PROMETEIA La Newsletter per l`investitore istituzionale ANTEO

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PROMETEIA La Newsletter per l`investitore istituzionale ANTEO
PROMETEIA
ANTEO
FEBBRAIO 2004
No. 10
La Newsletter per l’investitore istituzionale
In questo numero,
L’editoriale
pag. 2
Il 2004 dei mercati finanziari, e di quello italiano in particolare, si è aperto all’insegna della bufera, i
cui primi tuoni e fulmini avevano cominciato a farsi sentire già sul finire del 2003 con i casi Cirio e
Giacomelli in Italia e con il ben più rilevante scandalo sulle pratiche illecite sulla valutazione di alcuni fondi comuni di investimento di importanti case di gestione americane…
Dall’Osservatorio di Prometeia
“Il ruolo dei prodotti di finanza alternativa, hedge fund in particolare, nella costruzione dei portafogli degli investitori istituzionali”
pag.4
Lo scenario macroeconomico e i riflessi sui mercati finanziari dell’ultimo triennio, hanno generato un
profondo mutamento delle caratteristiche della domanda di investimenti finanziari evidenziando una
maggiore attenzione alla redditività, al pricing in relazione alla redditività ottenibile e soprattutto, un
atteggiamento più attento al mantenimento del valore del capitale…
I contributi
“Case Study: i Fondi di dotazione delle Università Statunitensi”
Oreste Gallo – Executive Director, Morgan Stanley
pag. 7
Obiettivo dell’intervento è illustrare l’esperienza delle università statunitensi quali investitori istituzionali, che operano attraverso i rispettivi fondi di dotazione. Viene illustrata, inoltre, la filosofia d
investimento e l’allocazione strategica adottata dal fondo di dotazione più noto e conosciuto, quello
dell’università di Yale…
Approfondimenti
“Il mercato obbligazionario italiano: scelte finanziarie delle imprese e comportamento degli intermediari”
pag. 12
Dal Rapporto di Previsione dell’Associazione Prometeia (dicembre 2003)
Il mercato delle obbligazioni ha avuto uno sviluppo straordinario negli ultimi anni, soprattutto in Europa, grazie alla moneta unica, alla crescita delle operazioni di securitisation e di finanza straordinaria e alla maggior propensione delle imprese ad indebitarsi con strumenti di mercato. L’impetuosa
crescita delle obbligazioni è stata però turbata da vari episodi di default che hanno creato tensioni e
polemiche soprattutto in Italia…
Pillole
pag. 22
Performance Measurement in Italy
Il 30 gennaio 2004 si è svolto a Roma, presso la sede dell’ABI, l’incontro-dibattito organizzato
dall’Italian Investment Performance Commitee (IIPC), sponsor italiano dei GIPS®, dal titolo:
“GIPS®: l’impegno dei gestori, le opportunità per gli investitori istituzionali”…
Febbraio 2004
L’EDITORIALE
I
rating del 5,2%, contro l’8,4% del 2002, per un totale di 33,5 mld di dollari contro i 163 dell’anno
prima. I grandi eventi di credito (superiori al miliardo di dollari) sono stati solo 8, dai 33 del 2002.
Negli Usa la situazione è decisamente migliorata,
ancor più in Europa, con 8 mesi consecutivi trascorsi senza casi di insolvenza. Altro segnale positivo viene dal valore di recupero nel caso di default, salito al 40%, addirittura raddoppiando (al
46%) nel settore tlc, ancora il più colpito con quasi
il 20% dei default totali.
l 2004 dei mercati finanziari, e di quello italiano
in particolare, si è aperto all’insegna della bufera, i cui primi tuoni e fulmini avevano cominciato a
farsi sentire già sul finire del 2003 con i casi Cirio
e Giacomelli in Italia e con il ben più rilevante, in
termini di dimensioni, scandalo sulle pratiche illecite sulla valutazione di alcuni fondi comuni di investimento di importanti case di gestione americane.
Gli scandali hanno riguardato negli ultimi due anni
tutti gli attori operanti sui mercati finanziari: amministratori e sindaci di aziende quotate ed emittenti di titoli di debito, board di società di gestione
di mercati regolamentati, revisori dei conti, società
di rating, analisti finanziari, asset manager, banche
depositarie. Nessuno sembra più al di sopra delle
parti ed esente da ogni sospetto, il che non fa che
diffondere la peggiore nemica dei mercati finanziari: l’incertezza.
L’Outlook della casa di rating per il 2004 è ancora
positivo, attendendosi un’ulteriore contrazione dei
default.
Il rischio è che questi segnali positivi, che si associano a quelli provenienti dalla congiuntura economica e dalle valutazioni dei mercati finanziari,
trovino sordi investitori sempre più scottati dai repentini e drammatici impatti sui loro portafogli obbligazionari ed azionari. Si sta minando alle radici
il rapporto fiduciario tra risparmiatori ed intermediari finanziari, il che porta con sé l’incrinarsi della
credibilità del consueto appello a ricorrere al risparmio gestito. Tale situazione è la naturale conseguenza dell’assenza, sul mercato retail, di consulenti realmente indipendenti che possano neutralizzare l’effetto del patologico conflitto di interessi
derivante dalla coincidenza sul mercato italiano tra
produzione e distribuzione di prodotti finanziari.
Sul mercato degli investitori istituzionali esiste la
figura dell’advisor indipendente il cui operato può
essere apprezzato proprio in queste circostanze.
Questo non significa evitare sistematicamente gestori o strumenti di investimento che incorrano nel
tempo in titoli problematici: ricordiamoci che,
quando sono scoppiati gli scandali, Enron, Worldcom, Tyco e Parmalat erano grandi gruppi con
bilanci certificati e rating investment grade. Ricorrere ad un advisor professionale serve a diluire i
rischi specifici in portafogli adeguatamente diver-
Il tema più attuale per gli investitori italiani è certamente quello dei corporate bond, molto diffusi
nei portafogli sia a livello retail che istituzionale.
Grande attenzione ha quindi ottenuto, dagli addetti
ai lavori e dai media, l’approfondimento sul tema
pubblicato nel Rapporto di Previsione di Prometeia
del dicembre 2003, che straordinariamente vi proponiamo immediatamente in questo numero di
ANTEO, per gentile concessione dell’Associazione Prometeia.
La solidità del mercato delle obbligazioni corporate ed il suo rapporto con l’attività del sistema bancario sono certamente tematiche attuali, oltre che
estremamente rilevanti: nel 2004 scadranno, infatti,
il 15% degli 84 miliardi di euro di obbligazioni
corporate di emittenti italiani, dei quali oltre il 21%
(pari a 2,685 miliardi) di emittenti senza rating.
Di conforto sembra essere il recente rapporto annuale dell’agenzia di rating Moody’s, che ha registrato nel 2003 insolvenze di società con loro
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PROMETEIA
Febbraio 2004
comportamenti individuali, auspicabile è la diffusione di standard internazionali di regolamentazione: tra questi figurano certamente gli standard
GIPS, criteri internazionale volti a rendere omogenea ed efficace la presentazione della performance
di portafoglio gestiti.
sificati per numerosità e tipologia dei rischi corsi
dall’investitore, ed anche per saper reagire con
prontezza ed efficacia al manifestarsi inaspettato di
eventi negativi.
Anche l’industria dell’asset management deve riflettere su quanto accaduto: l’incidenza degli investimenti problematici sui portafogli obbligazionari
è stata mediamente superiore nei portafogli amministrati direttamente dagli investitori che in quelli
gestiti, ed il fatto non è casuale. Il tipico investitore
istituzionale, infatti, gestisce avendo in mente una
redditività target espressa da un flusso legato alle
passività attese più una ipotesi di rivalutazione reale del patrimonio; l’offerta di asset management è
invece quasi esclusivamente costituita da strumenti
a capitalizzazione, il che induce gli investitori a ricercare direttamente titoli con cedole che
nell’attuale situazione di mercato sono necessariamente abbinate a rischi finanziari medio-alti, tanto
più se concentrati su singoli emittenti.
Prometeia è parte attiva del Italian Investment Performance Committe (IIPC), che venerdì 30 gennaio scorso ha tenuto a Roma un importante consesso per la presentazione di una survey sulle tendenze in atto nella misurazione e presentazione
della performance in Italia, sul prossimo passaggio
ai Gold Gips e sull’opportunità per Fondi Pensione
e Casse di Previdenza di rendere GIPS compliant
le loro performance. Vi diamo un breve resoconto
dei principali spunti emersi nel corso del dibattito
nelle Pillole di questo numero di ANTEO, pronti
come sempre a raccogliere commenti ed indicazioni da parte dei lettori.
Non ci resta che augurarvi un proficuo anno finanziario 2004, sempre accompagnato dal gigante
ANTEO, sempre più ricco di suggerimenti e informazioni.
Altro elemento di riflessione deve essere costituito
dalla necessità di trasparenza e correttezza nella
gestione dei portafoglio, nella valorizzazione degli
attivi e nella presentazione dei risultati. In questo
senso, oltre all’imprescindibile correttezza dei
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Febbraio 2004
DALL’OSSERVATORIO DI PROMETEIA:
IL RUOLO DEI PRODOTTI DI FINANZA ALTERNATIVA, HEDGE FUND IN PARTICOLARE, NELLA COSTRUZIONE DEI PORTAFOGLI DEGLI INVESTITORI ISTITUZIONALI
L
consulenziali che Prometeia fornisce a supporto
della gestione del patrimonio finanziario degli investitori istituzionali; impostazione ribadita nelle
giornate di formazione e negli interventi a convegni sul tema quale, ad esempio, il recente incontro
su “Investimenti alternativi – obiettivo di un ritorno assoluto”, organizzato a fine novembre ’03 da
Ersel e Ubp.
o scenario macroeconomico e i riflessi sui
mercati finanziari dell’ultimo triennio, hanno
generato un profondo mutamento delle caratteristiche della domanda di investimenti finanziari evidenziando una maggiore attenzione alla redditività,
al pricing in relazione alla redditività ottenibile e,
soprattutto, un atteggiamento più attento al mantenimento del valore del capitale.
Utilizzando attività finanziarie tradizionali, la riduzione del rischio dipende dal grado di diversificazione di portafoglio attuata, tenendo conto delle
caratteristiche rischio–rendimento delle asset class
tradizionali disponibili sul mercato.
Nell’ultimo anno, infatti, anche a fronte
dell’intenso recupero del mercato azionario, gli investitori hanno continuato ad essere molto cauti nel
valutare il rientro sul mercato, mantenendo prevalentemente posizioni liquide o prodotti con elevato
grado di protezione del capitale.
Durante periodi di performance negative nei mercati azionari ed obbligazionari gli investitori hanno
solo due possibilità: vendere tutti gli investimenti
ottenendo liquidità, aspettando momenti migliori
per tornare sul mercato, oppure non disinvestire,
accettando la perdita di valore degli investimenti.
Queste sono le uniche alternative plausibili, data la
struttura esistente delle correlazioni tra gli strumenti presenti sui mercati finanziari.
Nel nuovo contesto, la revisione delle strategie di
investimento, già in parte iniziata, è rivolta alla individuazione di prodotti capaci di coniugare la
maggiore partecipazione ai mercati azionari con il
contenimento del rischio finanziario, attraverso la
costruzione di portafogli complessi, che permettano una maggiore flessibilità dell'attività di gestione.
Nella correlazione ridotta o talvolta negativa con i
mercati tradizionali, risiede la motivazione
dell’interesse di grandi investitori a destinare parte
del portafoglio finanziario agli hedge funds, come
interessante possibilità di diversificazione: opportunità particolarmente rilevante per investitori con
orizzonti di medio-lungo periodo con finalità di tipo istituzionale e per portafogli di proprietà di dimensioni medio-grandi.
E l’attività di investimento per gli operatori istituzionali tende a configurarsi sempre più come un
processo tale da soddisfare gli obiettivi
dell’investimento, individuando mercati e prodotti
finanziari più idonei a questo scopo.
Il ruolo del consulente finanziario indipendente,
pertanto, diventa rilevante per una corretta e consapevole individuazione della funzione obiettivo
dell’investitore, necessaria sia per la costruzione
della struttura del portafoglio che per rendere più
efficiente la fase di monitoraggio e revisione degli
investimenti.
Non meno interessante evidenziare, dopo la principale e peculiare caratteristica di bassa correlazione,
un trend di performance costantemente superiore
ed una volatilità ridotta rispetto al mercato azionario ed obbligazionario, dell’indice dei Fondi di
Da tale impostazione deriva la struttura dei progetti
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PROMETEIA
Febbraio 2004
Rendimenti mensili (percentuali) realizzati
Fondi Hedge da inizio 2002.
stione è quella di tipo “core - satellite”.
Ed inoltre, importante l’analisi della stabilità del
rendimento, attraverso l’andamento delle perdite
mensili e della massima perdita passata. Dalla stessa data, inizio 2002, l’azionario ha registrato una
perdita massima superiore all’11% mentre
l’obbligazionario e i fondi di fondi hedge un valore
intorno all’1.5%.
Tale architettura prevede una struttura degli investimenti nella quale una parte (“core”) è destinata a
massimizzare la probabilità di raggiungimento del
target annuale di redditività, mentre la componente
residuale (“satellite”) ha l’obiettivo di stabilizzare
il core e di incrementare il patrimonio nel mediolungo termine.
Infine, va sottolineato che il drawdown (massima
perdita consecutiva nel tempo) registrato nello
stesso periodo, per i fondi di fondi hedge è stato di
poco superiore al 2%, contro il 3% del mercato obbligazionario e contro un valore superiore al 40%
per quello azionario, come evidenziato nel grafico”Rendimenti mensili (percentuali) realizzati”.
Il portafoglio “core” viene identificato come insieme degli attivi gestiti in modo prevalentemente
passivo rispetto al benchmark strategico
dell’investitore, con l’obiettivo di replicarlo nella
maniera organizzativamente ed economicamente
meno onerosa, come evidenziato nel grafico “Dal
benchmark di mercato all’architettura di portafoglio Core-Satellite”.
Il processo di investimento che deve rispondere al
raggiungimento degli obiettivi di una gestione finanziaria può essere organizzato in base ad architetture più complesse che utilizzano contemporaneamente i benefici dei mercati tradizionali e le caratteristiche positive degli strumenti di finanza alternativa.
Il portafoglio “satellite” identifica la gestione residuale rispetto al portafoglio “core”, in genere costituita da investimenti che rispecchiano caratteristiche quali:
• una correlazione molto bassa con il portafoglio
“core”;
Una delle architetture più consone ad una tale ge-
• una redditività attesa, nel medio periodo, supe5
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Dal benchmark di mercato all’architettura di portafoglio “Core-Satellite”
Massimizza la
probabilità di
raggiungimento
del target annuale
di redditività
Benchmark di mercato
CORE
SATELLITE
Stabilizza il core e
consente di
incrementare il
patrimonio nel mediolungo termine
Il peso da attribuire alle componenti “CORE” e “SATELLITE” dipende dalla specificità degli
obiettivi dell'investitore e quindi varia molto lentamente nel tempo
riore rispetto al target del “core”;
attesa su un orizzonte temporale più lungo.
• il ricorso a classi di attività non tradizionali;
I prodotti di finanza alternativa, in particolare hedge funds, rientrano tra le gestioni tipicamente “satellite”.
• una minore liquidabilità delle forme di investimento utilizzate, rispetto a quella delle attività “core”, giustificata dall’elevata redditività
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I CONTRIBUTI:
CASE STUDY: I FONDI DI DOTAZIONE DELLE UNIVERSITÀ STATUNITENSI
ORESTE GALLO
lunni.
Executive Director, Morgan Stanley
Come si evince dalla tabella 1, ove sono riportati i
principali fondi, l’ammontare delle attività ed i rispettivi websites, alla fine del 2001 i fondi di dotazione gestivano un patrimonio pari a $ 316 miliardi, di cui circa il 25% era rappresentato dai primi
10 fondi.
I
ntroduzione
Obiettivo di questa breve nota è illustrare
l’esperienza delle università statunitensi quali investitori istituzionali, che operano attraverso i rispettivi fondi di dotazione.
Questi patrimoni sono gestiti per garantire
all’università di riferimento, in un orizzonte temporale multi generazionale:
La materia è complessa e richiederebbe una trattazione più articolata e approfondita di quanto consentito in un articolo, nei limiti del quale mi limiterò a dare una schematica descrizione dell’attività di
questi enti.
• la protezione del potere d’acquisto del fondo
stesso e
• la disponibilità di una stabile fonte di supporto
finanziario.
In queste strutture, usualmente, il direttore degli
investimenti riporta ad un comitato investimenti
che, a sua volta, risponde delle scelte effettuate al
consiglio di amministrazione dell’università.
Dopo aver descritto queste istituzioni, illustrerò la
filosofia di investimento e l’allocazione strategica
adottata dal fondo di dotazione più noto e conosciuto, quello dell’università di Yale.
In aggiunta alle linee di reporting formali, il comitato degli investimenti risponde informalmente alla
comunità degli studenti della rispettiva università,
al collegio docente e alla comunità locale. Ciascuno di questi gruppi esprime delle aspettative, per
esempio con riferimento alla stabilità nel tempo
delle rette da parte degli studenti e delle famiglie,
di cui il comitato investimenti deve tener conto nel
momento in cui decide in merito agli investimenti.
A questo punto, esaminati i risultati ottenuti, in
termini di rendimento e rischio, nel corso degli ultimi 10 anni, potremo trarre alcune conclusioni.
Sebbene, nella realtà istituzionale italiana, queste
istituzioni trovino una forte corrispondenza unicamente nelle fondazioni bancarie, pur tuttavia ritengo che dall’esperienza dei fondi di dotazione si
possano trarre indicazioni e suggerimenti utili per
gli investitori istituzionali in generale.
Per quanto riguarda la natura delle passività, i fondi di dotazione non hanno impegni nominali predeterminati e, quindi, hanno una notevole flessibilità
nel decidere quanto devolvere annualmente a favore delle rispettive università, fermo restando il perseguimento dei due sopra menzionati obiettivi.
Che cosa sono?
I fondi di dotazione sono i dipartimenti delle università dedicati alla gestione degli investimenti, finanziari e reali, accumulati nel corso degli anni
grazie a donazioni e raccolte annuali tra gli ex a-
7
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Tabella 1
Endowment Assets of Colleges and Universities
Endowment Size
($ Billions)
2000*
$
18,8
10,1
10,0
8,4
8,6
Endowment Size
($ Billions)
2001*
$
18,0
10,7
9,4
8,4
8,2
Massachusetts Institute of Technology
University of California
Emory University
Columbia University
Washington University
6,5
4,8
5,0
4,3
4,2
6,1
4,7
4,3
4,3
4,0
www.mit.edu
www.ucop.edu
www.emory.edu
www.columbia.edu
www.wustl.edu
Texas A&M University System
University of Michigan
University of Chicago
University of Pennsylvania
Northwestern University
4,2
3,5
3,8
3,2
3,4
4,0
3,6
3,5
3,4
3,3
www.tamu.edu
www.mich.edu
www.uchicago.edu
www.upenn.edu
www.nwu.edu
Cornell University
Rice University
Duke University
University of Notre Dame
Dartmouth College
3,4
3,4
3,2
3,1
2,5
3,2
3,2
3,1
2,8
2,4
www.cornell.edu
www.rice.edu
www.duke.edu
www.nd.edu
www.darmouth.edu
2,3
2,2
1,8
1,7
1,4
123,8
2,2
2,1
1,8
1,7
1,4
119,8
www.vanderbilt.edu
www.usc.edu
www.jhu.edu
www.virginia.edu
www.brown.edu
School
Harvard University
Yale University
University of Texas System
Princeton University
Stanford University
Vanderbilt University
University of Southern California
Johns Hopkins University
University of Virginia
Brown University
Total
$
$
University Websites
www.harvard.edu
www.yale.edu
www.utsystem.edu
www.princeton.edu
www.stanford.edu
Note:
*Con anno fiscale che termina il 30 giugno, ad eccezione dell'Università di Stanford e Texas System per le quali l'anno fiscale finisce il 31 agosto.
Fonte: Fiscal 2001 Endowment, Study of the National Association of College and University Business Officers (NACUBO)
Il punto di partenza è il riconoscimento dei vantaggi offerti dal non avere delle passività e degli impegni predeterminati, il principale dei quali è la
possibilità di sopportare con maggior agevolezza la
volatilità dei mercati e di sfruttare i temporanei disequilibri, nella ferma convinzione di una convergenza verso i valori medi di lungo periodo.
Come investono?
David Swensen, allievo del premio Nobel James
Tobin e direttore degli investimenti del fondo di
dotazione dell’università di Yale, ha scritto un saggio, divenuto un classico della letteratura economico-finanziaria, in cui analizza la filosofia di investimento da lui adottata con successo nel corso degli ultimi 20 anni.
La prima conseguenza logica è rappresentata dalla
possibilità di applicare un approccio di allocazione
Tabella 2
First
Quartile
8,3%
19,5%
21,8%
13,0%
16,7%
8,7%
20,5%
13,6%
16,9%
20,9%
15,2%
29,8%
30,7%
Asset Class
U.S. Fixed Income
U.S. Large Capitalization Equity
U.S. Small Capitalization Equity
International Equity
Emerging Markets Equity
Real Estate
Directional Trading Hedge Funds
Relative Value Hedge Funds
Specialist Credit Hedge funds
Stock Selection Hedge Funds
Multi Manager Hedge Funds
Leverage Buyouts
Venture Capital
Median
7,8%
17,6%
17,9%
11,7%
13,9%
5,8%
16,3%
11,6%
14,5%
17,2%
13,4%
18,6%
16,7%
Third
Quartile
7,3%
15,3%
15,1%
10,3%
9,2%
1,3%
11,1%
9,0%
12,7%
12,0%
9,1%
5,2%
4,3%
Range
1,0%
4,2%
6,7%
2,7%
7,5%
7,4%
9,4%
4,6%
4,2%
8,9%
6,1%
24,6%
26,4%
Fonti: Report of the Yale Endowment 2000, Yale University Investments Office. I dati sui titoli negoziati su pubblici mercati provengono dal PIPER Managed Accounts Repo
del 31 Dicembre 1999. I dati venture capital e leveraged buyouts sono da Venture Economics. I dati venture capital e leveraged buyouts rappresentano i ritorni su fondi
costituitisi tra il 1990 e il 1994, escludendo fondi più recenti in modo che investimenti immaturi non influenzino i risultati riportati. I dati Real Estate provengono da NCREIF.
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PROMETEIA
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strategica di portafoglio, individuata attraverso metodologie quantitative sviluppate internamente, fase nella quale diviene cruciale il legame umano ed
intellettuale con il prof. Tobin.
maggiori opportunità a gestori attivi capaci: in
questo caso il differenziale di rendimento va da
270 punti base per International Equity (dal punto
di vista americano) a 750 per Emerging Markets
Equity.
La seconda è la ferrea disciplina, entro i limiti del
possibile nel caso di alcune classi d’attività, quali il
private equity, seguita nel mantenere i pesi effettivi
delle tipologie di investimento in linea con i pesi
definiti nell’allocazione strategica.
Infine, gli investimenti alternativi, quali hedge
funds e private equity offrono extra rendimenti ai
gestori attivi dotati di intuito e capacità (e simmetricamente punizioni severe per quelli meno bravi
o i più sfortunati), suggerendo di fare ricorso a gestori professionali.
La terza è la possibilità per il fondo di investire in
mercati meno liquidi ed efficienti, che soffrono di
una maggior volatilità ma offrono all’investitore
opportunità di rendimenti in eccesso rispetto ai tassi risk-free.
L’allocazione strategica
Seguendo il filo dell’analisi di Swensen,
l’allocazione strategica del fondo di dotazione di
Yale, come si evince dalla tabella 3, si caratterizza
per:
Per Swensen il grado di inefficienza di una specifica classe d’attività è misurato dalla dispersione dei
rendimenti ottenuti dai gestori attivi. Come si può
notare dalla tabella 2, i titoli di stato americani sono la classe di attività valutata in modo più efficiente dai mercati e, quindi, dove minore è la dispersione dei rendimenti raggiunti dai gestori attivi: la differenza tra i migliori ed i peggiori è appena di 100 punti base.
In questo caso, non è né saggio né conveniente far
ricorso a gestori attivi e pagare le commissioni di
gestione richieste.
• Un quota molto contenuta del patrimonio investita in attività a reddito fisso (10% nel 2002).
Poiché questi investimenti sono tenuti in portafoglio unicamente quale protezione contro il
rischio di deflazione o di crisi finanziaria, si
concentrano esclusivamente nel segmento dei
titoli di stato a lungo termini e senza opzioni di
rimborso anticipato, che meglio reagiscono in
quelle condizioni estreme.
I mercati azionari, in posizione intermedia, offrono
• Nessun investimento in titoli obbligazionari
Tabella 3
Yale Endowment Investment Portfolio
Asset Class
Asset Allocation
2000**
2001**
Compound Annual Rate of Growth,
1999-2002
Yale University
Benchmark
Investments Office
1995**
1999**
2002**
Benchmark Description
Domestic Equity
22%
15%
14%
16%
15%
16,9%
14,6%
Wilshire 500 Index
Absolute Return
21%
22%
20%
23%
27%
12,1%
9,1%
University inflation plus 8 percent
Foreign Equity
13%
11%
9%
11%
13%
9,3%
5,6%
MSCI EAFE and MSCI EMF***
Private Equity
17%
23%
25%
18%
14%
36,9%
13,8%
University inflation plus 10 percent
Real Assets*
14%
18%
15%
17%
21%
15,3%
7,3%
University inflation plus 6 percent
Fixed Income
14%
10%
9%
10%
10%
8,2%
7,8%
Lehman Brothers Government Bond Index
Cash
0%
2%
8%
6%
6%
NA
0,0%
16,9%
NA
*Prima del 1999, petrolio, gas naturale e legname erano classificati Private Equity e non Real Assets.
**Anno fiscale che termina il 30 giugno; a causa dell'arrotondamento il totale può essere diverso da 100.
***Il portafoglio Foreign Equity è misurato rispetto ad un benchmark composito, 50% developed markets (MSCI EAFE Index) e 50% emerging markets (MSCI Emerging Markets Free Index).
Fonte: The Yale Endowment 2000, The Yale Endowment 2001 and The Yale Endowment 2002, Yale university Investments Office
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PROMETEIA
Febbraio 2004
portafoglio quale fonte di extra rendimenti assai poco correlati con l’andamento dei mercati.
corporate. Swensen è convinto che il naturale
conflitto d’interessi, che incombe nel rapporto
tra azionisti e dirigenti, da un lato, e creditori
della società emittente, si esaurisca a danno di
questi ultimi.
Il risultato di questa politica di investimenti (tabella 4) ha prodotto tra il 1993 e il 2002 un ritorno
annuale del 16,9% con una volatilità del 10,8%
contro un ritorno annuale del 9,3% e una volatilità
del 20,7% dello S&P 500.
• Un’importante esposizione ai mercati azionari.
Per la stessa ragione per cui non investe in titoli obbligazionari societari, Swensen ha una forte preferenza per i mercati azionari (28% nel
2002) e il private equity (14%), quale fonte
primaria di yield enhancement e di crescita del
patrimonio. Quantomeno, nella posizione di
azionista ritiene che i rischi assunti, tra cui le
conseguenze del sopra menzionato conflitto
d’interessi, siano adeguatamente remunerati.
Quali lezioni possiamo trarre?
Una prima lezione riguarda la necessità per gli investitori istituzionali, ma non solo, di analizzare
rigorosamente le diverse classi di attività in ordine
alle caratteristiche quantitative di ritorno, rischio e
correlazione e in ordine al grado di efficienza dei
mercati su cui sono scambiate.
• Un’elevata quota investita in attività reali
(21%), quali beni immobili, attività nel settore
petrolifero, nella produzione di gas e legname,
quale fonte di diversificazione e di riduzione
del rischio complessivo di portafoglio.
Questa analisi dovrebbe permettere di definire in
modo preciso il ruolo che le diverse classi di attività giocano all’interno del portafoglio, per esempio
il ruolo di copertura dal rischio di catastrofe svolto
dal reddito fisso nel portafoglio di Yale. Inoltre
dovrebbe permettere di definire la modalità migliore di investimento, per esempio una strategia pas-
• Infine, un’elevata esposizione nel settore degli
hedge funds (27%), ugualmente inclusi nel
Tabella 4
Yale Endowment Portfolio Returns vs. Selected Benchmarks
Endowment
Value
($ Millions)*
Fiscal Year
(Ending June 30)
Yale
Endowment
S&P 500**
Lehman Brothers
Aggregate**
18,7%
22,7%
-4,3%
50,1%
-0,2%
25,8%
36,0%
22,8%
-0,2%
17,3%
13,1%
2,0%
13,2%
17,3%
12,0%
15,7%
25,7%
21,8%
18,0%
12,2%
41,0%
9,2%
0,7%
32,4%
-4,9%
21,4%
22,5%
6,3%
32,2%
18,5%
5,2%
16,8%
31,5%
-3,2%
30,5%
7,6%
10,1%
1,3%
37,5%
22,9%
33,4%
28,6%
21,0%
-9,1%
-11,9%
-22,1%
NA
NA
32,6%
8,4%
15,2%
22,1%
15,3%
2,8%
7,9%
14,5%
9,0%
16,0%
7,4%
9,7%
-2,9%
18,5%
3,6%
9,7%
8,7%
-0,8%
11,6%
8,4%
10,3%
5-Year Annual Rate of Growth (1998-2002)
15,5%
-0,6%
7,5%
10-Year Annual Rate of Growth (1993-2002)
16,9%
9,3%
7,5%
Standard Deviation of Annual Returns
20-Year (1983-2002)
10-Year (1993-2002)
13,5%
10,8%
16,9%
20,7%
6,2%
6,2%
1980
1981
1982
1983
1984
1985
1986
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
$1,083
$2,571
$3,390
$10,085
$10,725
$10,524
*I cambi nel valore delle donazioni nel corso del tempo sono una funzione dei dividendi distribuiti e non distribuiti e degli interessi maturati, dei rendimenti realizzati e non realizzati o delle perdite, dei
regali di donatori e garanzie di capitale, delle distribuzioni di fondi per supportare operazioni universitarie e di altri trasferimenti e correzioni.
**Anno che termina il 31 Dicembre.
10
PROMETEIA
Febbraio 2004
siva per una classe di attività valutata in modo efficiente dai mercati quale quella dei titoli di stato.
vi in linea con quelli strategici costituisce il passo
successivo. A questo proposito, vale la pena di notare che il successo di Yale dipende dalla comunanza di vedute del consiglio di amministrazione,
del comitato investimenti e del direttore degli investimenti riguardo alla filosofia di investimento e ai
rischi assunti.
Una seconda riguarda l’importanza dell’analisi delle passività per determinare la capacità
dell’istituzione di sopportare la volatilità dei mercati e, di conseguenza, il peso da attribuire alla
componente azionaria e agli investimenti alternativi. È chiaro che la scelta del fondo di dotazione di
Yale è fortemente influenzata dall’operare in un
orizzonte multi generazionale senza delle passività
nominali predefinite.
Infine, un severo processo di selezione e monitoraggio dei gestori per le classi di attività che lo richiedano, come azioni, investimenti alternativi o
immobiliari, permette di individuare quelli dotati
di effettivi vantaggi competitivi.
La centralità di un disciplinato processo di allocazione strategica e di mantenimento dei pesi effetti-
11
PROMETEIA
Febbraio 2004
APPROFONDIMENTI
IL MERCATO OBBLIGAZIONARIO ITALIANO: SCELTE FINANZIARIE DELLE IMPRESE E COMPORTAMENTI DEGLI INTERMEDIARI
DAL RAPPORTO DI PREVISIONE DELL’ASSOCIAZIONE PROMETEIA (DICEMBRE 2003)
P
Il mercato obbligazionario italiano
Il mercato obbligazionario dell’area dell’Euro è
molto vicino per dimensioni assolute e relative a
quello americano. Se infatti si escludono da
quest’ultimo i titoli emessi da agenzie governative
come la Federal Home Loan Mortgage Corporation (cosiddetta Freddie Mac) e la Federal National Mortgage Association (Freddie Mae) che operano sul mercato obbligazionario sia come emittenti di titoli, sia come acquirenti, dando quindi
origine ad una doppia intermediazione, la consistenza in essere al 31 dicembre 2002 era di 6275
miliardi di euro negli Stati Uniti (63 per cento del
pil) e di 4150 miliardi nell’area dell’euro (59 per
cento del pil). In Italia la quota rispetto al pil appare inferiore alla media europea (47 per cento)2.
remessa1
Il mercato delle obbligazioni ha avuto uno
sviluppo straordinario negli ultimi anni, soprattutto in Europa, grazie alla moneta unica, alla crescita delle operazioni di securitisation e di finanza
straordinaria e alla maggior propensione delle imprese ad indebitarsi con strumenti di mercato.
L’impetuosa crescita delle obbligazioni è stata però turbata da vari episodi di default che hanno
creato tensioni e polemiche soprattutto in Italia.
Argentina, Cirio e Giacomelli (fino ad arrivare alle tensioni di questi giorni su Parmalat) sono casi
che rischiano di creare problemi all’intero mercato
(secondo meccanismi di contagio tipici dei mercati finanziari) e dunque rendere più difficile ulteriori emissioni o aumentare il premio al rischio richiesto dagli investitori.
Come è noto, la differenza fondamentale
dell’Europa consiste nel fatto che la maggior parte
delle emissioni fanno capo a banche. Negli ultimi
anni, si è comunque avuto un forte incremento
delle emissioni di altri settori, in parte riconducibili ad operazioni di securitisation (cioè alle emissioni di società veicolo che a loro volta sono create con riferimento ad asset di natura molto eterogenea, che vanno dal patrimonio immobiliare
pubblico o privato a crediti bancari) e in parte dipendono da emissioni del settore corporate.
Abbiamo quindi ritenuto opportuno tornare
sull’argomento delle obbligazioni emesse dalle
imprese italiane, già affrontato nel Rapporto di
previsione di dicembre 2002. Ci proponiamo in
particolare di: fare il punto sull’evoluzione del
mercato italiano, di analizzare il ruolo svolto dalle
emissioni obbligazionarie nella strategia finanziaria delle imprese italiane, individuare quali comportamenti degli operatori e quali interventi di vigilanza possono evitare che gli episodi di default
attraversati pregiudichino lo sviluppo futuro del
mercato obbligazionario italiano.
Secondo le statistiche della BRI, dal 1993 a metà
2003 la quota delle obbligazioni emesse dalle imprese non finanziarie sul totale delle obbligazioni
passa dal 10.5% al 19.2% (Fig. 1). Anche nel confronto tra i principali blocchi economici, il mercato europeo dei corporate bonds si dimostra particolarmente dinamico: mentre a fine 1997 la quota
1
2
Scritto da Andrea Landi e Marco Onado, con la collaborazione di Valeria Venturelli.
Banca d’Italia, Lo sviluppo del mercato obbligazionario per le imprese italiane, Roma, Banca d’Italia, 2003.
12
PROMETEIA
Febbraio 2004
Fig. 1 Rapporto % obbligazioni corporate sul
totale obbligazioni (fonte: BRI)
Tra i paesi europei l’Italia si è caratterizzata per
uno sviluppo del mercato dei corporate bond intenso e particolarmente concentrato nell’arco
dell’ultimo triennio. La consistenza di obbligazioni emesse dalle imprese italiane sul mercato nazionale e internazionale è passata da circa 40 miliardi di dollari a fine 2000 a 185 miliardi a metà
2003 (dati BRI). Nello stesso periodo la percentuale corporate sul totale delle obbligazioni private passa dal 7.8% al 19.6%. Anche a livello europeo le imprese italiane fanno segnare la maggiore
crescita con una quota paese che raggiunge a fine
periodo l’11% (contro appena il 4% di fine 2000).
Per volume di emissioni, l’Italia si colloca dietro
Regno Unito e Francia ma supera il mercato obbligazionario tedesco (Fig. 2).
40
35
30
25
20
15
10
5
93
95
97
99
UE
01
Jap
giu03
Usa
Fig. 2 Obbligazioni corporate sui mercati
internazionali e nazionali - consistenze mld. $ Fonte: BRI
600
0.12
500
0.10
400
0.08
300
0.06
200
0.04
100
0.02
Una parte importante delle emissioni obbligazionarie delle imprese finanziarie e non finanziarie
italiane è effettuata sull’euromercato. A fine novembre
2003
risultavano
collocate
sull’euromercato 667 emissioni di operatori privati di cui 540 erano riconducibili a società finanziarie e 127 a imprese industriali e commerciali (le
statistiche relative ai collocamenti sull’euromercato effettuato da imprese italiane sono tratte
dalla banca dati Datastream - Tab. 1). Il controvalore delle emissioni pari a 440 miliardi di dollari
era per l’86% il risultato di emissioni di società
finanziarie.
0.00
0
93
95
97
99
01
Italy
France
Germany
United Kingdom
Rapporto Italia/Ue (scala dx)
giu03
delle obbligazioni corporate europee rappresentava solo il 22% del corrispondente mercato Usa, a
metà 2003 la percentuale era salita al 60%.
Tra queste ultime, il ruolo più significativo in
Tab. 1
Numero di emissioni e controvalore all'emissione per settore privato
Se ttor e
Contr ovalor e
all'e m is s ione
(m igliaia di US$)
Num e r o
Contr ovalor e %
IND
FIN
127
540
63 367 871
376 449 555
14.41%
85.59%
Totale com ple s s ivo
667
439 817 426
100%
Tab. 2
Tipologie di emittenti nel settore finanziario: numero di emissioni e controvalore emesso
Contr ovalor e
all'e m is s ione
(m igliaia di US$)
Se ttor e
Num e r o
BA NCA
SPV
A SS
FIN
179
340
12
9
65
302
6
1
965
815
564
211
17.52%
80.36%
1.84%
0.28%
Totale com ple s s ivo
540
376 449 555
100%
13
964
499
942
042
Contr ovalor e %
PROMETEIA
Febbraio 2004
termini di numero e di controvalore delle emissioni è stato svolto da società veicolo (SPV), create
per la realizzazione di operazioni di cartolarizzazione di crediti bancari e commerciali o del patrimonio immobiliare pubblico e privato (Tab. 2). Le
340 emissioni delle SPV rappresentano oltre
l’80% del controvalore complessivo delle emissioni effettuate dalle società finanziarie. Solo un
terzo delle obbligazioni collocate dalle società
veicolo presentava un rating dell’emissione (Tab.
3).
emissioni è stata realizzata nel periodo 19992003: 116 delle 127 ancora presenti sul mercato
(Tab. 5). La valuta prevalente di emissione è
l’euro, mentre la durata dell’emissione al momento del collocamento ha la massima frequenza nella
fascia temporale dei 3, 5 e 7 anni.
Per quanto riguarda la diffusione del rating, vi sono valutazioni contrastanti che meritano di essere
approfondite. Nel dicembre scorso, i nostri dati,
confortati da un’analisi Goldman Sachs svolta in
tempi non sospetti, indicavano che le emissioni
senza rating sono molto più frequenti in Italia rispetto agli altri paesi. Anche l’aggiornamento al
novembre 2003 conferma che la parte prevalente
(sia in termini di numero che di controvalore) delle emissioni è priva di rating (Tab. 6). Altre valutazioni (in particolare quella riportata nel già citato studio della Banca d’Italia) indicano invece che
l’Italia non si discosta in maniera apprezzabile da
altri paesi europei, in particolare Francia e Germania. La differenza può essere attribuita alla diversa rilevazione compiuta dalle società che raccolgono le informazioni sulle emissioni realizzate
sull’euromercato (e quindi a differenze riguardanti
le rilevazioni di Datastream – utilizzate nel presente approfondimento - rispetto a quelle di Dealogic, da cui sono tratte le informazioni riportate
nello studio condotto dalla Banca d’Italia).
Per quanto riguarda le emissioni sull’euromercato
delle imprese non finanziarie, trovano conferma
alcune
delle
indicazioni
già
emerse
nell’approfondimento svolto nel Rapporto
dell’anno scorso. Il mercato dei corporate bonds
italiani presenta alcune caratteristiche peculiari
che meritano di essere ricordate:
a) la polarizzazione fra un numero ridotto di
grandi emittenti e un numero molto più ampio
di emissioni di dimensioni limitate;
b) la presenza di rating solo nel primo gruppo di
emissioni.
A fine novembre 2003 risultavano collocate
sull’euromercato 127 emissioni riconducibili a 47
emittenti. I primi quattro contano per oltre il 75%
del totale dei fondi complessivamente raccolti dalle imprese italiane (Tab. 4). La gran parte delle
Rimane il fatto che i titoli senza rating rappresen-
Tab. 3 Classi di rating nel settore finanziario: tipologia di emittente, controvalore emesso
BANCHE
Se ttore
Clas s i di rating S&P Num e r o
AAA
AA
AAA+
A
ABBB+
BBB
BBBBBB-/Watch Neg
BB+
BB
BB/Watch Neg
B+
CC
Senza Rating
2
1
2
13
16
16
11
12
1
105
Totale com ple s s ivo
179
Ctrvl
e m e s s o in
US$
2 073
43
951
7 333
6 207
9 253
3 520
3 347
184
083
721
929
923
514
958
303
932
856
SPV
Ctr vl % Num e r o
57
8
1
ASS
Ctrvl
e m e s s o in
US$
33 047 745
3.14%
0.07%
1.44%
11.12%
9.41%
14.03%
5.34%
5.08%
0.28%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
50.10%
1
231
7 769
271 726 867
9.37%
0.24%
0.01%
0.00%
0.38%
0.06%
0.02%
0.08%
0.01%
0.00%
0.00%
0.01%
0.00%
0.00%
0.00%
89.83%
65 964 965
100%
340
302 499 815
100%
24
2
2
12
1
1
28 340 469
725 159
39 148
Ctr vl % Num e ro
1 144
167
53
246
24
032
928
956
106
909
23 471
14
Ctrvl
e m e s s o in
US$
ALTRO
Ctrvl % Num e r o
5
1 098 918
2
598 505
0.00%
0.00%
57.57%
17.98%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
15.83%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
8.62%
12
6 942 564
100%
3
2
3 996 993
1 248 149
Ctr vl
e m e s s o in
US$
Ctrvl %
1
1
371 925
10 610
1
23 813
6
635 863
35.69%
1.02%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
2.28%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
61.01%
1 042 211
100%
9
PROMETEIA
Febbraio 2004
Tab. 4 Numero di emissioni corporate e controvalore emesso per capogruppo emittente
Capogr uppo
Contr ovalor e
all'e m is s ione
(m igliaia di US$)
Num e r o
PIRELLI & C.
I.F.I.
ENEL
PA RMA LA T FINA NZIA RIA
ENI
FINMECCA NICA
COFIDE
FERROV IE DELLO STA TO SPA
POSTE ITA LIA NE
EDIZIONE HOLDING
IMPREGILO
CIRIO FINA NZIA RIA
TISCA LI
A EM SPA
LOTTOMA TICA SPA
TELEPIU
LEGRA ND
COSTA CROCIERE
LUCCHINI SPA
CA RTIERE BURGO SPA
CA MUZZI-GA ZOMETRI
IT HOLDING
FIN.PA RT
MERLONI ELETTRODOMESTICI
SOGEFI
FININV EST
RENO DE MEDICI SPA
A EGIS
FINMEK SPA
A STA LDI SPA
GRUPPO FRA TI
A URELIA
CREMONINI
GRUPPO A RENA
RHIA G SPA
CHIESI FA RMA CEUTICI
GIA NNI V ERSA CE
DUCA TI MOTOR HOLDINGS
ITM ITA LTRA CTOR
ONDULA TI LA V EGGIA
GRUPPO FINMA TICA
STEFA NEL SPA
CA RRA RO SPA
GIA COMELLI GROUP
GIOCHI PREZIOSI
GRA NDI NA V I V ELOCI SPA
GRUPPO CECCHI GORI
22
11
7
23
3
3
4
1
2
2
5
5
2
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
23
10
6
6
2
1
1
1
062
655
633
859
905
694
872
000
963
579
216
109
120
706
064
632
000
190
989
578
156
791
162
927
723
965
602
442
282
083
200
515
680
751
582
808
108
742
330
166
895
452
859
248
361
581
637
37.72%
16.41%
10.50%
10.44%
3.56%
2.98%
2.01%
1.58%
1.51%
1.25%
1.11%
1.06%
0.94%
0.92%
0.69%
0.56%
0.55%
0.44%
0.42%
0.33%
0.32%
0.28%
0.27%
0.25%
0.24%
0.22%
0.21%
0.21%
0.21%
0.21%
0.20%
0.19%
0.19%
0.18%
0.17%
0.17%
0.16%
0.14%
0.14%
0.14%
0.14%
0.14%
0.14%
0.14%
0.13%
0.13%
0.06%
Totale com ple s s ivo
127
63 367 871
100%
tano una percentuale elevata della circolazione totale e soprattutto il fatto incontrovertibile che nessun paese come l’Italia presenta una diffusione
così ampia di titoli senza rating presso il pubblico
dei risparmiatori privati.
901
398
656
615
255
887
272
000
959
793
706
673
597
581
437
356
350
278
266
210
204
177
169
160
152
141
132
132
132
132
128
121
118
115
107
104
103
90
89
89
88
88
87
87
85
84
40
Quota %
controvalor e
zione di moral suasion, “sconsigliando” le banche
sottoscrittrici a non vendere obbligazioni senza
rating ad investitori privati. In ogni caso, le vicende del 2003 non hanno bloccato le emissioni obbligazionarie delle imprese, ma hanno riguardato
solo i titoli senza rating. Il mercato appare (meglio: appariva prima della crisi Parmalat) distinto
Le polemiche seguite al caso Cirio hanno indotto
la Banca d’Italia ad intervenire con una tipica a-
15
PROMETEIA
Febbraio 2004
Tab. 5
Anno di emissione: numero di emissioni e controvalore all'emissione
Contr ovalor e
all'e m is s ione
(m igliaia di US$)
Quota %
contr ovalor e
Anno di e m is s ione
Num e r o
2003
2002
2001
2000
1999
1998
1997
1989
1986
19
31
26
17
18
9
5
1
1
15
10
17
6
7
3
245
575
545
559
086
483
740
000
638
13.69%
11.33%
18.39%
44.87%
6.76%
3.39%
0.47%
0.96%
0.14%
Totale com ple s s ivo
127
63 367 871
100%
Tab. 6
489
767
216
680
604
937
593
1 000
78
Rating S&P: numero di emissioni e controvalore all'emissione
Num e r o
Contr ovalor e
all'e m is s ione
(m igliaia di US$)
AA
A+
ABBB+
BBB
BBB-/Watch Neg
BB/Watch Neg
B+
Senz a Rating
1
3
1
11
1
12
1
1
96
462
2 560
278
13 059
715
4 515
268
107
41 399
963
617
190
221
881
255
849
582
314
0.73%
4.04%
0.44%
20.61%
1.13%
7.13%
0.42%
0.17%
65.33%
Totale com ple s s ivo
127
63 367 871
100%
Rating S&P
in tre segmenti:
Quota %
contr ovalor e
• in che misura il maggiore ricorso al mercato
obbligazionario è spiegato dalla crescita dei
grandi gruppi realizzata nel periodo 1998-02 e
se il ricorso all’emissione obbligazionarie si
accompagna ad un maggiore livello di indebitamento delle imprese;
a) società con rating nella categoria investment
grade (non inferiore a BBB-) emesse da grandi imprese;
b) società di medie dimensioni che hanno ottenuto rating o si sono rivolte con private placements ad investitori istituzionali;
• in che misura si è avuta sostituzione tra debiti
bancari e obbligazioni;
c) società di medie e piccole dimensioni prive di
rating o con valutazioni implicite subinvestment grade.
• quali sono le caratteristiche economicofinanziarie delle imprese (redditività, leverage) che hanno fatto maggior ricorso al mercato obbligazionario.
Crescita, indebitamento ed emissioni obbligazionarie delle grandi imprese italiane
L’analisi si riferisce ai primi 35 gruppi industriali
e commerciali quotati i cui dati consolidati sono
oggetto dello studio R&S relativo ai 50 più importanti gruppi italiani (sia industriali che finanziari).
Dei 35 gruppi sono stati considerati solo le 24 imprese che presentavano nel periodo 1998-2002
Questo paragrafo esamina i dati riferiti ai grandi
gruppi non finanziari italiani nel periodo 19982002 per valutare la rilevanza e le finalità del ricorso al mercato obbligazionario. In particolare, si
vuole rispondere alle seguenti domande:
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una composizione dei debiti finanziari caratterizzata dalla presenza di emissioni obbligazionarie.
Tra i 24 gruppi analizzati, 14 hanno effettuato emissioni in una misura pari a circa il 64% del totale dei controvalori emessi sull’euromercato con
riferimento al segmento italiano delle obbligazioni
corporate. Nella tabella 10.7 sono riportati alcuni
indicatori riguardanti la crescita, il livello di indebitamento e la composizione dei debiti dei 24
gruppi italiani nel periodo 1998-2002. La crescita
dei gruppi è valutata sia come variazione del capitale investito (al netto dei debiti commerciali) sia
in termini di valore aggiunto prodotto.
zionario sembra rappresentare la modalità prevalente per accrescere l’indebitamento: per 9 imprese del campione lo spostamento della composizione dell’indebitamento verso le obbligazioni ha
favorito il maggiore indebitamento e in diversi casi ciò è avvenuto in una situazione di redditività
insoddisfacente quando non negativa. Per altri 7
gruppi
industriali
alla
riduzione
dell’indebitamento ha fatto riscontro una sostituzione di debito bancario con obbligazioni che
sembra riflettere un obiettivo di diversificazione e
stabilizzazione delle fonti di finanziamento.
Per valutare statisticamente se le emissioni obbligazionarie del periodo siano state determinate dalla esigenza di finanziare “pro-quota” la crescita
oppure dall’obiettivo di sostituire debito di mercato a debito bancario si è stimata la relazione tra le
emissioni obbligazionarie effettuate in ogni anno
del periodo 1998-02 e una serie di variabili economiche e finanziarie relative ai 24 gruppi. In particolare, utilizzando le informazioni contabili relative a tutti gli anni del periodo, si è proceduto alla
stima della seguente equazione:
Nel periodo analizzato, molti dei gruppi considerati hanno conosciuto una crescita intensa, soprattutto per effetto di operazioni di acquisizione. Gli
anni del boom di borsa hanno favorito le operazioni di crescita esterna, talvolta finanziate con
aumenti di capitale dedicati (cosiddetta “carta
contro carta”) oppure con debiti. E’ da osservare
che l’ampliamento del capitale investito (risultato
anche di investimenti di natura partecipativa) si
traduce solo in parte in una crescita del valore della produzione, la cui variazione annua si colloca
sensibilmente al di sotto di quella relativa al capitale investito.
∆Bondt = α + β1Levt −1 + β 2 Debbant −1 + β3Crcint + β 4 Roet + ε
dove la variabile deltabond calcolata come flusso delle
obbligazioni del periodo t-1 in percentuale del livello
La crescita sostenuta degli attivi patrimoniali si è
tradotta in un aumento del livello di indebitamento, evidenziato dall’andamento del rapporto tra
debiti finanziari (la somma di prestiti da banche e
di obbligazioni) e capitale investito netto (cin). La
variazione del leverage risulta ancora più rilevante
se calcolata in percentuale del valore aggiunto (da
1.35 volte del 1998 a 1.81 nel 2002).
di debiti finanziari al tempo t-1, riflette la variazione
I dati confermano che le obbligazioni hanno assunto un peso di rilievo nella strategia finanziaria
dei principali gruppi. Per l’insieme del campione
la quota delle obbligazioni in percentuale del totale dei debiti passa dal 17.6% del 1998 al 28.6%
del 2002. Delle 24 società analizzate, 15 registrano una variazione della composizione dei debiti a
favore delle obbligazioni. Lo strumento obbliga-
al tempo t-1 e valuta l’effetto sostituzione, cioè se i
percentuale dei debiti attribuibile alle emissioni nette di
obbligazioni. La variabile lev esprime il rapporto di
indebitamento tra debiti finanziari e capitale netto al
tempo t-1 e consente di valutare se esiste una relazione
tra livello di indebitamento delle imprese e ricorso al
mercato obbligazionario. La variabile debban è calcolata come quota dei prestiti sul totale dei debiti finanziari
gruppi con il maggior indebitamento verso banche (in
% del totale debiti) sostituiscono prestiti con bonds.
La variabile crcin esprime la crescita del capitale
investito netto e valuta l’effetto crescita, cioè se i
gruppi che sono cresciuti maggiormente hanno
privilegiato i bonds rispetto ai prestiti. Infine roe
rappresenta la redditività netta dell’impresa e con-
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All’aspetto positivo di un mix più equilibrato dei
finanziamenti, si accompagnano però le preoccupazioni relative ad un gruppo di imprese - non trascurabile per numero e dimensioni - che hanno
accentuato il ricorso al mercato obbligazionario in
una situazione caratterizzata da un sensibile appesantimento dei livelli di leverage e di deterioramento delle condizioni di redditività. Guardando
all’evoluzione della struttura finanziaria di alcuni
grandi gruppi italiani è pertanto forte la sensazione che il debito obbligazionario sia stato utilizzato
per compensare difficoltà ad aumentare il ricorso
alle più tradizionali forme di finanziamento, segnatamente quelle bancarie, e che sugli obbligazionisti gravino rischi non adeguatamente
segnalati
dagli
operatori
responsabili
dell’informazione societaria.
sente di valutare in che misura il ricorso al mercato obbligazionario è collegato alla redditività delle
imprese. Nella stima sono state considerate le
dummy temporali e di impresa per tenere in considerazione gli effetti dovuti al ciclo e alla specificità della gestione finanziaria delle imprese del
campione.
I risultati, sintetizzati nella tabella 8 che riporta i
parametri relativi alle principali variabili utilizzate
nelle stima (con esclusione dei parametri relativi
alle dummy), confermano l’esistenza di un effetto
sostituzione. La variabile debban è significativa,
indicando che i gruppi aventi una composizione
del debito più spostata verso i prestititi sono quelli
che hanno fatto maggior ricorso al mercato obbligazionario (al netto dell’effetto crescita e indebitamento). Anche l’effetto crescita è significativo e
con il segno atteso: ad un punto percentuale di
crescita corrisponde una variazione dei bonds in
percentuale dei debiti complessivi pari allo
0.40%. La variabile di leverage (lev) e di redditività (roe) non risultano significativamente diverse
da zero. Il livello di indebitamento non sembra rilevare nella scelta della composizione del debito,
mentre risulta più importante l’effetto di variazione dell’indebitamento colto dalla variabile di crescita dell’impresa. La non significatività della variabile di redditività netta porta ad escludere che il
ricorso al mercato obbligazionario e quindi il confronto con il mercato veda favoriti i gruppi con la
migliore situazione reddituale.
Come superare la crisi di fiducia
I default già realizzati e la crisi Parmalat pongono
pesanti interrogativi per lo sviluppo futuro del
mercato obbligazionario. E’ significativo che per
tutto il 2003, il mercato primario abbia mantenuto
buoni livelli di operatività, soprattutto con riferimento alle emissioni di grandi gruppi con rating.
Si mettevano in evidenza, sia pure con diversa enfasi e qualche titubanza, varie risposte necessarie
per evitare una crisi di fiducia sulle obbligazioni.
Alcune di queste riguardano il sistema di vigilanza nel suo complesso, altre le emissioni da parte
delle imprese di minori dimensioni.
Alla luce dei risultati precedenti si può dunque ritenere che i bond abbiano svolto un importante
ruolo nell’ambito della gestione finanziaria delle
imprese italiane, consentendo una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento e un
allungamento della scadenze del debito. Ciò contribuisce ad allineare la composizione del debito
delle imprese italiane a quella dei principali concorrenti internazionali che da più tempo hanno
fatto ricorso al mercato obbligazionario per
stabilizzare le proprie fonti di finanziamento.
Da un lato, vicende come Cirio hanno dimostrato
che l’architettura dei controlli in Italia non è la
migliore possibile. In particolare, la separazione
di compiti fra Consob e Banca d’Italia non è così
chiara come richiederebbe la distinzione di
compiti per finalità richiamata dal Testo Unico
della Finanza. Più che di vuoto normativo, da
taluni invocato, bisogna probabilmente parlare di
sovrapposizione dei ruoli. Il documento della
Banca d’Italia prima citato intende dimostrare che
l’art.129 del Testo Unico Bancario conferisce alla
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solo quelli sfiorati, siano da considerare come il
prezzo da pagare alla crescita di un nuovo segmento del sistema finanziario o ancora più cinicamente una via per educare il pubblico a percepire meglio la relazione fra rischio e rendimento.
Neppure è consolatorio sapere che i default hanno
(finora) riguardato una percentuale modesta della
ricchezza finanziaria delle famiglie: calcolata rispetto alle emissioni obbligazionarie la perdita già
maturata (calcolando ai prezzi di mercato le obbligazioni Parmalat) è ormai consistente e sicuramente tale da generare possibili fenomeni di contagio sullo strumento nel suo complesso. Il primo
problema riguarda dunque l’informazione fornita
dalle società emittenti e non può essere risolto, ma
questo era già evidente nel caso Cirio, semplicemente imponendo il prospetto informativo, per
due fondamentali motivi. Da una parte, il prospetto rischia di essere solo il canale di trasmissione di
informazioni non corrette o comunque opache alla
fonte; dall’altra, il prospetto è sicuramente uno
strumento non leggibile per la generalità dei risparmiatori.
Banca d’Italia un potere di autorizzazione che nulla ha a che fare con la tutela dell’investitore. Questa interpretazione è assolutamente corretta, ma va
aggiunto che una autorizzazione in nome di quella
che in tempi ormai lontani si definiva “programmazione dei flussi finanziari” (accertamento cioè
della congruità dell’emissione per dimensione, tipologia e tasso alle condizioni del mercato) non
ha alcun senso nel momento in cui i mercati sono
ampi, efficienti e gestiti da società private e nel
momento in cui, avendo la politica monetaria rilievo europeo, si è allentato il nesso fra
l’equilibrio del mercato dei titoli pubblici e il
mercato dei titoli privati. L’articolo 129 è dunque
un retaggio di una impostazione diversa della vigilanza e di condizioni completamente diverse dei
mercati. Esso va puramente e semplicemente abolito in nome della chiarezza della separazione dei
ruoli e delle responsabilità.
L’occasione dovrebbe essere propizia per ricondurre alla Consob tutti i controlli di trasparenza,
come logica vorrebbe, includendo quindi anche i
prodotti bancari e assicurativi. Questo problema
esula peraltro dalle finalità della presente nota. E’
bene tuttavia ribadire che le failure dei controlli
cui abbiamo assistito non dipendono in alcun modo da presunte incertezze nell’attribuzione delle
responsabilità di vigilanza. Giacomelli, Cirio e
ancora di più Parmalat, qualunque sia l’esito della
crisi in corso, hanno le loro radici in clamorosi
fallimenti di tutti i tipi di controllo che dovrebbero
riguardare le imprese che fanno appello al pubblico risparmio: dai meccanismi tradizionali di controllo sull’informazione societaria, alle società di
revisione, alle banche finanziatrici e collocatrici, a
tutti gli organi responsabili della corporate governance aziendale. Dopo Parmalat, si aggiungono
all’elenco anche le società di rating, o almeno chi
ha effettuato il downgrading solo a crisi conclamata.
La questione rinvia dunque all’intera catena delle
responsabilità
relative
al
controllo
dell’informazione societaria, ai poteri degli organi
di vigilanza, alle sanzioni contro le violazioni e
anche alle modalità effettive con cui i poteri stessi
vengono esercitati. Ai fini di questa nota, pare più
utile indicare quali possono essere i comportamenti che comunque possono intraprendere gli
intermediari per evitare di incrinare il rapporto di
fiducia dei risparmiatori nei confronti delle obbligazioni.
La prima risposta su questo piano va ovviamente
individuata nella valutazione del grado di rischio
dei titoli che vengono collocati fra i risparmiatori.
Ciò risponde fra l’altro ad un preciso obbligo
normativo (art. 26 del Regolamento Consob: “Gli
intermediari acquisiscono una conoscenza degli
strumenti finanziari … da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire”) che è stato
evidentemente assolto da non pochi intermediari
Di fronte ad un problema così ampio, è evidente
che è difficile continuare a sostenere che i default
già avvenuti nel mercato obbligazionario, o anche
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per le emissioni sull’euromercato, esenti da prospetto in Italia, che potrebbe essere particolarmente apprezzata dalla propria clientela e costituire
anche uno stimolo per le autorità.
in modo passivo e acritico. Nel caso Cirio, le stesse informazioni contenute nella offering circular,
comportavano un grado di rischio ben diverso di
quello percepito dagli investitori. In generale, la
presenza di schermi societari, l’esasperato ricorso
a scatole cinesi ubicate in paradisi fiscali e societari, avrebbe dovuto portare ad attribuire un rischio elevato, o comunque non nullo,
all’esigibilità di tante presunte attività liquide che
tali non erano. Detto in altri termini, aver fatto ricorso
alle
consolatorie
indicazioni
dell’indebitamento netto, anziché a quelle
dell’indebitamento lordo era quanto meno ingenuo in presenza di strutture societarie volutamente
rese impenetrabili all’occhio dell’analista esterno.
Un altro aspetto cruciale riguarda la distribuzione
delle emissioni (domestiche o internazionali) per
investitori istituzionali. L’esperienza dimostra che
il segmento del private placement deve essere tenuto distinto da quello del collocamento presso la
generalità dei risparmiatori. Tale distinzione può
essere temporanea (un divieto per un anno come
previsto dalla Rule 144 della Sec) oppure reso
permanente. La scelta compete alle autorità di vigilanza e, dopo quanto accaduto, non può essere
affidato solo ad interventi di moral suasion. Va
detto che anche un eventuale divieto permanente
non sembra di per sé pregiudizievole agli interessi
dell’industria finanziaria, almeno globalmente
considerata. L’effetto sarebbe infatti quello di creare maggiori opportunità per le strutture di asset
management e si potrebbe anche sostenere che –
in uno scenario di medio periodo in cui la rischiosità dei bond potrebbe essere superiore a quella
del passato – tale soluzione è coerente con una allocazione e gestione ottimale del risparmio delle
famiglie.
In altre parole, maggiori approfondimenti del grado effettivo di rischio degli strumenti collocati
possono portare a valutazioni più autonome e possono rappresentare un “investimento in qualità del
prodotto” che finora le banche non hanno compiuto in misura adeguata. Analogamente, bisogna seriamente pensare a documenti informativi sintetici
e leggibili che possano trasmettere al pubblico le
informazioni essenziali sul profilo rischiorendimento di ciascun titolo. E’ impensabile imporre l’obbligo di prospetto nella sua attuale versione: i risparmiatori in grado di leggerlo sono
una sparuta minoranza e fra questi pochi sopravviverebbero ad un esame attento del documento. Il
problema diverrà ancora più ampio quando la
nuova direttiva sul prospetto imporrà di fatto il
documento a tutte le emissioni comprese quelle
bancarie che adesso godono dell’esenzione accordata dal Testo Unico della Finanza.
Infine, occorre accennare al problema delle società di rating. Prima del caso Parmalat, si proponeva
di imporre il rating per rivitalizzare le emissioni
delle imprese di minore dimensione. La soluzione
appare opportuna, anche perché le imprese di media dimensione (che possono ovviamente dar vita
ad emissioni di importo limitato) sono il serbatoio
fondamentale che potrà alimentare il mercato dei
titoli corporate nel medio periodo. Si pone però
anche il problema del controllo sulle società di
rating e soprattutto quello dell’eccessiva concentrazione del settore. Sul primo versante, appare
necessario che le autorità internazionali avviino al
più presto un dibattito approfondito: l’esperienza
ha dimostrato che la posizione e la responsabilità
di queste agenzie non è diversa da quelle dei revisori che anche gli Stati Uniti si sono decisi a porre
Dove il dibattito sulla protezione del risparmiatore
è più avanzato, ad esempio nel Regno Unito,
l’autorità di vigilanza ha da tempo avviato con gli
operatori un dibattito costruttivo all’insegna del
“Less is more” (meno informazioni ma essenziali)
per costruire documenti leggibili definiti “Key Financial Document” . In attesa di interventi delle
autorità di vigilanza, potrebbero essere gli stessi
intermediari a trovare una risposta, in primo luogo
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sotto vigilanza dopo gli eccessi del caso Enron.
Sempre sotto il profilo del controllo, si pone il
problema dei giudizi espressi dalle società di
rating e non pubblicati; una questione assai delicata quando, come talvolta succede, il rating non
pubblico è peggiore di quello conosciuto dal mercato. Dal secondo punto di vista, è evidente che
non appare realistico chiedere ad esempio che ogni emissione obbligazionaria (o almeno quelle
superiori ad un certo importo) siano assistite dal
giudizio di almeno due società di rating indipendenti, quando sul mercato internazionale ne esistono solo tre. E’ vero che il settore comporta fortissime economie di scala, ma ad esempio nel
segmento del rating di società di piccola dimensione si potrebbero individuare opportunità anche
per operatori locali indipendenti. Incentivi di vario
tipo in campo europeo potrebbero essere particolarmente opportuni.
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PILLOLE
P
terzo indipendente e si ricorda che l’oggetto della
verifica è costituito dalle politiche e procedure instaurate dall’ente al fine di ottemperare agli standard. L’assoggettamento a verifica esterna rappresenta una garanzia per i fruitori dei GIPS® e comunque sottointente la diffusione di un importante messaggio da parte dell’industria di produzione
di servizi di gestione verso i potenziali o effettivi
clienti.
erformance Measurement in Italy
Il 30 gennaio 2004 si è svolto a Roma, presso la sede dell’ABI, l’incontro-dibattito organizzato dall’Italian Investment Performance Commitee (IIPC), sponsor italiano dei GIPS®, dal titolo:
“GIPS®: l’impegno dei gestori, le opportunità
per gli investitori istituzionali”.
Nella prima sessione dell’incontro la Dottoressa
Caldirola di PWC ha illustrato gli aspetti fondamentali emersi dalla Survey realizzata dalla stessa
PWC su mandato dell’IIPC sulle Tendenze in atto
nella misurazione e presentazione della performance in Italia. La ricerca è stata effettuata inoltrando un questionario ad un campione di 49 gestori presenti in Italia che rappresentano una massa gestita complessiva di 550 miliardi di euro, che
corrisponde all’80% del totale del patrimonio netto gestito riferito alla totalità del mercato italiano.
Il tasso di adesione all’indagine è stato del 59%
del campione selezionato.
La seconda parte dell’incontro organizzata in forma di dibattito e moderata dal Mefop ha visto
confrontarsi rappresentanti dei fondi pensione negoziali (Fondenergia, Fopen e Fondenel), di una
Cassa Previdenziale (Cassa dei Commercialisti) e
di una società di consulenza (Prometeia).
Nel dibattito è stato posto in evidenza il ruolo che
i GIPS® possono svolgere al fine di ridurre le assimetrie informative presenti tra domanda (investitori istituzionali) e offerta (gestori) di servizi di
gestione. Gli investitori istituzionali hanno espresso il proprio interesse e la propria sensibilità verso
la tematica della conformità ai GIPS® degli enti
gestori sia e soprattutto nei processi di selezione,
(si veda a tal proposito la deliberazione della Covip del 9 dicembre 1999 all’articolo 4 relativo ai
criteri per la presentazione dei risultati) sia in fase
di controllo ex-post della performance.
Un aspetto emerso dall’analisi è che il 28% dei
rispondenti aderisce ad uno standard di presentazione della performance, che il 4% è prossimo al
completamento del processo di implementazione
previsto entro fine 2003 e che il 36% ha manifestato l’interesse di aderire. Risulta quindi che un
32% dei rispondenti non ha aderito ad alcun standard e non ritiene di effettuarlo nel breve medio
periodo. Si evidenzia comunque che tale 32% corrisponde ad un 7% delle masse gestite ed è costituito da operatori rivolti prettamente al mercato
domestico e che valutano la conformità più in relazione agli oneri che alle opportunità e ad i benefici che può produrre. La Survey evidenzia che
tutti i gestori conformi agli IIPS (versione italiana
degli standard di presentazione delle performance)
hanno assoggettato a verifica la propria dichiarazione di conformità sebbene la verifica sia facoltativa. La verifica viene effettuata da un soggetto
Sono stati sottolineati gli effetti che i GIPS® possono esercitare nel facilitare gli investitori istituzionali a strutturare processi di controllo e di monitoraggio dei gestori, data la standardizzazione
delle informazioni. La realizzazione di strutture di
controllo possono inoltre promuovere la ricerca di
policy gestionali maggiormente efficienti ed in
ultima analisi migliorare le strutture di corporate
governance.
È stato sottoposto ai partecipanti un quesito inerente all’opportunità o necessità da parte dei fondi
pensione negoziali e delle Casse di presentare per-
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• Tecnologia e Organizzazione: I GIPS® contribusicono allo sviluppo della cultura dei dati
e dalla gestione delle base dati;
formance GIPS® compliant.
L’intervento di Prometeia, advisor per gli investimenti di circa 30 investitori istituzionali in Italia, ha evidenziato l’importanza della diffusione
dei GIPS® e dello sviluppo di processi di controllo da parte degli investitori istituzionali. È stata
posta in evidenza la potenziale presenza di elementi di conflitto di interesse qualora il soggetto
che coadiuva la società di gestione a raggiungere
la conformità effettua poi anche l’attività di verifica. Al fine di prevenire eventuali situazioni di
conflitto sarebbe auspicabile la costituzione di un
ente privato (“Authority”), coerentemente al principio della autoregolamentazione degli standard
GIPS®, la cui missione sia quella di svolgere il
ruolo del verificatore. L’ampliamento del campo
di riferimento degli standard GIPS® da quello
della presentazione della performance a quello
della presentazione dell’attribuzione della performance non è ritenuto basilare, dato che se un ente
gestore è conforme ai GIPS® sarà in grado di fornire tutti i dati necessari agli investitori istituzionali o agli advisor perché questi possano poi implemetare un processo di attribuzione della performance.
• Problemi di calcolo: Sebbene i GIPS® si basino su metodologie di calcolo non complesse
è indispensabile che nei successivi processi
di valutazione e attribuzione della performance si utilizzino indici sintetici di performance
in maniera appropriata ed in relazione alle differenti esigenze conoscitive, dato che ogni indice sia esso di rendimento, rischio, riskadjusted performance si propone di cogliere
un particolare aspetto della gestione. È, inoltre, fondamentale relazionare il concetto di
rendimento a quello di rischio dato che la performance che una gestione produce ex-post è
funzione del livello di rischio che il gestore ha
assunto ex-ante.
• Governance e Controlli: I GIPS® contribuiscono allo sviluppo dei processi di controllo.
Per approfondimenti sulla tematica dei GIPS® si
rimanda al numero 3 di anteo di maggio 2003
(www.advisor.prometeia.it) e al sito dell’Italian
Investment
Performance
Committee
(www.iipc.it).
L’incontro è stato chiuso dall’intervento del Professore Massimo De Felice che ha posto in evidenza alcuni punti, sintetizzabili come segue:
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