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La Repubblica 12 Febbraio 2016 Dai buttafuori alla droga le mani di Cosa nostra sul regno della notte La sicurezza nelle discoteche siciliane è affare di Cosa nostra. Da Palermo a Catania, passando per Messina, i boss continuano a gestire parecchi buttafuori. L'ultimo caso, eclatante, fra Giardini Naxos e la Plaia: i Laudani, i mussi ri ficurinia, controllavano il "Taitù", il "Marabù", poi ancora il "Capannone" e il Sobhà. «Per noi non era una questione di soldi — racconta l'ultimo pentito di mafia, il catanese Giuseppe Laudani - era soprattutto una questione di prestigio. Certo, ovviamente, i soldi ce li prendevamo. Ma non era questo che cercavamo». I soldi che finivano nella tasche del clan smantellato tre giorni fa a Catania dai carabinieri erano quelli delle pasticche di ecstasy, che venivano vendute senza problemi nei locali della movida grazie alla presenza dei buttafuori dei boss. Proprio come avveniva qualche mese fa nelle discoteche di Barcellona e di Milazzo. Lo hanno svelato altri due pentiti, Franco Munafò e Alessio Alesci: hanno raccontato della punizione data al gestore di Villa Ligà, a Furnari, che si era rifiutato di far entrare i buttafuori di Cosa nostra. Il suo locale venne incendiato. A Palermo, invece, i Militano avevano modi meno irruenti e più convincenti. Al titolare del Goa, storico locale cittadino, assicurarono che non avrebbe avuto alcun problema con i ragazzini terribili dello Zen. Ma successe comunque il finimondo. Proprio a causa di un buttafuori abusivo. La notte del 14 febbraio dell'anno scorso, il calcio sferrato da un diciassettenne stroncò la vita del giovane Aldo Naro, che era al Goa per festeggiare il Carnevale con i suoi amici. Altro che sicurezza. Fra liti furibonde e spaccio di droga, i boss impongono le loro regole e soprattutto i loro affari. «Storia antica quella delle discoteche di Taormina gestite da noi», ha spiegato il pentito Giuseppe Laudani, il nipote prediletto di don Sebastiano, il patriarca dei Laudani. «Un tempo, erano tutte gestite da noi. Partiamo dallo Skipper. Poi, la prima discoteca che era di mio padre Gaetano, il Marabù. Ricordo il Lady Godiva, dove adesso c'è un posteggio: poi, il Kabana, che è di Enzo Padovani, che era sempre un amico». Erano gli anni d'oro della movida catanese. «Le due uniche discoteche rimaste erano il Marabù e il Taitù, di proprietà di Galeano. Poi lui se n'è voluto uscire e ha dato la gestione a Nino Puglia». E qui inizia una storia nella storia. Un tempo, Puglia era un affermato dj e instancabile animatore delle serate catanesi. «Si rivolse a Mario Lanzafame, che era di Giarre, all'epoca era responsabile della famiglia. Puglia si rivolse a Mario per questa situazione». Chiede il pubblico ministero al pentito Giuseppe Laudani: «Cosa voleva da lui?». Risposta, senza troppi giri di parole: «La gestione e la tutela nelle discoteche. Per la sicurezza ci mettevamo le persone che dicevano loro». E così, alla fine, anche l'ex dj Nino Puglia è stato arrestato nel blitz della Dda di Catania, con l'accusa di associazione mafiosa. Qualche anno fa, Giuseppe Laudani, all'epoca latitante aveva deciso di imporre l'assunzione come buttafuori di suo cugino, Alessandro Raimondo, uno dei 109 arrestati del blitz. Inizialmente Puglia aveva rifiutato l'imposizione e aveva affidato la sicurezza del locale a Ottavio Pizzino, titolare di una società legale che garantisce questo tipo di servizi. Ma presto sorse una controversia, che poi si risolse nel modo desiderato da Cosa nostra: Raimondo entrò nella compagine della società legale. Parabola perfetta di un sistema mafioso che preferisce infiltrarsi nell'economia lecita piuttosto che imporre ricatti. E anche il sistema dei buttafuori di mafia trovò una sua strutturazione perfetta. Altri mafiosi catanesi, i Pillera-Puntina, avevano invece preferito comprarsi tutta la discoteca: nel mese di ottobre scorso, sono scattati i sigilli per la frequentatissima "Empire", uno dei gioielli del boss Giacomo Maurizio Ieni. Gestiva un patrimonio di quattro milioni di euro. Non erano da meno i Mazzei, altro nome altro clan della geografia mafiosa di Catania. Avevano preferito gestire solo alcune quote di due discoteche. Per evitare di dare troppo nell'occhio. E comunque assicurarsi proventi sicuri. Così faceva capire nel novembre 2014 Giuseppe Caruso, ritenuto un affiliato dei Carcagnusi, poi transitato nelle fila dei Santapaola: «È una vita che combatto con le discoteche, combattevo al 69Lune, al Moon, al Moon Beach perché erano di Willy, ora poi mi sono messo allo Stone. Caruso spiegava gli intrecci societari: «Lui, il Moon l'aveva in società con il proprietario dello Stone con Mirko, con quel ragazzo con cui ho parlato sabato erano soci». Intrecci di prestanome che aprono nuovi scenari di indagine. Perché la movida non conosce crisi in Sicilia. E i boss lo hanno capito ormai da tempo. Natale Bruno Salvo Palazzolo