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Mons. Aldo di Cillo Pagotto, SSS
Mons. Robert F. Vasa
Mons. Athanasius Schneider
Opzione preferenziale per
LA FAMIGLIA
Cento domande e cento risposte
intorno al Sinodo
Prefazione del Cardinale Jorge A. Medina Estévez
Edizioni Supplica Filiale
Mons. Aldo di Cillo Pagotto, SSS
ARCIVESCOVO DI PARAÍBA, BRASILE
Mons. Robert F. Vasa
VESCOVO DI SANTA ROSA, CALIFORNIA
Mons. Athanasius Schneider
VESCOVO AUSILIARE DI ASTANA, KAZAKHSTAN
Opzione preferenziale
per la famiglia
Cento domande e cento risposte intorno al Sinodo
Prefazione del Cardinale Jorge A. Medina Estévez
Edizioni Supplica Filiale
© 2015 Supplica Filiale
Via Nizza 110 – 00198 Roma, Italia
www.supplicafiliale.org
Email: segreteria.supplicafi[email protected]
Edizione fuori commercio. Distribuzione gratuita.
Copertina: Julius Schnorr von Carolsfeld (1794-1872),
Fuga in Egitto (particolare), 1828, Museo Kunstpalast, Düsseldorf.
Illustrazione pagina 3: Gustave Doré (1832-1883),
Mosé scende dal Monte Sinai con le Tavole della Legge (particolare).
Illustrazione pagina 62: Giuseppe Riva (1834-1916),
La Sacra Famiglia (1889) - Mission Santa Clara de Asís, Santa Clara, California, USA
Foto: Eugene Zelenko, Wikimedia Commons.
Indice
Prefazione .....................................................................................7
Premessa .......................................................................................9
I.
Il Sinodo dei vescovi e la sua autorità .............................. 11
II.
La preparazione del Sinodo sulla famiglia del 2014 ........ 13
III.
La Chiesa e la famiglia ..................................................... 16
IV.
La Rivoluzione sessuale ................................................... 20
V.
L’impostazione del Sinodo 2014:
il rapporto Chiesa-Mondo ................................................ 23
VI. Dottrina morale e prassi pastorale .................................... 26
VII. Coscienza personale e Magistero ..................................... 31
VIII. Matrimonio e famiglia ...................................................... 33
Matrimonio: natura, finalità e caratteristiche ................ 33
Adulterio ........................................................................... 39
Divorzio, separazione, dichiarazione di nullità .............. 40
IX. La Comunione per i separati, divorziati
e divorziati-risposati ......................................................... 43
X.
Omosessualità e unioni omosessuali ................................ 48
XI. Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale ...................... 51
Le parole-talismani ..........................................................
L’ «approfondimento» ......................................................
Le «persone ferite» ...........................................................
La «misericordia» ............................................................
51
52
53
54
XII. Applicazioni della misericordia
alla situazione familiare ................................................... 57
XIII. Il ruolo della grazia soprannaturale
nell’impegno per la castità familiare ..................................59
Prefazione
Sembra una valutazione oggettivamente vera dire che la famiglia stia attraversando una crisi grave e profonda. Davanti a questa
realtà non sarebbe saggio un atteggiamento che la ignori o la minimizzi: va presa in considerazione, si devono misurare le sue dimensioni e la sua magnitudine ed è necessario individuare i mezzi
per superarla. A ciò mira il volume «Opzione preferenziale per la
Famiglia» che ora presento.
La crisi della famiglia non è l’unica che affligge il mondo
odierno. Ce ne sono altre e non di rado esistono fra di esse relazioni e reciproci condizionamenti. Pensiamo, ad esempio, all’uso
della falsità in tutte le sue forme come risorsa legittima per affrontare situazioni complesse; alla proliferazione di condotte egoiste;
ai dislivelli scandalosi fra chi gode di uno smisurato e persino lussuoso benessere e la moltitudine di coloro che sono privi dello
stretto necessario; alla mostruosa espansione del narcotraffico e
della tossicodipendenza e a altri fatti che minacciano le radici della convivenza umana.
Ci sono quelli che credono che la soluzione di questi problemi
risieda principalmente nella moltiplicazione delle leggi e dei controlli. Senza negare la reale importanza di tali risorse sociali, un
cristiano dovrebbe ricordare le parole di Gesù: «Dal cuore, infatti,
provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie. Queste sono le
cose che rendono immondo l’uomo» (Mt 15, 19s, cf. anche Mc 7, 21-23).
Dunque, è capitale la conversione del cuore, senza la quale gli strumenti esterni avranno soltanto una efficacia effimera e limitata.
Orbene la conversione del cuore presuppone una radicale purificazione del pensiero, come avverte san Paolo: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro
modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12, 2). Molte realtà di questo
mondo portano l’impronta del Maligno (cf. 1 Gv 5, 19), di colui che
Gesù chiama «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8, 44), e
quella impronta si manifesta preferenzialmente in forma di errori
con apparenza di verità, che falsano le opzioni per ciò che è il vero
bene dell’essere umano.
–7–
Naturalmente, la conversione del cuore postula, nel campo della famiglia, una viva coscienza nei confronti della sua natura come
immagine dell’amore sponsale di Dio per il suo popolo e di Cristo
per la sua Chiesa. La famiglia cristiana nasce da un vincolo sacramentale, da una effusione della grazia e, per ciò stesso, da una
vocazione alla santità di coloro che sono stati chiamati a vivere la
fede nello stato matrimoniale e nelle responsabilità parentali, le
quali non si limitano al benessere temporale, bensì devono proiettarsi necessariamente nell’ambito della grazia durante il pellegrinaggio terreno, per sfociare gioiosamente nel destino di gloria e
beatitudine al quale ci chiama la nostra vocazione battesimale.
La famiglia cristiana è, per sua natura stessa, una realtà religiosa e lo è sostanzialmente; non solo come un qualificativo accidentale che può, indifferentemente, essere o non essere presente. Per
gli sposi cristiani vale, come per ogni discepolo di Cristo, l’affermazione programmatica di san Paolo: «se noi viviamo, viviamo
per il Signore» (Rm 14, 8). E ciò in ogni circostanza, senza che
si possa scappare dalla gaudiosa conseguenza di aver ricevuto la
consacrazione battesimale, e di viverla, coloro che sono sposati,
nella «chiesa domestica» del focolare. Onde la responsabilità dell’annuncio della fede ai figli da parte dei genitori e, anche, della
preghiera quotidiana in famiglia, davanti all’altare o all’immagine
che presiede l’abitazione.
I membri della famiglia, come tutti i cristiani, possono sperimentare debolezze e persino commettere peccati. In quei casi
è aperta per loro la possibilità di trovare accoglienza nella infinita e paterna misericordia di Dio che li invita alla conversione
attraverso un sincero pentimento che è secondo l’insegnamento
del Concilio di Trento «il dolore dell’animo e la riprovazione del
peccato, accompagnati dal proposito di non peccare più in avvenire» (cf. Denz 1676).
Cardinale Jorge A. Medina Estévez
–8–
Premessa
Che cos’è questo libretto?
E’ un vademecum, elaborato usando il metodo delle domande
e risposte, in cui vengono riassunti in modo chiaro e semplice alcuni temi particolarmente in vista sulla dottrina della Chiesa nei
confronti del matrimonio e della famiglia.
Esso si propone di affrontare questioni spinose ma fondamentali sulla famiglia nel mondo contemporaneo, non solo tra quelle
poste nel Sinodo straordinario dei vescovi tenutosi l’anno scorso
ma anche nel dibattito che ormai dilaga fra intellettuali, giornalisti
e opinionisti, sia credenti che miscredenti, i quali vorrebbero che
la loro visione delle cose sia seguita dalla Chiesa cattolica. Molte
di queste tematiche presumibilmente riemergeranno nel prossimo
Sinodo ed è comunque sicuro che la loro trattazione non si arresterà in quel vasto ambito che oggi forse più immediatamente colpisce e modella l’opinione pubblica: i mass media, la blogosfera e i
social network.
Che portata ha questo studio?
Il tema della famiglia è amplissimo, ma le dimensioni di questo volumetto sono necessariamente limitate. Vorremmo tanto approfondire l’enorme ricchezza che quel tema offre alla pastorale
della Chiesa, segnalando argomenti quali: il matrimonio come
status ecclesiale; la famiglia come piccola Chiesa domestica; la
vocazione alla santità nel matrimonio; la preghiera in famiglia; i
genitori come primi annunciatori dell’Evangelo tra loro e ai figli.
Su di ognuno di essi si potrebbe fare un’opera a parte, che sarebbe molto utile alla evangelizzazione della famiglia. Ci auguriamo
vivamente che questi argomenti siano presi in considerazione nel
Sinodo del 2015.
–9–
Premessa
Ma le esigenze pastorali del momento richiedono anche che si
faccia chiarezza su punti cruciali e delicati diventati oggetto del
dibattito sinodale, che sono stati parzialmente travisati dalla interpretazione di alcune scuole teologiche e soprattutto dalla massiccia propaganda massmediatica che le ha supportate. Ci sembra
pertanto opportuno ribadire alcune verità dottrinali fondamentali
e alcune esigenze pastorali irrinunciabili sul problema della famiglia, la cui situazione reale è ben diversa da quella che si vuol far
apparire.
A chi si rivolge questo volumetto?
Si rivolge innanzitutto ai vescovi, ai presbiteri, ai religiosi,
ai catechisti, ai fedeli che occupano posti di responsabilità nella
Chiesa, ma anche a quei laici che sono preoccupati per i crescenti
problemi della famiglia e intendono contrastare la martellante offensiva antifamiliare propagandata da potenti mass media, trovando nel volumetto una sorta di manuale di orientamento.
– 10 –
«Gli uomini si rifiutano di fare ciò che è prescritto dalla parola di Dio. Anzi, essi considerano nemica la parola
divina stessa, per il solo fatto che comanda. Poiché io ripeto questa parola, temo che anch’io sarò considerato un
nemico da alcuni. Ma dopo tutto, che me ne importa? Quel
Dio che mi rende forte mi spinge a parlare e a non temere
le proteste degli uomini. Che lo vogliano o no, io parlerò!»
S. Agostino d’Ippona, Sermone IX (sul matrimonio), n. 3.
–I–
Il Sinodo dei vescovi
e la sua autorità
01
DOMANDA: Che cosa è un Sinodo dei vescovi?
RISPOSTA:
Il Sinodo dei vescovi è una istituzione permanente della Chiesa
cattolica, istituita da Papa Paolo VI col Motu proprio Apostolica sollicitudo (15 settembre 1965), allo scopo di aiutare con i suoi consigli
il Papa nel governo della Chiesa universale, in modo da attuare la
maggiore «collegialità» prevista dal Concilio Vaticano II. Il Sinodo
è convocato dal Papa e si riunisce in tre forme: assemblea generale
ordinaria, assemblea generale straordinaria e assemblea speciale.
02
DOMANDA:
Le conclusioni del Sinodo dei vescovi hanno valore di
Magistero e sono, dunque, vincolanti per i fedeli?
RISPOSTA:
Il Sinodo è un’assemblea solo consultiva che non ha valore di
Magistero. Quanto alla sua potestà deliberativa, essa la riceve solo
se e quando gliela concede il Papa, come qualsiasi altra assemblea.
Tuttavia, di norma, il Papa prende spunto dalle conclusioni del Sinodo per pubblicare una Esortazione apostolica post-sinodale, che
propone a tutta la Chiesa le valutazioni svolte dal Sinodo.
03
DOMANDA:
Può il Sinodo dei vescovi cambiare la dottrina della
Chiesa in punti dottrinali di fede o di morale?
RISPOSTA:
Né il Sinodo dei vescovi, né nessuna altra istanza ecclesiale, ha
autorità per cambiare la dottrina della Chiesa.
– 11 –
Il Sinodo dei vescovi e la sua autorità
«Della Legge morale, sia naturale che evangelica, la Chiesa
non è stata l’autrice, quindi non può esserne l’arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete, senza mai poter dichiarare lecito quel
che non lo è per sua intima e immutabile opposizione al vero bene
dell’uomo» (b. Paolo VI, Humanae vitae, 25-7-1968, n. 18).
«Una dottrina durata per secoli e riaffermata costantemente
dalla Chiesa, non può essere cambiata senza rischiare la credibilità della Chiesa» (card. Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i
Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza, Prolusione al Tribunale Ecclesiastico Regionale Umbro, 8-1-2015, p. 24).
04
DOMANDA: Se non il Sinodo, almeno il Papa può cambiare la dottri-
na della Chiesa in punti fondamentali di teologia morale, come ad esempio il matrimonio sacramentale?
RISPOSTA:
Molti punti fondamentali di teologia morale, come ad esempio
la dottrina sul matrimonio sacramentale, sono di autorità divina
diretta e quindi non possono essere modificati da nessuna autorità
ecclesiastica, nemmeno dal Sommo Pontefice.
«Emerge quindi con chiarezza che la non estensione della potestà del Romano Pontefice ai matrimoni sacramentali rati e consumati è insegnata dal Magistero della Chiesa come dottrina da
tenersi definitivamente» (s. Giovanni Paolo II, discorso del 21-1-2000 al
I
Tribunale della Rota Romana).
05
DOMANDA: Se non la dottrina, almeno la disciplina della Chiesa in
materia di matrimonio e di famiglia può essere cambiata dal Sinodo?
RISPOSTA:
Il Sinodo non ha l’autorità per cambiare la disciplina della
Chiesa in materia di matrimonio e di famiglia. Solo il Romano
Pontefice può farlo, e comunque sempre in coerenza con la Verità
rivelata e per la salvezza delle anime.
«La disciplina non si può tenere come realtà semplicemente
umana e cambiabile, ma ha un significato molto più ampio. La
disciplina comprende anche la Legge divina, come i Comandamenti, che non sono soggetti a cambiamento, pur non essendo direttamente di natura dottrinale; lo stesso si dica di tutte le norme
di diritto divino. La disciplina spesso comprende tutto ciò che il
cristiano deve ritenere come impegno della sua vita per essere un
discepolo fedele di Nostro Signore Gesù Cristo» (card. Velasio De
Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti dell’Eucaristia e della Penitenza,
Prolusione cit., p. 29).
– 12 –
06
DOMANDA: Comunque sia, alcuni sostengono che non si convoca-
no ben due Sinodi sulla famiglia per ribadire l’esistente.
Siamo dunque alla vigilia di una «svolta pastorale»?
RISPOSTA:
Se è vero che non si convoca un Sinodo solo per ribadire una
dottrina, non lo si può convocare nemmeno per indebolirla. Anzi,
si deve evitare che certe forze si azzardino a fare proposte pastorali che la contraddicono o avallino un linguaggio ambiguo che
nasconda i veri problemi e le rette soluzioni.
– II –
La preparazione del Sinodo
sulla famiglia del 2014
07
DOMANDA:
Come nacque il progetto del Sinodo dei Vescovi sulla
famiglia?
RISPOSTA:
L’11 maggio 2013, il Pontificium Consilium pro Familia pubblicò il «Documento Preparatorio» riguardante la III Assemblea
Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, sull’argomento
Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, che si sarebbe svolta in Vaticano dal 5 al 19 ottobre 2014.
Quest’Assemblea Straordinaria, per volontà del Papa doveva preparare quella Ordinaria, da tenersi in Vaticano dal 4 al 25 ottobre
2015. Si tratta, dunque, di un Sinodo sulla famiglia diviso in due
fasi a distanza di un anno.
08
DOMANDA: Qual è stata l’idea originaria del Sinodo?
RISPOSTA:
Gli organizzatori del Sinodo hanno voluto assumere una visione concreta della situazione della famiglia nella società moderna,
per avviare una nuova riflessione teologica e pastorale.
La Relatio Synodi, ossia il documento conclusivo del Sinodo
2014, afferma l’importanza dell’ «ascolto, per guardare alla realtà della famiglia oggi, nella complessità delle sue luci e delle sue
ombre» (Relatio Synodi, Introduzione n.4).
09
DOMANDA: In cosa è consistito questo «ascolto»?
RISPOSTA:
Per conoscere la situazione concreta della famiglia nella società moderna e ascoltarne le esigenze, prima del Sinodo 2014 è stato
– 13 –
La preparazione del Sinodo sulla famiglia del 2014
elaborato un Questionario, poi annesso al Documento preparatorio, che è stato inviato ai vescovi e a molte organizzazioni cattoliche di tutto il mondo, con lo scopo di raccogliere suggestioni
formulate dal «popolo di Dio».
10
DOMANDA: Tale
Questionario è stato formulato in modo da ottenere un panorama fedele e completo della situazione
attuale della famiglia?
RISPOSTA:
Come vedremo più avanti, autorevoli studiosi hanno manifestato numerose perplessità sul Questionario, dimostrando che in
esso molte realtà e problemi, anche importanti, sono stati esclusi, e
di altri ne è stata presentata una versione parziale o esagerata. Tuttavia si vede nei Lineamenta e nel nuovo Questionario fatti per il
Sinodo del 2015 un ridimensionamento di tematiche più spinose,
anche se non si può escludere che riemergano a sorpresa come già
accaduto nel Sinodo del 2014.
II
11
DOMANDA: Questo vuol dire che le domande del Questionario per
il Sinodo 2014 non riflettevano i veri e decisivi problemi della famiglia?
RISPOSTA:
Alcune domande del Questionario pel il Sinodo 2014 sembravano formulate in modo da ricevere un certo tipo di risposte che
presentassero una visione parziale della realtà. Difatti, secondo le
informazioni divulgate dai media, molte risposte giunte al Sinodo,
soprattutto da certi Paesi europei, avevano dato preminenza alle
questioni marginali su quelle centrali, a quelle emotive su quelle dottrinali, alle situazioni patologiche su quelle normali. In sostanza, l’immagine di famiglia uscita dalle risposte sembrava non
tanto quella reale quanto quella propagandata da una certa cultura
secolarista tramite i mass-media.
Per contro, «le famiglie che realizzano nella comunione domestica la loro vocazione di vita umana e cristiana, sono tante
in ogni nazione, diocesi e parrocchia! Si può ragionevolmente
pensare che esse costituiscano “la norma”» (s. Giovanni Paolo II,
Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, del 2-2-1994, n.5).
12
DOMANDA: Può farmi un esempio al riguardo?
RISPOSTA:
Un esempio di parzialità è la terza parte della Relatio Synodi
intitolata Il confronto: prospettive pastorali. Essa individua vari
tipi di coppie al fine di elaborare una pastorale specifica. Basato
– 14 –
sul conteggio delle parole presenti, ecco la percentuale di attenzione data dal documento a ognuna delle seguenti categorie:
Fidanzati: 7%
Sposati: 7%
Conviventi o sposati civilmente: 17%
Divorziati/risposati: 61%
Omosessuali: 7%
«L’ampia problematica che il tema [della famiglia] racchiude,
di fatto viene quasi sintetizzata in una questione, per quanto importante, piuttosto marginale e comunque secondaria – l’accesso
all’Eucaristia da parte dei divorziati – quando le questioni più rilevanti dovrebbero essere quelle che stanno a monte: ossia perché
esiste una difficoltà per tali persone ad accedere all’Eucaristia,
ossia il senso del matrimonio cristiano e le sue peculiarità» (card.
Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti dell’Eucaristia e della
Penitenza, Prolusione cit., pag. 7).
Secondo quanto riferisce il card. de Paolis nella sua citata prolusione, il card. Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, avrebbe
persino detto alla stampa che i vescovi, pur essendo stati chiamati
a parlare di matrimonio si sono trovati invece nella situazione di
dover discutere sui divorziati risposati.
13
DOMANDA:
Quali sarebbero allora le famiglie oggi in difficoltà e
meritevoli di soccorso e di tutela?
RISPOSTA:
Molte categorie familiari si trovano oggi ad affrontare problemi reali e gravi. Pensiamo ad esempio alle famiglie che si trovano
ad affrontare le sfide che attentano alla loro integrità morale o all’educazione cristiana dei figli (p. es., l’indottrinamento sul cosiddetto gender nelle scuole); alle famiglie numerose che non ricevono appoggio sufficiente dalla comunità o dallo Stato (e, qualche
volta, neppure dai loro pastori). Oppure alle famiglie in difficoltà
economica o psicologica, come quelle monoparentali, nelle quali
il padre o la madre rimasti soli non riescono a mantenersi oppure
sono stati allontanati dai loro figli; pensiamo alle famiglie con figli
disabili o drogati, a quelle lacerate da conflitti o scandali, a quelle
sradicate dal loro ambiente, a quelle perseguitate a causa della loro
fede, a quelle ingiustamente discriminate ed esiliate per motivi politici (cf. s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 77).
Queste sono le famiglie in vera difficoltà che meriterebbero
l’attenzione preferenziale del Sinodo. Inoltre «è doveroso ricono– 15 –
scere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della
speranza cristiane non sono passati a una nuova unione. (…) Per
tale motivo, essi devono essere incoraggiati dai pastori e dai fedeli della Chiesa» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 20).
La Chiesa e la famiglia
14
DOMANDA: Quali
sono le parole più usate nel Questionario e nei
testi sinodali?
RISPOSTA:
Dopo ovviamente la parola famiglia, quelle più usate sono vita,
amore, pastorale, misericordia, affettività, donna. La parola dottrina ricorre solo 3 volte e in contesti marginali; le parole morale, virtù, fedeltà e castità suonano una sola volta. Parole importanti per la
questione familiare, come fidanzamento, adulterio, contraccezione,
aborto, sono del tutto assenti (cf. Enrico Cattaneo, Non solo famiglia. Ecco
le parole chiave del Sinodo, su La Nuova Bussola Quotidiana, 3-2-2015).
III
– III –
La Chiesa e la famiglia
15
DOMANDA: In
passato, più volte un Sinodo si è occupato in modo
specifico della famiglia. Perché deve tornare oggi ad
occuparsene?
RISPOSTA:
Perché la famiglia coinvolge in maniera profonda la realtà personale, sociale e storica dell’uomo; inoltre, la famiglia è non solo
la cellula-madre della società e il «santuario della vita», ma è anche e soprattutto la «chiesa domestica» (Lumen gentium, n. 11).
Specialmente oggi la famiglia viene sottoposta a un processo
che rischia di mutarne non solo le condizioni vitali, ma anche il
patrimonio genetico, come ammoniscono numerosi sociologi (cf.
ad esempio Pierpaolo Donati, Famiglia: il genoma che fa vivere la società,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2013, cap. VI). Per evitare questo peri-
colo, la Chiesa ha compiuto molti sforzi insegnando e istituendo
centri di studio; ma gli osservatori più disincantati ammettono che
«sono ormai decenni che parliamo della “nuova evangelizzazione”; ma i risultati sono piuttosto scarsi. (…) La domanda urgente
che dobbiamo porci è la seguente: che cosa manca ai nostri sforzi
per evangelizzare e annunciare Gesù Cristo? Quale strada percorrere?» (card. Velasio De Paolis, I divorziati risposati e i Sacramenti
dell’Eucaristia e della Penitenza, Prolusione cit., pp. 5 e 29).
– 16 –
«La salvezza della persona e della società cristiana è strettamente connessa a una felice situazione della comunità coniugale
e familiare» (Gaudium et spes, n. 47).
«La futura evangelizzazione dipende in gran parte dalla famiglia come “chiesa domestica”. (…) Laddove una legislazione
antireligiosa pretende d’impedire perfino l’educazione alla fede,
laddove una diffusa miscredenza o un invadente secolarismo rendono praticamente impossibile una vera crescita religiosa, quella
che possiamo chiamare “chiesa domestica” resta l’unico ambiente in cui i fanciulli e giovani possono ricevere un’autentica catechesi» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 52).
16
DOMANDA: Esiste
un rapporto tra la crisi della famiglia e le leggi
oggi in vigore in tutto il mondo?
RISPOSTA:
Come dice un noto motto giuridico, «la legge di oggi diventerà il costume di domani»; ossia, ciò che lo Stato stabilisce come
legittimo, alla lunga l’opinione pubblica lo accetterà come lecito.
Ad esempio, le leggi statali divorziste creano una tendenza che
influenza la mentalità dei fedeli contro la stabilità e indissolubilità
del matrimonio. Per evitare che il matrimonio naturale o sacramentale scompaia, dunque, è necessario che i cattolici contrastino
la mentalità divorzista diffusa dalle leggi civili.
Profeticamente il Papa Leone XIII così si espresse in occasione
dell’approvazione legislativa del divorzio:
«Ora, quanta occasione di mali contengano in sé stessi i divorzi, è appena il caso di ricordarlo. Per essi infatti si rendono
mutabili le nozze; si diminuisce la mutua benevolenza; si danno
pericolosi eccitamenti alla infedeltà; si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli; si offre occasione allo scioglimento
delle comunità domestiche; si diffondono i semi delle discordie
tra le famiglie; si diminuisce e si abbassa la dignità delle donne,
le quali, dopo aver servito alla libidine degli uomini, corrono il
rischio di rimanere abbandonate. [...]
E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che
non vi sarà mai alcun freno tanto potente che valga a contenere
la licenza entro certi e prestabiliti confini, una volta che sia stata
concessa la facoltà dei divorzi. È grande la forza degli esempi;
maggiore quella delle passioni. Per tali eccitamenti avverrà certamente che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più
largamente, invaderà l’animo di moltissimi, simile a morbo che si
sparge per contagio, o come torrente che, rotti gli argini, trabocca»
(Papa Leone XIII, Arcanum divinae sapientiae, del 10-2-1880, n.156, 158).
– 17 –
La Chiesa e la famiglia
Infatti, 135 anni dopo, il prof. Stephan Kampowski, docente
nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio
e Famiglia, non fa che constatare: «La mera esistenza dell’istituto
giuridico del divorzio ha contribuito molto alla diffusione di questo atteggiamento. Il diritto ha un effetto educativo. Il solo fatto
che nella società secolare esista una legislazione sul divorzio, indica (…) che il matrimonio non sia inteso per durare, ma che si
tratti piuttosto di un accordo temporaneo» (J.J. Pérez-Soba e S. Kampowski, Il vangelo della famiglia nel dibattito sinodale, Cantagalli, Siena
2014, pp. 122-123).
«Una famiglia sfasciata può, a sua volta, rafforzare una specifica forma di “anti-civiltà”, distruggendo l’amore nei vari ambiti
del suo esprimersi, con inevitabili ripercussioni sull’insieme della
vita sociale» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, 2-2-1994, n. 13).
III
17
DOMANDA: Al di là delle leggi, esistono fattori che hanno provoca-
to o favorito la crisi della Famiglia?
RISPOSTA:
La crisi della famiglia è conseguenza di un processo di degradazione culturale e morale; non di rado accentuata dalla mancanza
di una vita di preghiera al suo interno.
Egoismo, lussuria, adulterio, divorzio, aborto, contraccezione,
fecondazione artificiale, (dis)educazione sessuale, crisi dell’autorità genitoriale, rinuncia educativa, per non parlare della pornografia e della droga: tutti questi fattori hanno favorito il crescente
degrado della situazione familiare. Questa situazione però non è
conseguenza di una inevitabile e inarrestabile evoluzione storica, ma è causata da una profonda sovversione morale e culturale
alimentata dalla rivoluzione sessuale esplosa col ’68, all’insegna
dell’ «io sono mio» e del «proibito proibire», cioè di una libertà
individuale senza regole né limiti.
18
DOMANDA: Questi
fattori degradanti sono isolati, ciascuno con
una sua propria spiegazione? Oppure sono uniti da un
processo di causa-effetto?
RISPOSTA:
La storia recente dimostra che i fattori meno gravi hanno preparato l’avvento di quelli più gravi; essi quindi non vanno considerati isolatamente, ma come fasi di un unico processo disgregatore,
gradini di una scala in discesa che porta alla rovina della famiglia.
Di conseguenza, ogni cedimento a un fattore disgregatore non è
una barriera per evitare il peggio, ma è un ponte per scivolarci
– 18 –
dentro; ad esempio, l’accettare il divorzio non ha impedito l’accettare le unioni civili, anzi lo ha preparato.
«Non tutti i fautori di queste nuove massime giungono alle ultime conseguenze della sfrenata libidine; vi sono alcuni che, sforzandosi di arrestarsi come in mezzo alla china, vorrebbero fare
qualche concessione ai tempi nostri, solamente su alcuni precetti
della legge divina e naturale. Ma costoro non sono altro che mandatari, più o meno consapevoli, di quel pericolosissimo nemico
che sempre si sforza di seminare zizzania in mezzo al frumento»
(Papa Pio XI, enc. Casti Connubii, 31-12-1930).
19
DOMANDA: Non conviene forse, come si è detto nel Sinodo, eviden-
ziare «la necessità di una evangelizzazione che denunzi
con franchezza i fattori culturali, sociali ed economici»
che indeboliscono la famiglia (Relatio post disceptationem, n. 33)?
RISPOSTA:
Senza trascurare i problemi economici e sociali, la crisi della
famiglia ha soprattutto radici religiose e morali.
Sia nell’analisi della situazione che nella scelta delle soluzioni,
bisogna stare attenti a non sostituire il criterio dottrinale-morale
con uno empirico, ad esempio quello sociologico, che può falsificare la programmazione pastorale, dando l’illusione che una riforma socio-economica possa risolvere la crisi della famiglia.
20
DOMANDA: Nella
Relatio post disceptationem del Sinodo si può
leggere: «Le unioni di fatto sono molto numerose, non
per motivo del rigetto dei valori cristiani sulla famiglia e
sul matrimonio, ma soprattutto per il fatto che sposarsi
è un lusso, cosicché la miseria materiale spinge a vivere
in unioni di fatto» (n. 38). Ciò non conferma forse la responsabilità delle condizioni economiche nell’attuale
crisi familiare?
RISPOSTA:
In realtà, il fenomeno delle convivenze è iniziato proprio in ambienti ricchi e acculturati, la cui impostazione ideologica progressista
li ha spinti a rifiutare il matrimonio come «usanza piccolo borghese».
Le origini delle «coppie di fatto» quindi hanno una matrice non tanto
economica quanto ideologica, consistente nel rifiuto della famiglia
intesa come focolare tradizionale. Questo rifiuto, propagandato dai
mass media, col tempo, è diventato un fenomeno sociale dilagante.
«I tempi in cui viviamo manifestano la tendenza a restringere
il nucleo familiare entro l’ambito di due generazioni. Ciò avviene
– 19 –
spesso per la ristrettezza delle abitazioni disponibili. Non di rado,
però, ciò è dovuto anche alla convinzione che più generazioni siano di ostacolo all’intimità e rendano la vita troppo difficile» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle famiglie, del 2-2-1994, n. 10).
21
DOMANDA: Allora, la crisi della famiglia sarebbe causata da fattori
La Rivoluzione sessuale
non tanto sociologici quanto psicologici, cioè, causati
dalla «fragilità affettiva narcisistica, instabile e mutevole, che non aiuta sempre i soggetti a raggiungere una
maggiore maturità» (Relatio Synodi, n. 10)?
RISPOSTA:
I fattori psicologici anomali sopra descritti non sono tanto causa quanto sintomi della crisi familiare. La loro cura presuppone
una retta concezione dell’uomo, della sua vita spirituale, del suo
destino soprannaturale. Senza rinunciare a usare fattori naturali,
la soluzione pastorale della crisi attuale deve poggiare anzitutto
sulle verità di fede e sulla pratica delle virtù soprannaturali, come
vedremo più avanti.
IV
– IV –
La Rivoluzione sessuale
22
DOMANDA: Secondo
alcuni padri sinodali, gli sviluppi storici recenti hanno favorito un cambiamento antropologicoculturale che oggi influenza tutti gli aspetti della vita
e che impone di mutare profondamente la pastorale
ecclesiale e forse anche alcuni aspetti superati della
dottrina tradizionale sull’uomo e sulla famiglia. Non
sarebbe questo un segno dei tempi?
RISPOSTA:
«(…) E’ dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei
tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo» (Gaudium et Spes, n°4).
Cioè, i segni dei tempi sono da giudicare secondo il Vangelo.
Per la Chiesa, l’unico «uomo nuovo» auspicabile, l’unico cambiamento radicale che può avvenire nell’uomo è quello provocato
dalla Grazia santificante, che lo eleva al livello soprannaturale rendendolo «simile a Dio». I fattori storico-culturali più potenti non
possono cambiare la natura umana; possono elevarla o degradarla,
ma non mutarla nella sua sostanza. I cambiamenti recenti sono difatti avvenuti per colpa di una rivoluzione sessuale indotta che ha
mutato tendenze, abitudini e mentalità dapprima sociali e poi anche
individuali. Questi cambiamenti non possono essere semplicemen– 20 –
te accettati come se fossero un dato di fatto ingiudicabile; anzi, essi
vanno valutati in base a un giudizio morale alla luce della Legge
divina e di quella naturale, quali restano insegnate dalla Chiesa.
23
DOMANDA: Il
riferimento a una «rivoluzione sessuale» non è solo
un pretesto per opporsi alla inevitabile evoluzione dei
costumi?
RISPOSTA:
La rivoluzione sessuale è un dato di fatto, facilmente verificabile dallo studio storico e sociale e misurabile dalle sue gravi
conseguenze prodotte negli ultimi 60 anni.
Questa rivoluzione pretende che l’umanità diventerà felice solo
quando potrà manifestare liberamente i propri istinti, specialmente sessuali, abolendo qualunque regola – non solo giuridica ma
anche morale e religiosa – che possa limitarne l’espansione. Ciò
presuppone l’abolire non solo la «società borghese» ma anche e
soprattutto la famiglia, o rendendone impossibile la formazione,
oppure relativizzandola fino al punto d’includervi qualsiasi tipo di
unione, anche omosessuale.
L’espressione «rivoluzione sessuale» fu lanciata nel 1936 dal
libro omonimo, che aveva come sottotitolo La sessualità nella lotta culturale per la ristrutturazione socialista dell’uomo. L’autore
era l’austriaco Wilhelm Reich, esponente della scuola che coniuga
le teorie psicoanalitiche di Freud con quelle sociali di Marx. Herbert Marcuse e i teorici della Rivoluzione del Sessantotto hanno
diffuso queste idee.
Lo studioso Jean-Marie Meyer denuncia questa ideologia in una
prospettiva ancora più ampia, quella neo-evoluzionistica del materialismo d’ispirazione darwiniana, secondo la quale l’uomo, la
persona, la famiglia, la sessualità etc..., sarebbero nozioni superate
e destinate ad essere sostituite da una nuova realtà liberata da questi
preconcetti (cf. J-M Meyer, Famiglia, Natura e Persona, in Lexicon, Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, a cura del Pontificio
Consiglio per la Famiglia, anno 2006, Centro Editoriale EDB, p.469-473).
24
DOMANDA: La rivoluzione sessuale non è un fenomeno spontaneo
che manifesta gli impulsi e le esigenze della società
contemporanea?
RISPOSTA:
La Rivoluzione sessuale è stata ed è tuttora un fenomeno non
spontaneo ma elaborato e pilotato da gruppi ideologici e lobby ben
organizzati e finanziati, che alimentano certe tendenze disordina– 21 –
te dell’uomo moderno per realizzare un disegno rivoluzionario
progettato a tavolino. Queste lobby contano su migliaia di piccoli
gruppi militanti, favoriti da un sistema politico-finanziario internazionale e serviti da una macchina propagandistica massmediatica.
La Rivoluzione sessuale
25
DOMANDA: La
rivoluzione sessuale non è forse un’evoluzione positiva della cultura, che ha permesso una maggiore libertà personale?
RISPOSTA:
Una tale concezione della libertà personale è falsa e dannosa
perché la intende come se fosse la capacità di scegliere, e non
quella di aderire al bene.
La rivoluzione sessuale ha favorito non una maggiore libertà,
ma anzi una maggiore schiavitù dell’uomo ai suoi istinti più degradati e ci riconduce «verso i bassifondi del paganesimo»; essa
ha così suscitato fra i cittadini una sorta di guerra di tutti contro tutti per assicurarsi il maggior piacere sessuale possibile (cf. F.
IV
López-Illana, Matrimonio, separazione, divorzio e coscienza, in Pontificio
Consiglio per la Famiglia, Lexicon. Termini ambigui e discussi su famiglia,
vita e questioni etiche, EDB 2006, pp. 683-700).
Dal punto di vista religioso, la rivoluzione sessuale ha allontanato molte persone dall’ordine naturale creato da Dio, dalla Redenzione attuata da Gesù Cristo e dalla santificazione alimentata
dallo Spirito Santo mediante la Chiesa. In tal modo, la rivoluzione
sessuale ha segnato un antistorico ritorno a vecchi costumi pagani,
nei quali il soddisfacimento sessuale prevaleva sul senso del dovere e della responsabilità, l’atto sessuale era separato dall’amore vero e dalla procreazione (cf. S. Kampowski, Annunciare il Vangelo
della Famiglia in una cultura del Pansessualismo, in J.J. Pérez-Soba e S.
Kampowski, op. cit. cap.1).
26
DOMANDA: Qual è l’aspetto di questo processo di rivoluzione ses-
suale che oggi minaccia più gravemente la famiglia?
RISPOSTA:
Non ci sono dubbi: l’ideologia del gender. Essa teorizza che
l’uomo nasce dominato da un anarchico istinto «perverso-polimorfo» che può tendere a qualsiasi oggetto erotico e costruirsi una
qualsiasi identità e ruolo sessuale (detto appunto gender o genere).
Pertanto, ciascuno ha diritto di scegliere liberamente uno fra i tanti
possibili gender, per poi eventualmente cambiarlo secondo il proprio nuovo “orientamento sessuale”.
Secondo questa ideologia, la diversità sessuale maschio-femmina, e quindi anche quelle marito-moglie e padre-madre, non deri– 22 –
vano dalla natura ma sono imposte da una “cultura” arbitraria mediante un sistema discriminatorio e repressivo. Questo fenomeno si
perpetua per colpa delle istituzioni (famiglia, scuola, Chiesa) che
condizionano la formazione dei bambini, impedendo a loro di scegliere l’ «orientamento sessuale» e il «ruolo riproduttivo» preferiti.
La rivoluzione sessuale vuole liberare bambini e adulti da tale
sistema repressivo, in modo da creare una «società senza classi sessuali» mediante la «decostruzione» dei ruoli sessuali e riproduttivi
e delle istituzioni sociali, soprattutto quelle familiare, scolastica e
religiosa. Pertanto, essa pretende che i programmi scolastici e quelli
di «rieducazione» familiare e di «aggiornamento» religioso vietino
l’insegnamento della morale e della fede, sostituendoli con l’ideologia del gender (cf. O. Alzamora Revoredo, Ideologia di genere: pericoli e
portata, in Pontificio Consiglio per la Famiglia, Lexicon cit. pp. 545-560).
Come si vede, questa rivoluzione – lanciata nel settembre 1995
a Pechino con la IV Conferenza mondiale dell’O.N.U. sulla Donna
– progetta una pericolosa sovversione sessuale, culturale e sociale
anticristiana, che si è insinuata anche in molti ambienti cattolici e
che finora sembra preoccupare più i genitori che i pastori.
–V–
L’impostazione del Sinodo 2014:
il rapporto Chiesa-Mondo
27
DOMANDA: L’impostazione
procedurale del Sinodo assegna un
ruolo primario all’ «ascolto» dei fedeli. Come valutare
questa novità?
RISPOSTA:
Nelle sue procedure, la Chiesa è sempre partita dalle Verità di
Fede, attinte dalla Parola di Dio e dalla Tradizione, per poi elaborare una pastorale che le realizzasse nella vita concreta, in modo
da poter illuminare e guidare gli uomini verso la salvezza eterna.
Come dice l’antico motto: «divieni ciò che sei», ossia realizza la
tua missione. Non a caso, s. Giovanni Paolo II ha intitolato «Famiglia, diventa ciò che sei!» il paragrafo della sua Familiaris consortio dedicato ai compiti della famiglia cristiana.
La tendenza del Sinodo è stata quella di procedere all’inverso:
ossia partire dalla situazione concreta per elaborare una pastorale e
una disciplina accomodate ad essa. Così, secondo il grande canonista Velasio de Paolis, si rischia di scivolare nella «morale della situazione». Ma, in questo modo, si proclama implicitamente il motto: «sii ciò che divieni», ossia adèguati alle tendenze prevalenti.
– 23 –
Sinodo 2014: il rapporto Chiesa-Mondo
Questo metodo presuppone lo «storicismo», che parte cioè non
dalla Verità rivelata, bensì dalla concreta situazione storica, alla
quale la Chiesa dovrebbe adeguarsi, secondo alcuni per «animarla» cristianamente, secondo altri per sopravvivervi.
«Di fatto, il dialogo col mondo si è trasformato in adattamento
e forse ha comportato anche una certa mondanizzazione e secolarizzazione della Chiesa, che ha finito per non avere sufficiente presa nella cultura del tempo e penetrazione per il proprio messaggio.
Ciò ha portato a una crisi proprio all’interno della Chiesa. (…)
Nel lodevole tentativo di dialogo con la cultura moderna, la Chiesa
corre il rischio di mettere tra parentesi proprio le realtà che le sono
tipiche e specifiche, ossia la Verità divina, e di adattarsi al mondo: non negando la propria verità, certo, ma non proponendola o
esitando a proporre ideali di vita che sono concepibili e praticabili
solo alla luce della fede e attuabili solo con la Grazia. La Chiesa
corre il rischio di annacquare il suo messaggio più vero e profondo
per paura di essere rifiutata dalla cultura moderna o per farsi accogliere da essa» (card. Velasio De Paolis, Prolusione cit., pp. 7 e 30).
V
28
DOMANDA: Ma
questa impostazione è stata davvero avallata da
qualche padre sinodale?
RISPOSTA:
Un importante padre sinodale avrebbe dichiarato: «C’è anche
uno sviluppo teologico, tutti i teologi lo dicono. Non è tutto statico,
noi camminiamo nella storia, e la religione cristiana è storia, non
ideologia. Il contesto attuale della famiglia è differente da quello di
trentatré anni fa, ai tempi della Familiaris Consortio [di Papa Giovanni Paolo II]. Senza storia non so dove andiamo; se neghiamo
questo, restiamo a duemila anni fa» (Corriere della Sera, 4-10-2014).
29
DOMANDA: Possiamo
dire che la Religione cristiana si evolve e
muta al vento della storia?
RISPOSTA:
La Religione cristiana non è evoluzione storica, mutevole e
contraddittoria, bensì è Verità rivelata, Fonte di vita e Via di salvezza, che si identifica con Gesù Cristo: «Io sono la via, la verità
e la vita» (Gv 14, 6). Il Salvatore diede alla Sua Chiesa il comando
di evangelizzare l’umanità, non di essere evangelizzata da essa; di
guidare gli uomini, non di essere guidata da loro; di santificare la
storia, non di essere santificata da essa. Mater, Magistra et Domina gentium è dunque la Chiesa, non la storia umana o il mondo.
Resta certo vero che nuovi problemi richiedono spiegazioni
adeguate, le quali però devono essere comunque fedeli al deposito
intangibile della fede.
– 24 –
30
DOMANDA: E’ vero
che ormai gli insegnamenti morali della Chiesa
hanno perso contatto con la vita reale, poiché presuppongono una realtà ormai sparita e quindi necessitano
di un profondo adeguamento alla situazione concreta?
RISPOSTA:
Gli insegnamenti della Chiesa, anche in campo morale, sono per
definizione cattolici, ossia riguardano il tutto e non la parte, dunque sono permanenti e universali, validi sempre e dovunque; come
dicevano i Padri greci, essi sono «tesoro sempiterno» (Thèma eis
aèi), poiché si fondano su due realtà immutabili: la natura umana
creata da Dio e le verità eterne rivelate da Gesù Cristo. Semmai è
il «mondo moderno» che, su tante questioni importanti, ha «perso
contatto» con la verità e ha divorziato dalla Chiesa, subendo quel
traviamento e quel fallimento che tutti ormai constatano.
La trasformazione storica della società è conseguenza di errori
culturali e morali, alimentati da passioni disordinate. La Chiesa
non deve adeguarsi a questi errori o alle loro conseguenze, ma
individuarli, denunciarli e rimediarvi. In ciò consiste un autentico
aggiornamento della sua pastorale.
31
DOMANDA: I
recenti cambiamenti nella vita familiare e sessuale
fanno forse parte della cultura moderna, frutto di una
inevitabile evoluzione storica che va non condannata
ma solo capita?
RISPOSTA:
I cambiamenti culturali e sociali provocati dalla rivoluzione
sessuale sono troppo facilmente considerati come inevitabili e irreversibili; in realtà, spesso sono solo effimere manifestazioni patologiche di una malattia spirituale curabile. Comunque sia, non
esistono fatti umani ingiudicabili moralmente, anzi tutti possono e
debbono essere valutati misurandoli con il metro della verità e della
giustizia, come fa San Paolo sovente anche elencando le condotte
inaccettabili per i cristiani (Rm 1, 26-32; 1 Cor. 6, 9-10; 1 Tm. 1, 9).
Di recente il noto moralista card. Carlo Caffarra, arcivescovo
di Bologna, a proposito di alcune mentalità da evitare nella Chiesa, ha esemplificato col caso de «la modalità buonista, la quale
ritiene che la cultura di cui ho parlato (quella della rivoluzione
sessuale, ndr.) sia un processo storico inarrestabile. Propone di
venire, quindi, a compromessi con esso, salvando ciò che in esso
sembra essere riconoscibile come buono» (card. Carlo Caffarra, Tre
strade per costruire la verità del matrimonio, Avvenire, 12-3-2015).
– 25 –
32
DOMANDA: Quali domande bisogna allora porsi sull’attuale divor-
zio tra la Chiesa e il mondo?
RISPOSTA:
Dottrina morale e prassi pastorale
Le domande da porsi sono le seguenti: Come mai il «mondo
moderno» ha ripudiato gli insegnamenti della Chiesa su tante questioni fondamentali? Quale processo storico ha portato all’attuale
divorzio del mondo dalla Chiesa? In che modo la Chiesa può «sanare le ferite» della società contemporanea riportandola alla sanità
perduta, ma senza farsi contagiare dalla sua malattia? Rispondendo a queste domande, si vedrà a quale situazione reale si dovrebbe
adeguare la pastorale ecclesiale e fino a che punto ciò è possibile
senza rinnegare la dottrina morale.
A nulla serve agitarsi per arginare solo gli effetti più gravi e
clamorosi. Il male può essere eliminato solo se si usa la corretta
medicina e se si estirpano le radici perverse che lo producono. Ma
per questo i pastori devono evitare l’emotività, fare una retta diagnosi e poi prescrivere la cura più efficace (cf. card. Velasio de Paolis,
VI
Prolusione cit., pp.6-9).
– VI –
Dottrina morale e
prassi pastorale
33
DOMANDA: Molti
affermano che il Sinodo non vuole cambiare la
dottrina morale sulla famiglia, ma soltanto «aggiornare» la pastorale ecclesiale al riguardo. Ma è proprio
così?
RISPOSTA:
Alcuni vescovi sostengono che non si mira solo ad «aggiornare» la pastorale ma anche a decidere cambiamenti riguardanti la
dottrina.
Questa prospettiva presuppone che la dottrina morale tradizionale sia ormai contraddetta non solo dalla pratica di molti fedeli,
il che è un dato di fatto, ma anche dalle esigenze della pastorale
ecclesiale, il che pone una questione di diritto. Per risolvere questa
contraddizione, si propone di adeguare il diritto al fatto, ossia di
«approfondire» la dottrina morale adeguandola alle esigenze della
«nuova pastorale» nell’ «ascolto» del popolo di Dio.
– 26 –
Ciò di cui invece la Chiesa ha bisogno è un’autentica riforma
che riconduca il comportamento dei cristiani alla purezza dei costumi e all’integrità dottrinale che sono state abbandonate.
Altri presuli hanno persino espresso una tesi che si potrebbe
riassumere così: «una relazione sessuale che è oggettivamente
peccaminosa perde in larga misura il suo carattere morale negativo se entrambi i partner intrattengono questa relazione in modo
regolare e dimostrano reciproca fedeltà». Se si applicasse questo
paralogismo ad altre materie, equivarrebbe a dire, per es.: «Se due
complici rubano regolarmente in un negozio e si mantengono fedeli ai patti reciproci, ciò farà diminuire notevolmente il carattere
negativo del reato».
34
DOMANDA: Anche
se ci si propone non un mutamento dottrinale
ma soltanto un nuovo «approccio pastorale», è possibile modificare la pastorale senza modificare implicitamente anche la dottrina?
RISPOSTA:
Come il corpo non può essere separato dall’anima che lo informa, similmente la prassi pastorale non può essere del tutto separata
dalla dottrina morale che la giustifica. Pertanto, un cambiamento
della pastorale può comportare facilmente un cambiamento, almeno implicito, della dottrina sottintesa.
Del resto, non esistono prassi neutre; ogni prassi presuppone
una teoria, una visione peculiare dell’essere umano, della società
e della storia. Lo stesso concetto di prassi presuppone un fine a cui
tendere, ossia un ideale da realizzare. Nel nostro caso, il concetto
di «prassi pastorale» ha senso e valore solo se presuppone la vera
idea di Chiesa, di umanità e di famiglia.
«La pastorale è un’arte che si fonda sulla dogmatica, sulla
morale, sulla spiritualità e sul diritto, per agire prudentemente nel
caso concreto. Non vi può essere pastorale che sia in disarmonia
con le verità della Chiesa e con la sua morale, e in contrasto con
le sue leggi, e non fosse orientata al raggiungimento dell’ideale della vita cristiana. Una pastorale in contrasto con la verità
creduta e vissuta dalla Chiesa (…) si trasformerebbe facilmente
in arbitrarietà nociva alla stessa vita cristiana» (card. Velasio De
Paolis, Prolusione cit., p. 26).
Da parte sua, il prefetto della Congregazione del Culto Divino
e della Disciplina dei Sacramenti cardinale Robert Sarah ha di– 27 –
Dottrina morale e prassi pastorale
chiarato recentemente: «L’idea che consisterebbe nel piazzare il
magistero in un bello scrigno, staccandolo dalla prassi pastorale
che potrebbe evolvere secondo le circostanze, le mode e le passioni, è una forma di eresia, una pericolosa patologia schizofrenica»
(La Stampa, 24-2-2015).
35
DOMANDA: Se non la dottrina come tale, è almeno lecito modifica-
re la disciplina ecclesiale riguardante la famiglia?
RISPOSTA:
Dipende da cosa s’intende per «disciplina». Spesso, questo termine indica un mero sistema di regole pratiche che aiutano l’uomo
nel suo pensiero e nella sua azione. In questo senso essa può essere modificabile. In realtà, nella Chiesa cattolica, se esistono disposizioni disciplinari convenzionali e modificabili, esistono però
anche norme disciplinari di origine divina che quindi non sono
modificabili dall’autorità ecclesiale.
Per quanto riguarda il matrimonio e la famiglia, alcune norme
della sua disciplina sono di origine divina, riaffermate e completate da Gesù Cristo stesso e quindi non modificabili da nessuna
autorità ecclesiastica.
«E’ necessario che si eviti d’intendere la preoccupazione pastorale come se fosse in contrapposizione col diritto. Si deve piuttosto partire dal presupposto che il fondamentale punto d’incontro
tra diritto e pastorale è l’amore per la verità» (Papa Benedetto XVI,
VI
Sacramentum caritatis, Esortazione apostolica post-sinodale del 22-2-2007,
n. 29).
36
DOMANDA: Su molti temi della morale sessuale, la Chiesa non do-
vrebbe forse adeguarsi alla mentalità e alla pratica della maggioranza dei fedeli, che richiede oggi maggiore
flessibilità?
RISPOSTA:
La Chiesa ha la materna missione di salvare i fedeli, santificandoli anche nella loro vita familiare; pertanto, sono i fedeli a doversi adeguare agli insegnamenti morali della Chiesa, realizzando
in loro la verità predicata da Gesù Cristo. Del resto, come suole
dire argutamente il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo emerito
di Bologna, se i pastori hanno il compito di pascere il loro gregge,
riportando all’ovile le pecore disperse, devono però evitare di perdersi essi stessi inseguendo le pecore incoscienti o ribelli.
– 28 –
L’opinione maggioritaria dei fedeli non costituisce propriamente un «luogo teologico», tantomeno una «fonte della Rivelazione».
Per giunta, l’attuale opinione pubblica, anche ecclesiale, viene da
tempo manipolata da lobby culturali e mass-mediatiche promotrici di una rivoluzione radicalmente anticristiana. Per altro, l’allora
card. Ratzinger scrisse pagine molto dense sulla non validità del
criterio maggioritario nelle questioni morali.
«Uno dei più gravi problemi pastorali consiste nel fatto che
molti oggi giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici. Chi pensa secondo lo “spirito del
mondo” (1 Cor 2, 12) non può comprendere la sacramentalità del
matrimonio. A questa crescente mancanza di comprensione circa
la santità del matrimonio, la Chiesa non può rispondere con un
adeguamento pragmatico a ciò che appare irreversibile, ma solo
con la fiducia nello Spirito di Dio» (card. Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Indissolubilità del matrimonio e
dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella
verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, p. 148).
37
DOMANDA: Non
sarebbe il caso che la Chiesa, a imitazione della
legge mosaica, promuovesse una maggiore tolleranza
verso i «casi pietosi» di coloro che vivono in «situazioni
irregolari»?
RISPOSTA:
Una tale tolleranza condurrebbe a sostituire la Legge evangelica con quella mosaica, col rischio che i fedeli ricadano in quella
«durezza di cuore» che costrinse Mosé a permettere il divorzio al
popolo ebraico.
«Il Signore Gesù ha insistito sulla intenzione originaria del
Creatore, che voleva un matrimonio indissolubile (cf. Mt 5, 31-32;
Mt 19, 3-9). Egli ha abolito le tolleranze che erano state gradualmente introdotte nella Legge antica (cf. Mt 19, 7-9)» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 2382).
«Ecco perché la Chiesa non si stanca mai di insegnare e di
testimoniare tale verità. Pur manifestando materna comprensione
per le non poche e complesse situazioni di crisi nelle quali le famiglie sono coinvolte, come pure per la fragilità morale di ogni essere umano, la Chiesa è convinta di dover rimanere assolutamente
fedele alla verità sull’amore umano. Se facesse diversamente, tradirebbe sé stessa» (s. Giovanni Paolo II, Gratissimam sane, Lettera alle
famiglie, del 2-2-1994, n. 11).
– 29 –
Dottrina morale e prassi pastorale
38
DOMANDA: E’ vero
che l’applicazione della tolleranza a situazioni
matrimoniali irregolari ha prodotto frutti positivi in altre Chiese o religioni?
RISPOSTA:
Non risulta affatto. Anzi, nei Paesi protestanti questo metodo
della tolleranza ha prodotto risultati catastrofici. «Tale tolleranza
ha forse determinato una rinascita spirituale della Chiesa anglicana? Forse che i luterani di Germania prosperano? Si osserva
forse una nuova primavera dei presbiteriani liberali negli USA?
I dati sociologici sembrano dire proprio il contrario», affermano
i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II per studi su famiglia e
matrimonio (S. Kampowski, Annunciare il Vangelo della Famiglia in una
cultura del pansessualismo, in Pérez-Soba Kampowski, op. cit., p. 38).
39
DOMANDA: Si
dice che il numero di fedeli praticanti cala quando si
chiede l’osservanza rigorosa di certi precetti morali, ad
esempio la fedeltà coniugale. Non sarebbe allora il caso di
attenuare il rigore di quei precetti divenuti impopolari?
VI
RISPOSTA:
Le persone in situazione irregolare difficilmente saranno praticanti. Del resto, il numero di fedeli praticanti non cala, anzi cresce, quando si chiede l’osservanza di certi precetti morali, come il
numero delle vocazioni religiose non cala, anzi cresce, quando ai
novizi viene chiesto un impegno più rigoroso.
«D’altra parte, le chiese e le realtà ecclesiali in crescita sono
proprio quelle che, sul piano della morale, avanzano proposte
molto impegnative e contrarie alla cultura dominante», afferma
il prof. Kampowski basandosi sullo studio della sociologa americana Mary Eberstadt How the West really lost God (S. Kampowski,
Annunciare il Vangelo della Famiglia in una cultura del pansessualismo, in
Pérez-Soba Kampowski, op. cit., p. 38).
40
DOMANDA: Visto che oggi molti fedeli ormai non seguono la mora-
le cattolica, non sarebbe il caso di tollerare certe situazioni irregolari pur di attrarre più persone alla Chiesa?
RISPOSTA:
Un solo ipotetico, anzi improbabile, aumento della pratica religiosa di alcune persone in situazione irregolare, cioè illegittima
oppure immorale, non può essere ottenuto al caro prezzo di smentire la morale evangelica e il Magistero ecclesiale e di indebolire
la fede dei fedeli in regola.
Se la Chiesa poi cambiasse una dottrina e una prassi bimillenarie sul matrimonio, perderebbe credibilità su ciò che potrà insegnare domani.
– 30 –
– VII –
Coscienza personale
e Magistero
41
DOMANDA: Che diritto ha la Chiesa d’intromettersi nella vita priva-
ta delle persone?
RISPOSTA:
La Chiesa non è una lobby culturale che propaganda una ideologia, ma è una società di origine divina che ha ricevuto da Gesù
Cristo la missione di guidare le anime alla verità, alla santità e alla
salvezza eterna. Siccome questa salvezza dipende principalmente
dalla moralità della vita privata quotidiana, la Chiesa ha il dovere,
e quindi il diritto, di orientare questa vita in modo che essa diventi
occasione non di perdizione ma di salvezza.
42
DOMANDA: Dato che gli insegnamenti morali della Chiesa sono in-
dicazioni generiche e non assolute, non possono quindi ammettere molteplici eccezioni concrete?
RISPOSTA:
Le eventuali eccezioni non possono smentire la regola ma solo
confermarla, come dice il proverbio. Nel valutare un caso concreto, la casistica tiene conto delle circostanze aggravanti o attenuanti
o dirimenti, che però non mutano l’assolutezza dei princìpi né la
certezza del giudizio.
«Ora la ragione attesta che si danno oggetti dell’atto umano
che si configurano come “non-ordinabili” a Dio, perché contraddicono radicalmente il bene della persona, fatta a sua immagine.
Sono gli atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati
denominati “intrinsecamente cattivi” (intrinsece malum): lo sono
sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze»
(s. Giovanni Paolo II, enc. Veritatis Splendor, n.80, 6-8-1993).
43
DOMANDA: La «libertà dei figli di Dio» non esige forse che, come ha
detto un vescovo, «dobbiamo rispettare le decisioni che
le persone prendono seguendo la propria coscienza»?
RISPOSTA:
Le decisioni personali sono ammissibili se conformi alla verità
e alla giustizia. Perché lo siano, non basta che siano state prese con
sincera coscienza. La coscienza personale non è infallibile né la volontà è impeccabile, come pretende l’ideologia liberale e libertaria.
– 31 –
Coscienza personale e Magistero
«Nella loro linea di condotta, i coniugi cristiani non possono
procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una
coscienza che si deve conformare alla Legge divina stessa» (Gaudium et spes, n. 50).
44
DOMANDA: Molti pensano che dobbiamo affermare il primato del-
la coscienza. Tutto sommato, non è meglio affidare alla
coscienza delle persone la soluzione dei loro problemi
morali?
RISPOSTA:
Le questioni matrimoniali e familiari sono essenzialmente sociali e pubbliche, e quelle sul matrimonio sono eminentemente
sacre ed ecclesiali. Ma soprattutto, la coscienza può esercitare un
giudizio giusto se è ben formata e informata.
La coscienza non è in grado di trovare la giusta soluzione di
molti problemi morali, per tanti motivi, che vanno dalla incapacità
alla incompetenza all’ottenebramento. Del resto, nessuno è giudice infallibile e imparziale di sé stesso. Perché mai allora esisterebbero i tribunali, ad esempio quelli ecclesiastici?
«L’uomo non può trovare la vera felicità, alla quale aspira con
tutto il suo essere, se non nel rispetto delle leggi inscritte da Dio
nella sua natura, leggi che egli deve osservare con intelligenza e
amore» (b. Paolo VI, Humanae vitae, n. 31).
VII
45
DOMANDA: Non c’è il rischio di opprimere la coscienza individuale,
specie in campo morale?
RISPOSTA:
Legare la coscienza agli obblighi che ha verso la verità e la
giustizia, non significa opprimere la coscienza ma anzi liberarla,
permettendole di conoscere il proprio fine e di compiere il proprio
dovere. L’onore della coscienza sta appunto nel liberamente riflettere e obbedire alla Legge naturale e a quella divina.
«La coscienza, di per se stessa, non è arbitra del valore morale
delle azioni ch’essa suggerisce. La coscienza è interprete d’una
norma anteriore e superiore; non la crea da sé. (…) La coscienza
non è la fonte del bene e del male; è l’avvertenza, è l’ascolto di
una voce, detta appunto la voce della coscienza, è il richiamo alla
conformità che un’azione deve avere ad un’esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia uomo vero e perfetto. Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge, che dobbiamo chiamare
naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più sentir parlare
di legge naturale» (b. Paolo VI, discorso del 12-2-1969).
– 32 –
46
DOMANDA: Se perfino i cattolici praticanti non considerano più al-
cune pratiche sessuali come contrarie alla dottrina della Chiesa, come potremmo chiedere a loro di obbedire
a una dottrina che non capiscono né accettano più?
RISPOSTA:
In molti campi, gli uomini sono tenuti a seguire obblighi che
non capiscono più, o che non vogliono capire, ma che restano comunque vincolanti. Il fatto di non capire più un dovere non dispensa dal compierlo. Al limite, la mancanza di comprensione di
un divieto è un fattore che attenua la responsabilità del fedele, ma
non la cancella.
In ogni caso, se una dottrina morale non viene più capita dai fedeli, la colpa non cade sulla dottrina; cade soprattutto su chi avrebbe dovuto insegnarla in modo chiaro e convincente.
– VIII –
Matrimonio e famiglia
MATRIMONIO:
NATURA, FINALITÀ E CARATTERISTICHE
47
DOMANDA: I precetti del diritto naturale sono davvero moralmen-
te vincolanti, anche se pesano?
RISPOSTA: I precetti del diritto naturale sono moralmente vincolanti in quanto creati da Dio, Autore della natura, ed espressi nei
dieci Comandamenti.
«E’ vero: un vincolo può talora costituire un gravame, una servitù, come le catene che stringono il prigioniero. Ma può essere
anche un potente soccorso e una sicura garanzia, come la corda
che lega l’alpinista ai suoi compagni di ascensione, o come i legamenti che uniscono le parti del corpo umano e lo rendono spedito
e franco nei suoi movimenti» (ven. Pio XII, discorso del 22-4-1942).
48
DOMANDA: Se
il matrimonio è una istituzione di diritto naturale,
quello sacramentale non diventa superfluo? La Chiesa
non dovrebbe accontentarsi del matrimonio civile?
RISPOSTA:
Nel Cristianesimo, il matrimonio ha per fine non soltanto il
generare nuovi cittadini per la società, ma anche nuovi eletti per
il Cielo e nutrire la comunione spirituale umana dei coniugi. Per
– 33 –
Matrimonio e famiglia
questo, Gesù Cristo ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento, dotandolo di contenuti e mezzi spirituali soprannaturali,
inserendolo quindi nel piano della salvezza. Per un battezzato, nel
matrimonio non si può separare il contratto civile dalla natura sacramentale.
«Infatti, in primo luogo alla società coniugale fu prestabilito
uno scopo più nobile e più alto che mai fosse stato in precedenza,
in quanto si volle che essa mirasse non solo a propagare il genere
umano, ma a generare figli alla Chiesa, «concittadini dei Santi e
domestici di Dio» (Ef 2,19), cioè che fosse creato ed educato un
popolo al culto e alla religione di Cristo, vero Dio e nostro Salvatore. […] Nel matrimonio cristiano il contratto non può essere
separato dal Sacramento, e perciò non può sussistere un vero e
legittimo contratto che non sia al tempo stesso Sacramento. Poiché il matrimonio fu arricchito da Cristo Signore della dignità di
Sacramento, il matrimonio si identifica con lo stesso contratto,
quando sia fatto secondo le norme volute. Si aggiunga che il matrimonio è Sacramento proprio per questo: che è un segno sacro,
che produce la grazia e rende immagine delle mistiche nozze di
Cristo con la Chiesa» (Papa Leone XIII, Arcanum Divinae Sapientiae,
VIII
nn. 124-146-147).
49
DOMANDA: E’ vero
che, come oggi si dice, esistono varie forme di
matrimonio e di famiglia?
RISPOSTA:
Secondo la Legge naturale e divina, esiste solo una forma di
matrimonio: quello monogamico e indissolubile fra un uomo e
una donna; esiste un solo tipo di famiglia: quella composta da padre, madre e i loro figli. Tutte le altre forme di convivenza sono sostanzialmente diverse da quella familiare e a questa non possono
essere parificate, tantomeno assimilate. I fedeli conviventi senza
matrimonio, o col solo matrimonio civile, o divorziati risposati
vivono in situazioni irregolari e illegittime, che non possono essere considerate famiglie vere e proprie, anche se potrebbero essere
all’origine di responsabilità morali.
Come denuncia il noto moralista cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, se la Chiesa accettasse una «pluralità» di
forme matrimoniali o familiari, ad esempio se dichiarasse come
moralmente lecite forme di convivenza con persone diverse dal
proprio legittimo coniuge eterosessuale, ammettendo quindi un
«divorzio cattolico», dissolverebbe la definizione stessa di matrimonio e favorirebbe quella «decostruzione» della famiglia oggi
– 34 –
promossa dai suoi nemici (cf. card. Carlo Caffarra, Ontologia sacramentale e indissolubilità del matrimonio, in Aa. Vv., Permanere nella Verità di
Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena
2014, cap. VII).
«Concubinato, rifiuto del matrimonio come tale, incapacità di
legarsi con impegni a lungo termine: tutte queste situazioni costituiscono un’offesa alla dignità del matrimonio, distruggono l’idea
stessa di famiglia, sono contrarie alla Legge morale» (Catechismo
della Chiesa Cattolica, n. 2390).
50
DOMANDA: Il
matrimonio non è forse una forma di associazione
fra persone, un semplice contratto sociale per vivere
insieme?
RISPOSTA:
Il matrimonio non si riduce a un contratto privato fra due persone, ma è un vero e proprio atto pubblico che dà origine a una
società, anzi alla cellula madre della società: la famiglia. Il matrimonio pertanto è una istituzione che si fonda sul diritto naturale e
che, se contratta fra fedeli, diventa un giuramento sacro regolato
dal diritto divino, perché Nostro Signore l’ha elevato alla dignità di Sacramento, rendendolo simbolo dell’unione sponsale tra il
Creatore e la sua creatura e tra il Redentore e la sua Chiesa.
«Il matrimonio non è un avvenimento che riguarda solo gli
sposi; per sua stessa natura esso è un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris
consortio, n. 68).
«Nessuno di noi appartiene esclusivamente a se stesso, pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la
propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione
non è quindi una indebita ingerenza della società o della autorità;
é invece esigenza intrinseca del patto di amore coniugale» (Papa
Benedetto XVI, Discorso del 6-6-2005).
51
DOMANDA: L’uomo
è libero per natura e il matrimonio è unione
volontaria. Ma allora, come può una persona essere
costretta dal diritto naturale a rispettare vincoli e obblighi non più voluti o sentiti, quale la indissolubilità
matrimoniale?
RISPOSTA:
La vera libertà della persona consiste nel realizzare la propria
natura e a questo scopo deve rispettare precisi vincoli e obblighi
morali, come quelli previsti dal diritto naturale.
– 35 –
«La comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua
unità, ma anche per la sua indissolubilità. (…) E’ dovere della
Chiesa riaffermare con forza la dottrina della indissolubilità matrimoniale. (…) Testimoniare l’inestimabile valore della indissolubilità e della fedeltà matrimoniale, è uno dei doveri più preziosi
e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo» (s. Giovanni
Matrimonio e famiglia
Paolo II, Familiaris consortio, n. 20).
«Va ricordato il valore antropologico del matrimonio indissolubile: esso sottrae i coniugi all’arbitrio e alla tirannia del sentimento e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà
personali e a superare le esperienze dolorose; protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura del matrimonio» (card. Gerhard Müller, Indissolubilità del matrimonio e dibattito
sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella verità di
Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena
2014, p. 147-148).
VIII
52
DOMANDA: Essendo
una forma di associazione volontaria fra persone libere, perché mai il matrimonio non potrebbe
essere contratto e sciolto a piacimento dei coniugi?
RISPOSTA:
Prima di un contratto, il matrimonio è una istituzione divina le
cui proprietà e leggi sono state stabilite da Dio stesso. Una di quelle proprietà è l’indissolubilità. Il fedele è libero solo di sposarsi e
di farlo con una persona determinata, ma non è libero di sciogliere
il matrimonio.
«Benché però il matrimonio di sua natura sia d’istituzione divina, anche l’umana volontà arreca in esso il suo contributo, e
questo nobilissimo. Infatti ogni particolare matrimonio, in quanto
unione coniugale fra quest’uomo e questa donna, non può cominciare ad esistere se non dal libero consenso di ambedue gli sposi;
e questo atto libero della volontà, col quale ambedue le parti danno e accettano il diritto proprio del connubio, è talmente necessario perché esista vero matrimonio, che non può venire supplito da
nessuna autorità umana. Senonché tale libertà a questo soltanto si
riferisce: che i contraenti vogliano realmente contrarre matrimonio e contrarlo con questa determinata persona; ma la natura del
matrimonio è assolutamente sottratta alla libertà umana, in modo
che una volta che uno abbia contratto matrimonio, resta soggetto
alle sue leggi e alle sue proprietà essenziali. (...) Pertanto il sacro
consorzio del vero connubio viene costituito e dalla divina e dal– 36 –
l’umana volontà; da Dio provengono l’istituzione, le leggi, i fini,
i beni del matrimonio; dall’uomo, con l’aiuto e la cooperazione
di Dio, dipende l’esistenza di qualsivoglia matrimonio particolare
coi doveri e coi beni stabiliti da Dio, mediante la donazione generosa della propria persona ad altra persona per tutta la vita» (Papa
Pio XI, Casti connubii, n. 452-456).
53
DOMANDA: Perché
mai il matrimonio dev’essere necessariamente
monogamico? Non sarebbe possibile accettare la poligamia, sia la poliginia (un uomo con varie donne) che
la poliandria (una donna con vari uomini)?
RISPOSTA:
E’ stato Dio stesso a stabilire che il matrimonio sia l’unione di
un solo uomo con una sola donna, per formare «una sola carne»
(Gn 2, 24). Dal suo carattere monogamico risulta inoltre un grande
bene per il matrimonio, segnatamente il rafforzamento dell’amore
coniugale per la reciproca fedeltà.
«E sebbene poi il supremo Legislatore, Iddio, allargò alquanto
questa legge primitiva per qualche tempo, non vi è tuttavia dubbio alcuno che la legge evangelica abbia ristabilito pienamente
l’antica e perfetta unità, abrogando ogni dispensa, come dimostrano chiaramente le parole di Cristo e la dottrina e la prassi
costante della Chiesa […] E Nostro Signore Gesù Cristo non volle
solamente proibire qualsiasi forma, sia successiva sia simultanea,
come dicono, di poligamia e di poliandria o qualsiasi altra azione
esterna disonesta; ma di più ancora, perché si custodisse inviolato
il santuario sacro della famiglia, proibì gli stessi pensieri volontari e desideri su tali cose: “Ma io vi dico che chiunque guarda
una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio
con lei”. [...] Questa fede della castità, come da Sant’Agostino è
giustamente chiamata, risulterà più facile, anzi molto più piacevole non meno che nobile per un altro pregio importantissimo:
per l’amore coniugale, cioè, che pervade i doveri tutti della vita
coniugale e nel matrimonio cristiano tiene come il primato della
nobiltà» (Papa Pio XI, Casti connubii, nn. 466-467).
«All’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e
definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e
viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore
umano» (Papa Benedetto XVI, Deus caritas est, n.11).
– 37 –
54
DOMANDA: Nel dibattito pre-sinodale, alcuni hanno proposto che
l’accesso al matrimonio avvenga per gradi, ossia che i
fidanzati passino gradualmente alla situazione di sposi, sperimentando fasi di convivenza che verifichino la
loro maturità nell’impegnarsi alla fine nel giuramento
sacramentale (cf. Fulvio De Giorgi, La personalizzazione
Matrimonio e famiglia
dello sguardo. Per un rinnovamento della pastorale familiare, su Il Regno, annuale 2009, Bologna 2010, pp. 5767). Non si potrebbe ammettere questa gradualità, in
modo da evitare che matrimoni affrettati o sbagliati
diventino indissolubili?
RISPOSTA:
La dottrina e la pastorale della Chiesa non hanno mai ammesso simili nozze graduali o temporanee, dette anche «matrimoni
per prova». Il consenso dato dai fidanzati all’atto sacramentale del
matrimonio li rende subito sposi. Del resto, è noto che coloro che
si sposano tardi, solo dopo aver fatto un lungo «periodo di prova»
vivendo more uxorio, sono proprio la categoria più soggetta al rischio di separazione e di divorzio (cf. Tony Anatrella, Heureux époux.
Essai sur le lien conjugal, Flammarion, Paris 2007, cap. II).
VIII
55
DOMANDA: Qual
è il fine del matrimonio? E’ forse, come oggi si
dice, la convivenza affettiva fra due persone, in specie
il soddisfacimento dell’attrazione sessuale mediante
l’unione carnale dei coniugi?
RISPOSTA:
Nel matrimonio, specie se cristiano, il mutuo aiuto e la complementarietà biologica dei coniugi sono un fine buono e legittimo,
di per se ordinato alla perpetuazione della specie e all’educazione
della prole. L’attrazione sessuale e l’unione carnale che ne derivano sono orientati per natura alla procreazione. Sono un dono di
Dio che ci permette di adempiere al precetto biblico «crescete e
moltiplicatevi».
«Per sua indole naturale, l’istituto del matrimonio e l’amore
coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della
prole. (…) La vita umana e il compito di trasmetterla non sono limitati a questo tempo e non si possono commisurare e capire solo
in questo mondo, ma riguardano sempre il destino eterno degli
uomini» (Gaudium et spes, nn. 50-51).
– 38 –
ADULTERIO
56
DOMANDA: Non può darsi che un “approccio pastorale” porti a tol-
lerare l’adulterio, facendo sì che, in certi casi, ciò che
ieri era considerato peccaminoso non lo sarà più in futuro?
RISPOSTA:
L’adulterio, cioè i rapporti carnali fra una persona sposata e
un’altra diversa dal legittimo coniuge, è un peccato condannato
da Gesù Cristo stesso. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa
un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio» (Mt 10, 11-12, 1 Cor 6,
9s, Tm 1, 8-10). La Sacra Scrittura vede l’adulterio come simbolo
della idolatria e infedeltà all’alleanza sponsale tra Dio e il suo popolo (cf. Os 2, 7; Ger. 5, 7; Ger 13, 27).
Nessun “approccio pastorale” può giustificare ciò che è ingiusto agli occhi di Dio. La considerazione delle persone o delle circostanze di un adulterio non muta la qualifica dell’atto.
«Vivere coniugalmente con un partner che non è il proprio marito o la propria moglie, è un atto intrinsecamente cattivo che non
si può mai giustificare per nessun motivo. E’ la dottrina morale
cattolica ribadita recentemente dal Sommo Pontefice Giovanni
Paolo II nella enciclica Veritatis Splendor (…) si tratta di legge
divina che per natura sua copre tutti i casi e non ammette eccezioni» (card. Velasio de Paolis, Prolusione cit., p. 23).
57
DOMANDA: Per
risolvere pastoralmente i casi di adulterio, non si
può ipotizzare che si giunga a considerarlo con benevolenza, diminuendone la gravità morale, declassificandolo a peccato veniale, facilmente perdonabile
senza pentimento o penitenza?
RISPOSTA:
L’adulterio è oggettivamente un peccato grave e, come tale,
può essere perdonato solo se il peccatore manifesta non soltanto
pentimento sincero, ma anche il proposito di emendarsi, cioè di
rompere il comportamento adulterino.
«La contrizione è dolore dell’anima e detestazione del peccato
commesso, assieme al proposito di non peccare più» (Catechismo
del Concilio di Trento, Cap. IV).
«È chiaro dunque che qualsiasi modalità di relazione sponsale
al di fuori di questo vincolo [sacramentale] sarà sempre un rap– 39 –
Matrimonio e famiglia
porto infedele e, proprio per questo, adultero. (…) Il perdono può
essere comunicato soltanto con un vero pentimento, che tolga la
situazione di peccato. È chiaro che si può perdonare l’adulterio,
ma è altrettanto vero che questo non può essere l’unico peccato
perdonabile senza pentimento» (Pérez-Soba, La verità del sacramento
sponsale, in Pérez-Soba e Kampowski, op. cit. p. 80).
DIVORZIO, SEPARAZIONE,
DICHIARAZIONE DI NULLITÀ
58
DOMANDA: Quasi
tutte le Chiese cristiane ammettono il divorzio.
Perché mai la Chiesa cattolica si ostina a rifiutarlo?
RISPOSTA:
La Chiesa cattolica rifiuta il divorzio perché il matrimonio di
norma è indissolubile non per convenzione ma per diritto naturale e divino. Quanto al matrimonio sacramentale, come già detto,
esso è segno dell’alleanza tra Dio e l’umanità, e particolarmente
delle nozze tra il Redentore e la Chiesa sua sposa; pertanto tale
matrimonio dev’essere unico e indissolubile come quell’alleanza e
quelle nozze. Non è un caso se la Chiesa cattolica è l’unica ad aver
sviluppato una vera e propria teologia del matrimonio.
«Dalla valida celebrazione del matrimonio, sorge tra i coniugi
un vincolo per sua natura perpetuo ed esclusivo. (…) Il vincolo
matrimoniale è stabilito da Dio stesso, in modo tale che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere
sciolto. Questo vincolo (…) è una realtà ormai irrevocabile e dà
origine a un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della
divina sapienza» (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 1638-1640).
VIII
59
DOMANDA: Rifiutare
la possibilità di divorziare non viola forse la
libertà e la dignità della persona?
RISPOSTA:
La dignità della persona implica anche il prendere e mantenere impegni indissolubili, come quello matrimoniale. Inoltre il
divorzio è contrario alla dignità dei coniugi, specie di quelli più
deboli, perché toglie a loro le certezze dell’unione e li pone nella
possibilità di essere abbandonati e caricati di pesanti conseguenze
delle quali non sono responsabili; senza contare le ripercussioni
che colpiscono i figli e danneggiano la loro formazione psicologica e morale: esistono numerosi studi scientifici in proposito.
– 40 –
60
DOMANDA: La
Chiesa non accetta forse la separazione coniugale
come forma di divorzio?
RISPOSTA:
Il divorzio e la separazione sono due realtà molto diverse dal
punto di vista della morale e del diritto. I coniugi separati, sebbene
non più conviventi, non sono divorziati ma anzi restano sposati
davanti a Dio e alla Chiesa. La separazione è un male tollerato
dalla Chiesa con dolore e per gravi motivi di prudenza, ossia solo
quando tutte le alternative risultano impraticabili e per evitare
mali maggiori; infatti, a volte può essere preferibile permettere la
separazione per evitare i danni causati dalla convivenza.
«La Chiesa ammette la separazione fisica degli sposi e la fine
della coabitazione. Ma i coniugi non cessano di essere marito e
moglie davanti a Dio; pertanto non sono liberi di contrarre una
nuova unione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1649).
«In queste dolorose situazioni, la Chiesa ha sempre permesso
che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme.
Tuttavia, va precisato che il vincolo coniugale di un matrimonio
validamente celebrato rimane stabile davanti a Dio e le singole
parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio, finché
l’altro coniuge è in vita» (card. Gerhard Müller, Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, p. 149).
61
DOMANDA: La
Chiesa non accetta forse l’annullamento del matrimonio come forma di divorzio?
RISPOSTA:
Quando, dopo un documentato processo canonico, la Chiesa
dichiara che un matrimonio deve essere considerato come nullo,
non scioglie il vincolo coniugale, bensì dichiara che non c’è mai
stato per colpa di alcuni insanabili difetti originari. Non si tratta
quindi di un «annullamento» ma di una constatazione di nullità,
che non ha niente a che vedere col divorzio.
62
DOMANDA: Non
si può prevedere che un domani l’Autorità ecclesiastica ammetterà talvolta il divorzio, almeno per risolvere pastoralmente alcuni «casi particolari»?
RISPOSTA:
«Se la volontà degli sposi, contratto che l’abbiano, non può più
sciogliere il vincolo matrimoniale, potrà forse farlo l’autorità, superiore ai coniugi, stabilita da Cristo per la vita religiosa degli uomi– 41 –
ni? Il vincolo del matrimonio cristiano è così forte, che, se esso ha
raggiunto la sua piena stabilità con l’uso dei diritti coniugali, nessuna potestà al mondo, nemmeno la Nostra, quella cioè del Vicario
di Cristo, vale a rescinderlo» (ven. Pio XII, discorso del 22-4-1942).
63
DOMANDA: Cosa
pensare dei coniugi divorziati e risposati civilmente?
Matrimonio e famiglia
RISPOSTA:
I coniugi divorziati e risposati si trovano in oggettivo stato di
peccato mortale, stato che, se di pubblica notorietà, è aggravato dallo scandalo. La loro unione non può essere ammessa dalla Chiesa
né autenticata da alcuna cerimonia para-matrimoniale. Per essere
perdonati e riammessi alla piena comunione ecclesiale, essi hanno il
dovere di pentirsi della loro colpa e di risanare la loro situazione.
«Il fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile, accresce la gravità della rottura: in tal
caso, il coniuge risposato si trova in una situazione di adulterio
permanente» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2384).
«Il rispetto dovuto sia al Sacramento [del Matrimonio], sia
agli stessi coniugi, sia alla comunità dei fedeli, proibisce ad ogni
pastore, sotto qualsiasi motivo o pretesto anche pastorale, di porre in atto cerimonie di qualsiasi genere in favore dei divorziati che
si risposano. Queste infatti darebbero l’impressione di celebrare
nuove nozze sacramentali valide e quindi indurrebbero in errore circa l’indissolubilità del matrimonio validamente contratto»
(s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 84).
VIII
64
DOMANDA: Come devono comportarsi, allora, due persone coniu-
gate risposate che per gravi motivi non possono interrompere la loro convivenza?
RISPOSTA:
«Là dove (…) si danno condizioni oggettive che rendono la
convivenza irreversibile, la Chiesa incoraggia quei fedeli a impegnarsi a vivere la loro relazione secondo le esigenze della Legge divina, ossia come amici, come fratello e sorella. (…) Affinché sia possibile e porti frutti, tale cammino dev’essere sostenuto
dall’aiuto dei pastori e da adeguate iniziative ecclesiali, ma in
ogni caso bisogna evitare di benedire queste relazioni, perché tra
i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio»
(Papa Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n. 29).
Anche in questi casi, ovviamente, le persone sono obbligate
alla norma generale di evitare lo scandalo, obbligo tanto più grave
– 42 –
se consideriamo che, nel loro caso, il pericolo di scandalo è maggiore «essendo di per sé occulto il fatto che non vivono “more
uxorio” e manifesta la condizione di divorziati risposati» (card.
Velasio de Paolis, I divorziati risposati e i sacramenti dell’Eucaristia e della
Penitenza, in Permanere nella Verità di Cristo, op. cit. p.173).
65
DOMANDA: Una persona divorziata, avendo prole a carico, potreb-
be forse risposarsi per assicurare la stabilità economica ed emotiva propria e, soprattutto, dei figli?
RISPOSTA:
Una situazione di certo dolorosa, che però non può essere risolta dal peccato. Un secondo male non cancella né compensa il
primo, ma si aggiunge ad esso aggravandolo.
– IX –
La Comunione
per i separati, divorziati e
divorziati-risposati
66
DOMANDA: Una persona separata può ricevere il Sacramento della
Comunione?
RISPOSTA:
Una persona separata dal proprio coniuge, se non ha contratto
un’unione stabile con un’altra persona, può ricevere la Comunione sacramentale, ovviamente purché sia in stato di grazia.
67
DOMANDA: Una
persona che ha senza colpa subìto il divorzio ma
non si è risposata, può ricevere la Comunione sacramentale?
RISPOSTA:
Una persona che ha subìto il divorzio ma non si è risposata,
può ricevere la Comunione sacramentale, ovviamente purché sia
in stato di grazia.
68
DOMANDA: Un divorziato risposato può ricevere la Comunione sa-
cramentale?
RISPOSTA:
Quali che siano le sue intenzioni soggettive, una persona notoriamente divorziata e risposata civilmente si trova oggettivamente «in
– 43 –
La Comunione per
i separati, divorziati e divorziati-risposati
stato di peccato grave manifesto» (Codice di Diritto Canonico, n. 915);
pertanto essa non può ricevere l’Eucaristia. Se lo facesse, trattandosi
di peccato pubblico, al sacrilegio si aggiungerebbe lo scandalo.
«Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in
una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio.
Perciò essi non possono accedere alla Comunione eucaristica, per
tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso motivo non
possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una
completa continenza» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1650).
«La Chiesa ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati
risposati. Sono essi a non poter essere ammessi, poiché il loro
stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente
quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata
dall’Eucaristia. C’è inoltre un altro motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero
indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sulla
indissolubilità del matrimonio» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris con-
IX
sortio, n. 84).
69
DOMANDA: Un divorziato-risposato che fosse convinto in coscien-
za di poter ricevere l’Eucaristia, potrebbe farlo a buon
diritto?
RISPOSTA:
«I pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che questo suo
giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della
Chiesa» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della
Chiesa Cattolica circa la ricezione della Comunione eucaristica da parte dei
fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, n. 6).
70
DOMANDA: Questa
proibizione però è solo una disposizione dell’attuale Codice di Diritto Canonico (can. 915); in futuro, potrebbe essere forse cambiata da una nuova disciplina?
RISPOSTA:
«Per sua natura, la proibizione fatta nel citato canone deriva
dalla Legge divina e trascende l’àmbito delle leggi ecclesiastiche
– 44 –
positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che
si oppongano alla dottrina della Chiesa» (Pontificio Consiglio per i
Testi Legislativi, Dichiarazione circa l’ammissibilità alla santa Comunione
dei divorziati risposati, 24-6-2000, n. 1).
71
DOMANDA: Un
divorziato-risposato può fare almeno la Comunione spirituale?
RISPOSTA:
Per partecipare dei frutti del Sacramento della Comunione, sia
mediante la sua ricezione che mediante la Comunione spirituale,
è necessario essere in stato di grazia (Concilio di Trento, Decreto sulla
Santissima Eucaristia, Capitolo VIII). In questo senso, le persone che si
trovano in stato di peccato grave come, per esempio, gli adulteri,
non ricevono tali frutti. Tuttavia queste persone possono e devono
aspirare ad unirsi a Cristo chiedendo le grazie necessarie per abbandonare il peccato e poter portare una vita virtuosa.
72
DOMANDA: Ricevere
l’Eucaristia non può forse diventare, anche
nei divorziati-risposati, una medicina spirituale che favorisca la loro piena conversione?
RISPOSTA:
Chi riceve l’Eucaristia non assume una mera medicina spirituale, ma riceve realmente il Corpo e il Sangue di Cristo, e per riceverlo bisogna esserne degni, ossia essere in stato di grazia. Ma i
divorziati risposati si trovano oggettivamente in situazione di peccato mortale. Se quindi ricevono la Comunione sacramentale, essi
rischiano di commettere un sacrilegio; la loro Comunione, quindi
non diventerebbe una medicina ma anzi un veleno spirituale. Se
un celebrante ammette tale Comunione sacrilega, delle due l’una:
o non crede nella Presenza Reale di Cristo o non crede che essere
divorziati risposati costituisca situazione di peccato mortale.
«Desidero ribadire che vige, e vigerà sempre nella Chiesa, la
norma con cui il Concilio di Trento [De Eucharistia, canone XI]
ha concretizzato la severa ammonizione dell’Apostolo Paolo
(1 Cor 11, 29), affermando che, al fine di ricevere degnamente
l’Eucaristia, se uno è consapevole di essere in peccato mortale,
deve premettere la Confessione dei peccati» (s. Giovanni Paolo II,
Ecclesia de Eucharistia, 17-4-2003, n. 36).
73
DOMANDA: Una persona divorziata e risposata è «scomunicata», si
trova dunque fuori dalla Chiesa?
RISPOSTA:
Una persona divorziata e risposata non perde la propria condizione di battezzata, per cui continua ad essere membro della Chie– 45 –
La Comunione per
i separati, divorziati e divorziati-risposati
sa ed è tenuta a osservarne i precetti, come ad esempio la santa
Messa nei giorni dovuti. Comunque, la Chiesa non la abbandona
alla solitudine, ma anzi la incoraggia a frequentare la vita della
Chiesa e ad usare i mezzi di salvezza che può ricevere per purificarsi e tornare all’amicizia con Dio.
In questa frequentazione, la persona divorziata e risposata deve evitare comportamenti che possano causare scandalo, creando la
falsa impressione che la sua situazione nella Chiesa sia regolare.
«Nonostante la loro situazione, i divorziati risposati continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile
cristiano di vita, attraverso la partecipazione alla santa Messa,
pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio,
l’adorazione eucaristica, la preghiera, (…) la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli»
IX
(Papa Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, Esortazione apostolica, 22-22007, n. 29).
«I sacerdoti e tutta la comunità devono dare prova di attenta
sollecitudine verso i cristiani che vivono in questa situazione, (…)
affinché essi non si considerino come separati dalla Chiesa, alla
vita della quale possono e devono partecipare in quanto battezzati. Essi siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, ad assistere al
Sacrificio della Messa, e perseverare nella preghiera, (…) a coltivare lo spirito e le opere di penitenza, per implorare ogni giorno
la Grazia divina» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1651).
74
DOMANDA: Per
essere riammesso all’Eucaristia, non basta che un
pubblico peccatore sia sinceramente pentito?
RISPOSTA:
Per una riammissione all’Eucaristia, il divorziato risposato
deve anche esprimere l’efficace proposito di non più peccare, ossia di emendarsi: il che comporta l’uscire dalla situazione di scandalo, ad esempio rompendo i legami illeciti contratti. Solo così il
peccatore dimostra di essersi convertito e di voler fare penitenza.
Se poi il divorziato risposato non può abbandonare la casa in
cui convive con il coniuge adulterino, ad esempio perché è obbligato a curare l’educazione dei figli, egli deve comunque impegnarsi a vivere castamente con il proprio convivente, ossia «sotto
lo stesso tetto ma non nello stesso letto».
– 46 –
75
DOMANDA: E’ vero
che, come dice il cardinale Walter Kasper, nella
Chiesa delle origini vigeva una tolleranza ammessa e
diffusa per la Comunione dei divorziati risposati?
RISPOSTA:
Nessun Concilio dell’antichità o nessun Padre della Chiesa
hanno ammesso di norma alla Comunione sacramentale i divorziati civilmente risposati. Lo dimostrano alcuni studi recenti che
riprendono le conclusioni del rinomato patrologo Henri Crouzel
S.J. e che confutano la tesi del card. Kasper (cf. John M. Rist, Divorzio e seconde nozze nella Chiesa antica – riflessioni storiche e culturali, in
Permanere nella Verità di Cristo, Cantagalli, Siena 2014, pp. 59-85).
Le citazioni del cardinale Kasper non sono corrette e non sono
contestualizzate con altre citazioni delle stesse fonti. Scrive il p.
Pérez-Soba: «Così facendo, egli [Kasper] mette a tacere un fatto
manifesto: il numero di testi dei Padri che negano tassativamente
questa possibilità è ben più elevato e sono testi più schietti e chiari
rispetto ai brani che il cardinale cita» (J.J. Pérez-Soba, L’esperienza
della chiesa antica, fedeltà al Vangelo della Famiglia, in Pérez-Soba e Kampowski, op. cit. p. 97).
Comunque sia, le decisioni dei Concilii generali e dei Sinodi
locali, sia nella loro forma che nel loro contenuto, sono da ritenersi valide solo se corrispondono alle esigenze dell’autentica e
costante Tradizione della Chiesa, rispondente all’aurea regola di s.
Vincenzo di Lerino: «quod sempre, quod ubique, quod ab omnibus» (cf. card. Walter Brandmüller, Unità e indissolubilità del matrimonio,
in Aa. Vv., Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella
Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, cap. V).
76
DOMANDA: Le Chiese ortodosse possono benedire con un rito par-
ticolare un secondo matrimonio che non ritengono un
sacramento ma una soluzione per evitare un peccato
maggiore e, dopo questa benedizione, possono ammettere i conviventi ai sacramenti. Potrebbe forse la
Chiesa Cattolica imitare il loro esempio?
RISPOSTA:
La teologia delle chiese ortodosse sul matrimonio è assai diversa dalla cattolica. Comunque, il caso delle citate pratiche ammesse nelle Chiese ortodosse costituisce una deviazione storica,
provocata dalla sottomissione di quelle chiese al potere temporale,
non giustificabile né applicabile alla Chiesa Cattolica. Lo dimostra mons. Cyril Vasil’ S.J., segretario della Congregazione per le
Chiese orientali, nel suo saggio su Separazione, divorzio e seconde nozze. Approcci teologici e pratici delle Chiese ortodosse (in
Aa. Vv., Permanere nella verità di Cristo, cit, cap. IV).
– 47 –
DOMANDA: Come
mai nel Sinodo alcuni padri hanno insistito nel
proporre di ammettere alla Comunione i divorziati risposati?
Omosessualità e unioni omosessuali
77
di Trento, cap. VI; cf. anche Concilio Vaticano II, Sacrosantum Concilium,
55), non si può asserire che chi non l’ha fatto non abbia adempiuto
X
al precetto.
RISPOSTA:
Anche nella Chiesa, molti sono sedotti dall’idea soggettiva secondo cui tutti hanno eguale diritto a tutto, e negare una facoltà
concessa ad altri costituisce una inammissibile discriminazione;
ricevere la Comunione non costituisce un «diritto umano», per cui
la Chiesa può negarlo a chi non ne ha diritto essendone incapace
o indegno.
Anche se per una vera e piena partecipazione alla Messa è vivamente raccomandabile la ricezione della Comunione (cf. Concilio
–X–
Omosessualità e
unioni omosessuali
78
DOMANDA: Le
tendenze omosessuali sembrano essere naturali;
la loro soddisfazione non costituisce, quindi, un atto
lecito?
RISPOSTA:
La inclinazione omosessuale, benché non sia peccaminosa, costituisce «tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per
questo motivo l’inclinazione stessa dev’essere considerata come
oggettivamente disordinata» (Congregazione per la Dottrina della Fede,
Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non
discriminazione delle persone omosessuali, 2, 1992). Le persone con
questa inclinazione vanno trattate con delicatezza e compassione
e stimolate alla pratica della castità (cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2358-2359).
Invece, gli atti omosessuali comportano un uso della sessualità
contro il suo fine naturale e, se sono liberamente compiuti, vanno
riprovati perché sono imputabili come moralmente colpevoli.
«La Sacra Scrittura presenta le relazioni omosessuali come
gravi depravazioni (cf. Gn. 19, 1-29; Rm 1, 24-27; 1 Cor 6, 9– 48 –
10; 1 Tim 1, 10). La tradizione ha sempre dichiarato che gli atti
omosessuali sono intrinsecamente disordinati; essi infatti sono
contrari alla Legge naturale, precludono all’atto sessuale il dono
della vita, non sono frutto di una vera complementarità affettiva e
sessuale; pertanto, non possono essere approvati in nessun caso»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2357).
79
DOMANDA: Non
possiamo forse dire che l’amore tra due persone
dello stesso sesso è, se non identico, almeno simile a
quello fra un uomo e una donna?
RISPOSTA:
«Il termine “amore” è oggi diventato una delle parole più
usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti», affermò molto appropriatamente il Papa Benedetto
XVI (enc. Deus caritas est, n. 2). Nel caso specifico della domanda,
essa comprende due realtà diverse: l’attrazione erotica (o «amore
di concupiscenza») e una forma di amore più elevata denominata «amore di dilezione», che può esistere senza nessuna connotazione sessuale tra persone dello stesso o diverso sesso (per es.,
l’amore paterno, materno, filiale, fraterno o tra amici). Oltre alla
mera attrazione erotica, è questo amore di dilezione che porta un
uomo e una donna a scegliersi vicendevolmente come coniugi, al
fine di generare una prole, e per praticare «la carità coniugale, che
è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono
chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 13). Essendo le unioni
omosessuali incapaci di compiere il fine procreativo della natura
e, pertanto, gravemente peccaminose, esse non possono servire
oggettivamente da fondamento a questa superiore forma di amore
che è la carità coniugale.
80
DOMANDA: Due persone dello stesso sesso che convivono non po-
trebbero forse ufficializzare la loro unione contraendo
matrimonio?
RISPOSTA:
Essendo per natura unione tra due persone di sesso diverso finalizzata a procreare figli di entrambi, il matrimonio può essere
celebrato solo fra un maschio e una femmina.
Due persone dello stesso sesso non possono contrarre un matrimonio valido e la loro convivenza non può costituire una famiglia
nel senso proprio della parola. La loro unione non è secondo natura né aperta alla vita e, come tale, è moralmente illecita.
– 49 –
Omosessualità e unioni omosessuali
81
DOMANDA: Un
vescovo ha sostenuto che riconoscere le coppie
omosessuali costituisca «un discorso di civiltà». Un altro si è azzardato perfino a proporre che l’unione omosessuale venga, se non parificata, almeno assimilata a
quella matrimoniale, ad esempio autorizzandola con
una benedizione sacerdotale. E’ possibile quest’assimilazione?
RISPOSTA:
L’unione omosessuale è una convivenza erotica tra amanti che
comporta l’uso contro natura della sessualità. Pertanto l’unione
omosessuale è gravemente peccaminosa e non è assimilabile a
quella matrimoniale, tantomeno può essere benedetta dalla Chiesa; anzi, bisogna opporsi ai recenti tentativi di legalizzarla sotto
qualunque forma.
«Se, dal punto di vista legale, il matrimonio tra due persone di
sesso diverso fosse considerato solo come uno dei matrimoni possibili, il concetto stesso di matrimonio subirebbe un cambiamento
radicale, con grave danno del bene comune» (Congregazione della
X
Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale
delle unioni tra persone omosessuali, 28-3-2003, n. 8 - testo approvato da s.
Giovanni Paolo II).
82
DOMANDA: Una
persona pietosa e comprensiva, come potrebbe
condannare gli omosessuali alla prospettiva di reprimere costantemente i loro istinti?
RISPOSTA:
Come tutti, anche gli omosessuali sono obbligati dalla legge
morale a controllare le passioni sregolate e a vivere castamente
secondo il loro stato.
«Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Mediante le virtù della padronanza di sé, educatrici della padronanza
esteriore, (…) con la preghiera e la Grazia sacramentale, essi
possono e devono, gradualmente e risolutamente, avvicinarsi alla
perfezione cristiana» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2359).
– 50 –
– XI –
Alcune parole-chiavi
del dibattito sinodale
LE PAROLETALISMANI
83
DOMANDA: Un documento del Sinodo ha accennato al fatto che la
pastorale ecclesiale deve realizzare anche una «conversione del linguaggio» (Relatio post disceptationem, n. 29).
Prima, durante e dopo il Sinodo, il dibattito sulla situazione della famiglia ha visto l’imporsi di alcune parole-chiavi che hanno dato una certa impostazione alla
problematica trattata. Ad esempio, fin dal suo Documento Preparatorio (n. 1), il Sinodo ha evidenziato «la
vasta accoglienza che sta avendo ai nostri giorni l’insegnamento sulla misericordia divina e sulla tenerezza nei
confronti delle persone ferite…». Come valutare queste
parole-chiavi?
RISPOSTA:
«Persone ferite», «misericordia», «accoglienza», «tenerezza»,
«approfondimento», sono esempi di parole che potrebbero subire
un uso unilaterale, semplificatorio e in questo senso potrebbero
avere una sorta di effetto talismanico.
84
DOMANDA: Cosa sarebbero queste «parole-talismani»?
RISPOSTA:
La «parola talismano» è un vocabolo, di per sé legittimo, dal
forte contenuto emotivo, scelto soprattutto per essere così duttile
e mutevole da assumere vari significati secondo i contesti in cui
viene usato. Questa sua elasticità lo rende passibile di un uso propagandistico e lo sottomette a possibili abusi per scopi ideologici.
Ad esempio, la parola talismano è strumento utile per realizzare un «trasbordo ideologico inavvertito»: ossia un processo che
cambia la mentalità dei «pazienti» senza che questi se ne rendano
ben conto, spostandoli da una posizione legittima ad una illegittima. Manipolata dalla propaganda, la parola talismano assume
gradualmente significati sempre più vicini alle posizioni ideologiche alle quali si vuole trasbordare i «pazienti» (cf. Plinio Corrêa
de Oliveira, Trasbordo Ideologico Inavvertito e Dialogo, Il Giglio, Napoli
2012, cap. III; cf. anche, Warwick Neville, Manipolazione del linguaggio, in
Lexicon, cit. pp. 630-639).
– 51 –
Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale
Questo procedimento può essere applicato facilmente anche
all’ambito ecclesiale. Infatti, l’uso di alcune parole piuttosto che
di altre può spingere il fedele a sostituire un giudizio morale con
uno sentimentale, o un giudizio sostanziale con uno formale, giungendo a considerare come buono, o almeno tollerabile, ciò che
all’inizio era considerato cattivo.
L’ APPROFONDIMENTO
85
DOMANDA: Che
esempi ci sono di “parole talismani” usate nel dibattito attorno al Sinodo?
RISPOSTA:
Abbiamo il caso della parola «approfondimento». Nel linguaggio comune, essa significa una maggiore comprensione di
un concetto o di una realtà, in modo da chiarirne i fondamenti.
Invece, nella propaganda mass-mediatica, essa viene usata per
favorire un cambiamento di giudizio su quel concetto o su quella realtà, ovviamente in senso permissivo, fino a negarla nel suo
fondamento.
«Questi che sono etichettati come “approfondimenti” sono
dunque, nelle intenzioni di chi li sponsorizza, mutamenti sostanziali della dottrina fin qui insegnata dal Magistero, e andrebbero
pertanto etichettati piuttosto come rottura con la Tradizione. Si
tratta infatti di piccoli passi nella direzione di una normativa che
andrebbe a rivoluzionare la struttura stessa della disciplina ecclesiastica, a tal punto che (…) comporterebbero (…) una vera e
propria rottura con la dottrina del Magistero. (…) Trovo alquanto
ipocrita l’uso dell’etichetta dell’ “approfondimento” per propagandare una riforma della Chiesa che finisca per abolire i fondamenti dogmatici della sua fede e della sua disciplina» (mons.
XI
Antonio Livi, già decano della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università
Lateranense, Approfondimento della dottrina? No, è tradimento, su La Nuova Bussola Quotidiana, 21-12-2014).
86
DOMANDA:
Tuttavia, possiamo forse dire che l’attuale situazione
d’insensibilità richiede che le verità e le norme morali siano proposte e applicate gradualmente, a misura
della coscienza dei singoli o dell’opinione pubblica?
RISPOSTA:
La graduale consapevolezza della legge morale non dispensa il
fedele dall’obbligo di giungere a conoscerla e praticarla per intero.
– 52 –
«I coniugi non possono considerare la Legge solo come un
mero ideale da raggiungere in futuro, ma debbono valutarla come
un comando di Cristo Signore a impegnarsi a superare le difficoltà. Perciò la cosiddetta “legge della gradualità”, o cammino
graduale, non può identificarsi con la “gradualità della legge”,
come se nella Legge divina ci fossero vari gradi e varie forme di
precetto per uomini e situazioni diverse» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 34).
LE PERSONE FERITE
87
DOMANDA: Chi sarebbero allora le «persone ferite»?
RISPOSTA:
Nell’attuale discussione, questa formula allude a persone che
vivono in stato di peccato grave e pubblico: conviventi, divorziati
risposati, coppie omosessuali e via dicendo. Chiamandoli «persone ferite», si evita di esprimere un giudizio morale e si risalta un
aspetto, vero ma secondario, della loro concreta situazione, usando
nei loro confronti un termine atto a suscitare compassione: sono
solo «persone ferite», forse vittime incolpevoli, alle quali non si
può imputare una mancanza grave.
Di fronte a una «persona ferita», ovviamente la reazione normale è quella di venirle incontro per soccorrerla. Nel nostro caso,
per non aggravare la sofferenza psicologica della persona, ogni
giudizio morale su di lei viene evitato, in quanto inopportuno. Al
contrario, il sentimento di «misericordia» e di «tenerezza» nei suoi
confronti è raccomandato in quanto è ritenuto l’unico ammissibile
nel valutare la sua situazione e, quindi, nel progettare una pastorale adatta a lei. Alla fine di questo processo, il sentimento compassionevole però rischia di giustificare la condizione peccaminosa,
cambiando quindi il giudizio dottrinale del Magistero pur di non
far soffrire ulteriormente la «persona ferita».
88
DOMANDA:
Ma non è appunto questo l’atteggiamento suggerito
dalla nota parabola evangelica del «buon samaritano»
(Lc 10, 25-37)?
RISPOSTA:
Al contrario, la magnifica parabola del «buon samaritano» viene qui fraintesa. Letta secondo la mentalità oggi dominante, essa
infatti ci conduce a una conclusione paradossale. Il soccorritore è
talmente preoccupato di risparmiare ulteriori sofferenze al ferito,
– 53 –
Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale
da minimizzare la gravità del suo male, da risparmiargli quelle
cure dolorose che potrebbero risanarlo e da limitarsi a somministrare palliativi che gli alleviano la sofferenza, con la conseguenza
di rendere cronico il male subito. Per non turbare il ferito suscitandogli sensi di colpa, il soccorritore non lo ammonirà ad evitare
la strada pericolosa lungo la quale è rimasto ferito, per cui il poveretto, mal curato e mal consigliato, rischierà di ricadere nella
sventura passata.
LA MISERICORDIA
89
DOMANDA: Un’altra
parola-chiave usata attorno al dibattito sinodale è stata “misericordia”. Se Dio perdona sempre i
peccatori, non dovrebbe la Chiesa usare misericordia
attenuando il proprio rigore sulle situazioni irregolari, ad esempio togliendo il divieto di accesso ai Sacramenti?
XI
RISPOSTA:
«E’ un argomento debole in materia teologico-sacramentaria,
anche perché tutto l’ordine sacramentale è esattamente opera della misericordia divina e non può essere revocato richiamandosi
allo stesso principio che lo sostiene (…) Attraverso quello che
oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia,
s’incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di
Dio, secondo la quale Egli non potrebbe fare altro che perdonare.
Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la
santità e la giustizia; se si nascondono queste perfezioni di Dio e
non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno
mediare alle persone la Sua misericordia. (…) La misericordia
non è una dispensa dai Comandamenti di Dio e dalle istruzioni
della Chiesa» (card. Gerhard Müller, Indissolubilità del matrimonio e dibattito sui divorziati risposati e i Sacramenti, in Aa. Vv., Permanere nella
verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa Cattolica, Cantagalli, Siena 2014, pp. 151-152).
«“Misericordia” è un’altra parola facilmente esposta agli equivoci. (…) Poiché essa è collegata all’amore, essa, come l’amore,
viene presentata in contrasto con il diritto e la giustizia. Ma si sa
bene che non esiste amore senza giustizia e senza verità e operando contro la legge, sia umana che divina. San Paolo dirà che la
regola è “l’amore che compie le opere della Legge” (Gal 5, 1318). (…) Davanti alla Legge divina, non si può porre il contrasto
– 54 –
tra misericordia e giustizia, tra rigore della Legge e misericordia
del perdono. (…) L’adempimento di un Comandamento divino non
è e non può essere visto opposto all’amore e alla misericordia.
Anzi, ogni comandamento di Dio, anche il più severo, ha il volto
dell’amore divino, anche se non dell’amore misericordioso. Il comandamento della indissolubilità del matrimonio e della castità
matrimoniale è dono di Dio e non lo si può opporre alla misericordia di Dio. (…) Nel caso concreto, il ricorso alla misericordia
non sarebbe altro che violazione diretta della Legge divina» (card.
Velasio De Paolis, Prolusione cit. pp. 27 e 22).
90
DOMANDA: Nel
dibattito attorno al Sinodo, la misericordia porta
a considerare le situazioni irregolari non dal punto di
vista della legge e del dovere, ma da quello della comprensione e del perdono, un approccio «non fondato su
valutazioni morali ma sulla vulnerabilità delle persone»
(tesi dell’eterodossa lobby che si pretende Wir sind Kirche, cioè «Noi siamo Chiesa»). Non è questa forse una
impostazione tipicamente cristiana della questione?
RISPOSTA:
La Chiesa non può comportarsi come un imbonitore che illude
i sofferenti offrendo pozioni che non fanno sentire il dolore ma
aggravano la malattia. Anzi, da quel vero «buon samaritano» che
è figura del Cristo, la Chiesa deve agire come un saggio medico
che mira a risanare i malati e feriti spirituali usando le medicine
più efficaci, anche se dolorose, per liberarli dal male e risparmiarli
dalle pericolose ricadute. Ciò presuppone che la Chiesa non nasconda ai malati la gravità della loro situazione né sminuisca la
loro responsabilità, ma anzi apra a loro gli occhi e il cuore prima
ancora di chiudere le ferite.
Certamente la cura dev’essere misericordiosa, ossia deve tener conto della vulnerabilità delle persone. Ma questa precauzione
deve favorire la cura, non impedirla illudendosi che i palliativi
possano guarire un malato grave che rifiuta la medicina risolutiva.
Inoltre, non si confonda la vulnerabilità del malato che soffre per
un terapia dolorosa con la suscettibilità di chi rifiuta di curarsi.
«La strada della Chiesa (…) è sempre quella di Gesù, della
misericordia. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o far
entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figliol prodigo pentito,
sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato» (Papa
Francesco, Omelia della Santa Messa del 15-2-2015 con i nuovi cardinali).
– 55 –
Alcune parole-chiavi del dibattito sinodale
XI
91
DOMANDA: Nel
dibattito sinodale, la «misericordia» è il criterioguida di ogni approccio pastorale; questo criterio non
dovrebbe forse prevalere sulle esigenze della dottrina
morale in modo da cambiarne il giudizio?
RISPOSTA:
La misericordia può superare la giustizia ma non può violarla, altrimenti sarebbe ingiusta; tantomeno può smentire la verità,
altrimenti sarebbe falsa. Inoltre, proprio per il fatto di operare nel
campo pratico, la misericordia non può interferire in quello dottrinale, per cui non può mutare il giudizio morale sulla condotta. Altrimenti, una tale «misericordia» cadrebbe sotto la nota condanna
biblica: «Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene,
che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che danno
l’amaro per dolce e il dolce per amaro!» (Is. 5, 20).
«Non si può identificare l’amore con la misericordia. Questa è
certamente un volto dell’amore, ed è ancor amore in quanto però
comunica il bene che elimina ogni male. Ma l’amore si può a volte
esprimere, e in alcuni casi si deve, con la negazione della misericordia intesa come condiscendenza benevola, peggio ancora,
come approvazione» (card. Velasio De Paolis, Prolusione cit., p. 22).
«La misericordia in quanto virtù non è estranea alla giustizia.
(…) Non possiamo lasciare spazio ad una misericordia ingiusta,
poiché sarebbe una profonda falsificazione della Rivelazione divina. (…) Un’azione ingiusta, quindi, non è mai misericordiosa.
Quello che differenzia la misericordia dalla sola compassione, è
che lo scopo della misericordia è di “rimuovere l’altrui miseria”;
in altri termini, la misericordia è attiva contro il male che l’altro subisce. Non è misericordia la falsa consolazione che porta
a dire che si tratta di un “male minore”, se non si libera da esso
colui che lo subisce. (…) La misericordia nasce dall’amore per la
persona al fine di curarla dal male della infedeltà che l’affligge e
che le impedisce di vivere nell’Alleanza con Dio. E’ qualcosa di
ben diverso dal consentire all’infedeltà senza una trasformazione
interiore mediante la grazia, come se Dio coprisse i nostri peccati
senza convertire il cuore ripulendolo. Si tratta di una differenza
dogmatica importante tra la concezione di giustificazione cattolica e quella luterana» (J. J. Pérez-Soba, La verità del Sacramento Sponsale, in Pérez-Soba e Kampowski, op. cit. pp. 60, 70-71-75).
– 56 –
92
DOMANDA: Ma,
in fin dei conti, come potrebbe apparire la Chiesa
solo come una Maestra e Giudice severa?
RISPOSTA:
«Anche nel campo della morale coniugale, la Chiesa è ed agisce come Maestra e Madre. Come Maestra, essa non si stanca di
proclamare la norma morale che deve guidare la responsabile trasmissione della vita. Di tale norma, la Chiesa non è affatto autrice
né arbitra. In obbedienza alla Verità, che è Cristo, (…) la Chiesa
interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona
volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione. Come Madre, la Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi
che si trovano in difficoltà su questo punto importante della vita
morale. (…) Ma è la stessa e unica Chiesa a essere insieme Maestra e Madre! Per questo, essa non smette mai d’invitare e d’incoraggiare, affinché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte
senza mai falsificare e compromettere la verità. (…) Per questo, la
pedagogia concreta della Chiesa dev’essere sempre connessa alla
sua dottrina e mai separata da questa. (…) Non sminuire in nulla
la salutare dottrina di Cristo “è eminente forma di carità verso le
anime”» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 33).
«Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente
forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso ha dato
l’esempio nel trattare gli uomini. Venuto non per giudicare, ma per
salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma paziente e misericordioso verso i peccatori» (b. Paolo VI, enc. Humanae Vitae, 29).
– XII –
Applicazioni della misericordia
alla situazione familiare
93
DOMANDA: Oggi c’è tanta ignoranza sul matrimonio; ciò non signi-
fica forse che la maggior parte dei matrimoni sono da
considerarsi nulli?
RISPOSTA:
Alla ignoranza si deve rimediare con una preparazione seria al
matrimonio, la quale comporta l’insegnamento della dottrina. È
davvero curioso che molte persone che oggi, davanti al fatto dell’ignoranza, richiedono un allentamento della disciplina morale della Chiesa, siano le stesse che prima avevano difeso proprio quell’allentamento dell’educazione morale che ha causato tale ignoranza.
– 57 –
Applicazioni della misericordia alla situazione familiare
XII
«La preparazione remota al matrimonio è estremamente importante e potrebbe essere una buona idea iniziarla prima che i giovani in una determinata società tendano a diventare sessualmente
attivi, cosa che in Occidente significherebbe prima dell’adolescenza. (…) Chiaramente, la Chiesa è chiamata a curare le ferite e a
guarirle, ma come sa ogni buon medico, la miglior medicina è la
prevenzione. I giovani sono molto più aperti a parlare della virtù
della castità di quanto spesso non si creda» (Stephan Kampowski,
Una vita vissuta nel tempo, in Pérez-Soba Kampowski, cit. pp. 134-135).
94
DOMANDA: Un
approccio pastorale improntato alla misericordia
non dovrebbe facilitare i processi di nullità del vincolo
matrimoniale?
RISPOSTA:
Secondo l’eminente canonista cardinale Raymond Leo Burke,
l’attuale processo di nullità garantisce una piena giustizia alle parti
in causa, per cui non ci sarebbe bisogno di modificarlo nella sua
struttura attuale (cf. card. Raymond Burke, Il processo di nullità canonica
del matrimonio come ricerca della verità, in Aa. Vv., Permanere nella verità
di Cristo, cit., cap. IX).
Ovviamente, la grande soluzione pastorale sta nell’assicurarsi
che i matrimoni siano contratti consapevolmente e validamente
e nel rendere accessibili gli eventuali processi di nullità a tutti i
livelli, anche per coloro meno istruiti . Ma non è prudente mettere
in questione la validità di molti matrimoni pur di accontentare l’infima minoranza dei divorziati risposati che pretendono di ricevere
la Comunione senza emendarsi.
«La carità senza giustizia non è tale, ma soltanto una contraffazione, perché la stessa carità richiede questa oggettività tipica
della giustizia, che non va confusa con disumana freddezza. A tale
riguardo, come ebbe ad affermare il mio Predecessore, il venerabile Giovanni Paolo II, nella locuzione dedicata ai rapporti tra pastorale e diritto: “Il giudice (…) deve sempre guardarsi dal rischio
di una malintesa compassione che scadrebbe in sentimentalismo,
solo apparentemente pastorale” (discorso del 18 gennaio 1990,
n.5). Occorre rifuggire da richiami pseudo pastorali che situano le
questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere ad ogni costo
alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro,
gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Il bene altissimo della riammissione alla Comunione
eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale, esige invece di
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considerare l’autentico bene delle persone, inscindibili dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una
grave mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque
la strada verso la ricezione dei sacramenti, con il pericolo di farli
vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria condizione
personale» (Papa Benedetto XVI, Discorso alla Rota Romana, 29-1-2010).
– XIII –
Il ruolo della grazia soprannaturale
nell’impegno per la castità familiare
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DOMANDA: L’uomo
d’oggi sembra incapace di assumere impegni
definitivi, da rispettare per tutta la vita; il matrimonio
monogamico e indissolubile sembra quindi impraticabile dalla maggioranza delle persone. Ma allora, la
Chiesa non risulta forse utopistica nel pretendere che i
familiari pratichino le virtù della fedeltà e della castità?
RISPOSTA:
Dio non chiede all’uomo di raggiungere un fine impraticabile,
di rispettare un impegno superiore alle sue forze. Se le forze naturali sono insufficienti, allora la Provvidenza dona forze soprannaturali adeguate a compiere la sua missione. Nostro Signore Gesù
Cristo non chiede niente d’impossibile ai coniugi, ai genitori, ai
figli; perciò Egli dona a loro la grazia sufficiente.
«La dignità e la responsabilità della famiglia cristiana come
“chiesa domestica” possono essere vissute solo con l’incessante
aiuto divino, che immancabilmente sarà concesso se sarà implorato con umiltà e fiducia nella preghiera» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 59).
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DOMANDA: Com’è possibile vivere in una condizione di castità?
RISPOSTA:
«Tutti i credenti in Cristo sono chiamati a condurre una vita
casta, secondo il loro particolare stato di vita» (Catechismo della
Chiesa Cattolica, n. 2348). La Chiesa insegna che sia la castità assoluta fuori dal matrimonio, sia quella relativa all’interno del matrimonio, sono secondo natura e quindi teoricamente possibili.
Tuttavia, in concreto, a causa del Peccato Originale, mantenere
durevolmente la castità è possibile solo con l’aiuto della Grazia,
con la quale un impegno pesante diventa leggero: «Il mio giogo è
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Il ruolo della grazia soprannaturale
soave e il mio peso è leggero» (Mt. 11, 29-30). Una volta che l’abitudine alla lussuria è stata sostituita dall’abitudine alla castità, questa diventa una virtù gratificante.
«La castità richiede l’acquisizione del dominio di sé, che è pedagogia per la libertà umana. L’alternativa è evidente: o l’uomo
comanda alle sue passioni e consegue la pace, oppure si lascia
asservire da esse e diventa infelice» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2339).
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DOMANDA: Anche
se in teoria la castità è forse praticabile, come
può esserlo nella nostra epoca dominata dal pansessualismo?
RISPOSTA:
È sempre stato difficile mantenere la castità; lo è ancor più nella
società moderna, in cui ambienti, cultura, mezzi di comunicazione,
favoriscono la lussuria. Oggi più che mai, per mantenere la castità
il fedele deve andare controcorrente, per cui gli è particolarmente
necessario il soccorso della grazia divina, mediante la preghiera,
l’ascesi e la penitenza. Ma proprio perciò, ripetiamo, vivere castamente risulta più meritevole e gratificante che in passato.
«La dignità dell’uomo esige ch’egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, cioè mosso e indotto da convinzioni personali e
non per cieco impulso o per mera coazione esterna. Ma l’uomo
conquista tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù delle passioni, tende al proprio fine scegliendo liberamente il bene»
(Gaudium et spes, n. 17).
XIII
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DOMANDA: Com’è possibile, per due sposi, vivere in una condizio-
ne di castità coniugale?
RISPOSTA:
La castità coniugale non è una esigenza irrealizzabile, anzi è
condizione di un matrimonio e di una famiglia sani e fecondi e
socialmente benèfici.
«Questa inequivocabile insistenza sulla indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come
un’esigenza irrealizzabile (Mt. 19, 10). Tuttavia, Gesù non ha
caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo
gravoso (Mt. 19, 29-30). (…) Venendo a restaurare l’ordine della
creazione sconvolto dal peccato, Egli stesso dona la forza e la
grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno
di Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1615).
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DOMANDA: Non appare forse evidente che la causa della famiglia è
persa e che ormai non c’è più niente da fare?
RISPOSTA:
Da fare ce n’è anche troppo e con urgenza! Invece di lamentarsi della situazione e rassegnarsi al peggio, è ora che i cristiani
si mettano all’opera per ricuperare il terreno perduto e usare tutti
i mezzi necessari, ricordando che «tutto posso in Colui che mi
conforta» (Fil. 4, 13).
«Amare la famiglia, significa stimarne i valori e le capacità,
promuovendole sempre. Amare la famiglia, significa individuare
i pericoli e i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare
la famiglia, significa impegnarsi a crearle un ambiente che ne favorisca lo sviluppo. Infine, è forma eminente di amore ridare alla
famiglia cristiana odierna, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le cresciute difficoltà, ragioni di fiducia in sé stessa,
nelle proprie ricchezze di natura e di Grazia, nella missione che
Dio le ha affidato» (s. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 86).
100 DOMANDA: Che cosa fare allora?
RISPOSTA:
«Noi vogliamo richiamare l’attenzione degli educatori e di
quanti assolvono compiti di responsabilità in ordine al bene comune dell’umana società, sulla necessità di creare un clima favorevole all’educazione alla castità, cioè al trionfo della sana
libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale. Ai
governanti, che sono i principali responsabili del bene comune e
tanto possono per la salvaguardia del costume morale, noi diciamo: non lasciate che si degradi la moralità dei loro popoli; non
permettete che pratiche contrarie alla Legge naturale e divina
s’introducano in modo legale in quella cellula fondamentale dello
Stato che è la famiglia» (b. Paolo VI, Humanae vitae, nn. 22-23).
Concludiamo dicendo che la Sacra Famiglia di Nazareth è il
modello per eccellenza della famiglia, perché realizza la comunione di amore, il suo carattere sacro e inviolabile. Per la salvezza
della famiglia, i Papi hanno raccomandato la devozione al Sacro
Cuore di Gesù. In questa prospettiva, Dio soccorrerà le famiglie in
difficoltà con la sua Grazia onnipotente, la Madonna le assisterà
col suo materno patrocinio, la Chiesa le aiuterà con la parola, la
preghiera, i Sacramenti e la fattiva carità.
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— «Ritengo che questo volume, per la chiarezza dell’impostazione
teologica, per la singolare chiarezza e lealtà della lettura della tradizione
magisteriale sulla famiglia, può rappresentare uno strumento validissimo
per aiutare il popolo cristiano a vivere la prova di questo dibattito interno
alla Chiesa, non sempre libero e sensato, come una occasione di maturazione della fede. La maturazione della fede infatti, è l’unica ragione delle
prove che Dio permette per tutto il popolo cristiano, cominciando dai più
umili cioè dai più santi. Con gli auguri di un’ampia e felice diffusione».
Mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio,
Abate di Pomposa, Italia
— «Do pieno appoggio e incoraggio la pubblicazione e la distribuzione del libro “Opzione preferenziale per la famiglia: cento domande e cento
risposte intorno al Sinodo”. Questo libro sarà uno strumento utilissimo per
tutti i lettori che considerano seriamente la nozione che “Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare” (Gaudium et Spes, 47)».
Sua Ecc.za Rev.ma, Mons. Anthony Sablan Apuron, OFM CAP., D.D.,
Arcivescovo metropolita di Agana (USA)
— «Il Vademecum Opzione preferenziale per la Famiglia - cento domande e cento risposte intorno al Sinodo è molto utile, perché presenta
le risposte ai problemi urgenti che deve affrontare la famiglia odierna, in
modo dottrinalmente ben motivato. Il metodo scelto, un Vademecum di
“domande-risposte”, consente di consultarlo rapidamente e di trovare le
repliche alle domande d’interesse, rendendolo per ciò molto comodo da
usare. Mi auguro che il Vademecum possa essere utile sia nella pastorale
come pure nella preparazione al Sinodo dei Vescovi sul tema: “La Vocazione e la Missione della famiglia nella Chiesa e nel Mondo contemporaneo”,
che si svolgerà il 4-25 ottobre 2015».
Mons. Tadeusz Kondrusiewicz,
Arcivescovo metropolita di Minsk-Mohilev, Bielorussia
— «Sono convinto che faccio un’opera di bene raccomandando
la lettura del volumetto Opzione preferenziale per la Famiglia. Voglia la
Divina Provvidenza favorirne una vasta diffusione. Un’opera sulla tematica era necessaria giacché, con l’ausilio di argomenti teologici, morali e
prudenziali, questo libro costituirà una luce per l’attuale momento in cui
tanti fattori stanno minacciando questa istituzione basilare della società.
Intanto auguro a quanti lo leggeranno che Maria Santissima del Buon
Successo conceda le sue migliori grazie e impartisco loro con beneplacito la mia benedizione episcopale».
Mons. Patricio Bonilla Bonilla, OFM,
Vicario Apostolico di San Cristóbal, Galápagos, Ecuador