, etc. Una continua rivalutazione critica delle proprie conoscenze permetterà poi di rimanere aggiornati e saper offrire sempre una qualità professionale di livello.
Saper essere: l’istruttore deve riuscire a relazionarsi con le
persone in maniera diversificata per poter trasmettere la propria conoscenza e la propria esperienza. A questo scopo è
importante saper gestire differenti modalità di comunicazione
(vedi a seguire) a seconda degli ambienti e dei soggetti con cui
ci troveremo ad interagire. L’efficacia del ruolo dell’istruttore
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non può prescindere quindi da una forte motivazione in rapporto a se stessi, verso gli altri e verso le attività proposte.
Saper fare: bisogna comprendere la differenza tra teoria e
pratica e possederle entrambe: conoscere un esercizio, i
distretti muscolari interessati, saperlo eseguire correttamente
e saperlo comunicare. Inoltre l’abilità pratica dell’istruttore non
si deve limitare solo all’esecuzione corretta di un certo esercizio che il frequentatore deve successivamente imitare al
meglio. Tale esperienza pratica va trasferita sulle persone
impostandole e correggendole con le parole e con le mani in
maniera efficace, anche questo è “saper fare”.
Riassumendo, il compito dell’istruttore è un connubio tra
conoscenza ed esperienza pratica ed entrambe queste qualità
vanno trasferite sulla persona del frequentatore. Perché ciò
avvenga è di fondamentale importanza la comunicazione.
Esistono differenti modalità di comunicazione. Una prima
distinzione si può operare tra comunicazione verbale e non
verbale. Quest’ultima assume un’importanza prevalente nelle
relazioni interpersonali e si compone dei gesti, della mimica,
dello sguardo, dell’abbigliamento, del tono della voce che si
adottano mentre comunichiamo con gli altri. La comunicazione
non verbale ci da il metro del coinvolgimento della persona che
sta parlando ed anche della persona che riceve un messaggio
(differenza tra sentire ed ascoltare).
La comunicazione verbale in palestra riconosce diversi linguaggi e diverse modalità. Ricordiamo ancora che il processo di
comunicazione parte dall’individuazione degli obiettivi del frequentatore, ossia la sua motivazione, per cercare di stimolare
questa motivazione enfatizzandola al fine di trasmettere esperienza. Si possono individuare tre linguaggi diversi che vengono correntemente impiegati:
Linguaggio comune - Italiano: è la lingua che parliamo correntemente e che serve a comunicare con la maggior parte
degli atleti, ossia persone comuni che non abbiano una cultura
specifica dell’allenamento. È quello del “tira”, “molla”, “spingi”, “alza”, un po’ approssimativo ma di facile comprensione.
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Linguaggio tecnico - “Istruttorese”: serve per poter dialogare propriamente tra istruttori, ossia tra professionisti.
Presupposto base è che ci sia una uniformità dei termini adottati. Attrezzi, macchine ed esercizi hanno nomi propri che l’iscritto imparerà a conoscere e che l’istruttore non può non
sapere. Serve per costruire le tabelle di allenamento e per
poter leggere e capire articoli e materiale di formazione professionale. L’esercizio base per i deltoidi, che in italiano può suonare come “ solleva il peso di fianco”, diventa in istruttorese
una “alzata laterale con i manubri”.
Linguaggio medico – “Medichese”: è quel linguaggio tecnico, spesso poco comprensibile ai non addetti ai lavori, proprio delle definizioni mediche. Il bagaglio culturale dell’istruttore
mutua molto da materie di tradizionale competenza medica
come l’anatomia, la fisiologia ed altre. Senza invasioni di
campo e competenze, la conoscenza di alcune frequenti definizioni serve per poter parlare e collaborare in equipe con il
medico o per poter meglio comprendere un referto o una prescrizione. Ad esempio il movimento delle alzate laterali nel linguaggio dell’anatomia diventa una “abduzione degli arti superiori contro resistenza”.
Oltre alla distinzione di questi diversi linguaggi, esistono poi
differenti modalità della comunicazione. Se vogliamo, il ruolo
stesso dell’istruttore si diversifica in funzione di queste modalità. Saranno le situazioni e le persone a dettare il registro, il
tono da applicare volta per volta.
Formale: un ruolo formale esprime assistenza, servizio ed è
ad esempio quello del primo contatto e dell’accoglienza, come
in qualsiasi attività dove ci si debba confrontare con il pubblico.
Direttivo: un tono direttivo ingenera sicurezza. Si può usare
con persone insicure, con una scarsa coordinazione motoria o
che sono timide. Le informazioni viaggiano sotto una logica di
comando-esecuzione.
Amichevole: in un ruolo amichevole l’istruttore è colui che
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offre consigli. È una modalità di comunicazione più partecipativa in cui si sta fisicamente più vicino alle persone e si possono
anche toccare per correggere o impostare.
Sottomesso: è un ruolo al quale si può ricorrere per parlare
con chi magari non vuole ascoltare. È il tono con cui si danno
informazioni soprattutto a persone arroganti e presuntuose
con le quali è controproducente instaurare una competizione.
Partecipativo: un ruolo partecipativo fa sentire l’iscritto parte
integrante della palestra, anzi lo fa sentire l’elemento più importante del club. È un rinforzo psicologico di coinvolgimento.
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