… e poi: lettera testamento, povero Professore! Vuoi sapere come

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… e poi: lettera testamento, povero Professore! Vuoi sapere come
DIRE, FARE, BACIARE…
… e poi: lettera testamento, povero Professore! Vuoi sapere come mai…? Cerchi in qual
modo… ? E che cos’è…? I tuoi pari hanno scritto diecimila volumi sull’argomento, e
hanno trovato certe parole: i bambini le conoscono come te.
Questo attacco è quasi copiato dall’articolo Limiti dello spirito umano del “Dizionario
filosofico” di Voltaire, Einaudi, 1969, p.68: «Essi sono dappertutto, povero Dottore. Vuoi sapere
come mai il tuo braccio e il tuo piede obbediscono alla tua volontà, e il tuo fegato no? Cerchi in qual
modo si formi il pensiero nel tuo debole intelletto, o il bambino nell’utero della donna? Ti lascio tempo
per rispondermi. E che cos’è la materia? I tuoi pari hanno scritto diecimila volumi sull’argomento, e
hanno trovato certe qualità […]: i bambini le conoscono come te». Ho sostituito “qualità” con
“parole”, oltre che “Dottore” con “Professore”.
Eccone già alcune, in questo gioco drammatico.
Gioco, richiama il detto che Dio non gioca a dadi. Perché? Secondo me perché gioca a
poker. Infatti: rilancia.
Mi associo, rilanciando questo poker di parole per quello che è. Con una parola
“classica”, è una “topica” (assai dinamica): tòpot, loct, luoghi cardinali (come nord e sud)
tali che chi si orienta su di essi può venire a capo delle proprie domande. Poche parole
per pochi luoghi. Moltissime le altre parole, tutte le parole del mondo, il mondo delle
parole: collegate alfabeticamente danno un’enciclopedia, la nostra vita in parole. Ma tante
sono le Enciclopedie, culture, civiltà, quanti gli orientamenti, topiche, bussole: luoghi più
potenti di grammatica e sintassi. Vediamo.
Dire. Nulla da ridire, ci sta bene e al primo posto.
Segue fare. Nessuna obiezione, ma è pleonastico dirlo, per coloro per i quali il dire
precede, preordina il fare. Ecco la rude discussione millenaria tra il prologo di Giovanni
e il Faust.
Ecco la durezza conseguita al primato leninista della domanda “Che fare?”. Ma non si
tratta di anteporre al mondano fare uno spiritual dire, bensì di riconoscere nel dire uno
dei fare, e di orientarsi su esso come primo. Pena essere malfattori e maldicenti. Cui
maledizione, anáthema est.
Nell’intolleranza, l’azione era in principio. Nel principio del verbo si può dire: buone
opere! Come si dice: buongiorno!
Poiché plenasmo, sì libera un posto. Mettiamoci: pensare. Che è ciò che i bambini fanno
benissimo finchè non li inganniamo nel loro pensiero (ecco lo scandalo). Ma che è anche
la Cenerentola dei nostri anni (la sciagurata espressione “pensiero debole” ne è solo un
modesto sintomo). Peggio: si tratta dell’omicidio che procede dal liberticidio.
Dov’è finita quella libertà di pensiero che pareva sì cara? Un’antologia del pensiero libero
degli ultimi decenni sarebbe magra come un cane affamato: il Professore protesta solo
perché abbaia, auspicando che schiatti.
Pensiero libero: espressione oggi senza significato, meaningless, perché sensless, senza
senso, orientamento, fine. Dico ciò che… penso: pensare è pensare all’Altro, non l’altro,
a questo pensa lui. Mettete ciò che volete in questo “Altro”: il partner, il compagno
ineluttabile anche nella solitudine (non esiste solitudine, ma solo buona o cattiva
compagnia).
Per il pensiero come per il dire e il fare vale il detto “Dimmi con chi vai…”, con chi
parli, operi, pensi.
Allora si deve anche dire che il libero pensiero è finito con Kant, per avere proibito il
pensiero come pensiero dell’altro (spassionati di tutto il mondo unitevi!). Non penso
solo a quel Kant là, perentorio almeno per l’improntitudine brutale con chi l’ha detto (ma
dove è il “mite” Kant?), quanto al Kant che è nella nostra testa da tutto il ‘900 almeno,
anche se non abbiamo mai letto l’autore delle Critiche e abbiamo fatto a malapena le
scuole tecniche.
Cui oppongo il pensiero della donna più celebrata di ogni tempo: non Elena, ma quella
che dal medievale
galante ha preso nome, e dal pensiero ha iniziato la sua carriera attiva. Suggerisco di
rileggere la sequenza drammatica più drasticamente concisa che conosca, quella di Luca
1, dove la sullaudata: 1° pensa, 2° interroga, 3° dice. Come e meglio di veni, vidi, dici. Se
facessi di professione lo storico del “Pensiero”, inizierei dall’azione di pensiero di tale
pensiero.
Quando a baciare, vedetevela un po’ voi, memori magari che già da bambini si sa che il
dire del baciare non sempre lo si sa fare.
Riprendiamolo come piacere. Si vede che è un verbo, non solo un sostantivo (come per
potere la distinzione cambia tutto). Nel verbo, “Dimmi a chi piaci, eccetera”.
Nel sostantivo, ai giorni nostri siamo al marasma (gentile, “Il Piacere” in edicola cerca di
soccorrerci: ma chi lo soccorre?). Perché in fatto di piacere siamo a corto, non in linea di
piacere ma di principio di piacere: né capo né coda. Allora, come quando si perde la
bussola, può capitare che si cambi principio, orientamento: è il masochismo,
controprincipio sempre più potente (il Papa ha appena dovuto pronunciarsi in
proposito, come già Pio XII).
Succede così che il desiderio dell’uomo diventa l’inferno. Chi ci salverà dalla cultura del
masochismo, e dai suoi immorali ricatti morali, oggi che i suoi crescenti zeloti si
riuniscono per esempio sotto la bandiera di quella patrona farmaco-linguistica che è
Sant’Eroina? Per cavarsela, ci si rifugia nell’illusione dell’edonismo della natura umana
(l’edonista, lui si che sa cos’è il piacere!). L’edonismo è uno spot pubblicitario, Lettera,
testamento, chiudono questa serie di loci communes (comuni a tutti).
À suivre: già l’inizio di questa mia Enciclopedia per abbozzi è avviato.
Concludendo su questi tre termini, la prossima volta riprenderò dall’intolleranza di
Giobbe.
26 dicembre 1988
Tratto da: Giacomo B. Contri,“SanVoltaire”,1994, Guaraldi Edizioni.