Il repertorio triste del nostro malvivere
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Il repertorio triste del nostro malvivere
Il repertorio triste del nostro malvivere di Melita Rabbione E’ come una valanga: da un movimento quasi impercettibile, quando di mette in moto e scivola a valle, provoca una catastrofe. Nulla può arrestarla e trascina con sé uomini e cose. Ogni giorno e a tutti i livelli leggiamo, ascoltiamo e assistiamo a truffe, episodi di corruzione, imbrogli, rapine, spoliazioni e aggressioni, con tutto il repertorio del “malvivere” che la piccola e grande criminalità ci sta dispensando. Fenomeni in costante aumento, fin dal momento in cui ci eravamo illusi, agli inizi degli anni ’90, che scandali epocali finalmente venuti alla luce avrebbero posto un freno alla furbesca intraprendenza e al malcostume della scorciatoia. Sono le persone oneste, in proporzione maggiore i più deboli, a patirne il danno: incapaci come sono di opporsi allo sfacciato strapotere di chi approfitta degli altri. La cronaca minuta, quotidianamente, ce ne offre una variegata panoramica: l’anziano raggirato e derubato dei risparmi di una vita, una ragazzina aggredita dal branco dei bulli, o anche il cittadino che si trovi nella necessità di avere risposta a una motivata richiesta rivolta all’Autorità Pubblica, che si vede trattato con arroganza, quando pure non gli si chiede una “bustarella”. E ancora le gare d’appalto pilotate, le raccomandazioni nei concorsi e i tanti progetti di vita resi difficili, se non impossibili, dalla burocrazia e dalla corruzione morale. Forme spicce di immoralità, praticate a larghe mani in ogni angolo del nostro Paese, così frequenti da non essere denunciate se non in casi clamorosi, o eclatanti come quelli che - a prova di ogni più che legittimo garantismo - emergono a seguito di intercettazioni telefoniche. Abbiamo perso fiducia, siamo rassegnati agli scandali, rinunciamo alla partecipazione attiva, mentre una montagna di denaro, accumulato in mille modi illeciti, fa sì che l’Italia si tenga a galla. E le nuove generazioni sono umiliate. I 270 miliardi di euro stimati di evasione per il lavoro in nero sottraggono denaro al fisco, costituiscono una economia parallela, capitali sottratti al desiderio di vita e di lavoro di un gran numero di giovani costretti ad andare all’estero e di cinquantenni espulsi dall’attività lavorativa, senza speranza di rientro. A questi si aggiungono le migliaia di cittadini stranieri che arrivano nel nostro Paese alla ricerca di una vita migliore, per poi ritrovarsi nella sola condizione di dover bivaccare nei centri di accoglienza, vivendo di sussidi, quando non di espedienti. I nostri governanti, rissosi e dispersi in una polverizzazione di gruppi ormai privi di alcun ideale, non sanno riconoscere il bisogno urgente di ricomposizione comunitaria, per una politica di più alto profilo. COMMENTA QUESTO ARTICOLO