Storia, Nascita e Descrizione Icona Divina Misericordia
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Storia, Nascita e Descrizione Icona Divina Misericordia
Icona della Divina Misericordia Pag 1 La mia storia ha incontrato l’ Icona della Divina Misericordia. Guardando davanti a me l’icona della Divina Misericordia, mi accingo a riscrivere le vicissitudini legate alla storia di questa icona che ho dipinto ormai molte volte. Pensando e ripensando alla mia vita da quando ho incontrato l’arte iconografica, a come il Signore ci coinvolge nei suoi progetti d’amore, a come talvolta ci dà la consapevolezza di quanto sia grande la dignità alla quale Lui ci vuole elevare, a quando finalmente ci rendiamo conto di quest’azione delicata ed attenta dello Spirito Santo per non travolgerci nella nostra debolezza, comincia il rendimento di grazie per la gioia che ci attende in cielo. Questa gioia è una delle promesse che il Signore ha fatto a Suor Faustina, che anticipando la gioia che ci attende in cielo, si realizza attraverso la contemplazione di questa icona; io desidero trasmetterla a tutti coloro che non l’hanno ancora provata raccontando fatti accaduti e documentati, auspicando che possa essere utile per rafforzare la fede di molti. L’icona ci fa vedere quello che la parola ci fa udire; per questo nella Tradizione della Chiesa l’Icona riceve l’onore riservato al libro dei Santi Vangeli, ed è preziosa come l’immagine della Santa Croce. L’Icona è la parola di Dio dipinta. A conferma leggiamo nel Vangelo di Marco al capitolo 16, versetto 20: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano.» L’icona è Parola di Dio dipinta ed il Signore la conferma con i segni che l’accompagnano. Nel giugno del 1982 quando Giacinta Gaio di Bassano, mi chiese di dipingere un icona di Gesù Misericordioso, secondo le indicazioni della suora polacca, ora Santa Faustina Kowalska, io dovetti rifiutare a motivo del consiglio che mi dette don Sante Babolin; mi spiegò che non si doveva dipingere un icona sulla base di rivelazioni private. Le icone, infatti, devono scaturire dalla Sacra Scrittura, servono per la liturgia, e non si deve pertanto costruire un discorso teologico su rivelazioni che, peraltro, non erano state ancora riconosciute dalla Chiesa. Ero in un bel pasticcio! Da una parte Giacinta che con insistenza mi chiedeva di farla, dall’altra il divieto di Don Sante! Alla fine vinse l’amicizia! Con il cuore stretto dal timore, dopo aver letto attentamente il libro “L’icona dell’Amore Misericordioso” di Maria Vinowska, preparai lo schema geometrico ispirandomi al capitolo 20 del Vangelo di Giovanni, versetto 19-23: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre a mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»”. Il riferimento a questo brano evangelico mi ha fatto comprendere che questa icona era già programmata quando fu scritto il Vangelo venti secoli fa. Eravamo nei primi giorni di agosto del 1982; avevo appena finito il disegno astratto, il quale esprime in simboli geometrici, la teologia che sottende ogni icona; improvvisamente si scatenò una bufera di vento, pioggia e grandine che sconvolse la città di Padova. Chicchi di ghiaccio grossi come uova, ruppero tegole e vetrate, molte auto furono danneggiate e vi furono anche parecchi feriti: vedevo volare alberi strappati dalla furia del vento, sulla mia povera casa cadde un fulmine che fuse l’impianto elettrico e che impegnò gli operai dell’ENEL due giorni per ripristinarlo. Dalle tegole rotte, nella stanza dove stavo lavorando, penetrò l’acqua dal soffitto formando una grande croce Pag 2 bagnata, cadde anche sul disegno che avevo sul tavolo, rovinandolo. Mi spaventai molto, soprattutto perché mi sentivo colpevole di disobbedienza nei riguardi di Don Sante, mi inginocchiai per terra e pregai il Signore. Egli mi tranquillizzò subito mettendo nel mio cuore un pensiero: «Può l’ira di Dio scatenarsi con tanta violenza per non aver ascoltato il consiglio di Don Sante di non fare un icona dell’Amore Misericordioso?». Pensai che probabilmente, non veniva dal Signore tutta quella disapprovazione! In quel momento chiesi il seguente segno al Signore: «Il 13 Settembre, il Papa Giovanni Paolo II avrebbe fatto una visita pastorale alla città di Padova, se per il suo arrivo l’icona fosse stata finita in ogni sua parte ed il Papa, che provvidenzialmente sarebbe passato proprio davanti alla mia casa di Via Chiesanuova n. 245 dove abitavo allora, l’avesse guardata, allora non avrei avuto dubbi; il Signore voleva quell’icona e la voleva da me!» Fu un mese pieno di ostacoli e perditempo di ogni genere, ma io ero tranquilla e mi dicevo: «Se questa è l’icona della Divina Misericordia, per quel giorno sarà finita»; ed andavo avanti. La mattina del 13 Settembre c’era un grande fermento giù in strada, che era stata transennata, Padre Emanuele Guerrini, nel suo bianco saio domenicano, andava avanti ed indietro per tenermi informata sull’arrivo del Papa; la stanza dove lavoravo, infatti, era situata all’interno, verso il cortile. L’icona non era ancora finita e mancava circa un’ora di lavoro. Il Papa sarebbe dovuto arrivare a momenti con l’elicottero dall’Aeroporto Marco Polo di Venezia e, dopo una breve visita alla Casa della Provvidenza di Sant’Antonio lontana circa un chilometro da casa mia, avrebbe incominciato la visita alla città. Ricordo che pensai: «Guarda! Per un ora l’icona non è quella che vuole il Signore, pazienza! Non sono stata io a volerla, perché dovrei essere proprio io a farla?». Intanto il Papa tardava e tardò tanto che mi fu possibile finire l’icona, metterla in una teca e consegnarla nelle mani di P. Emanuele. Scendemmo insieme giù in strada; cinque minuti dopo passò il Papa, la guardò, sorrise ed alzò la mano benedicente: era fatta !!! Tre mesi dopo venni a conoscere il motivo del ritardo del Santo Padre. Mi dissero che appena sceso dall’aereo a Venezia, il Papa ebbe un malore che durò quaranta minuti; ricordiamo che solo un anno prima aveva subito un attentato in Piazza S. Pietro. Qualche giorno dopo, portai l’icona all’incontro della Comunità del Cantico in seno alla quale, in quel tempo, vivevo la mia esperienza di fede e dove avevo ricevuto, per mano e con la preghiera dei fratelli, il ministero dell’iconografia. Dopo qualche resistenza, Don Sante Babolin, accettò di esaminare, vista la sua competenza, tutti gli elementi costitutivi dell’icona. Un mese dopo mi mostrò le bozze del suo libro “Riconciliazione e penitenza” che era il tema del Sinodo dei Vescovi di quell’anno; un vero capolavoro di riflessione e di preghiera usando l’icona. Mi resi subito conto che era necessario divulgare la conoscenza dell’icona, ma i miei mezzi erano praticamente nulli: madonna povertà era sempre al mio fianco. La lunga malattia di mio marito, i frequenti viaggi Padova - Messina per dare aiuto alla mia figliola che ogni anno mi regalava un nipotino comportavano una situazione tale che non ero in grado di far altro che pregare ed affidare ogni cosa nelle mani di Colui che, solo, sa suscitare il volere e l’operare secondo i suoi disegni di bontà. Nel 1985, in occasione di un raduno a Roma dei Neocatecumenali inviai al Papa, per mezzo di alcuni di loro, un icona della Divina Misericordia che avevo dipinto per Lui. Due ore dopo che era arrivata a Roma, l’icona era già nelle mani del Santo Padre. Un vero miracolo! La cosa mi rallegrò tanto che mi sentii incoraggiata di offrirmi a dipingere per il Papa un’icona di due metri. Il prelato, che precedentemente consegnò la piccola icona al Papa, mi fece sapere che la cosa sarebbe stata certamente gradita. Una carissima amica mi aiutò economicamente per le spese che avrei dovuto sostenere per la realizzazione della grande icona; così cominciò un altro capitolo della storia. Nell’Estate dell’ 85 mio marito Ottorino, con l’aiuto di suo cugino Beppino, preparò la grande tavola di due metri per uno, lavorando molto bene con amore, ed io nell’Aprile dell’ 86 potei così cominciare l’opera. Devo ricordare che ogni volta che mi accingevo a dipingere l’icona della Divina Misericordia mio marito si aggravava; pareva quasi che una bufera di sofferenza si scatenasse contro di lui. Una volta mi disse: «Ma Pag 3 devi farne proprio tante di queste icone? Non ne posso proprio più!». Ed anche questa volta la sofferenza non mancò! Erano le nove del mattino, Padre Emanuele Guerrini venne, benedisse me e la grande tavola bianca; intanto nella sua stanza mio marito cominciava il suo calvario: un’emorragia! Non mi disse nulla fino a sera. Io, presa dal lavoro, non mi accorsi di nulla; egli mi nascose accuratamente la situazione perché non aveva infatti molta simpatia per i medici. Alla sera quando finalmente mi accorsi che stava male lo portai immediatamente al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Padova dove venne ricoverato in Rianimazione per una settimana. Lascio a voi immaginare la condizione di quei due mesi di lavoro! Ma, riflettendo, mi sono accorta che stranamente più grande è la sofferenza e più belle riescono le icone! Quando contemplai il volto del Signore, ad opera finita, mi tremò il cuore! Posai il pennello: da quel momento l’icona non era più mia! Durante il tempo in cui stavo lavorando sull’icona mi accadde una cosa strana, un pensiero mi tormentava: «Non è per Roma, non è per Roma», ed io rispondevo: «Si, che è per Roma, è per Roma!». L’insistenza di questo pensiero mi turbò al punto che andai a chiedere consiglio a Padre Daniele Hekic dell’O.F.M., un gigante nell’offerta della sofferenza e nel consiglio. Mi guardò come se non mi vedesse, poi sussurrò a fior di labbra: «Medjugorie, Medjugorie». Io rimasi sconcertata e perplessa, anche perché motivato dalle sue origini (infatti era bosniaco), e per i grandi avvenimenti che accadevano in quel luogo, mandava lì tutto e tutti. Qualche settimana dopo andai anche al Duomo di Verona, da un penitenziere della Cattedrale, Mons. Luigi Bosio, anche lui noto per la sua grande apertura all’azione dello Spirito Santo, perché cercavo un’ulteriore possibile conferma ed ebbi la stessa risposta. Allora mi abbandonai alla volontà del Signore e decisi di andare avanti anche se non sapevo più cosa fare. Portare l’icona in Yugoslavia si era rivelato impossibile; il regime comunista ostacolava l’ingresso di opere religiose, specialmente se dirette a Medjugorie. Qualcuno mi suggerì un trasporto clandestino, ma io sentì che la cosa non era gradita al Signore e decisi di attendere. Pensai nel frattempo di portare l’icona al Monastero delle Clarisse di Mezzavia a Montegrotto in provincia di Padova, e là vi rimase per due anni. In quei pressi si radunava, nella casa di Santa Chiara, un gruppo di Rinnovamento dello Spirito guidato da Padre Francesco Racchelli. Fu un periodo molto fecondo, molti fecero una forte esperienza di incontro con la Divina Misericordia: conversioni, vocazioni alla vita consacrata, guarigioni interiori e molti altri fatti indimenticabili segnarono quei due anni di grazia. L’esigenza di diffondere questa immagine di Gesù Misericordioso, nella forma tipica del linguaggio liturgico che distingue le icone dalle rappresentazioni naturalistiche più popolari e devozionali, com’è d’uso nelle Chiese d’Occidente, mosse Padre Francesco Racchelli a realizzare delle stampe. La cosa però avrebbe comportato un costo piuttosto elevato. Volle pensarci la provvidenza: una sorella di Venezia offrì un lingottino d’oro che fruttò 10 milioni di lire e questa somma venne affidata ad un responsabile del gruppo di preghiera. Io nel frattempo, in questi due anni, dovetti affrontare una delle tante emergenze: a mio marito, sei mesi dopo l’episodio dell’emorragia che lo ridusse quasi in fin di vita, gli fu diagnosticato un carcinoma latero-cervicale diffuso, già in metastasi. Fu ricoverato a Padova per quasi tutto il mese di Dicembre dell’ 86 e l’intervento chirurgico gli fu sconsigliato perché il cancro era ormai troppo diffuso. Volli sperare nel Signore contro ogni speranza e, dietro consiglio della cara Marilena Rubaltelli, riuscimmo a farlo operare dal Prof. Pesavento all’ospedale di Vicenza il giorno 29 dello stesso mese. Rientrammo a casa i primi giorni dell’Aprile dell’87, giusto un anno da quando iniziai il lavoro della grande icona. L’icona era nelle mani di Padre Francesco, io dovevo occuparmi di mio marito e partimmo subito per Messina, avevamo bisogno dell’assistenza della famiglia, dell’affetto della figlia e dell’aiuto del genero (medico) per superare la difficilissima convalescenza! Scrivo queste cose per far comprendere che la mia parte, nella storia dell’icona della Divina Misericordia, era soltanto quella di costruirla per poi affidarla a coloro che il Signore mi faceva capire. Le Sue cose le vuole condurre Lui personalmente! Ero in una condizione di totale impotenza per potermi occupare dell’icona. Mentre mi trovavo ancora in Pag 4 Sicilia nell’Agosto dell’87 muore Padre Francesco Racchelli e da quel momento non seppi altro: il gruppo era rimasto senza pastore e si sciolse! Seppi molti anni dopo che Padre Francesco aveva offerto la sua vita per il trionfo della Divina Misericordia. Rientrai a Padova nell’88 ed erano cambiate molte cose, tentammo di fare le stampe dell’icona ma erano spariti i soldi e colui che li aveva ricevuti in consegna. Le suore Clarisse, a motivo che l’icona non era destinata a quella chiesa e non potendole dare una sistemazione conveniente, mi chiesero di portarla via. Un fratello del gruppo di Padre Francesco, Bruno Dente, mi suggerì di portarla a Trento a Villa “O Santissima” dove, da tempo, Don Renato Tisot guidava un gruppo di preghiera di devozione alla Divina Misericordia secondo le rivelazioni date dal Signore Gesù a Suor Faustina Kowalska. Don Renato acconsentì volentieri ad accoglierla e l’icona partì per Trento, là rimase per circa quattro anni. Di questo periodo ebbi notizie solo riportate, anche a distanza di tempo! Sapevo che il gruppo cresceva in numero e Grazia; il Signore operava con potenza, conversioni, guarigioni e grazie di ogni genere. Da parte mia riuscivo ad andare a Trento solo un paio di volte all’anno e la situazione in famiglia era sempre difficilissima. Fu in questo periodo che Padre Andrea D’Ascanio, cappuccino, dall’Aquila venne a Padova per una veglia di preghiera. Egli guidava da tempo alcuni gruppi in varie città sulla spiritualità degli “Amici del Getsemani”. In quell’occasione, essendo per me la prima volta che partecipavo ad uno di questi incontri, avevo portato con me un’icona della Divina Misericordia, dipinta per farne dono al mio Vescovo Mons. Antonio Mattiazzo. Durante la meditazione che Padre Andrea fece quella sera, parlò tanto della bontà e della misericordia del Padre, manifestata attraverso il cuore trafitto di Gesù e il suo sangue versato, che io sentii fortissima l’ispirazione di dare quell’icona a Padre Andrea. Egli la ricevette senza capire: infatti non conosceva né il donatore, né l’icona, né il messaggio che portava. Solo dopo due ore potei dirglielo, quando mi riuscì ad avvicinarlo e spiegargli il senso del mio gesto; fu un momento straordinario, per me e per lui. Toccai con mano cosa significa la gioia di abbandonarci all’azione ed alla volontà di Dio! Dopo qualche tempo, negli ultimi giorni di Febbraio del ’90, mi arrivò una lettera in cui Padre Andrea mi chiedeva di dipingere un icona della Madonna di Fatima; disse che voleva portare il sorriso di Dio in Russia e nei paesi dell’Est. Era il tempo della caduta del regime comunista ed il messaggio di Fatima era un balsamo che poteva guarire le tremende ferite prodotte nelle anime dall’ateismo in quegli anni di tenebre e di dolore. La Madonna di Fatima! Un’altra rivelazione privata, altro punto interrogativo. Da due mesi ero chiusa in casa, come in un eremo, pronta a partire, ma chi doveva venire a prendermi aveva continuamente imprevisti che gli impedivano di farlo. Tutto questo senza capire il perché, mi dispiace di non poter raccontare i particolari che rimando ad un’altra occasione i dettagli di questi avvenimenti. Posso dire in sintesi che il Signore aveva voluto realizzare quella condizione di distacco dal mondo necessaria ogni volta che un iconografo deve costruire un icona di nuova creazione. Il cuore resta sospeso nell’attesa di qualcosa che deve venire, deve essere sgombro e libero per accogliere l’ispirazione. Nemmeno un mese dopo, esattamente il 17 Marzo del 1990, ero a Roma per consegnare a Padre Andrea l’icona della Donna vestita di sole! La “Mulier amicta sole”. Il dodicesimo capitolo del Libro dell’Apocalisse si era fatto icona, immagine visiva della Chiesa, Sposa dell’Agnello, figura dell’umanità vittoriosa e glorificata dal sangue sgorgato dal cuore trafitto del Salvatore. Nella stessa occasione ne portai una anche al Cardinale Andrea Maria Deskur, il quale, solo una settimana prima, era stato nominato dal Papa Presidente dell’Accademia dell’Immacolata per il trionfo del Cuore Immacolato di Maria. C'eravamo tutti quella sera al palazzo San Carlo in Vaticano: Padre Andrea, Maria Teresa D’Abenante, Fratel Giovanni, Don Renato Tisot, Padre Serafino Mikalenco, postulatore della causa di beatificazione di Suor Faustina Kowalska ed io che mi trovai in una situazione inimmaginabile. Anche l’icona della Donna vestita di sole arrivò a Roma come quella della Divina Misericordia con una facilità straordinaria. E compresi che le due icone dovevano stare insieme! Da quel momento si sbloccò la situazione di stasi dell’icona della Divina Misericordia. Persone di buona volontà misero a disposizione mezzi per produrre le stampe e tutto cominciò a funzionare, lo Sposo attendeva la Sposa, però mancava ancora qualcosa! Pag 5 Alcuni mesi dopo, il Card. Deskur mi rimandava indietro l’icona per mezzo di Padre Mikalenco: dovevo aggiungere la catena tra le mani della Madonna. La catena doveva simboleggiare il Rosario, la Madonna a Fatima si era dichiarata la Regina del Santo Rosario. Con questo particolare l’icona si portava a rappresentare anche il cap. 20 del libro dell’Apocalisse: l’Angelo, che con la grande catena in mano incatenava Satana, il serpente antico, e lo precipitava nell’abisso! Mi sembrava tutto chiaro ora, anche il Rosario è un simbolo! Rappresenta anche nella forma delle maglie unite tra loro, i fratelli di Gesù, uniti insieme nella preghiera e nell’amore che, seguendo il Maestro e portando la loro croce ogni giorno, avrebbero formato quella catena rendendo impotente il Nemico. Intanto i prodigi fiorivano. Dopo la metà degli anni ’80 in Canada un segno significativo mi fece comprendere che il Signore operava con potenza servendosi anche delle stampe dell’icona dell’Amore Misericordioso. Giacinta Gaio, la sorella della comunità del Cantico che mi convinse a dipingere la prima icona, nel 1982, donò una stampa della stessa a suo fratello che viveva in Canada. Egli a sua volta la dette al suo amico, Padre Alan Cox, che attaccò l’immagine nella cappelletta della sua casa dove accoglieva ed ospitava dei ragazzi che avevano bisogno di particolari attenzioni; all’epoca del fatto che ricordiamo ne aveva circa una settantina. Padre Cox, prima di essere sacerdote era stato un agente dell’ F.B.I., cosa che gli tornava utile per poter affrontare anche situazioni particolarmente difficili. Era, inoltre, cappellano di una scuola cattolica a Ville De Laval nel Québec. Uno di questi suoi assistiti lo prese in odio al punto che una sera entrò in casa armato di una sega a motore in una mano ed un mitra nell’altra deciso ad ucciderlo. Un energumeno di 20 anni, alto due metri, che era uscito da riformatorio dopo aver scontato la condanna per aver ammazzato i suoi genitori, tagliati a pezzi e messi in un baule. Forse per la giovane età era stato trattato con clemenza ma portava in se istinti di grande violenza. Infatti, urlando e spaccando tutto ciò che incontrava cercava Padre Cox; uccise quattro persone e ne ferì più di trenta. Intuendo che non aveva scampo il sacerdote si ritirò nella sua cappella attendendo la morte. Il giovane capì subito dove poteva trovarlo e lo raggiunse deciso ad ammazzarlo, ma entrato nella stanza i suoi occhi, invece di guardare la sua vittima, caddero sull’icona… e subito cadde in ginocchio, buttò le armi e andò a costituirsi. L’evidente intervento del Signore portò Padre Cox, quando venne in Italia, a voler conoscere la storia dell’icona e poi scrisse un libro raccontando la sua eccezionale esperienza. Tutto questo mi spinse a dipingere un icona della Divina Misericordia perché lo accompagnasse nella sua missione di sacerdote. Accolse il dono con grande gioia e la portò nella scuola dove era cappellano. Vide da subito un grande cambiamento nel comportamento dei giovani che fino ad allora, non erano assidui nel frequentare la chiesa e le sue funzioni, ma la cosa fu talmente evidente che tre professori della scuola vennero in Italia per poter capire come fosse possibile che un opera prodotta dalle mani di un essere umano potesse avere tanta potenza di intervento da cambiare il cuore di questi giovani, prima distratti e poi attentissimi all’azione dello Spirito Santo. Il 2 Agosto del ’90 Ugo Festa, 39 anni di Piovene Rocchette, ex operaio della Lanerossi, sposato e padre di due figli, da 11 anni era malato di sclerosi multipla, e da 7 questa malattia lo condannava alla sedia a rotelle senza alcuna speranza di guarigione. Dopo aver peregrinato da un Ospedale all’altro ed aver consultato i miglior specialisti si era rassegnato alla sua sorte capendo che sarebbe stato meglio imparare ad amare la sua carrozzina. Diventa protagonista di una miracolosa ed istantanea guarigione attraverso l’icona della Divina Misericordia che si trovava nella casa di esercizi spirituali Villa “O Santissima”. Fu lì inviato da SS Giovanni Paolo II il quale lo esortò a confidare nell’intercessione di Suor Faustina e nella Divina Misericordia. L’esperienza straordinaria di quest’uomo fu il fatto che vide materializzarsi l’immagine dipinta nell’icona che, conservando la stessa forma, uscì per ben cinque volte con una pazienza tutta divina per convincere quest’uomo a lasciarsi guarire. Ugo vedeva muovere la veste di Gesù e lo vedeva tendere le braccia ed invitarlo ad alzarsi dalla carrozzina. Egli avendo paura faceva resistenza all’azione del Signore, non voleva accettare ciò che stava accadendo. Soltanto nell’ultima uscita Ugo disse: «Signore, lo sai che se non mi alzi tu, io non mi alzerò mai!». Gesù si chinò su di lui, lo prese per i gomiti e lo tirò su, in quell’istante fu totalmente guarito da tutte le sue infermità. Il 29 Agosto si recò nuovamente dal Santo Padre Pag 6 sorretto dalle proprie gambe per informarlo personalmente della grazia ricevuta. Da quel momento Ugo non smise più di pregare e ringraziare Dio, la sua vita cambiò totalmente ed egli rispose generosamente al dono ricevuto cercando di imitare il suo Signore, amando tutti coloro che gli faceva incontrare. Ha assomigliato tanto al suo Signore fino al punto di morire sgozzato come un agnello, proprio da coloro che egli stava aiutando. Moltissimi sono gli interventi del Signore in questi anni, attraverso la contemplazione e per la fede di coloro che lo pregano davanti a questa icona. Il Signore mantiene le sue promesse! Però se è tanta la gioia per i successi del Signore, altrettanto grande è la consapevolezza della nostra miseria, lo stile di Dio è veramente agli antipodi da quello degli uomini! Continua a servirsi sempre dei più deboli ed incapaci secondo il criterio del mondo per realizzare i suoi programmi: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie, oracolo del Signore» (Is 55, 9). Mio marito stava sempre più male ed io stessa necessitavo di interventi chirurgici, ma a me non dovevo neanche pensare! La situazione era veramente grave: eravamo soli, l’unico sostegno per non morire era un’incrollabile fede nella bontà del Signore. Io non potevo lavorare molto perché dovevo assistere mio marito Ottorino ed era una situazione che durava ormai da anni. Quelli che frequentavano la mia casa davano qualche aiuto, quello che potevano, ma la situazione era ormai vicina al collasso! Era la primavera del ’92 quando una mia carissima amica di Venezia, di nome Mariateresa e che non sentivo da molto tempo, mi chiamò per telefono chiedendomi notizie. Quella mattina ero sfinita dopo una nottata di pianto, una flebite resistente a tutte le cure stava mandando in cancrena i piedi di Ottorino, non sapevo cosa fare e lui non voleva andare in ospedale anche perché era rimasto traumatizzato dall’intervento al collo per il carcinoma. Vuotai il sacco con lei e successe un miracolo di amore fraterno: con insistenza volle pensare lei a tutto ed organizzò un appuntamento con uno specialista ad Innsbruck per l’11 Giugno. In una clinica privata prenotò il ricovero per Ottorino e per me. Anche il viaggio in macchina mi fu offerto dal nostro carissimo amico Isidoro, il quale ci aveva aiutato tanto nel passato. Bisogna davvero arrivare fino in fondo se vogliamo vedere la mano tenera del Padre che ci soccorre. Avevo davanti dieci giorni per preparare la partenza, dovevo andare anche a Loreto per portare a benedire alla Santa Casa un’icona della “Sancta Familia” destinata alla Casa del beato Giuseppe Nascimbeni a Castelletto sul Garda. La notte prima della partenza per Loreto fui svegliata verso l’una da una forte voce interiore che disse: «Finché l’icona non va a Medjugorie non finirà la guerra e deve andare processionalmente!» era un comando che non ammetteva repliche, io risposi: «Signore Gesù, se sei tu dimmi come devo fare!». Mi riaddormentai. La mattina dopo, durante il viaggio per Loreto, il Signore mi fece conoscere le persone che dovevano occuparsi del trasporto dell’icona, io dovevo solo telefonare a Trento da Don Renato Tisot per consegnarla! … incredibile!!! Partimmo l’11 Giugno e fummo letteralmente fuori scena, non potevamo comunicare con nessuno. Una settimana dopo ebbi il mio primo intervento chirurgico, quattro giorni dopo fu operato mio marito. Eravamo lì da soli ma non ci mancava nulla e non potevamo essere assistiti meglio! Fu per noi un’esperienza bellissima, vedevamo la mano della provvidenza di Dio che, se anche non toglie la croce, ci da una grande forza per portarla! Arrivò il giorno 23, una telefonata da Ancona mi avvertì che c’erano problemi per il trasporto dell’icona la quale era stata sistemata davanti ad una tenda rossa sul retro di un TIR che andava regolarmente a Medjugorie 2 volte al mese per portare aiuti umanitari in Bosnia. La nave sulla quale doveva viaggiare era stata requisita dal Prefetto di Ancona perché doveva fare un trasporto di aiuti umanitari arrivati dagli Stati Uniti. Era saltato il nostro programma di viaggio! Mi dissero: «Prega il Signore perché siamo bloccati e non sappiamo cosa fare». La sera del 24 una nave Jugoslava partiva dal porto di Ancona carica di giovani provenienti da molti paesi del mondo, che riuniti in gruppi con i loro sacerdoti, andavano a Medjugorie a pregare la Madonna per la pace nella ex Jugoslavia, e l’icona partì! Arrivarono a Spalato la mattina del 25 dove un folto gruppo, arrivati via terra, li stava aspettando. Fu celebrata una Santa Messa dal Vescovo di Spalato Mons. Frane Franic, presente Vicka, alle ore 11 le auto in colonna partirono per Medjugorie. A sportelloni aperti come un altare semovente il TIR apriva il corteo di macchine ed in processione arrivarono a Medjugorie all’ora delle apparizioni, nel giorno dell’undicesimo Pag 7 anniversario. Così l’icona arrivò, quando volle il Signore! Come volle il Signore! Con chi volle il Signore! Quel giorno io avevo subito il secondo intervento chirurgico, ma ero felice! Quella “voce” non era stata una fantasia. Dell’icona non ebbi più notizie. Sei mesi dopo, alla vigilia della Festa dell’Immacolata, mi trovavo a Loreto dov’ero stata invitata ad un incontro con la veggente Vicka e Pierluigi, che sei mesi prima aveva portato l’icona a Medjugorie con il suo TIR. Durante il pranzo dalle Suore Clarisse di Jesi è emerso il problema che mi affliggeva: mio marito che si trovava in Sicilia da nostra figlia per darle una mano d’aiuto, fu colpito da una paralisi causata da cinque metastasi al cervello. La situazione in famiglia era veramente difficile ed era richiesta la mia presenza urgente, però Pierluigi con insistenza continuava a dirmi che dovevo andare a Medjugorie a chiedere la grazia alla Madonna. Data la situazione in famiglia io replicai: «La Madonna conosce benissimo la mia situazione, la grazia la posso chiedere anche da qui!». Ma Pierluigi continuando ad insistere mi mise in mano 500.000 lire poiché non avevo nulla con me per affrontare un viaggio di almeno tre giorni. Tengo a precisare che quando incontrai il Signore, in un certo momento della mia storia e dopo aver percorso molte strade per realizzarmi senza ottenere alcun risultato positivo, decisi di affidargli in totale abbandono la gestione della mia vita. Per capire la sua volontà, come stile di vita ho sempre valutato le decisioni da prendere secondo le opportunità che mi si presentano. In quel momento mi risolsi di far decidere alla mia famiglia se dovevo andare o no a Medjugorie. Mia figlia con un marito, otto figli, di cui l’ultimo da allattare, ed il papà completamente paralizzato erano in una situazione veramente drammatica, ma comunque decisero che dovevo andare. La sera del 7 alle ore 10 mi imbarcai dal porto di Ancona sulla nave che era diretta a Spalato, la cosa che mi colpì fu il fatto che a bordo erano imbarcati i 500 della “Marcia della Pace a Sarajevo”, due Vescovi (uno dei quali era Mons. Tonino Bello vescovo di Molfetta BA), alcuni Sacerdoti ed i ragazzi che andavano a chiedere il dono della pace. Entrai nella cabina che mi era stata ceduta da Pierluigi e mi trovai sola, appena fuori dal porto il mare forza 9 cominciò a far ballare la nave in tutte le direzioni; ondate alte circa 12 metri urtando contro la nave provocavano un rumore assordante. Provai per la prima volta il mal di mare e l’unica cosa che ho potuto fare è stato quello di potermi distendere sulla cuccetta, affidarmi alla Madre di Dio e recitare la coroncina della Divina Misericordia. Dopo qualche ora mi affacciai sul corridoio e vidi tre donne molto sconsolate perché dovevano rimanere in piedi tutta la notte, le invitai nella mia cabina dove c’era una cuccetta libera, una sedia ed un tavolo: potevano sedersi ed io non ero più sola. Alle tre di notte un colpo più forte degli altri ci fece comprendere che era successo qualcosa, infatti si era staccato un TIR che andò a rompere un oblò. La nave incominciò ad imbarcare acqua che arrivò fino alle nostre cabine e quando vedemmo le piastrelle di linoleum staccarsi dal pavimento comprendemmo la gravità della situazione. Le donne dissero: «Non scenderemo da questa nave!», allora mi ricordai che avevo fatto la novena al Sacro Cuore dei primi nove Venerdì del mese e delle promesse in essa contenute, e cioè, non saremmo morti senza il conforto dei sacramenti. In quel momento non c’erano davvero le condizioni, mi sono subito rasserenata perché ho sempre confidato nella fedeltà delle promesse del Signore. Seppi poi che era stato lanciato l’SOS e che era stato risposto che era impossibile portarci aiuto, ne per via aerea ne per via mare, ci consigliavano di approdare in qualche isola, ma ciò era impossibile. Intanto passavano le ore ed erano riusciti, non so come, a tamponare la falla, ma certo la situazione era delle più difficili. Dovevamo arrivare alle 7 del mattino ed invece siamo arrivati alle 18:40 con la nave inclinata quando ormai non ci aspettavano più, poichè ci avevano dato per dispersi: hanno suonato le campane. Di là partimmo per Medjugorie con il camion, ringraziando e lodando Dio perché ha dimostrato con i fatti, come viene ripetutamente detto dalla Regina della Pace: «Con il digiuno e la preghiera si possono vincere le guerre e anche le forze della natura». Arrivammo a destinazione verso le 9 del mattino e di là mi recai subito in chiesa a chiedere alla Madonna la grazia di non farmi ritornare a casa via mare; tanta era stata la fatica di quel viaggio. Non trovai l’icona che era arrivata lì 6 mesi prima e non c’era nessuno a cui chiedere dove fosse. Uscii dalla chiesa, andai alla cappella dell’adorazione della Comunità Cenacolo di Suor Elvira e proprio lì, dietro ad una porta, vidi l’icona ancora nella cassa d’imballaggio. Allora dissi: «Signore, qui ti hanno messo?», ed andai subito alla ricerca del Parroco. Lo trovai, ma ahimè Pag 8 egli era tedesco e non capiva una parola di italiano. Allora chiamarono Padre Petar Ljubicic il quale fece la traduzione simultanea e così potei spiegare la storia dell’icona raccomandando anche di dargli la giusta collocazione. Io da allora non potei più andare a Medjugorie, ma seppi che l’icona era stata sistemata nella cappella del cimitero di Bjacovic e là vi rimase molto tempo. Molti pellegrini andavano al cimitero a visitarla, venni a conoscenza di molte testimonianze di interventi del Signore e seppi anche in seguito che venne costruito un piccolo Santuario nel paesino di Surmaci e ivi collocata dove si trova tutt’ora. Pag 9 Descrizione Perché Gesù ha scelto di manifestarsi attraverso l’icona e non attraverso un immagine naturalistica? L’icona esprime il mistero allo stesso modo dei vangeli, confermando così il valore liturgico dell’arte sacra iconografica. Questa icona, infatti, destinata alla festa dell’ottava di Pasqua, è esattamente contenuta nel capitolo 20 del Vangelo di Giovanni versetto 19-23: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono a vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre a mandato me, anch’io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»”. L’intento di raffigurare in forma iconica, cioè liturgica e simbolica, l’immagine dell’Amore misericordioso di Dio così come fu chiesto dal Signore Gesù a Suor Faustina Kowalska, è perché quest’arte permette di esprimere il Mistero in modo più esplicito e convincente, cosa impossibile attraverso un linguaggio naturalistico. L’Icona porta in se tutta la forza della Tradizione, della preghiera della Chiesa e scaturisce dalla parola di Dio scritta: la Bibbia. E’ pneumatofora, cioè portatrice di Spirito Santo, ed è espressione della fede della Chiesa, non dell’iconografo. E’ per ciò oggetto di culto e non di devozione come nel caso di un interpretazione naturalistica e personale dell’artista. Le porte sbarrate Gesù, come appena ricordato nel passo del Vangelo sopracitato, si presenta a porte chiuse perché Egli con questo gesto dimostra che nessun ostacolo può fermarlo: essendo l’onnidominante fondamento di tutte le cose; ma nella sua imperscrutabile sapienza ha voluto creare un luogo dove Lui stesso non può entrare: questo luogo è il cuore dell’uomo. Egli dice infatti: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con Me.» (Ap. 3,20). Dio cerca l’amicizia dell’uomo, questo Uomo che Egli ha creato libero per potersi rapportare con lui in pari dignità Gesù lo ha chiamato “Amico”. Infatti, la definizione Amico significa “Colui che custodisce il tuo cuore”. Egli ha messo il suo cuore nelle nostre mani, ma noi glielo abbiamo trafitto! Questo, però, non ha scoraggiato il Signore, che continua ad amarci, senza lasciare mai niente di intentato al fine di conquistare la nostra amicizia e fiducia. Nella Sua strategia d’amore ha voluto offrirci, in questi tempi nei quali l’uomo si è allontanato da Lui come non mai, questo strumento di grazia che è l’icona della “Divina Misericordia”, la quale riassume in poche linee e colori il progetto di salvezza preparato fin dall’inizio del mondo. Pag 10 La porta, come simbolo mistico significa passaggio, Pasqua, ed esprime la congiunzione tra l’umano e il divino: l’incarnazione di Dio, il Tempio che è l’uomo-Dio. Ha la forma di un rettangolo, cioè di un quadrato allungato, sormontato da un arco. Ciò rappresenta la terra nei quattro punti cardinali, e l’arco il cielo. La porta è suddivisa in sei tavole per ricordare i giorni della Creazione. Dentro questo rettangolo è disegnato un quadrato dove sono posti i cardini della porta, i quali alludono ai quattro vangeli, che come frecce indicano la figura del Risorto. La loro forma è quella di una spada unita ad una falce, per ricordare la pace di Dio nella parola di Isaia: «Trasformerò le loro spade in vomeri e le lance in falci» e ancora Isaia 11, 5-6 «Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà. Il lupo dimorerà insieme all’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà». Questa è una promessa che si realizzerà alla venuta del Messia in tutti coloro che accoglieranno la sua salvezza. I sacramenti dell’iniziazione cristiana sono rappresentati dai sette chiodi d’oro. Sulla divisione in centro della porta e il lato superiore del quadrato vengono disegnati nove cerchi, i quali stabiliscono la statura del corpo di Gesù. L’unità di misura è data dal cerchio del capo il cui raggio è diviso in tre parti uguali; il primo tratto dà la lunghezza del naso e raccoglie anche gli occhi, il secondo dà la proporzione del capo, il terzo esprime l’irradiazione vitale cioè lo Spirito della vita. La disposizione dei cerchi in forma di croce latina, dice che il corpo dell’Uomo-Dio è il tempio di Dio, poiché «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Inoltre, il nove multiplo del tre, annuncia il “Tre volte Santo”, mentre sull’aureola sono scritte le iniziali in greco del nome che Dio si è dato sull’Oreb a Mosè dal roveto ardente: «Io Sono Colui che Sono». (Esodo 3,14) Sulla croce viene disegnata la figura del Signore risorto, in vesti splendenti, con le mani e i piedi trafitti. La mano destra alzata e benedicente stà sopra la stola. La stola, o clavus, significa “inviato” e realizza il comando di Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato Me così anch’Io mando voi » (Gv. 20,21). La mano sinistra indica il petto dal quale escono due fasci di luce: uno rosso e l’altro pallido. Gesù spiegò a Suor Faustina che i raggi rappresentano il sangue e l’acqua usciti dal suo cuore quando fu trafitto sulla croce, sono stati espressi in numero di sette più sette, numero che significa pienezza. Infine, il colore rosso è l’infinita misericordia del Padre attraverso il dono del sacrificio del Figlio, mentre il colore verde-acqua rappresenta il dono dello Spirito Santo che santifica e dona la vita. Pag 11 Il drappo bianco sul braccio sinistro rappresenta la veste di gloria che il Signore è venuto a riportare all’uomo. Dopo la caduta, Adamo si accorse di essere nudo (Gen. 3, 6-11); aveva perso la gloria e la dignità di figlio; ora Gesù è venuto a ricoprire la sua nudità con la veste bianca del Battesimo. Ricordiamo che la celebrazione della festa della Divina Misericordia è stata voluta dal Signore proprio nell’ottava di Pasqua, la Domenica in Albis, cioè delle vesti bianche. Sappiamo con quanto amore e determinazione il carissimo Giovanni Paolo II, di venerata memoria, ha realizzato questo comando di Gesù. Il Volto del Signore è in posizione frontale, gli occhi guardano direttamente colui che lo contempla e questo sta ad indicare che Egli vuole stabilire un rapporto di amicizia. E’ un invito ad andare da Lui senza paure o diffidenze, pronto ad accoglierlo senza riserve, a dimenticare ogni peccato ed ogni infedeltà dicendo: «Ecco, stò alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con Me.» (Ap. 3,20) I piedi di Gesù stanno sopra una predella bianca quadrata, rappresentante la nuova terra: la Gerusalemme celeste, nella quale Egli è già entrato e dove è andato a prepararci un posto. Il bordo scuro rappresenta il tempo che stiamo vivendo nel buio della fede sul quale sono state scritte la parole volute dal Signore: «Gesù confido in Te !», e in aramaico le prime parole pronunciate verso i discepoli sgomenti e spaventati: « La mia pace a voi», (Slom ol kul kum). Il tappeto verde, dove poggia la predella, rappresenta le promesse della nuova creazione e l’oro dello sfondo simboleggia che questo progetto di salvezza per l’uomo era stabilito fin dall’eternità. Il bordo rosso, raffigurato qui a destra, che circonda l’icona indica il sangue di Cristo versato per tutti gli uomini, mentre quello scuro allude a coloro che vivono nelle tenebre e nell’ombra della morte. Il colore nero che circonda tutta la figura di Gesù è per indicare la divina tenebra, cioè l’inaccessibilità di Dio che però si è resa accessibile attraverso la misericordia e il dono dello Spirito Santo: il Mistero di Dio che si rivela senza esaurirsi mai. Si nota che in ogni icona sono riportate le iniziali in Greco del nome di Colui che è raffigurato: “Iesus Kristos”, e lo rende presente. Per questo l’Icona è anche un luogo di Presenza. Normalmente il titolo del tema sviluppato nell’icona viene scritto per esteso e per questo diventa profezia visiva. E’ un’invocazione ed un’evocazione, guardando questa icona invochiamo su di noi la “Divina Misericordia” e il perdono dei peccati come promesso dal Signore attraverso Santa Faustina Kowalska. Le icone non si firmano perché è arte ispirata, l’iconografo, o agiografo, è semplicemente un esecutore poiché il vero iconografo è lo Spirito Santo. Lia Galdiolo Pag 12 Israele è la Parola di Dio ATTESA La Vergine Maria è la Parola di Dio Dio ACCOLTA Gesù Gesù è la Parola di Dio INCARNATA La Bibbia è la Parola di Dio SCRITTA L’Icona è la Parola di Dio DIPINTA La liturgia nella Chiesa e’ la Parola di Dio CELEBRATA Il Popolo è la Parola di Dio VISSUTA I Santi sono la Parola di Dio GLORIFICATA Pag 13 Preghiera dell’iconografo Padre Santo, creatore e Signore di tutte le cose, ti rendiamo grazie per l’infinita misericordia che hai voluto riversare su di noi per mezzo di Gesù Cristo, redentore e salvatore delle nostre anime. A te Padre buono con tutto l’amore che il nostro cuore e capace di darti offriamo le nostre mani per servirti con gratitudine, sollecitudine e perseveranza per il dono sublime che ci hai dato di poter esprimere attraverso la scrittura e la pittura delle Sante Icone, i tratti del Tuo dolcissimo Figlio Gesù. Effondi su di noi, o Dio, il tuo Santo Spirito, affinché il dono che ci hai affidato noi possiamo viverlo con esultante lode, gioiosa umiltà ed eseguirlo con abilità e competenza, consapevoli che ogni cosa ci viene da Te e che il frutto del nostro lavoro Ti renda gloria ed onore. Santissimo Signore nostro ti preghiamo ora per noi e per tutti coloro che contempleranno queste Sante Icone, affinché possiamo essere condotti attraverso la meditazione dei Santi Misteri qui rappresentati a desiderare di amare Te prima e al di sopra di ogni altra creatura o cosa; a gustare la gioia del tuo perdono, la liberazione da ogni male, la guarigione del corpo e dello spirito, l’esperienza della totale fiducia nell’abbandono in te e il gusto dell’amicizia con Te. Si realizzi in noi e tra di noi, o Signore, la Comunione dei Santi in cielo e sulla terra. Cada dal nostro cuore ogni superbia, incredulità, idolatria, vanagloria, ogni gelosia, odio, invidia, risentimento, ogni diffidenza, tristezza, tiepidezza, ogni avidità, egoismo, soggettivismo, ogni calcolo, stanchezza, incostanza, scoraggiamento, insofferenza, ogni antipatia, indifferenza, impazienza, pigrizia, ogni paura, violenza, impurità, spirito di contesa, ogni giudizio e critica malevola. Per questi peccati ti chiediamo umilmente perdono e guarigione. Rendici, o Signore, sempre più simili al modello che abbiamo davanti ai nostri occhi. Te lo chiediamo per l’intercessione della Beata e Tutta Santa Vergine Maria, di S. Luca, di S. Andreij Rublëv, del Beato Angelico, di Tutti i Santi iconografi che ci hanno preceduto nella fede e di tutti gli Angeli benedetti che ti servono con fedeltà. Ti preghiamo, o Padre, di riunire sotto l’unico Pastore la Chiesa del tuo Figlio, nella quale e per la quale vogliamo vivere e morire. Togli ogni divisione, orgoglio, fraintendimento, ostinazione, presunzione, ipocrisia, insipienza, che sono causa di lacerazione e dolori per Te e per tutti i Tuoi figli. Venga il Tuo Regno, Signore! Amen Pag 14