Immanuel Kant visto da vicino
Transcript
Immanuel Kant visto da vicino
I L F I L O S O F O Immanuel Kant visto da vicino Pietro Ratto, che ha curato questo dossier, della vita di Kant sa tutto, anche particolari che si potrebbero giudicare insignificanti se non fossero così rivelatori. Di questo ci racconta, con elegante curiosità. R einhold Bernhard Jachmann, il suo biografo, lo descrive come un uomo piccolo, alto a malapena un metro e mezzo, con la testa che “in proporzione al resto era grandissima”, magro e di struttura fragile, ma con un viso molto bello i cui occhi “parevano fatti di etere celeste donde brillasse sensibilmente il profondo sguardo spirituale”. Quanto al gusto estetico con cui vestiva, sappiamo che il filosofo “si conformava sempre alla moda della società colta”. Portava “un cappelluccio a tre punte, una piccola parrucca bionda, bianca di cipria, col codino; la cravatta nera e la camicia col collo increspato e i polsini, l’abito di panno fine, generalmente nero e screziato di giallo e marrone, panciotto e calzoni della medesima stoffa, calze di seta grigia, scarpe con la fibbia d’argento e la spada fintanto che fu di moda in società; in seguito una canna comune”. Il suo conformarsi alle mode, però, non va considerato “una imitazione servile, ma un uso del proprio gusto che talvolta poteva arrivare ad una particolare originalità”. Sappiamo anche che, a causa della sua totale assenza di vanità, “né la pittura né l’arte dell’incisione o della scultura avrebbero dovuto mai scomodarsi per lui”. Per un autoritratto fattogli da un certo “ebreo L.”, un’incisione in rame che il filosofo riteneva lo rendesse irriconoscibile, Kant “andò sulle furie”. ! Julius Schnorr von Carolsfeld, Ritratto di Kant, 1789. 66 DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L F I L O S O F O Una vita per pensare Non parleremo del Kant teorico ma dell’ospite amante della conversazione, dell’appassionato interprete della rivoluzione francese, dello scapolo puntiglioso ma anche gentile, delle sue celebri passeggiate, scoprendone il segreto motivo. ! Pietro Ratto Insegna filosofia in un liceo di Torino. Gestisce uno spazio web in cui sono raccolti i suoi saggi (www.boscoceduo.it) ma trova anche il tempo di fondare un gruppo rock progressivo (www.atons.it). È imminente l’uscita di un suo testo su Kant per la casa editrice Giunti. DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I mmanuel Kant nacque a Königsberg, capitale della Prussia orientale, sabato 22 aprile 1724. La sua famiglia non era ricca, il padre Johann Georg faceva il sellaio, e Immanuel era il quarto figlio. La sua educazione fu molto rigorosa ed austera, legata ai principi pietistici della madre, Anna Regina Reuter. Nonostante le loro umili condizioni, i genitori di Immanuel fecero molti sacrifici per assicurare al loro figlio studi adatti alle sue facoltà intellettuali, che ben presto si rivelarono nettamente superiori a quelle degli otto fratelli. Quanto all’educazione specificamente religiosa, ricevuta all’interno del Collegium così come nell’ambito strettamente familiare, Kant, in tarda età, avrà modo di commentare: “Si dica del pietismo ciò che si vuole, le persone che lo vivevano veramente possedevano ciò che di più alto può possedere l’uomo: quella quieta serenità e pace interiore che nessuna passione potrebbe turbare. Nessuna privazione, nessuna persecuzione le addolorava, nessun contrasto le induceva all’ira o all’inimicizia”. E ancora: “I miei genitori, modelli di onestà, di probità e di ordine, senza lasciarmi un patrimonio (ma nemmeno debiti), mi hanno dato un’educazione che non potrebbe essere migliore dal punto di vista morale e per la quale nutro sentimenti di vivissima gratitudine ogni volta che penso a loro”. 1740-1770 Scienza e biliardo Nel 1740, contro ogni previsione, Kant decise di iscriversi alla facoltà di filosofia di Königsberg. Questa scelta coincise con l’abbandono della casa paterna: Kant andò a vivere con un suo compagno, studente di giurisprudenza, tale Johann Heinrich Wlömer, col quale sarebbe restato in amicizia tutta la vita. Per pagar- si gli studi e le spese il giovane Immanuel si arrangiò dando lezioni di latino e di... biliardo (!), gioco in cui, a detta dei suoi compagni, si rivelava particolarmente abile. Durante e dopo l’Università Kant dovette guadagnarsi da vivere in una situazione di assoluto precariato. Per circa dieci anni, fino al 1755, fece il precettore privato presso tre diverse famiglie altolocate. Ogni tanto veniva chiamato a tenere qualche conferenza, soprattutto in materia di fortificazioni militari, di cui pare fosse grande esperto. Questi furono anche gli anni cosiddetti precritici, definizione che è stata data alla fase della produzione kantiana precedente alla trilogia delle grandiose Critiche (Critica della ragion pura, Critica della ragion pratica, Critica del giudizio). Un periodo che si estende fino al 1781 denso di scritti di interesse scientifico e, solo in un secondo tempo, filosofico. Furono anni difficili. Kant ottenne, sì, la libera docenza all’Albertinum, l’Università della sua città, ma a quel tempo questo significava dipendere esclusivamente dal contributo economico versato a titolo volontario dai propri allievi. In pratica, alla fine delle proprie lezioni, il neo professore doveva umiliarsi girando per i banchi a raccogliere le offerte che, bontà loro, gli studenti presenti decidevano di concedergli. Per giunta Kant insegna le materie più disparate: Matematica, Antropologia, Scienze naturali, Geografia, Logica, Metafisica, Filosofia morale, Teologia, Pedagogia. Non manca nemmeno una disciplina che saremmo portati a considerare inaspettata come Pirotecnica e, naturalmente, Teoria delle fortificazioni. Nel 1764 Kant rifiutò l’ordinariato di poetica che si è appena liberato all’Uni67 I L F I L O S O F O versità. Parrebbe una scelta assurda, ma il nostro filosofo ha saputo che quella nomina comportava d’ufficio anche l’incarico di comporre poesie celebrative per le ricorrenze accademiche e per le feste a corte. Un impegno che si addiceva ben poco allo schivo e riservato professore. Accetta invece, dal 1765, l’incarico di sottobibliotecario presso la biblioteca del castello reale. Lo stipendio è bassissimo, 62 talleri l’anno quando un mastro artigiano ne guadagna in media 400 e un impiegato circa un centinaio, ma il tipo di lavoro gli fornisce l’unica consolazione di poter stare a contatto con libri di grande valore. Si tratta comunque di un modo per arrotondare, dato che l’attività di insegnamento non solo non si interruppe, ma si intensificò giungendo alla ragguardevole soglia delle ventotto ore settimanali. L’uditorio cresceva, le aule normali non bastavano più a contenere quanti volevano seguire le sue lezioni. In media ogni volta si raccoglievano ad ascoltarlo circa cento persone: studenti, uomini di cultura, esponenti dell’intellighenzia e del circolo ufficiali di Königsberg. 1770-1780 La Critica Il decennio che si apre nel 1770 vede Kant lavorare assiduamente al nuovo progetto che sfocerà poi nella prima edizione della Critica della Ragion pura del 1781. Sono anni, questi, in cui egli non pubblica quasi nulla, tutto concentrato com’è nell’elaborare il proprio criticismo. Il 7 giugno 1771 scrive una lettera al suo allievo Marcus Herz confessandogli: “Sto lavorando a un’opera che deve contenere, ed anche elaborare abbastanza dettagliatamente, il rapporto dei concetti fondamentali e delle leggi concernenti il mondo sensibile insieme a un abbozzo di ciò che costituisce la natura della dottrina del gusto, della metafisica e della morale”. Kant ha già dunque in mente di trattare in una sola grandiosa opera, che vorrebbe intitolare I limiti della sensibilità e della ragione, quanto poi verrà invece diluito nelle tre Critiche. Sin da subi68 to egli dimostra di avere una visione completa di tutto il lavoro che lo aspetta, ed il titolo che ha in mente – e che mai userà – rivela già l’attenzione con cui il neoprofessore ordinario di Logica e Metafisica si concentra su uno dei concetti chiave di tutto il suo criticismo: la nozione di limite. Antoine Watteau, Festa campestre, vedi pag. 69. Durante la stesura della Critica della ragion pura, Kant vive una fase di serenità e di equilibrio cui a nessun costo vuole rinunciare. Il professore è molto stimato a Königsberg, il ministro della cultura e dell’educazione, Von Zedlitz, nel 1778 gli ha proposto una cattedra tanto prestigiosa quanto economicamente vantaggiosa all’Università di Halle, per giunta abbinata al titolo di consigliere superiore dell’ateneo, ma Kant ha rifiutato l’incarico proprio in nome della propria tran- quillità, confessando al suo fedele allievo Herz: “Il guadagno e la rinomanza in grande hanno, come sapete, assai poca attrazione per me. Una situazione tranquilla e perfettamente adatta alle mie esigenze, alternante lavoro, speculazione e conversazione, nella quale il mio animo facilmente impressionabile ma libero da affanni, e il mio corpo ancora più bizzoso ma mai malato, possono essere mantenuti in occupazione senza gran fatica, è tutto ciò che ho sempre desiderato ed ottenuto. Ogni mutamento mi fa paura”. 1781-1789 La sospirata casa Gli anni ’80, però, rappresentano per lui una svolta notevole. I suoi libri cominciano a girare, ad essere letti e discussi negli ambienti accademici europei. Alla fine del 1783 riesce a comprarsi finalmente una casa, dopo aver vissuto per tanti anni in affitto. Nel 1786 diventa membro dell’Accademia delle Scienze di Berlino e, nell’estate dello stesso anno, viene nominato Rettore dell’Albertinum, la sua amata Università di Königsberg, carica che ricoprirà anche due anni dopo. Tocca proprio a lui, in virtù di tale nomina, rendere omaggio al re Federico Guglielmo II, in visita all’ateneo. Questo nuovo re, succeduto a Federico II il Grande proprio il 17 agosto 1786, creerà non pochi problemi al neo Rettore. Membro della setta segreta dei Rosacroce, appassionato di occultismo, il nuovo sovrano imporrà forti limitazioni alla libertà religiosa permessa dal suo predecessore e nominerà una commissione di censura che guarderà con molto sospetto qualsiasi pubblicazione di ispirazione illuministica. Lo stesso Kant dovrà fare i conti con questa commissione, ma per ora egli è tranquillo e stimato, anche perché proprio in seguito a questo incontro con il nuovo monarca gli viene accordato un supplemento di stipendio di ben 440 talleri. Il 1789 è un anno importante, non solo per la storia occidentale, ma anche per lo stesso Kant. Anche lui segue con il fiato sospeso le vicende della Rivoluzione francese. Il suo biografo Jachmann ci racconta che assiste con grandissimo piacere a quello che considera l’“esperimento DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L di attuare l’idea, proposta dalla ragione, d’una costituzione politica perfetta”. Egli, che del sovvertitore politico non aveva avuto mai nulla, si rivela tanto convinto della legittimità della ribellione nei confronti di una monarchia dispotica quanto persuaso che gli altri Stati europei non debbano in alcun modo immischiarsi “in quell’estranea faccenda di una nazione straniera”. 1789 La Rivoluzione Non fa che parlare di politica, in quei giorni, durante i suoi pranzi conviviali: “In certi momenti critici aspettava i giornali con tanta impazienza che sarebbe andato incontro alla posta per miglia e miglia, e nulla gli giungeva più gradito di una fresca e autentica notizia privata”, racconta il biografo Wallace. All’annuncio della presa della Bastiglia, Kant esulta affermando: “Ora posso dire come Simeone: “Signore, lascia in pace il tuo servo, giacché i miei occhi hanno veduto la tua salvezza”. Si narra anche che quello stesso giorno Kant abbia saltato l’immancabile passeggiata per soffermarsi a brindare insieme ai convitati presenti (ma un’altra leggenda vuole che sia corso incontro al postino per ricevere al più presto i giornali, rivoluzionando così l’itinerario quotidiano). D’altra parte non era stata l’unica volta: già qualche tempo prima, intento a leggere l’Emilio di Rousseau tutto d’un fiato, il nostro professore si era dimenticato la sua promenade per diversi giorni, lasciando estremamente delusi gli abitanti della città che, come sempre, attendevano il suo passaggio. E a ben pensare i due episodi non sono così scollegati tra loro, dato che nella Rivoluzione francese Kant vede la piena realizzazione delle idee del filosofo ginevrino. Il rapporto tra Kant e la Rivoluzione francese è molto ambiguo, e per anni è stato al centro di un dibattito non ancora esauritosi tra gli studiosi. Da un lato egli manifesta grande entusiasmo nei confronti di quella che considera una svolta epocale nella storia europea. D’altro canto è nota la sua avversione rispetto a qualsiasi forma di ribellione nei confronti di un ordinamento liberamente costituito. Come successivamente sosterrà nel saggio intitolato Sul detto comune: “Ciò che può essere giusto in DIOGENE N. 12 Settembre 2008 F I L O S O F O Le immagini: la moda nel Settecento Le immagini che corredano l’intero dossier su Kant sono disegni al tratto di Aldo Beltrami e Laura Cappelletti tratti dalla monumentale Evoluzione storica e stilistica della moda, due volumi pubblicati dalla casa editrice S.M.C. Stile Moda Costume, Milano, 1977. Riproducendo i particolari di alcune celebri opere pittoriche dell’epoca, documentano l’evoluzione della cultura materiale del Settecento. Cercando di immaginare come Kant dovesse essere abbigliato nella vita quotidiana possiamo rifarci al giovane dipinto nel 1742 da Frans Van der Myn (pag. 75): questo infatti è l’abbigliamento maschile che dà carattere a gran parte del Settecento: una veste bordata e un abito di velluto dai colori forti (a volte rosa), calzoni che entrano nelle calze sopra i ginocchi e l’immancabile tricorno (pag. 82). Sono esattamente gli stessi elementi di cui si abbiglia il giovane signore nella stampa di moda a pag. 73. Se invece vogliamo immaginare il filosofo nell’intimità casalinga della lettura possiamo immaginarlo con una veste da camera simile a quella del principe Giovanni di Trubetzkoy ritratto nel 1760 da Roslin (pag. 74). Per quanto una certa dose di “follia” sembri accompagnare la moda di ogni secolo, come dimostra l’uso del sellino per sollevare la gonna (pag. 77), ritroviamo la stessa ricerca di semplicità anche nella moda femminile, ad esempio nella ragazza che partecipa alla festa campestre dipinta nel 1718 da Antoine Watteau (pag. 68): per quanto elegante il suo abito è formato solo da una gonna lunga e drappeggiata, un mantello e un busto irrigidito con stecche di balena, senza alcuna decorazione. Queste non mancano invece nell’abito della granduchessa Maria Luisa di Toscana ritratta da Mengs (pag. 71), ma i lunghi guanti che non coprono le dita e la cascata di pizzi al gomito della ricca signora altro non fanno che impreziosire l’abito senza cambiarne la forma essenziale. Una nota merita anche l’abbigliamento infantile, o meglio la sua totale assenza. Si osservino, infatti, i bambini ritratti da Chardin (pag. 72, 78 e 81): sono vestiti esattamente come gli adulti della loro epoca, in un modo che certo non favoriva la libertà di movimento tipica dei giochi dell’infanzia. Per quanto ovviamente più modesti, anche gli abiti dei bambini della classe povera seguivano lo stesso principio, come dimostrano i due ragazzi che giocano a carte dipinti da Cerutti (pag. 82). Lo scoppio della rivoluzione francese influenzò enormemente anche la moda, producendo un rapido susseguirsi di stili in connessione con i mutamenti politici. A pag. 76 è ritratto uno degli incroyables, ovvero degli incredibili, come erano chiamati i personaggi così vestiti durante il Direttorio. Il costume appare invero grottesco e caricaturale: un frac a doppia abbottonatura con larghi risvolti, calzoni lunghi e attillati, una lunga redingote impellicciata, un’enorme cravatta attorno al collo che copre anche il mento. 69 I L F I L O S O F O teoria ma non vale per la prassi”, scritto nel 1793, Kant è convinto che “ogni resistenza contro il supremo potere legislativo, ogni istigazione a far passare alle vie di fatto lo scontento dei sudditi, ogni sollevazione che esploda in ribellione, è il delitto supremo e più meritevole di pena nell’entità comune, perché ne distrugge le fondamenta”. Nonostante ciò è evidente la simpatia che egli nutre nei confronti dei rivoluzionari, impegnati nel tentativo di dar vita ad una costituzione repubblicana. 1793 Kant censurato La tranquillità di Kant viene compromessa dalle difficoltà che egli incontra nei confronti della censura prussiana. L’avvicendamento alla carica di ministro della cultura da Christoph von Wöllner (1732 – 1800) al barone Karl Abraham von Zedlitz (1731 – 1793) - il quale in più occasioni aveva manifestato la propria approvazione nei confronti della filosofia del professore - è all’origine di un provvedimento emanato nel 1788 (il cosiddetto Religionsedikt), che prevede un severo controllo della censura nei confronti di qualsiasi scritto di argomento religioso. La commissione dell’Oberkuratorium, nominata da Wöllner nel 1791 al fine di rendere operativo tale provvedimento, nel 1793 è dunque in piena attività. L’implacabile Wöllner, che Federico il Grande aveva a suo tempo definito “un prete impostore e intrigante e null’altro”, in occasione dell’uscita della seconda edizione de La religione nei limiti della ragione, il 12 ottobre 1794 indirizza a Kant un minaccioso rimprovero contenuto in un rescritto regio. In questo comunicato lo si redarguisce per aver screditato le Sacre Scritture e le verità del Cristianesimo, e per aver mancato al suo dovere di maestro della gioventù (“Noi ci aspettavamo di meglio da Voi” scrive malignamente, tra l’altro, l’autoritario Wöllner all’inquieto professore). Accuse molto pesanti, specialmente nel caso della seconda, per un insegnante del calibro del nostro filosofo, alle quali si somma l’indisponente raccomandazione di evitare, in futuro, di macchiarsi nuovamente di tali colpe. Kant ci pensa su qualche tempo, poi redige una lunga lettera in cui, pur sostenendo che “il ritrat70 Il pensiero critico Il pensiero di Kant, senza dubbio uno dei più rivoluzionari di tutta la storia della filosofia, scaturisce dall’antico dibattito tra empiristi e razionalisti, che nel Settecento conosce un’importante svolta grazie alle riflessioni di David Hume, secondo il quale una filosofia fondata sull’esperienza dei sensi non può che approdare a un radicale scetticismo. Fra razionalismo ed empirismo Hume mette in luce i limiti dei ragionamenti tipici delle due scuole. Quello deduttivo dei razionalisti analizza i concetti esplicitandone le inerenti proprietà essenziali (deducendo ad esempio dal concetto di triangolo che sia un poligono con tre lati), ma che non è in grado di scoprire novità, che in quanto tali potrebbero emergere soltanto dall’osservazione empirica. Quello induttivo degli empiristi, avvalendosi esclusivamente dell’uso dei sensi, parte dall’osservazione di un certo numero di casi particolari con la pretesa di formulare leggi valide universalmente. Una pretesa che Hume giudica infondata: il fatto che una certa proprietà venga riscontrata in un numero di casi non autorizza a esser sicuro che la suddetta possa valere in tutti i casi. L’empirismo, dunque, presenta un limite diametralmente opposto a quello razionalista, è invece incapace di pervenire a leggi universali e necessarie, pur essendo in grado di scoprire nuove proprietà fisiche e naturali. Il criticismo Kant, intuendo la portata della crisi della scienza aperta da Hume, propone, in alternativa alle due impostazioni metodologiche, il proprio criticismo. La sua intuizione consiste nel considerare la conoscenza umana un procedimento che si avvale, sì, dei sensi e dell’intelletto, ma anche di alcune forme a priori innate. Tramite un meccanismo complesso, le forme a priori della sensibilità, identiche in ogni individuo, plasmano i dati captati dai nostri sensi attribuendo loro caratteristiche spazio-temporali che in sé la realtà esterna non possiede. Spazio e tempo Spazio e tempo sono forme che l’uomo attribuisce alle cose e nelle quali egli colloca tutti gli oggetti di esperienza. Allo stesso modo le forme a priori dell’intelletto (le dodici categorie mentali), plasmano il risultato dell’elaborazione spazio-temporale dei sensi formulando concetti, giudizi e ragionamenti. Lo scetticismo a cui Hume era con amarezza approdato può così lasciar spazio a una nuova fiducia nella nostra scienza, le cui leggi e le cui scoperte, secondo Kant, sono valide universalmente e necessariamente perché descrivono la realtà non per come essa sia in sé, bensì per come viene plasmata in modo identico da ogni uomo, attraverso le forme a priori di cui ognuno di noi dispone. La sua teoria della conoscenza mette l’uomo al centro dell’universo: tutto ciò che apprendiamo deve essere adattato alle nostre caratteristiche percettive ed intellettive, ed il soggetto di tale trasformazione siamo noi, in quanto legislatori universali. L’imperativo categorico La centralità dell’uomo, fondata sui limiti stessi della propria natura, ritorna in Kant anche nella sua Critica della ragion pratica, in cui si afferma che la legge morale, al pari di quelle scientifiche, trova fondamento sulla stessa natura umana e non dipende da alcuna realtà esterna. L’uomo è naturalmente libero e possiede dalla nascita un imperativo categorico uguale per tutti che regola il suo comportamento ed è forma a priori della moralità, alla luce della quale ogni azione umana può dirsi buona o cattiva. La morale è universale, necessaria e autonoma (ossia non eteronoma, non derivante dall’esterno ma scritta nell’animo umano fin dalla nascita). DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L tare sarebbe viltà, ma il tacere, in questo caso, è dovere di suddito”, dichiara di non aver mai osato giudicare né tanto meno offendere il Cristianesimo, promettendo per altro di astenersi, d’ora in poi, da qualsiasi discorso pubblico concernente la religione “in quanto suddito di Sua Maestà”. Anche dietro a questa precisazione finale si cela, però, la scaltrezza del nostro professore, dato che successivamente egli spiegherà di aver voluto in tal modo limitare la sua promessa al periodo di regno di Federico Guglielmo II, soprannominato “il re grasso”, l’anziano monarca che da lì a tre anni, infatti, sarebbe deceduto. 1795 La pace perpetua Nel 1795 Kant comincia a rallentare il ritmo delle sue lezioni. Il nostro filosofo è stanco, e per giunta quasi tutte le sue energie sono impiegate nel nuovo “progetto filosofico” ispirato alla Pace di Basilea firmata tra Prussia e Francia il 5 aprile di quell’anno. Per la pace perpetua nasce così, in un momento di riflessione sui grandi temi della politica internazionale. Si tratta di uno scritto molto importante, in grado di avanzare proposte che si rivelano lungimiranti e tali da poter essere considerate vere e proprie soluzioni anche in relazione ai problemi di politica internazionale dei nostri tempi. I segni della vecchiaia, però, cominciano a farsi sentire in modo massiccio. Il 21 settembre 1798 scrive a Christian Garve, ex allievo e poi professore di Greco ed Ebraico: “Vedersi innanzi ormai chiusa la partita per tutto ciò che riguarda la filosofia, e vedere tutto ancora incompleto, e avere di tutto questo perfetta coscienza, ecco un supplizio di Tantalo”. Il nostro filosofo ci vede poco, soprattutto dall’occhio sinistro; dimentica sempre più spesso gli eventi recenti mentre si ricorda in modo vivido, fenomeno tipico nella vecchiaia, gli avvenimenti che riguardano il suo passato. “Era in grado di presentare cospicui passi dell’Eneide, senza intoppo, mentre gli sfuggivano le DIOGENE N. 12 Settembre 2008 cose apprese un momento prima”, ricorda con amarezza Wasianski, che annota anche come nel 1799 il professore esclami pubblicamente ed in sua presenza: “Signori, sono vecchio e debole, dovete considerarmi un bambino”. Nonostante questo la morte non lo spaventa affatto, né si ripropone, per il momento, di farsi da parte. Raphael Mengs, Maria Luisa di Toscana, vedi pag. 69. Continua a scrivere, anzi a polemizzare nei confronti di quei suoi seguaci che adesso stanno cominciando a criticare il suo sistema mostrando di non averlo adeguatamente compreso. Proprio il 28 agosto dello stesso anno, dalle pagine della Allgemeine LiteraturZeitung, il nostro vecchio Kant si scaglia contro le teorie contenute nella Dottrina della scienza di quel J. Fichte che anni prima aveva aiutato e sostenuto nei suoi primi passi. Il nostro professore non ci sta, non accetta quel nuovo modo di far filosofia che tutto pretende di spiegare F I L O S O F O con toni mistici, procedendo, così, ben oltre i limiti dell’esperienza umana su cui tanto egli ha sempre insistito. Soprattutto rifiuta quel tono da gran signori e da saccenti che le nuove leve stanno assumendo ultimamente nel loro disquisire filosofico, quel tono che aveva già attaccato in un articolo del 1796 e che proprio non sopporta. Nella prefazione ad un saggio di Jachmann sulla filosofia kantiana della religione, il nostro anziano insegnante torna all’attacco del misticismo l’anno successivo, nel 1800; ma le forze vanno indebolendosi ed il suo caro Wasianski viene chiamato ad assisterlo a casa. 1804 La fine Un nuovo secolo si apre; un secolo in cui i limiti dell’umana natura verranno costantemente rifiutati e rinnegati da un romanticismo pronto ad elevare l’uomo al livello di un dio. Una nuova aria si respira giù, nelle strade di Königsberg, tra la gente che passa, che si ferma a parlare di chissà quali progressi, di chissà quali presagi di trionfi presenti e futuri. Ma il vecchio Immanuel Kant poco ha da spartire con tutto ciò; il vecchio Kant preferisce indietreggiare di fronte a cotanta illusione, preferisce ritirarsi tra le sue carte, i suoi ricordi e i suoi amici più fidati. Silenzioso, in piena umiltà, il più grande filosofo della storia si prepara con serenità ad attendere la fine. La morte lo coglie il 12 febbraio 1804, dopo due settimane di progressivo indebolimento durante le quali mangiava un solo cucchiaio di zuppa al dì. Alle undici in punto di quel 12 febbraio 1804, proprio mentre i rintocchi dell’orologio risuonavano in tutta la casa, puntuale come sempre Kant esalò il suo ultimo respiro, mormorando le parole “Es ist gut”, che significano: “Sta bene”. ! 71 I L F I L O S O F O Diventare Kantius Sogni e studi del giovane Immanuel, studente impegnato ma distratto e disordinato. Siméon Chardin, Lezione di danza, vedi pag. 69. 72 I l Collegium Federicianum, l’istituto in cui Kant cominciò gli studi, era nato nel 1698 a casa di Theodor Gehr, un semplice carpentiere rivelatosi però particolarmente dotato nell’insegnare le nozioni scolastiche elementari al proprio figlio. Molte famiglie, soprattutto di estrazione umile, gli avevano così chiesto di occuparsi anche dei propri fanciulli e Gehr aveva dovuto organizzarsi assoldando studenti universitari in qualità di collaboratori. Le lezioni svolte in casa Gehr, spesso impartite a titolo gratuito per i bambini poveri, avevano attirato sospetti nelle alte sfere della Chiesa locale, che tradizionalmente amministrava l’istruzione. Ma un’ispezione del Concistoro di Königsberg, nel 1699, non aveva ravvisato alcuna irregolarità, constatando, anzi, la buona preparazione di docenti e alunni. Gehr era però stato obbligato a trasformare la sua scuola da privata a pubblica e a sottomettersi alla supervisione di un pastore, cambiando il nome in Collegium Fridericianum. 7 ore di lezione Il piccolo Kant aveva da poco compiuto 8 anni, quando iniziò i suoi studi al Collegium. L’orario scolastico prevedeva 7 ore al giorno, dalle 7 di mattina. Si cominciava con l’ora di religione (4 ore settimanali di catechismo luterano e una di studio della Bibbia); dalle 8 alle 10 si imparava il latino, studio che si protraeva fino alle 11 per i più giovani mentre agli altri toccava un’ora di greco. Seguivano l’ora di pausa per il pranzo e quella di ricreazione. Dalle 13 i più giovani si esercitavano a scrivere e nello spelling, mentre i grandi studiavano geografia e filosofia. Alle 14 era la volta dell’aritmetica (lingua ebraica per le classi più elevate). L’ultima ora era nuovamente dedicata al latino. Grandi assenti le scienze naturali, mentre il greco e l’ebraico erano studiati solo in funzione della traduzione dei testi sacri. Nessuno spazio allo studio dei classici della lette- ratura greca. Nei pomeriggi di mercoledì e sabato chi voleva poteva prendere ripetizioni private in materie aggiuntive. Kant fu iscritto dai genitori ai corsi di matematica e francese. Tra i suoi professori al Collegium, quelli che Immanuel maggiormente amò furono il direttore della scuola, Franz Albert Schultz, e il professore di latino Johann Friedrich Heydenreich, filologo di grande spessore. Tra i suoi compagni ricordiamo David Ruhnken (successivamente latinizzato in Ruhnkenius, secondo la moda del tempo), che diventerà uno dei massimi latinisti del Settecento. Kant gli si sentirà legato da profonda amicizia per tutta la vita. Ricorderà sempre gli anni spensierati trascorsi con lui, ai tempi in cui fantasticavano sul loro futuro, immaginando di latinizzare il proprio nome in Ruhnkenius e Kantius, una volta diventati celebri. Vita dura e corse sui tronchi La vita al Collegium era dura, anche se Immanuel, abitando in città, era uno dei pochi fortunati che finite le lezioni potevano tornarsene a casa. Jachmann lo descrive come un ragazzino distratto e smemorato, e racconta che una volta, mentre andava a scuola, si fermò per strada a giocare con gli amici, posò i libri da qualche parte e se li dimenticò. Solo a scuola, al momento di usarli, si rese conto di averli smarriti e di conseguenza “si buscò anche un castigo”. Il profilo del giovane Immanuel, però, delinea anche una personalità determinata e accorta: “Da ragazzo era montato su un tronco d’albero posato su un largo fossato pieno d’acqua. Aveva fatto pochi passi quando il tronco gli cominciò a rotolare sotto i piedi. Preso dalle vertigini, il ragazzo non poteva né fermarsi né tornare indietro senza precipitare. Prese quindi di mira, in direzione del tronco, un punto sull’altra riva del fosso e, senza guardare sotto, si mise a correre velocemente sul tronco verso quel punto: e vi giunse felicemente”. ! DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L F I L O S O F O Il professore Formare prima l’uomo intelligente, poi quello ragionevole, e solo alla fine quello dotto. C he insegnante fu Kant? Ecco come lo descrive il suo alunno J.G. Herder: “Ho avuto la fortuna di conoscere un filosofo che fu mio maestro. Nei suoi anni giovanili aveva la gaia vivacità di un giovane e questa, credo, lo accompagnò anche nella tarda vecchiaia. La sua fronte ampia costruita per il pensiero era sede imperturbabile di serenità e di gioia, il discorso più ricco di pensiero fluiva dalle sue labbra, sapeva sempre usare lo scherzo, lo spirito e l’umorismo, e la sua lezione più erudita sempre appariva un trattenimento divertente”. Lo sforzo di pensar da sé Herder sottolinea l’inesausta curiosità intellettuale. “Con lo stesso spirito con cui esaminava Leibniz, Wolff, Baumgarten, Crusius, Hume, e seguiva le leggi naturali di Newton, Keplero e dei fisici, considerava anche gli scritti allora appena usciti di Rousseau, il suo ‘Emilio’, la sua ‘Eloisa’, come ogni nuova scoperta naturale di cui fosse venuto a conoscenza, tutto apprezzava e tutto riportava ad una spregiudicata conoscenza della natura e al valore morale dell’uomo. La storia degli uomini, dei popoli, della natura, la fisica e l’esperienza, erano le fonti che davano vita alle sue lezioni e alla sua conversazione. Nulla che fosse degno di essere conosciuto gli era indifferente: nessuna cabala, nessun pregiudizio, nessuna setta, nessun nome famoso aveva per lui il minimo pregio nei confronti dell’incremento e del rischiaramento della verità. Egli incoraggiava e spingeva dolcemente a pensare da sé: il dispotismo era del tutto estraneo al suo animo. Quest’uomo che io nomino con la più grande gratitudine e considerazione è Immanuel Kant: la sua immagine mi sta DIOGENE N. 12 Settembre 2008 costantemente dinnanzi”. La grande sensibilità del Kant didatta, d’altra parte, affiora con tutta evidenza anche dalla Relazione introduttiva al proprio insegnamento del 1765/66. In essa Kant prende atto dell’epoca attuale, in cui “si trasformano in bisogni cose che per loro natura sarebbe assennato considerare semplici ornamenti della vita e il simbolo della sua superflua bellezza” e avverte l’esigenza di una didattica che “formi nel suo scolaro prima l’uomo intelligente, poi l’uomo ragionevole, e solo dopo l’uomo dotto”, badando soprattutto alla personalità critica dell’individuo, che grazie all’istruzione potrà così diventare “più esperto ed assennato, se non per la scuola, senz’altro per la vita”. D’altra parte, ironizza Kant, “non è infrequente imbattersi in dotti (propriamente uomini di studio), che mostrano ben poca intelligenza, e per cui le Accademie sfornano più teste d’uovo di qualsiasi altro stato sociale”. Bisogna invece elaborare una strategia didattica che, prima di insegnare la filosofia, insegni a filosofare: “Il metodo peculiare dell’insegnamento della filosofia è zetetico, come solevano definirlo alcuni pensatori antichi (da zetein), ossia indagativo, e diventa in diversi casi dogmatico, ossia determinato, solo per la ragione che ha già alle spalle una lunga pratica. Anche l’autore filosofico, su cui si è deciso di impostare un ciclo di lezioni, non dev’essere trattato come un criterio assoluto di giudizio, ma solo come un’opportunità di giudicare anche di lui, e persino contro di lui. Il metodo di riflettere con la propria testa e di trarne autonomamente le debite conclusioni è ciò che lo studente propriamente ricerca come qualcosa di immediatamente disponibile, ed è anche il solo che può essergli davvero utile”. Stampa di moda,1785, vedi pag. 69. Un’epidemia di suicidi Infine, Ludwig Ernst Borowski, biografo del filosofo, descrive Kant come un insegnante tanto competente quanto modesto e umile. Mai ironico o pungente nei confronti di colleghi e studenti, mai volgare. A causa della difficoltà della disciplina, bisognava sempre prestare la massima attenzione, nonostante la sua spiegazione fosse sempre chiara, interessante e spesso divertente. Premuroso, quasi apprensivo nei confronti dei suoi studenti, cui consigliava rimedi e strategie per non ammalarsi. Si preoccupava non poco nei loro confronti, ad esempio, a causa della proliferazione dei casi di suicidio giovanile per amore, verificatasi in quegli anni in seguito al successo de I dolori del giovane Werther di W. Goethe. Scrisse molto su questo tema, cercando in tutti i modi di combattere questa tragica moda che aveva indotto l’Università di Lipsia ad interdire la distribuzione del romanzo. ! 73 I L F I L O S O F O L’università in salotto Il fracasso del porto, un gallo insopportabile, i canti dei carcerati. Cambiare casa cinque volte per fuggire dai rumori molesti. I ndividuare su una cartina attuale le zone di Königsberg in cui Kant ha abitato non è cosa facile. La città è andata distrutta durante i bombardamenti russi della seconda guerra mondiale e quasi nulla è rimasto degli antichi edifici. Successivamente, in base al trattato di Potsdam, la città è diventata un’enclave russa in territorio tedesco; i nomi delle strade sono stati cambiati per celebrare gli eroi del bolscevismo, i pochi cittadini tedeschi sopravvissuti sono stati espulsi, molti edifici antichi demoliti e la città stessa ha preso il nome di Kaliningrad, in onore del “nonno” della Rivoluzione d’ottobre e Presidente del Soviet supremo fino al 1946, Mikhail Kalinin. Disponiamo però di alcune notizie ripor- Alexander Roslin, Il principe Giovanni di Trubetzkoy, vedi pag. 69. 74 tate dai biografi di Kant, sulla base delle quali abbiamo tentato di localizzare, spesso in modo approssimativo, i luoghi kantiani. Il filosofo trasloca nella sua nuova casa non prima del 22 maggio 1784. Il cambiamento è molto importante per la sua vita: egli comunica a tutti la sua felicità per avere finalmente una sua abitazione. Il prezzo di acquisto viene fissato a 5500 gulden, i fiorini tedeschi; una somma pari a circa 1833 talleri. Si tratta di una casa su due piani più attico, al numero 87–88 della Prinzessinestrasse, la via della Principessa (che anticamente si chiamava Schlossgraben), nella zona che dal XVII secolo aveva preso il nome di Alte Landhofmeisterei. Professore senza aula Per il professore si tratta del quinto trasloco della sua vita. Bisogna infatti ricordare che a quel tempo a Königsberg le aule di lezione dei vari insegnanti dell’università non erano individuate da alcun regolamento ufficiale. Soltanto i professori ordinari potevano disporre liberamente dei locali dell’ateneo (agli insegnanti di filosofia era stata assegnata l’area denominata Communität), mentre i liberi docenti esercitavano la loro professione nel proprio appartamento. Questi ultimi dovevano quindi cercarsi delle abitazioni che fossero collocate vicino all’Università e che disponessero di una o più stanze per accogliere un numero sufficiente di alunni. Data l’esiguità dello stipendio percepito, spesso tali appartamenti venivano affittati e persino subaffittati ad altri docenti meno facoltosi o residenti in zone troppo lontane dalla Università e quindi scomode per gli studenti che dovevano passare da una casa ad un’altra nell’arco di un quarto d’ora. DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L A parte la sua casa natale, che aveva lasciato nel 1755 e che era poi andata distrutta nel 1769 a causa di un incendio, Kant aveva abitato in “alcune stanze nella così detta Neustadt” nella casa del non meglio precisato “Professor Kypke”, che potrebbe essere il collega Johann David Kypke, ordinario di logica e metafisica dal 1727, o anche il meno illustre Georg David Kypke, nipote di Johann David ed insegnante di lingue orientali. La Neustadt era una zona che si trovava nel quartiere di Kneiphof, precisamente nell’angolo nordoccidentale dell’isola ritagliata dal fiume Pregel. Intorno al 1760 Kant si era trasferito nella Magistergasse, che correva parallela al Pregel a sud dell’isola, ad appena un isolato dalle rive del fiume. Non ci è dato di sapere l’indirizzo esatto, sappiamo solo che dalla sua casa sentiva e mal sopportava il rumore delle navi che solcavano il fiume ed il vociare dei “natanti polacchi”. Viveva vicino a molti altri colleghi; la strada infatti prendeva il nome proprio dai Magister, i docenti che in essa andavano ad abitare per essere vicini all’ateneo. In fuga dai rumori Forse proprio a causa di quei rumori il nostro filosofo aveva deciso, nel 1766, di traslocare ancora, andando a vivere nella zona di Löbenicht, ricostruita dopo il grave incendio del 1764, a circa mezzo chilometro a piedi dall’Albertinum, all’angolo tra la Löbnichtsche Langgasse e la Münchengasse, in una grande piazza. Questa volta si trattava della casa di Johann Jacob Kanter, libraio ed editore di molte delle sue opere precritiche compresa la famosa futura Dissertazione. Al piano terra di quell’edificio Kanter aveva realizzato una libreria universitaria molto frequentata dagli studenti, un luogo di incontro importante per i giovani della città. Il nostro Kant aveva preso in affitto una stanza al terzo piano di questo edificio, e vi aveva abitato, impartendo le sue sempre più apprezzate lezioni, fino al 1777. Era stato nuovamente a causa dei rumoDIOGENE N. 12 Settembre 2008 ri molesti che nel 1777 Kant aveva cambiato residenza l’ennesima volta. Borowski spiega che questa volta la colpa era stata di un insopportabile gallo che non gli permetteva di concentrarsi adeguatamente e per il quale erano nate molte liti col vicino. Il filosofo “avrebbe acquistato il rumoroso animale a qualsiasi prezzo, pur di procurarsi la tranquillità, ma non vi riuscì a causa della testardaggine del vicino. Perciò Kant evase”. Frans Van der Myn, Abito da uomo, vedi pag. 69. Il nuovo domicilio era allora stato fissato nell’Ochsenmarkte, la zona dell’antico Mercato dei buoi, successivamente rinominata Lindenstrasse. Si trattava di un appartamento tranquillo, ma molto freddo, situato appena a est dell’isola di Kneiphof. Qui Kant aveva vissuto sette anni, per poi spostarsi provvisoriamente in una stanza vicina alla Holztor in atte- F I L O S O F O sa che venissero ultimati i lavori di ristrutturazione della sua nuova e definitiva abitazione, appena acquistata nella Prinzessinestrasse. Un unico ritratto, di Rousseau “Kant possedeva una casa propria che sorgeva bensì nel centro della città presso il Castello, ma in una viuzza secondaria, dalla quale raramente passava un veicolo. La casa, che conteneva otto stanze, era comoda e adatta al suo tenore di vita. Al pianterreno c’era da un lato la sua aula, dall’altro l’abitazione della vecchia cuoca; al piano di sopra, da un lato la sala da pranzo, la biblioteca e la camera da letto, dall’altro il salotto per le visite e lo studio. In una stanzetta sotto il tetto stava il domestico”. Questa, così come descrittaci da Jachmann, fu l’abitazione in cui visse Kant dal 1784 fino alla morte. Si trovava in un posto molto tranquillo, “vicino al Castello, con un orticello che, date le sue modestissime esigenze, gli era sufficiente”. Nonostante questo Kant passò gli anni a lamentarsi dei canti che provenivano dalla vicina prigione; dopo molti sforzi riuscì solo ad ottenere che i detenuti fossero obbligati a chiudere le finestre prima di iniziare ad urlare! La casa era priva di ornamenti, arredata con semplicità. L’unico quadro alle pareti era un ritratto del suo amato Rousseau, appeso sopra il suo scrittoio. Non possedette una cucina funzionante fino al 1787, quindi fino a quella data continuò a mangiare in una vicina tavola calda. In seguito assunse una cuoca dando vita al famoso rito del pranzo, nella sala situata al piano superiore. Quando Kant morì la sua casa divenne una locanda, e ogni anno i suoi amici vi si davano appuntamento per commemorare l’anniversario della morte del maestro. Nel 1836 il dentista Karl Gustav Döbbelin la comprò e vi andò ad abitare apponendo sulla facciata una lapide in onore del filosofo. Successivamente fu acquistata da un commerciante, che nel 1893 la demolì per ampliare i propri magazzini. ! 75 I L F I L O S O F O Respirare con il naso Il vero motivo delle celebri passeggiate che scandirono la vita quotidiana del filosofo. A lle cinque meno cinque in punto, “d’inverno come d’estate, Lampe, il valletto di Kant, incedeva nella stanza del suo padrone con l’aria di una sentinella che monta di guardia e scandiva ad alta voce, con tono militare, le seguenti parole: ‘Signor professore, è l’ora’. A questo punto Kant invariabilmente obbediva senza alcun indugio, come un soldato risponde alla parola d’ordine”. Così T. de Quincey, lo scrittore inglese autore del commovente Gli ultimi giorni di vita di Kant (1827), ci descrive la sveglia mattutina del nostro professore, che alle cinque in punto era già seduto davanti alla sua tazza di tè. Il pranzo collettivo “Immediatamente dopo fumava la sua pipa (l’unica che si permetteva durante tutto il giorno)”, riflettendo sulle disposizioni da dare al fedele servitore; verso le sette usciva per recarsi in Università. Tornato nel suo studio aspettava il pranzo, che alle dodici e un quarto precise reclamava con la solita frase “Mezzogiorno e un quarto è suonato!”. La cuoca, allora, si precipitava a consegnargli la caraffa (“vino ungherese o del Reno, o un cordiale, o, in mancanza d’altro, una mistura inglese chiamata Bishop”), che trionfalmente il professore portava in sala da pranzo, poi “ne versava il suo quantum” nel proprio bicchiere e si disponeva ad aspettare i suoi ospiti del giorno. “Ogni giorno invitava pochi amici a pranzare con lui, in modo che il gruppo (lui incluso) andasse da un minimo di tre a un Louis-Philibert Debucourt, Abiti da uomo, vedi pag. 69. 76 massimo di nove persone, e per ogni piccola celebrazione ne comprendesse da cinque a otto. Il numero dei convitati non doveva scendere al di sotto del numero delle Grazie, né superare quello delle Muse”. Così de Quincey ci introduce ad una delle abitudini più caratteristiche del geniale professore: il rito collettivo del pranzo. Kant, infatti, soleva invitare le persone che reputava interessanti e intelligenti, in grado di rendere vivace e saporita la conversazione. Aveva cura di studiare i propri inviti in modo da raggruppare ogni volta persone di formazione ed esperienza molto diverse tra loro; si raccoglieva così, ogni giorno, una compagnia “mista e disparata, il che serviva a dare una sufficiente varietà alla conversazione”. Inoltre era necessario che, in ogni occasione, tra gli ospiti figurasse “una giusta quota di persone giovani e giovanissime, scelte tra gli studenti dell’università, al fine di dare alla conversazione un certo movimento di gaiezza e giocosità giovanile”. In questo modo Kant poteva intrattenersi in una vasta quantità di argomenti. Filosofia naturale, chimica, meteorologia, storia, politica. Tutto veniva trattato con precisione e rigore scientifico: “Riguardo a qualsiasi narrazione ove mancassero dati di tempo e luogo, per quanto plausibile potesse altrimenti sembrare, egli si dimostrava costantemente di un inesorabile scetticismo, e riteneva che non fosse il caso di ripeterla”. In qualunque argomento, in qualunque disciplina, Kant risultava estremamente ferrato e aggiornato. Per non parlare di politica, argomento di cui egli trattava “piuttosto con l’aria di un diplomatico, il quale avesse accesso alle informazioni più riservate, che non come un semplice spettatore delle grandi scene che si svolgevano in quei giorni per tutta l’Europa”. “Avanti, Signori!”: questo il segnale convenuto. Quando Kant, dopo aver spiegato il suo tovagliolo, pronunciava queste DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L due parole tutti gli invitati afferravano le posate, e il pranzo aveva inizio: “Le parole non sono nulla, ma il tono e l’aria con cui egli le pronunciava proclamavano in modo inconfondibile il rilassarsi dalle fatiche del giorno ed il deliberato abbandonarsi al piacere della società”. Tutto era studiato al dettaglio: la disposizione delle stoviglie e delle caraffe, il menu elaborato in modo da venir incontro ai gusti degli ospiti, la distribuzione dei posti a sedere. De Quincey ci dipinge il professore come brillante compagno di conversazione, ma anche come ospite di grande cortesia e generosità, felice “nel vedere i suoi invitati allegri e gioviali, alzarsi con spirito rasserenato dai suoi conviti platonici, dopo aver goduto di quella loro mescolanza di piaceri intellettuali e liberalmente sensuali”. Un Kant talmente affabile che “un qualsiasi estraneo, che avesse una qualche conoscenza delle sue opere ma non della sua persona, avrebbe trovato difficile credere che in questo amabile e cordiale compagno si trovava di fronte il profondo autore della Filosofia Trascendentale”. La leggendaria passeggiata Subito dopo il pranzo si apriva un altro rito importantissimo e irrinunciabile della giornata di Kant: la leggendaria passeggiata pomeridiana. Kant la considerava fondamentale, e la affrontava con la sua solita precisione; a differenza di quanto accadeva durante il pranzo, però, la sua passeggiata il professore voleva godersela in piena solitudine. Senza dubbio il motivo principale di questa scelta consisteva nel suo bisogno di proseguire da solo le precedenti meditazioni conviviali. Giocava però un importante ruolo anche la sua esigenza di “respirare esclusivamente dalle narici, cosa che non avrebbe potuto fare se fosse stato obbligato ad aprire continuamente la bocca conversando”. Secondo il filosofo prussiano, infatti, “l’aria atmosferica, essendo in tal modo condotta per un percorso più lungo, giungeva ai polmoni con minore crudezza e ad una temperatura un po’ più alta”, evitando pericolose infiammazioni delle vie respiratorie. Ed a dimostrazione della validità della propria convinzione, Kant “si vantava di una lunga immunità da raffreddori, malesseri, catarri e disturbi polmonari”. DIOGENE N. 12 Settembre 2008 Anche a proposito della sua immancabile passeggiata la precisione di Kant ha fatto fiorire diverse leggende, non si sa fino a quale punto vere. Secondo la più famosa, gli abitanti di Königsberg regolavano gli orologi di casa al passaggio del loro illustre concittadino sotto le proprie finestre. Lo si poteva vedere camminare schivo, meditabondo, dispiaciuto di dover incontrare qualcuno che lo obbligasse a parlare. D’estate era colto dal timore di sudare ed emanare odori sgradevoli. Così, se intravedeva qualcuno venirgli incontro, si ritirava subito in un luogo ombroso “con l’aria di una persona che stia in ascolto o aspetti qualcosa, finché non avesse recuperato quella sua usuale asciuttezza”. Respirare col naso Fu nel corso di quelle passeggiate così ispirate che Kant concepì i principi fondamentali della sua Critica della Ragion pura, o che più volte rimuginò sul famoso enigma dei ponti di Königsberg, che consisteva nel chiedersi se fosse possibile tracciare un percorso che attraversasse una volta sola tutti i sette ponti sul fiume Pregel, ritornando al punto di partenza (il matematico Eulero dimostrò, nel 1736, come ciò fosse impossibile). Tornato a casa si ritirava nel suo studio a leggere o scrivere fino al crepuscolo, o meditava rincantucciato vicino alla stufa sia in inverno che in estate, “guardando dalla finestra l’antica torre di Löbenicht”, la cui vista lo rassicurava al punto da provare una forte sofferenza quando “accadde che alcuni pioppi di un giardino confinante crebbero” fino a nascondergliene la vista. Quando il vicino seppe del profondo turbamento del professore, che stimava profondamente, subito diede l’ordine di far tagliare gli alberi, e “Kant ritrovò la sua stabilità d’animo”. Venivano accese le candele, ma Kant continuava a lavorare instancabilmente fino alle dieci. “Un quarto d’ora prima di mettersi a letto egli ritraeva la sua mente, nella misura del possibile, F I L O S O F O da ogni genere di pensiero che richiedesse qualche sforzo o energia d’attenzione”, per cercare di evitare quello sgradevole stato di nervosismo che, altrimenti, spesse volte gli procurava insonnia. Anche nel disporsi sotto le coperte T. de Quincey ci descrive teneramente un Kant tutto aggrappato alle proprie bizzarre abitudini: “Prima di tutto si sedeva sul bordo del letto, poi con movimento agile si slanciava di sbieco nella sua tana” costituita da una coperta e, nelle notti più fredde, da un piumino guarnito con fitti strati di lana, “poi tirava un angolo della coperta sotto la sua spalla sinistra e, facendola passare sotto la schiena, la portava sotto la sua spalla destra; infine, con un particolare tour d’adresse, operava sull’altro angolo allo stesso modo” riuscendo così ad avvolgersi completamente “bendato come una mummia”, in attesa dell’approssimarsi del sonno che, grazie alle precauzioni di cui sopra, “generalmente sopraggiungeva subito”. ! Stampa di moda, 1785, vedi pag. 69. 77 I L F I L O S O F O Fobie, massime e rituali Kant sul lettino dello psicoanalista. Il profilo psicologico di un pensatore ossessionato da regole morali, intellettuali e... sanitarie. I l padre esigeva lavoro e onestà, soprattutto il ripudio di qualsiasi menzogna; la madre, per giunta, la santità. Così Borowski ci dà un’idea dell’educazione che il piccolo Immanuel ricevette nella sua infanzia. Questo costante ripudio della menzogna si ripropone ossessivamente in molti scritti in materia di etica, nei quali non a caso il professore spesso ricorre all’esempio della bugia quando vuole descrivere un comportamento contrario alla legge morale. Siméon Chardin, La governante, vedi pag. 69. 78 Un Super-Io alquanto restrittivo Lo psicologo e psichiatra Stefano Caracciolo, elaborando un profilo psicologico del grande filosofo, ha sottolineato molto bene la rigidità dell’educazione impartita al giovane Immanuel, cui venivano richiesti comportamenti adulti già in tenera età, come dimostrerebbe il nomignolo Manelchen (buon ometto) con cui la mamma l’avrebbe chiamato spesso. Ricordando come un’educazione troppo rigida e repressiva ricevuta in tenera età comporti nel soggetto l’introiezione di un Super–Io eccessivamente restrittivo, tendente al rimorso ed ai sensi di colpa, Caracciolo ha evidenziato come la personalità di Kant si sia conseguentemente formata su una struttura ossessiva, ingabbiata in una notevole serie di massime e di regole quotidiane da rispettare assolutamente (il rito del pranzo, la passeggiata, il rispetto degli orari ad ogni costo), al fine di dimostrare a se stessa la propria costante capacità di autocontrollo razionale e di padronanza dell’emotività. DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L A questa estrema rigidità nei comportamenti quotidiani, a queste dinamiche ossessivo–compulsive tipiche di un processo di sadicizzazione dell’ambiente, avrebbe invece fatto riscontro l’ampio margine di libertà e di apertura riservato dal nostro filosofo alle proprie funzioni intellettive più elevate, come dimostra il suo disincantato e laico approccio all’idea di Dio ed ai temi religiosi in generale. Il rifiuto di una fede servile e feticista contenuto nel censurato La religione entro i limiti della semplice ragione farebbe di quest’opera, secondo Caracciolo, una reazione inconscia alle antiche pretese di santità della madre. I rimorsi di Immanuel D’altronde già i due psicologi H. Böhme e G. Böhme avevano parlato di aggressività del giovane Immanuel nei confronti della mamma, da lui incolpata di averlo abbandonato troppo presto a causa di un’eccessiva leggerezza: “Ella era infatti deceduta in circostanze particolari, in seguito ad aver usato lo stesso cucchiaio di una carissima amica che assisteva sul letto di morte, per convincere la riluttante paziente ad assumere un farmaco. Tali vissuti rivendicativi ed aggressivi avrebbero poi innescato, nel giovane Kant, intensi sensi di colpa e rimorsi”. Caracciolo, però, non trova convincente tale ipotesi, in quanto a tredici anni - l’età di Kant quando perse la madre - lo sviluppo psicosessuale sarebbe già troppo avanzato per incidere in modo così determinante sulla struttura del carattere. Ad ogni modo, lo psicologo ipotizza che tale evento possa aver condizionato il filosofo relativamente al suo atteggiamento di forte diffidenza nei confronti dei farmaci. A questo proposito Caracciolo analizza anche l’ipocondria di Kant, così costantemente preoccupato di ammalarsi, prendendo in considerazione soprattutto l’importanza che il professore attribuiva alla salute del proprio stomaco. In effetti al tempo di Kant si credeva ancora alla convinzione di Ippocrate e dello stesso Galeno secondo cui le malattie mentali avrebbero avuto origine e sede nell’apparato digerente. Uno stomaco non perfettamente in grado di esercitare le proprie funzioni poteva dunque, nei timori di Kant, determinare un’infermità DIOGENE N. 12 Settembre 2008 mentale tale da pregiudicare il suo imprescindibile autocontrollo. L’ossessione dell’esercizio del proprio dominio sulle passioni lo aveva infatti indotto a stabilire per se stesso moltissime regole di comportamento: “Siccome le conseguenze della sua condiscendenza verso se stesso e gli altri non gli garbavano, ogni evento in cui si era lasciato trascinare dal suo buon cuore gli forniva l’occasione di stabilire una massima relativa, alla quale poi si atteneva con incrollabile fermezza. In questa maniera tutta la sua vita era diventata, a mano a mano, una catena di massime che finì col costituire un solido sistema”. Proprio l’esigenza di una perfetta funzionalità del suo apparato digerente, secondo Caracciolo, sarebbe tra l’altro all’origine della rituale passeggiata dopo pranzo, fondamentale per Kant. Il terrore di sudare A questo bisogno di controllare il proprio corpo persino relativamente a funzioni primarie come quella della respirazione, andrebbero ascritti anche il timore, caratteristico in Kant, di un’eccessiva sudorazione e la sua massima del non inspirare con la bocca durante la sua insostituibile passeggiata. Un sintomo evidente della rigidità fortemente ritualizzata nella quale Kant imbrigliò la sua vita quotidiana per sfuggire a qualsiasi imprevisto e mantenersi il più possibile in salute è costituita dal complesso dispositivo che il filosofo aveva inventato e adottato per non far calare le proprie calze senza dover ricorrere all’uso delle giarrettiere, da lui ritenute dannose per la circolazione. Queste eccessive preccupazioni sarebbero dunque da imputare all’eccessiva rigidità dell’educazione genitoriale, che lo spinse a proteggersi da qualsiasi casualità o “fantasticheria” attraverso regole e massime di tutti i tipi. Gli imprevisti, infatti, esercitarono sempre un imbarazzo notevole nell’animo del professore, come ad esempio nella famosa circostanza verificatasi durante una sua lezione, nel corso della quale egli provò un fastidio tale da inibire la sua stessa capacità di proseguire nel discorso, solo per aver notato che a un alunno in prima fila mancava un (solo) bottone sul petto della giacca. ! F I L O S O F O I biografi di Kant La principale biografia di Kant, l’unica scritta dai contemporanei del professore, è stata scritta a sei mani da tre suoi estimatori. Da questa opera, edita in Italia da Laterza, provengono le notizie sulla vita privata del filosofo. Ludwig Ernst Borowski Figlio di un artigiano polacco che arrotondava facendo il campanaro, divenne teologo e vescovo luterano. Nato nel 1740, fu uno dei primi studenti di Kant ed ebbe l’onore di assistere alla sua prima lezione universitaria, avvenuta nel 1755 a casa del prof. Kripke. Egli ci descrive, in quell’occasione, un Kant imbarazzato di fronte a un’aula gremita: “Perdette quasi la bussola, parlò più piano del solito e si corresse spesso”. Nel 1792 Borowski chiese all’ormai anziano professore il permesso di scrivere una sua biografia. Kant rispose che avrebbe preferito evitarlo, ma, per non vanificare il lavoro già intrapreso dall’ex studente, lo autorizzò chiedendogli però di non pubblicarla fino alla sua morte. E.A. Christoph Wasianski Figlio di un insegnante del ginnasio di Königsberg, studiò medicina, teologia e assistette alle lezioni di Kant durante l’anno accademico fra il 1773 e il 1774. Lasciò l’Università per dedicarsi al canto, divenne cantore nella chiesa di Tregheim, poi riallacciò i contatti col filosofo, che lo volle vicino a sé, prima in qualità di ospite fisso a pranzo, infine, dal 1798, in veste di proprio aiutante e amministratore delle proprie finanze ed esecutore testamentario. Visse, quindi, costantemente a contatto con Kant fino alla morte di quest’ultimo. Morì all’età di 76 anni. Reinhold Bernhard Jachmann Nato nel 1767, figlio di un calzolaio e fratello di un celebre chimico, fu fedele studente di Kant, riscrisse scrupolosamente il contenuto delle sue lezioni e divenne direttore di importanti istituzioni scolastiche, compreso l’istituto pedagogico di Jenkau. Mori all’età di 76 anni. 79 I L F I L O S O F O Gli amici, i parenti, le donne (nessuna) Il domestico: “È un buon diavolo ma grida troppo”. Gli amici: tutti i giorni invitati a pranzo per conversazioni colte e brillanti. L a rigidità e l’ossessione del controllo sulle emozioni, che caratterizzano il pensiero di Kant, furono probabilmente all’origine della diffidenza nei confronti di rapporti troppo coinvolgenti, come quelli sentimentali indirizzati alle figure femminili, bandite decisamente dalla sua vita, o di forte amicizia. Spesso Kant usava esclamare: “Miei cari amici, non esistono amici!”. In realtà, a parte le ciniche battute del filosofo, i suoi biografi ci hanno tramandato un’immagine piuttosto diversa. Kant visse rapporti di amicizia molto forti, come quello venutosi a creare, a partire per altro da una situazione molto particolare, nei confronti del mercante inglese Joseph Green (1727-1786), come ci ricorda Jachmann nella sua Lettera VIII. “Al tempo della guerra anglo–nordamericana Kant stava passeggiando un pomeriggio nel Giardino Dänhoff e si 80 Stampa di moda, 1733, vedi pag. 69. fermò davanti a un chiosco nel quale aveva scorto un suo conoscente in compagnia di un gruppo di persone a lui sconosciute”. Si innescò una conversazione sugli eventi del giorno e il filosofo prese la parte degli americani, “difese calorosamente la loro giusta causa e si pronunciò con una certa amarezza sul comportamento degli inglesi”. Fu dunque attaccato da un più che furibondo inglese di nome Green che, dichiarandosi offeso a nome di tutti i suoi compatrioti, lo sfidò a duello fino all’ultimo sangue. Kant mantenne la calma, continuò il suo ragionamento e, con molta eloquenza, difese la propria posizione davanti al suo collerico rivale, che alla fine del discorso gli strinse la mano chiedendogli scusa. Ne nacque una profondissima e intima amicizia tra i due, che Kant considerò estremamente preziosa coltivandola fino alla prematura morte di Green, evento che “inferse al nostro filosofo una tale ferita che la sua grandezza d’animo riuscì, è vero, a lenire, ma non a dimenticare”. Jachmann ci racconta che i due si frequentavano quotidianamente in un modo tanto bizzarro quanto pieno di tenerezza. Kant, infatti, si recava a casa dell’inglese tutti i pomeriggi, “trovava Green addormentato in poltrona, gli si sedeva accanto e, seguendo i propri pensieri, si addormentava; poi arrivava il solito Ruffmann, il direttore di banca, e faceva DIOGENE N. 12 Settembre 2008 I L altrettanto; finché a una data ora entrava Motherby (un socio di Green), a svegliare la compagnia, che fino alle sette stava a conversare su interessantissimi argomenti. La brigata si scioglieva alle sette con tale puntualità che più volte udii gli inquilini della via osservare che non potevano essere le sette perché il professor Kant non era ancora passato”. Tatto e delicatezza In generale Jachmann ci parla di un Kant che trattava i propri amici con tatto e delicatezza: “Non si immischiava mai con invadenza nei fatti loro” ma seguiva con molta partecipazione e apprensione le loro vicende, soprattutto quando li sapeva in difficoltà. Singolare il suo atteggiamento nei confronti della sofferenza fisica di un amico: stava in ansia e soffriva enormemente finché la questione non venisse in qualche modo risolta, compreso nel malaugurato caso in cui alla malattia seguisse il decesso. Una volta superata la cosa poi, nel male o nel bene, si riprendeva completamente. Sappiamo che un’amicizia “particolarmente rispettosa” lo legò anche al professor Kraus, suo ex studente, che volle quotidianamente a tavola con sé fino a quando questi riuscì ad acquistare una propria casa. Questo giovane, di cui Kant parlò sempre con venerazione, non rappresentò certo un caso isolato, dato che molti allievi ebbero l’onore di diventare amici del grande filosofo, come d’altra parte i suoi stessi biografi Borowski, uno dei suoi primissimi uditori, Jachmann e Wasianski. Un domestico irritante Un discorso a parte merita il rapporto con il proprio servitore, Martin Lampe (1734 – 1806), ex militare di Würzburg a servizio del professore dal 1762 al 1802, pur vivendo stabilmente con Kant (nell’attico al secondo piano) solo da quando questi riuscì a comprarsi una casa tutta sua. Di Lampe sappiamo che, nonostante il filosofo fosse molto legato a lui, spesso approfittò della liberalità del padrone facendosi dare continui supplementi di stipendio, litigando spesso con la cameriera, rientrando ubriaco e, a volte, arrivando persino a imbrogliare il professore sui conti della spesa. Kant cominciò a pensare che fosse venuto il DIOGENE N. 12 Settembre 2008 momento di licenziarlo, ma il legame con quell’uomo con cui era invecchiato non gli permetteva di prendere una decisione definitiva. Un giorno di gennaio del 1802, però, annunciò all’amico Wasianski di aver deciso definitivamente per il licenziamento di Lampe a causa “di una tale mancanza che mi vergogno di nominarla”, e il posto dell’ex soldato venne preso da un certo Johann Kaufmann, molto più affabile, colto, persino gentile con la cameriera. Kant, però, trasaliva e imprecava tutte le volte che avvertiva “la voce tenorile del Siméon Chardin, Lezione di danza, vedi pag. 69. nuovo domestico, tagliente e squillante come una tromba”, che gli dava ai nervi e lo faceva esclamare: “È un buon diavolo, ma grida troppo!” Inoltre si preoccupava molto di offendere qualche suo invitato commerciante tutte le volte che doveva chiamarlo in pubblico: Kaufmann, infatti, in tedesco significa proprio “commerciante” e il professore temeva, così, di urtare la suscettibilità dei suoi commensali impiegati nei commerci abbassandoli al rango della propria servitù. Fu così che si risolse di utilizzare per lui il finto nome “Johannes”. Nonostante la netta superiorità che però Kaufmann vantava sul suo predecessore, F I L O S O F O l’irritante Lampe (cui Kant versò ogni mese una pensione di quaranta talleri fino alla fine della propria vita) non fu mai seriamente dimenticato: Wasianski racconta con una certa commozione che il pensatore, da quel triste gennaio 1802, si annotò su un foglietto, che per lungo tempo tenne apposto in bella vista sul proprio scrittoio, di ricordarsi di dimenticare Lampe! I parenti E i parenti? Ne parla Jachmann nella sua lettera IX in cui afferma che, tralasciando la venerazione per la madre, “dei fratelli parlava poco e ne aveva anche poche occasioni”. Regina Dorothea (1719/1746), la primogenita se non si considera il fratellino nato morto il 1 novembre del 1717, era scomparsa a soli ventisei anni, quando Immanuel ne aveva ancora ventidue. Johann Friedrich, anagraficamente più vecchio di lui di due anni, era però deceduto a nove mesi di età. Quanto ai suoi fratelli minori, Maria Elizabeth, di tre anni più giovane, morì a sessantanove anni, nel 1796; Anna Catharina era morta a soli sei mesi, nel 1729; Anna Louise era scomparsa nel 1774, a quarantaquattro anni non ancora compiuti, e soltanto Catharina Barbara (rimasta vedova nel 1773, dopo un solo anno di matrimonio), e Johann Heinrich, rispettivamente di sette ed undici anni più giovani di Immanuel, sopravvissero al filosofo. Catharina Barbara fu, tra i due, la più longeva: morì nel 1807, a settantacinque anni, e andò a vivere con il fratello professore negli ultimi anni della sua vita, per fornirgli sostegno e aiuto. Di Johann Heinrich sappiamo che “viveva fin dagli anni universitari molto lontano da lui”, faceva il predicatore ed era “sempre in corrispondenza” con Immanuel; ebbe cinque figli. Le sorelle “andarono a servizio e in seguito si sposarono con operai”, ma l’unica che ebbe figli fu Maria Elizabeth (cinque bambini). “È strano però che Kant, pur vivendo nello stesso luogo, non abbia parlato con le sorelle per venticinque anni di seguito”, afferma Jachmann, affrettandosi ad aggiungere che, probabilmente, il motivo va ricercato nel fatto che il nostro filosofo “viveva in così misere condizioni da 81 I L F I L O S O F O non poter offrire aiuto alle sorelle, che forse facevano assegnamento sull’uomo illustre, e da temere di riuscire loro di peso”. Sappiamo infatti che queste “fin dagli anni del suo professorato avanzarono pretese di aiuto assai maggiori di quelle che egli poté appagare, e se ne lamentarono”, ma risulta estremamente curioso che “anche quando fu in grado di fare per loro qualcosa di più, non intese affatto di innalzare la famiglia oltre il suo livello o addirittura di portarla con ricchi doni all’inerzia”. La generosità Kant, insomma, non voleva che i suoi familiari venissero etichettati come degli arricchiti, ma non per questo si tirò indietro di fronte alle loro necessità: dallo zio Immanuel le quattro nipoti ricevettero cento talleri a testa in occasione delle loro nozze, “per il primo arredamento”. In caso di malattia era poi sempre lui a pagare direttamente il fra- tello di Jachmann, medico di professione, affinché prestasse loro ogni cura. “D’altronde tutti i suoi averi e guadagni appartenevano a loro, tant’è vero che il suo patrimonio lo lasciò a loro in eredità”. A questo proposito ci viene in aiuto Wasianski, che, sottolineando come per Kant il denaro avesse “il solo valore di mezzo per fare del bene”, ricorda che “del suo capitale di ventimila talleri e del modesto ricavato dal suo insegnamento accademico prelevava secondo il suo bilancio un sussidio annuo per la famiglia e una somma per la Cassa dei poveri che i più ricchi di lui difficilmente danno: erano 1123 fiorini che versavo in rate trimestrali o mensili in sua presenza: vi erano compresi i quaranta talleri di pensione per Lampe…” . Quanto all’eredità lasciata da Kant ai suoi parenti, Wasianski parla di circa diciassettemila talleri in contanti. ! Bernard Picart, Disegni, vedi pag. 69. A P P R O F O N D I R E ! L.E. Borowski, R.B. Jachmann, E.A. Wasianski, La vita di Immanuel Kant narrata da tre contemporanei, prefazione di E. Garin, Laterza, Roma - Bari, 1969. ! H.J. De Vleeschauwer, L’evoluzione del pensiero di Kant, Laterza, Bari, 1976. ! E. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, ! T. de Quincey, Gli ultimi giorni di Immanuel Kant, Adelphi, Milano, 1983. ! G. Riconda, Invito al pensiero di Kant, Mursia, Milano, 1987. ! S. Caracciolo, Con il cappello sotto il braccio. Un profilo psicologico di Immanuel Kant, Aracne Editrice, Roma, 2005. La Nuova Italia, Firenze, 1984 Sitografia: Giovanni Cerutti, Due ragazzi che giocano a carte, vedi pag. 69. 82 ! Filosofico.net (www.filosofico.net), a cura di Diego Fusaro. ! Consulta Filosofica italiana (www.consultafilosoficaitaliana.unip r.it). ! Il Giardino dei pensieri (www.ilgiardinodeipensieri.eu), a cura di Mario Trombino. ! Immanuel Kant in Italia (www.users.unimi.it/~it kant), a cura del dipartimento di filosofia dell’niversità di Milano. ! Bosco Ceduo (www.boscoceduo.it), riflessioni filosofiche di Pietro Ratto. DIOGENE N. 12 Settembre 2008