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ITALIANO
V-No. 2-2015
CITOC magazine
CENTRUM INFORMATIONIS TOTIUS ORDINIS CARMELITARUM
editoriale
C
on la celebrazione del 500° anniversario della nascita di
Santa Teresa di Gesù siamo giunti al culmine della commemorazione della grande santa carmelitana. Varie notizie
del CITOC-online hanno già riportato le iniziative celebrate in
tante province dell’Ordine. Inoltre, durante il Capitolo Generale
dei Carmelitani Scalzi il nostro il Priore Generale ha presieduto
l’eucaristia ne “la Santa”, ossia la chiesa situata all’interno della
casa natale di Santa Teresa, accompagnato dal P. Saverio Cannistrà, appena rieletto Preposito Generale del Carmelo Teresiano.
Anche questo numero della nostra rivista dedica una grande
parte alla Santa: una nota biografica ci illustra la sua vita, un
articolo le sue caratteristiche e infine un altro ce la mostra come
donna di preghiera.
Un’altra grande figura, questa volta però dei nostri tempi, è
stata beatificata il 23 maggio 2015 in El Salvador: il vescovo
Oscar Arnulfo Romero. La sua beatificazione, da tanto tempo
attesa, ci dà l’occasione di presentare un articolo sulla sua tenera
e pia devozione alla Madonna del Carmine e una presentazione
del Carmelo in El Salvador.
È stato un grande onore per tutto l’Ordine che P. Bruno Secondin,
O.Carm, ha predicato gli esercizi spirituali al Papa Francesco e
ai membri della Curia romana. Siamo contenti di poter condividere un suo articolo, nel quale egli ci racconta questa esperienza
unica.
La storia del Carmelo ha sempre risposto alle sfide risultanti
dai cambiamenti del momento storico, come ci mostra anche
la presentazione della fusione dell’Istituto delle Suore di Nostra
Signora del Carmelo e quello delle Carmelitane delle Grazie.
Riguardo al Carmelo femminile questo numero ci offre poi uno
sguardo alla realtà delle nostre monache in Asia.
Oltre a questi articoli e ad altre informazioni da tutto il mondo
presentiamo come di solito una selezione delle principali notizie,
alcune delle quali già pubblicate nel CITOC-online, che offrono
uno sguardo sulla vita attuale dell’Ordine.
Auguriamo a tutti una buona lettura di queste pagine del nuovo
numero del CITOC-magazine.
CITOCmagazine
CENTRUM INFORMATIONIS TOTIUS ORDINIS CARMELITARUM
CITOC-magazine è una pubblicazione semestrale dell’Ordine dei
Carmelitani. Le notizie, informazioni, articoli, lettere, fotografie e altri
materiali offerti alla rivista diventano sua proprietà.
Direttore
P. Fernando Millán Romeral,
O.Carm.
Direttore editoriale
P. Christian Körner, O.Carm.
Consulente editoriale
P. Raúl Maraví, O.Carm.
Redattore
P. Joseph Hung Tran, O.Carm.
Corrispondenti:
Europa
P. John Keating, O.Carm.
Africa
P. Conrad Mutizamhepo, O.Carm.
America
P. Raúl Maraví, O.Carm.
Asia, Australia e Oceania
P. Benny Phang, O.Carm.
Inviare le informazioni a:
Curia Generalizia dei Carmelitani
Via Giovanni Lanza 138
00184 Roma, Italia
Tel+39-064620181
Email: [email protected]
www.ocarm.org
P. Christian Körner, O.Carm.
CITOC | P. 2
contenuto
2 Editoriale
6
12
Esercizi spirituali al
Papa e alla
Curia Romana
Il Priore Generale al Capitolo
Generale OCD
7 Incontro dei superiori,
16
Le monache in Asia
delegati ed economi delle
Americhe
14 Fusione dell’Istituto delle
Suore Carmelitane delle
Grazie con l’Istituto delle
Suore di Nostra Signora del
Carmelo
22 I Carmelitani in El Salvador: la
18
Monsignor Romero
e la Vergine del
Carmelo
terra di Oscar Romero
27
Notizie
20
Seconda assemblea
del TOC di AustraliaOceania-Asia
21
24
Incontro dei
superiori e formatori
carmelitani
dell’Africa
4, 8, 10
V Centenario della
nascita di Santa
Teresa di Gesù
28
Messaggio per l’anno
della Vita Consacrata
P. Emiel Abalahin, O.Carm.
M
V Centenario della nascita
di Santa Teresa di Gesù
istica, maestra, scrittrice, modello di vita.
Il beato Paolo VI ha
usato tutte queste espressioni
cercando di condensare le qualità
di S. Teresa d’Avila, allorché si
apprestava a dichiararla Dottore
della Chiesa il 27 settembre
1970. Questo riconoscimento
ufficiale della dottrina di Teresa
dimostra la validità, al di là del
tempo, sia della sua esperienza
che dei suoi insegnamenti sulla
preghiera e la vita interiore, che
lei ha reso tangibile e comprensibile a quanti si accostano ai suoi
scritti come lettori o studiosi.
Teresa era tanto radicata nella
realtà concreta del suo contesto
storico, quanto era protesa verso
la relazione con l’Eterno, al quale,
con tutta se stessa, aspirava.
dita convertito al cattolicesimo
insieme ai suoi 7 figli durante il
regno di Ferdinando e Isabella.
La Spagna diede i natali a
questa santa, registrata all’anagrafe col nome di Teresa
Sánchez de Cepeda y Ahumada;
era il 28 marzo 1515 quando
ella nacque a Gotarrendura nella
provincia di Avila. Era la terzogenita di un ricco commerciante,
Alonso Sánchez de Cepeda, che
ebbe Teresa come prima figlia da
Beatriz de Ahumada de Cuevas,
sposata in seconde nozze. In
tutto, la famiglia venne ad essere
costituita da 3 figlie femmine e 9
maschi. Il nonno paterno, Juan
Sánchez, era un ebreo sefar-
Come adolescente Teresa non
era affatto diversa dalle ragazze
della sua età. Da sua madre
aveva ereditato la passione per
le storie cavalleresche, che lei
amava leggere, scegliendo da sé
quelle di suo gusto. A quell’età
Teresa si abbandonò all’affetto di
alcuni suoi cugini e stava volentieri in compagnia di una sua
parente, che però il padre e la
sorella maggiore non gradivano,
ritenendola di cattiva influenza
per la giovane ragazza. Per
evitare il contatto con questa
persona, il padre di Teresa scelse
I genitori di Teresa la educarono, insieme agli altri fratelli, in
un clima familiare pio e amorevole, contribuendo a formare
la sua personalità, naturalmente incline alla vivacità e alla
gaiezza, anche a una vita di
fede. Fu proprio la loro educazione a ispirare a Teresa il
desiderio di fuggire, insieme al
fratello Rodrigo, per andare fra i
Mori, a difendere la fede, spinta
dal desiderio del martirio. Nel
1528, quando Teresa aveva solo
14 anni, rimase orfana di madre
e da quel momento in poi,
prese come madre spirituale la
Vergine Maria.
di mandarla al collegio delle
monache agostiniane di Avila.
Là Teresa incontrò una monaca,
Doña María Briceño, che fu per
lei un grande aiuto nel riaccendere la sua fede, ormai divenuta
tiepida e le suggerì di prendere
seriamente in considerazione
una sua possibile vocazione alla
vita religiosa.
E infatti Teresa entrò al
Carmelo dell’Incarnazione di
Avila il 2 novembre 1535. A quel
tempo vivevano nel monastero
più di 200 persone, tra monache,
servitù e parenti. Sebbene
nel monastero non vigesse la
regola di una stretta clausura,
le monache si dedicavano alla
recita dell’Ufficio Divino, così
come all’osservanza dei giorni
di preghiera e astinenza, per
favorire la realizzazione del
carisma tutto carmelitano della
preghiera continua. Però non
veniva insegnata la preghiera
mentale. Su questo aspetto,
per quanto riguarda Teresa, fu
l’esperienza della malattia ad
offrirle un’opportunità unica.
Per tutta la vita ella soffrì di
disturbi fisici, ma nel 1538 cadde
gravemente malata e dovette
lasciare
l’Incarnazione
per
andare a curarsi. Fu durante una
visita allo zio Pedro che venne
introdotta per la prima volta
CITOC | P. 4
all’approccio con un libro che
cambiò la sua vita di preghiera
e che le fu di istruzione e ispirazione per molti anni: si tratta del
Terzo Abecedario. Ma il fervore
che Teresa sperimentò per la
preghiera non durò a lungo,
per via della grande lotta che
essa dovette sostenere e che la
accompagnò per ben 18 anni.
Nel 1554 Teresa visse una
profonda conversione, grazie
alla meditazione su un’immagine
di Cristo piagato e anche grazie
alla lettura di alcuni passaggi
delle Confessioni di sant’Agostino. Queste furono esperienze
che la aiutarono ad abbandonarsi completamente a Dio e
a dargli piena fiducia. Nodo
centrale di questa conversione
fu l’umanità di Cristo, che rese
la sua vita interiore più capace
di vivere in intima relazione e
più concretamente fondata, dato
che le sue capacità intellettive,
come la memoria, avevano un
chiaro e preciso punto di riferimento. La sua preghiera interiore
poté così iniziare a svilupparsi
molto più in profondità, mentre
Teresa divenne destinataria di
grazie, che la sorprendevano
con modalità nuove e inaspettate. Ebbe sempre la saggezza
di consultare uomini esperti,
confessori e maestri spirituali capaci di spiegare questi
fenomeni
e
di guidarla,
mano a mano che progrediva
nell’intima relazione con Dio,
lungo una via che si rivelava
valida per accompagnarla fino
alla piena unione spirituale con
Dio. In tutto questo Teresa ebbe
modo di scoprire con chiarezza
che uno degli scopi principali
dell’orazione
attraverso
le potenze dell’intelletto era
quello di fiorire in atti di carità.
Per esprimere questa verità
Teresa amava usare l’immagine
di “Marta e Maria, che vanno
sempre insieme”.
La Cammino di perfezione
di Teresa, quindi, non si limita
unicamente alla relazione tra lei
e Dio, ma piuttosto è il mezzo
grazie al quale è possibile diventare più simili a Cristo, nelle
capacità personali e nelle espressioni concrete dell’amore per il
prossimo. Da qui scaturì poi l’idea
di dar vita a una riforma in cui
poter trasmettere anche ad altri
un nuovo stile di vita secondo
cui incarnare la Regola del
Carmelo, come anche lei aveva
imparato a viverla: in povertà,
in un continuo dialogo con Dio,
ma anche in intima relazione con
gli altri membri delle sue nuove
comunità, che dovevano essere
formate da poche persone, molto
unite tra loro.
La sua riforma ebbe inizio con
la fondazione del monastero
di San Giuseppe il 24
agosto
1562,
che
fu solo il primo di
17 monasteri di
monache. Accanto
a questi nacquero,
dallo spirito della
riforma di Teresa,
anche 2 conventi
di frati, sempre
in Spagna. Il
desiderio
di
Teresa
era
quello
di
poter condividere e insegnare,
in queste comunità, ciò che
lei aveva imparato nella sua
esperienza personale. Soprattutto grazie ai suoi scritti Teresa
trasmise questa sua immensa
ricchezza di vita spirituale.
Fu infatti una scrittrice prolifica; il corpo dei suoi scritti
comprende testi poetici, ma
anche ironici, così come centinaia se non migliaia di lettere,
insieme
alla
sua
famosa
Autobiografia e ai suoi trattati
di vita spirituale. Tutto questo
ci dà l’idea di un’impresa
piuttosto considerevole, che in
qualche modo riflette e supera
allo stesso tempo l’esperienza
delle donne istruite del tempo di
Teresa. Grazie al suo retroterra
– in quanto persona istruita,
nipote di un converso, donna di
particolari esperienze spirituali,
figlia della Spagna dell’Inquisizione, fondatrice di una riforma
religiosa – e anche grazie alla
sua innata intelligenza, al suo
senso pratico e alla consapevolezza di sé, Teresa imparò a
fare i conti con grande capacità
con le sfide e gli ostacoli che
incontrava nella sua vita. I suoi
scritti più importanti furono da
lei composti per obbedienza o
comunque col permesso dei suoi
confessori. La prima redazione
del Libro della Vita è del 1562,
ma Teresa chiede conferma ai
suoi confessori e anche a San
Giovanni d’Avila, affinché le
sue esperienze fossero da essi
verificate.
Allo stesso tempo, però, la sua
passione per condividere questo
suo dono di vita interiore particolarmente con le sorelle dei
suoi monasteri, la spingevano a
documentare le sue esperienze
in modo tale che potessero
essere utili come materiale per
la loro formazione spirituale.
Infatti, riferendosi alla sua vita
e spiritualità, Benedetto XVI ha
detto: “Più che una pedagogia
della preghiera, quella di Teresa
è una vera “mistagogia”: al
CITOC | P. 5
lettore delle sue opere insegna
a pregare pregando ella stessa
con lui”. E veramente i suoi testi,
scritti alla prima persona e il suo
approccio pedagogico, caratteristico dei suoi scritti, mettono
in luce il fatto che, grazie al suo
percorso interiore e alla sua
chiamata per la riforma, Teresa
era anche chiamata ad essere,
di conseguenza, una maestra
di
preghiera
contemplativa.
Infatti non è possibile parlare di
queste cose partendo da concetti
astratti, ma solo da un’esperienza vissuta in prima persona.
È vero che il Libro della Vita
fu composto da Teresa per i
suoi confessori, ma ugualmente
lei era convinta che contenesse
tanto materiale utile anche per
la formazione delle sue sorelle.
Più tardi, nel 1566, compose la
prima redazione del Cammino di
perfezione, per rispondere alle
domande e alle necessità delle
consorelle che vivevano a San
Giuseppe, domande riguardanti
la contemplazione. Il suo confes-
sore di quel tempo, p.
Domingo Báñez, OP,
infatti, aveva espresso
alcune
perplessità
sulla
sua
biografia.
Dieci anni più tardi, nel
1577, quando Teresa
aveva 62 anni, scrisse il
Castello Interiore, come
risposta alla richiesta
del suo amico e confessore,
p.
Jerónimo
Gracían, che voleva un manuale
di vita spirituale, che potesse
sostituire l’autobiografia, finita,
nel frattempo, nella mani dell’Inquisizione. Un unico desiderio ha
sempre animato la redazione di
questi scritti da parte di Teresa e
cioè che le sue sorelle e altri che
li avessero eventualmente letti,
potessero trarne beneficio per
crescere nella vita di orazione.
E arriviamo all’anno 1582.
Mentre si trovava in viaggio,
dopo aver visitato la fondazione
di Burgos, Teresa raggiunse
la comunità di Alba de Tormes
il 29 settembre. Qui iniziò a
sentirsi veramente male per
una emorragia, probabilmente
dovuta a un tumore dell’utero.
Solo 5 giorni dopo, il 4 ottobre,
alle 9 della sera, Teresa morì,
all’età di 67 anni.
Il 24 aprile 1614 la Chiesa
riconobbe ufficialmente la sua
santità, con la beatificazione da
parte di Papa Paolo V; fu poi
Gregorio XV a canonizzarla il 12
marzo 1622. Le sue opere hanno
continuato a offrire ispirazione
spirituale non solo a generazioni di Carmelitani, ma anche
a quanti sono alla ricerca di una
più profonda relazione con Dio.
Il Priore Generale al Capitolo Generale OCD
Cannistrà, OCD, per la sua rielezione ha manifestato il buon clima di collaborazione durante gli
ultimi anni, mettendo in evidenza alcuni momenti
importanti, in cui entrambi i consigli hanno
condiviso progetti e riflessioni. Inoltre, il Priore
Generale ha proposto alcune metafore che potrebbero illuminare questo momento così complesso e
affascinante per la vita consacrata.
Il 21 maggio scorso il Priore Generale, P.
Fernando Millán Romeral, O.Carm., ha partecipato al Capitolo Generale dei nostri fratelli
Carmelitani Scalzi, celebrato dal 2 al 24 maggio a
Ávila. È infatti diventata tradizione che il Generale
di un ramo del Carmelo sia invitato al Capitolo
Generale dell’altro per tenere una conferenza. Il
P. Fernando, dopo aver dato gli auguri a P. Saverio
Nel pomeriggio il Priore Generale ha presieduto
l’eucaristia ne “la Santa”, ossia la chiesa situata
all’interno della casa natale di Santa Teresa,
accompagnato dal P. Saverio e P. Augustí Borell, il
nuovo Vicario Generale dei Carmelitani Scalzi, dai
padri capitolari e alcuni laici in rappresentanza dei
diversi movimenti laicali OCD in Spagna e Portogallo. Nell’omelia ha sottolineato la persona della
grande santa carmelitana che rimane una fonte
d’Ispirazione per il Carmelo del XXI secolo.
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Incontro dei superiori,
dei delegati e degli economi delle Americhe
San Paolo - Brasile
P. Raúl Maraví, O.Carm.
I
superiori provinciali, i commissari provinciali,
i delegati e gli economi delle diverse realtà
carmelitane presenti in America si sono riuniti
nel convento di Nostra Signora del Carmelo a San
Paolo del Brasile nei giorni dal 9 al 13 febbraio 2015.
All’incontro erano presenti rappresentanti provenienti dagli Stati Uniti, dalle Antille, dalla Colombia,
dal Perù, dalla Bolivia e dal Brasile, in qualità di
paese ospite. Presidente e moderatore dell’incontro è stato P. Raúl Maraví, O.Carm., Consigliere
Generale per le Americhe, accompagnato da P. Carl
Markelz, O.Carm., Economo Generale dell’Ordine.
Per iniziare gli incontri ogni realtà carmelitana
ha offerto una breve presentazione di se stessa,
mettendo in evidenza il numero dei religiosi, le case,
le missioni, i ministeri e il programma di formazione
iniziale. Questo passaggio è stato importante perché
tutti potessero avere un’idea della realtà generale
del continente americano; di qui poi si è passati
a discutere a linee generali il Progetto globale
dell’Ordine per il presente sessennio e a condividere insieme e commentare le applicazioni dei vari
ambiti del progetto alle diverse realtà americane.
Il secondo giorno l’Economo generale, P. Carl
Markelz, ha parlato del sostegno da dare alle nostre
missioni, come parte del progetto globale dell’economia della Curia Generale. Per offrire la presentazione di questo quadro, P. Carl ha utilizzato alcune
parole chiave, ricche di motivazioni e di una grande
ispirazione missionaria. Dopo una giornata intensa,
sono stati presentati i diversi lavori di gruppo e
questo ha dato l’opportunità alla maggior parte dei
partecipanti di offrire un buon feedback e questo ha
portato alla creazione di vari progetti comuni.
Un tema importante, di cui si è parlato, è stato
quello della formazione iniziale e dei formatori.
Si è giunti alla conclusione che in questa area del
mondo sono necessari dei formatori più preparati,
che possano lavorare al programma formativo per
un tempo di almeno sei anni, per dare una maggior
continuità. È stata anche messa in luce la necessità
di sviluppare una “pedagogia della formazione”, per
avere ben presente quale tipo di frate dovrebbe
venire formato, da qui a dieci anni, tenendo conto
delle sfide del tempo attuale.
Come frutto della riflessione di questo incontro
si è stabilito di organizzare un corso intensivo per
formatori e studenti, che tenga conto non solo delle
realtà spirituali, ma anche degli aspetti umani e
psicologici della persona. Questo programma verrà
realizzato fra luglio e agosto 2015 e proseguirà
anche nei prossimi tre anni.
I superiori, i delegati e gli economi che hanno
partecipato a questo incontro hanno potuto
godere della eccellente accoglienza offerta dalla
Provincia Carmelitana di Rio de Janeiro, rappresentata da P. Evaldo Gomes, O.Carm., Priore
Provinciale e P. Adailson dos Santos, O.Carm.,
Economo Provinciale.
CARATTERISTICHE DELLA SANTITÀ
Secondo Santa Teresa d’Ávila
P. John Welch, O.Carm.
S
i pensava spesso che i
mistici come Santa Teresa
percorressero una strada
diversa dal cammino dei comuni
cristiani, per cui gli scritti dei
mistici sembravano rappresentare una spiritualità d’élite, una
spiritualità a noi non applicabile.
Oggi capiamo che questi santi
non sono nient’altro che noi
stessi. Ci mostrano il potenziale
della nostra umanità. Sono in
testa alla colonna e testimoniano
l’impatto dell’amore di Dio sulle
loro vite. Ciò che scrivono non è
per pochi eletti, ma vuole essere
una guida e un incoraggiamento
per tutti. Il percorso che descrivono è più normativo piuttosto
che straordinario.
Uno dei contributi di Santa
Teresa d’Ávila è quello di aver
indicato alcuni traguardi nella
vita di una persona che denotano
la crescita nella santità. Indipendentemente dal fatto che una
persona abbia avuto o meno
un’esperienza religiosa straordinaria (come le voci e le visioni
di Santa Teresa), queste caratteristiche mostrano che il viaggio
spirituale sta procedendo su un
terreno solido. Sono segni di
trasformazione, del crescente
adeguamento di una persona
all’azione dello Spirito. Tra
queste
“caratteristiche
santità” vi sono:
della
una più profonda umanità
una maggiore libertà
una grande generosità
Umanità più profonda
Dal “recitare una parte” a
trovare la propria verità interiore
Siamo un mistero per noi stessi
e solo Dio sa chi siamo veramente.
Teresa sosteneva che possiamo
scoprire la nostra vera identità
solo in relazione con il Signore.
Diceva: Non posso conoscerti,
Dio, se non conosco me stessa,
ma non posso conoscere me
stessa se non conosco Te. In altre
parole, più riusciamo a chiamare
chiaramente per nome Dio, più
riusciamo a gridare chiaramente
il nostro nome e a dare espressione alla nostra umanità. Una
persona di preghiera, disposta a
lasciarsi chiamare per nome da
Dio, dovrebbe essere sempre più
a proprio agio nella sua umanità.
Quanto più ella riusciva a dire
“Dio” nella sua vita, più riusciva
a dire “Teresa”.
A volte, nella storia della
spiritualità, il precetto biblico
del rinnegare se stessi è stato
interpretato come denigrare se
stessi, riconoscere con riluttanza
la propria umanità, dandole poca
importanza. Presentava più un
problema che una promessa.
Questa interpretazione portava
spesso a un’umanità avvilita,
accompagnata da una faccia
contrita
Papa
Francesco
condanna le “facce da funerale”.
I sintomi si colgono nelle persone
che sono sempre “accigliate e
ostili”, e che testimoniando così
un “rigore teatrale”; hanno un
“pessimismo sterile”. Egli dice
che sono segno di “paura e
insicurezza”.
Ma il precetto evangelico del
rinnegare se stessi stava in
realtà sfidando la nostra inclinazione ad essere egocentrici,
troppo presi da noi stessi, e
inconsapevoli delle necessità dei
nostri fratelli e sorelle. Un Ego
sano può facilmente diventare
malato, egocentrico. Questo “Io”
che piega tutto ai propri bisogni
e desideri non è un “Io” maturo.
Teresa
enfatizza
l’umanità
di Gesù Cristo. La sua umanità
aiuterà le sorelle ad apprezzare
la loro umanità e a rimanervi
salde. Mettere da parte il Gesù
umano è un errore. La preghiera
non diventa mai così raffinata ed
elevata, diceva, da non aver più
bisogno dei dogmi e della liturgia
della Chiesa. Siamo umani e
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andiamo verso Dio in modo
umano; la sua vivace e intrigante
personalità era espressione di
un’umanità che si approfondiva
solo con il maturare della sua
unione con il Signore.
Maggiore libertà
Dal servire compulsivamente
gli idoli a rispondere liberamente a Dio
Un sottile cambiamento ha
luogo nella vita di chi ha sempre
più fiducia nella presenza e
nell’amore di Dio. Diminuiscono
le azioni compulsive e le preoccupazioni ossessive. Invece di
basarsi su conferme esterne,
come titoli e averi, la persona
che matura spiritualmente trae
ispirazione dal di dentro, dal
Santo Mistero che sta al centro
della vita. Quando Sant’Agostino
diceva al Signore: “Eri dentro
di me, ma io ero fuori… eri con
me, ma io non ero con te”, stava
nominando la sfida di chi vuole
esser santo. Una vita interiore
fatta di autoconsapevolezza e di
preghiera è una necessità. Man
mano che Dio emerge al centro
della nostra vita, gli idoli minori
ai margini di essa, diminuiscono.
Santa Teresa identifica le
volte in cui ha sperimentato una
crescente libertà dello spirito.
All’inizio, quando ha cominciato
la (sua) riforma del Carmelo,
Teresa risentiva profondamente
delle critiche, ed era anche
amareggiata dalle lodi. Ma crebbe
al punto in cui né critiche né
lodi la toccavano – era in grado
di guardare a entrambe con un
certo distacco. Il suo atteggiamento si era trasformato: se
criticata, ciò era né più né meno
quello che si meritava; se lodata,
e in questo era lodato anche Dio,
allora lo accettava. Era libera
dal dover rispondere emotivamente e dall’essere disturbata
dai commenti degli altri.
Teresa riporta anche una volta
in cui, nella sua profonda unione
con Cristo, il pensiero della
morte sembrava un desiderio
nobile. La morte l’avrebbe
portata al compimento del suo
pellegrinaggio e al culmine della
sua unione con il Signore. Ma la
consapevolezza e la riflessione
costanti individuarono alla fine
un problema col suo apparente
desiderio di morire e di stare col
Signore. Teresa si rese conto
che lei voleva morire, mentre la
vera domanda era: cosa vuole
il Signore? Insegnava sempre
che lo scopo del credente è “la
conformità al volere di Dio”.
Ponendo la domanda cosa vuole
Dio? l’atteggiamento o l’intenzione di Teresa cambiò. Desiderava stare in questo mondo
servendo finché Dio voleva;
era anche pronta a tornare a
casa ed essere con il Signore in
qualsiasi momento Egli avesse
voluto. Era libera di essere a
disposizione di Dio.
un’accentuata
intimità
nella
relazione con Dio. Ella descrive
diverse fasi, o dimore, in questa
relazione. Il lettore si aspetta che
la fase finale, la settima dimora,
sia una situazione d’intensa
interiorità e un’esperienza spiri-
Una grande generosità
Dall’essere egocentrici all’amore disinteressato
Spesso Teresa parla a proposito di un traguardo del cammino
spirituale: una crescente sensibilità per le necessità degli altri. Il
cammino non può tradursi in una
spiritualità chiusa in se stessa,
in una comunità chiusa nella
propria interiorità. Il viaggio
deve essere un’espressione di
servizio volta all’esterno. La
persona spirituale realizza di
avere la responsabilità di usare
i doni di Dio per il bene del Suo
popolo. Non andiamo verso Dio
da soli; non è un pellegrinaggio
del singolo. Teresa senza dubbio
attesta il precetto evangelico di
amare Dio e di amare il prossimo,
ma, dice, noi non siamo capaci di
capire l’amore di Dio – possiamo
solo capire l’amore del prossimo.
Quel servire il nostro fratello o la
nostra sorella è la prova del nove
della nostra Cristianità.
Quando Teresa descrive le
tappe del suo cammino nel
consueto impegno nella preghiera
(Castello Interiore) vi troviamo
tuale quasi inaccessibile. Perciò,
è una rivelazione, e un sollievo,
leggere l’affermazione che lo
scopo di questa profonda unione
con Dio sono le opere buone, le
opere buone!
Teresa esortava le sue sorelle
a mantenere una spiritualità
salda che cerchi il beneficio degli
altri. Quando le sorelle contestavano il fatto che lo scenario in cui
vivevano la loro vita di clausura
dava poco spazio per servire
ampiamente la chiesa, Teresa le
metteva alla prova. Diceva che
è inutile sognare grandi progetti
quando l’opportunità di servirsi
a vicenda era proprio davanti a
loro. Ricordava loro che Dio non
giudica la grandezza di ciò che
facciamo, ma l’amore con cui
facciamo quanto a noi è possibile. Teresa diceva loro (e dice
ora a noi), Non fate castelli in
aria! Fate che la vostra Cristianità trovi un’espressione pratica
ed efficace.
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TERESA DI GESÚ,
DONNA DI PREGHIERA
P. Desiderio García Martínez, O.Carm.
T
eresa era ormai arrivata attorno
ai 40 anni e continuava, per così
dire, a flirtare con quel Dio, che
desiderava farla innamorare completamente, mentre lei non riusciva a consegnarsi totalmente a Lui. Ci vollero più
di vent’anni di lotta e duro combattimento (cf. V 8, 12). È lei stessa a dirci
che dovette impiegare sforzi enormi e
determinazione per conquistare il cielo:
“Ero così disposta a guadagnare beni
eterni, che ero decisa a conquistarmeli
con qualunque mezzo…” (V 5, 2). Quanto
volontarismo! Voleva arrivare a Dio senza
Dio. Sicura di sé, dei suoi doni e delle sue
capacità, voleva raggiungere il cielo, però
da sola. Lei stessa riconoscerà, più tardi,
di essere andata fuori strada, perché è
impossibile raggiungere Dio senza Dio.
Le costò accettarlo, perché significava
riconoscere il suo limite e la sua povertà.
Teresa di Gesù chiamerà questa specie
di braccio di ferro col nome di “guerra
d’amore”: “Siete voi, mio vero amore,
a dare inizio a questa guerra d’amore”
(Esc. 16, 3).
L’orazione è un rapporto di amicizia.
La preghiera è un atteggiamento, un
modo di essere, perché è questo che l’amicizia esige. “Il vero amante ama ovunque
e si ricorda sempre dell’amato. Sarebbe
cosa ardua se si potesse fare orazione
solo in luoghi appartati!” (F 5, 16). L’amicizia non si può vivere a singhiozzi. O si
è amici ovunque e 24 ore su 24, oppure
non si è affatto amici. Teresa ha detto
espressamente che la sostanza della vera
preghiera non sta “nel molto pensare, ma
nel molto amare” (4 M 1, 7). L’intuizione
è geniale, tenendo anche conto che “non
tutte le immaginazioni sono adatte per
natura a questo esercizio (cioè pensare,
meditare), mentre tutte le anime sono
capaci di amare” (F 5, 2; 4 M 1, 7). Non
tutti hanno un’intelligenza portata per
l’algebra e la trigonometria, però tutte
le anime, ovvero le persone, hanno la
capacità, secondo Teresa, per amare e perciò anche per pregare.
“Per me l’orazione mentale non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo
che ci ama” (V 8, 5).
Ma rimane una domanda in sospeso: che cosa aggiunge l’orazione esplicita, cioè l’atto della preghiera, il mettersi in disparte
e stare in silenzio e solitudine, alla preghiera come “modo
di essere” e “atteggiamento”? A qualcuno potrebbe venire
spontaneo dire che se l’orazione è un atteggiamento, allora si
potrebbe benissimo fare a meno dal compiere l’atto formale
della preghiera. Però chi è innamorato desidera stare sempre
con la persona amata. Teresa non offre la descrizione di come si
possa diventare “collezionisti di preghiere”, ma di come “essere
degli oranti”. Non esiste un nuotatore che non si sia gettato mille
volte nell’acqua. E se io dicessi di amare molto mia moglie, però
non trovo il tempo per stare da solo con lei e parlare e ascoltarla… vuol dire che sta succedendo qualcosa di grave. In queste
condizioni, sarebbe molto difficile per lei credere che io la amo.
Da qui si può dedurre che la relazione di amicizia consista nel
trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci
ama” (V 8, 5). Quindi, intimità, incontro e relazione “frequentemente”. Sì, molte, molte volte!
L’orazione è un incontro personale.
“Perché l’amore sia vero e l’amicizia durevole dev’esserci
parità di condizioni” (V 8, 5). “Condizioni” qui significa essenza,
sostanza, persona. L’orante deve sapere chi è Dio. Da una parte
chiediamoci chi è Dio per Teresa. Un Dio “bramoso” di donarsi,
che desidera avere qualcuno a cui potersi donare. Un Dio che
“nasconde le colpe” (V 4, 10) e che, “con grandi favori punisce
i misfatti” (V 7, 19). Teresa afferma: “mi sono stancata prima
io d’offenderlo, che lui di perdonarmi. Egli non si stanca mai di
dare, né le sue misericordie possono esaurirsi: non stanchiamoci
di riceverle (V 19, 17). Oh, amore smisurato, che ci mette in
subbuglio e ci decentra. E dall’altra parte prendiamo in considerazione la “condizione” della persona. Teresa, parlando della
sua anima, la descrive come “assai spregevole, inutile e piena di
infinite miserie”. Però subito si risolleva e mette in luce la bontà
di Dio: fortunatamente Lui “non si comporta come gli uomini,
perché comprende le nostre debolezze” (V 26, 1). Così l’anima
si sente destinataria di questo Dio misericordia. E dire miseri-
CITOC | P. 10
cordia, significa dire “un cuore che non ha disgusto della
miseria”. La cosa essenziale è perseverare nell’orazione,
“per quanti peccati, tentazioni e cadute di ogni genere le
frapponga il demonio, il Signore trarrà l’anima al porto di
salvezza” (V 8, 4). Per Teresa l’orazione è la porta attraverso la quale si può entrare nel nostro castello interiore
(1 M 1, 7). E lì, nel segreto, abita Dio. Ogni persona,
secondo Teresa, è “un giardino dell’Eden”, in cui Dio
passeggia e trova le sue delizie.
L’orazione e il prossimo.
Il nostro prossimo è il luogo in cui possiamo avere la
prova se realmente siamo persone di preghiera o no.
Teresa lo sapeva molto bene: “Dio ci liberi dall’attendere
a devozioni stolte!” (V 13, 16). In una casa dove si prega,
“le sorelle devono amarsi tutte egualmente, essere amiche
di tutte ed aiutarsi a vicenda” (CV 4, 5). “Le gioie terrene
sono incerte, anche quelle che sembrano concesse da
voi… se non si accompagnano all’amore del prossimo. Chi
non lo ama, non vi ama, mio Signore (E II,
2). Questo le diede una grande libertà di
spirito, per poter scrivere contro coloro
che soffrono di “golosità spirituale”:
“Quando vedo delle anime tutte intente a
rendersi conto dell’orazione che hanno,
e così concentrate (chiuse in se
stesse) quando sono in essa
da far pensare che rifuggano
dal più piccolo movimento
e dal distogliere il pensiero
per paura di perdere quel
po’ di gusto e di devozione
che sentono, mi persuado
che ancora non conoscono
come si arrivi all’unione.
Pensano che sia tutto nel far
così. No, sorelle mie, no! Il
Signore vuole opere. Vuole,
ad esempio che non ti curi
di perdere quella devozione
per consolare un’ammalata
a cui vedi di poter essere
di sollievo, facendo tua la
sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare a
lei da mangiare” (M 5, 3, 11). La preghiera mi permette
di lasciare Dio, per servirlo doppiamente nel prossimo!
Lascio Lui per servirlo in miglior modo in un altro combattimento, nel quale è Lui stesso a volermi porre.
L’orazione laboratorio della missione.
Teresa di Gesù mette in guardia da coloro che vogliono
spartirsi i beni della missione prima del tempo, senza
avere esperienza alcuna e dice così: “Chi vuole ottenere
qualche frutto in questa circostanza, è necessario che
abbia virtù ben salde” (V 13, 8). Non è tutto oro ciò che
luccica e non è tutto apostolato ciò che si fa. La nostra
carmelitana vuole prevenirci dal fare un apostolato effervescente e precipitoso: “comincia, con lodevole zelo, a
distribuire i suoi frutti senza misura... e non
vede che le virtù non sono ancora ben salde”
(V 19,14; 17, 2). “Non deve uscire all’attacco,
perché avrà abbastanza da fare per difendersi!”
(V 19, 13). Questo è un avvertimento serio per
chi vorrebbe iniziare a raccogliere i frutti della
contemplazione senza discernimento, trasformando il suo apostolato o la missione che fa in
una gratificazione o compensazione di altri vuoti
affettivi che sente. Teresa afferma che chi distribuisce, nel suo ministero, “frutti acerbi”, non
stagionati nella botte della preghiera, corre il
rischio di provocare, in coloro che egli pensa di
nutrire, autentiche diarree spirituali!
Non bisogna mai lasciare di fare agire Marta
e Maria insieme, poiché è l’interiore che opera
l’esteriore. “Vero è che con questo sembra che
ne venga quasi a scapitare, per il fatto che la
sua domanda risente più della vita attiva che
della contemplativa; ma qui Marta e Maria van
quasi sempre d’accordo, perché l’interiore
opera sull’esteriore e su quanto ad esso si
riferisce. Le opere esteriori che procedono
da questa radice sono fiori ammirabili e
profumatissimi. Sbocciando sull’albero
del divino amore, perché fatte
unicamente per Iddio, senza
alcun interesse personale,
effondono la loro fragranza in
vantaggio di un gran numero
di anime, fragranza duratura
che si fa sentire per molto
tempo e produce grandi
effetti” (Pensieri Amore di
Dio 7, 3).
Conclusione:
L’orazione
non ha il fine di renderci dei
narcisisti spirituali, ma di
fare sbocciare in noi opere
e virtù: “Vediamo ora
come vive, e se la sua vita
attuale differisca da quella
di prima, potendosi conoscere da questi effetti
se realmente abbia ricevuta la grazia di cui si
è detto” (7 M 3, 1). Per quanto possa salire in
alto, la vera misura sarà data solo dagli effetti
che si vedranno nella vita concreta: “Questo è il
fine dell’orazione, figliuole mie. A questo tende
il matrimonio spirituale: a produrre opere ed
opere”(7 M 4, 6). “Infatti, che mi gioverebbe
starmene profondamente raccolta in solitudine,
occupata in atti virtuosi innanzi a Dio, proponendo e promettendo di far meraviglie in suo
servizio, se poi, uscendo di là, facessi, al presentarsi di un’occasione, tutto il contrario di come
ho promesso?” (7M 4, 7). “Figlie mie, questo è
essere veramente spirituali” (7M 4, 8).
CITOC | P. 11
GLI ESERCIZI SPIRITUALI AL PAPA E ALLA CURIA
ESERCIZI SPIRITUALI AL PAPA E ALLA CURIA ROMANA
P. Bruno Secondin, O.Carm.
Non potevo dire di no al Papa. Era per me una
grande sfida, anche un onore per l’Ordine. Dovevo
sintonizzarmi con il linguaggio e le prospettive del
Papa, in modo da aiutarlo nel suo stile di guida della
Chiesa. Mi sono consultato con chi aveva fatto prima
di me questa esperienza: mi ha dato buoni consigli e
più serenità.
Tema e metodo
S
“
ono Papa Francesco, vorrei chiederle
un grande favore: predicare gli Esercizi
spirituali a me e alla Curia romana”.
“Ma, Santo Padre, io sono un peccatore...”. “Lo
siamo anche noi, tutti...”. “Mi lasci discernere
qualche giorno...”. “Va bene, però aspetto un
sì...”. “Fra qualche giorno rispondo. Intanto
preghi per me...”.
Sentire direttamente la voce di Papa
Francesco, la mattina del 2 dicembre 2014, mi
ha colto di sorpresa. Ho chiesto qualche giorno
di discernimento: non si trattava di una cosa
facile. Infine ho accettato, ma mi spaventava
l’idea.
All’inizio ho pensato, come carmelitano, di presentare il cammino spirituale, nella prospettiva di Teresa
d’Avila. Sarebbe stato un bell’omaggio per il centenario della sua nascita. In alternativa forse proporre
una lettura sapienziale del Vangelo di Marco, che
conosco bene. Alla fine ho optato per una figura
biblica che incarnasse molti problemi e prospettive di
Papa Francesco.
Ho scelto la figura biblica del profeta Elia: egli
non ha scritto nulla, ha parlato poco, ma le “scene”
della sua vita assomigliano a tanti problemi e situazioni nostre. La solitudine amara, la ricerca di senso
nella vita, il fondamentalismo fanatico, il dialogo
interreligioso, il fallimento personale, la solidarietà,
la strumentalizzazione atea di Dio, l’intercessione
solidale, la difesa del povero oppresso, la sofferenza
assurda, l’esperienza sconcertante di Dio ecc. Anche
la sua geografia esprime qualcosa di eccezionale: egli
è sempre in uscita verso le frontiere (anche lontane:
come Sarepta e il Monte Horeb), fino alla fine, quando
sparisce nell’invisibilità e nel fuoco oltre il Giordano.
Ho pensato che questa icona biblica aiutava di più il
Papa e la sua strategia ecclesiale.
CITOC | P. 12
Ho seguito il metodo della lectio divina, di cui ho
abbastanza esperienza, però non con una lectio
continua. Ho scelto un tracciato spirituale classico:
dall’esteriorità all’interiorità, dalla purificazione
degli idoli vani alla fede vera, per scoprire un
volto nuovo di Dio e imparare i cammini di solidarietà, di giustizia e di intercessione. Non ho voluto
citare i grandi commentari e neppure fare riferimenti alla letteratura carmelitana. Ma sono stato
fedele al testo biblico, con serietà esegetica e intuizione spirituale, proponendo con forza e domande
pungenti i cammini di coerente incarnazione della
verità biblica.
Sei giorni di fuoco
Cambiando una lunga abitudine, il luogo degli
Esercizi non è stato in Vaticano, ma in una casa
di spiritualità - la Casa Divin Maestro, 30 km. da
Roma (Ariccia) - isolata nel verde, facile da proteggere, con un bel panorama sul lago di Albano. E fino
là sono andati gli ottanta partecipanti in pullman,
dal papa ai cardinali e ai vescovi dei vari dicasteri
romani: dalla domenica 22 febbraio al venerdì 27.
Il ritmo delle meditazioni e della preghiera non
era pesante: Lodi al mattino (7,30), due Meditazioni, alle 9,30 e alle 16,00. A fine mattinata la
Messa con qualche canto, ma senza omelia. A
sera Adorazione eucaristica e poi i Vespri. Il clima
generale era di silenzio completo, anche a refettorio. A pranzo e a cena per 10 minuti si leggeva
un testo di Sant’Ambrogio: il commento alla
vicenda di Nabot (cf. 1Re, 21), un testo audace e
interessante. Nelle meditazioni ho sempre cercato
di richiamare le letture del Breviario e della Messa,
perché tutto si collegasse armonicamente, quasi
una sinfonia di pensieri e testi.
Le meditazioni duravano 35/40 minuti, poi
ciascuno si ritirava in camera, oppure restava in
cappella. Ogni partecipante ha trovato in camera la
riproduzione di una bella icona russa di Elia profeta
(XIX sec.) con gli episodi principali, e un dépliant
(nella propria lingua) per fare bene la lectio divina.
Un’impressione generale
Un’esperienza per me del tutto eccezionale:
per gli uditori, per la loro funzione ecclesiale, per
la forza con cui in certi momenti mi sono sentito
di dover dire la verità su certe “malattie curiali”.
Ho aiutato ad applicare alla vita quanto emergeva
dall’esegesi e dalla lettura spirituale: domande
dirette, audaci, provocatorie, perché «la Parola di
Dio è viva, efficace, tagliente... discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (cf. Ebr 4,13). Mi è
stato detto (sottovoce, da amici...): «È questo che
il Papa voleva!». Chi mi conosce sa che non mi
manca parresia...
Alla fine Papa Francesco mi ha scritto una bellissima lettera di ringraziamento, per niente formale,
dove elogia e apprezza il metodo e lo stile delle
meditazioni. In italiano è già stato pubblicato il libro
con i testi delle meditazioni. Titolo: Profeti del Dio
vivente. In cammino con Elia, Ed. Messaggero/Lev,
Padova/Vaticano 2015.
CITOC | P. 13
FUSIONE
dell’Istituto delle Suore
Carmelitane delle Grazie
con l’Istituto delle Suore di Nostra
Signora del Carmelo
Sr. M. Angelisa Spirandelli, O.Carm.
È
con somma gioia, ma anche con
trepidazione, che noi Suore dell’Istituto di Nostra Signora del Carmelo
abbiamo accolto il Decreto consegnatoci
in data 5 dicembre 2015 dalla Santa
Sede sulla fusione della Congregazione
delle Suore Carmelitane delle Grazie di
Bologna con il nostro Istituto. Da tempo
le due Congregazioni avevano rapporti
improntati a cordiale amicizia e sincera
fraternità.
Il Capitolo Generale del 2007 prese in
considerazione la richiesta di collaborazione che fece Madre Paolina Del Vecchio,
allora Superiora Generale delle Carmelitane delle Grazie, al nostro Istituto;
richiesta che fu accolta, con votazione
segreta, dai membri del Capitolo. L’anno
successivo, il 13 settembre 2008, tre
nostre Consorelle si recavano a Bologna,
in via Saragozza, per iniziare il loro
servizio di collaborazione fraterna con
le Sorelle delle Grazie. La loro presenza
ha potuto garantire la continuità della
Scuola dell’Infanzia e offrire un concreto
aiuto alle Sorelle anziane, alcune
ammalate e inferme.
Entrammo pertanto in un processo di conoscenza reciproca,
di collaborazione e di discernimento. È stato un lungo percorso,
a volte sofferto da ambo le parti, ma le differenze che sono
emerse lungo il cammino sono state uno stimolo per approfondire la nostra ricerca: conoscere ciò che ci univa e ciò che
ci distingueva.
Per quasi quattro anni, fino al 30 giugno 2012, le nostre
Consorelle, residenti a Bologna, hanno vissuto giorni sereni,
improntati sulla semplicità, umiltà, fiducia reciproca, aperte
all’azione dello Spirito. Detto processo di conoscenza si è
interrotto per ragioni contingenti, specie di ordine pratico
e amministrativo, causando un certo disagio e un evidente
dispiacere in alcune Sorelle. Viste e considerate le notevoli
difficoltà a proseguire, si è pensato di ritirare le Suore da
Bologna finché non si fosse provveduto a regolarizzare tutta
la documentazione richiesta per una possibile intesa. Non
eravamo ancora pronte per operare determinati cambiamenti nonostante il prezioso contributo di P. Carlo Cicconetti,
giurista carmelitano, che aveva tracciato
con saggezza, chiarezza e ragionevolezza l’iter da percorrere. La
comunità delle Grazie aveva già
fatto una consultazione di tutti i
membri se accettare o meno la
fusione; il consenso era stato
unanime.
CITOC | P. 14
Passò un anno, quasi spenti
desideri e speranze, e i rapporti
completamente interrotti. Nel
maggio dell’anno successivo, e
cioè nel 2013, la Congregazione
per gli Istituti di vita Consacrata
e le Società di vita Apostolica,
inaspettatamente, ci chiamava
per
riprendere
il
discorso
interrotto nominando tra noi,
nelle persona della Superiora
Generale,
un
Commissario
Pontificio con il compito di
riprendere il cammino in vista
dell’auspicata fusione seguendo
la prassi canonica prevista.
delle religiose, la mancanza di
candidate da diversi anni, l’età
avanzata della maggior parte
dei membri (cfr PC,21).
L’Istituto delle Suore di Nostra
Signora del Carmelo e quello
delle Carmelitane delle Grazie
non differiscono molto nello
spirito e nelle finalità. Di questi
aspetti fondamentali ha tenuto
certamente conto la Santa Sede;
infatti, ambedue le Fondatrici,
la Beata Maria Teresa Scrilli e
Madre Maria Maddalena Mazzoni
hanno attinto la loro spiritualità
da Santa Maria Maddalena de’
Pazzi.
Raccolta tutta la documentazione richiesta dalla Santa Sede,
compreso il voto favorevole e
unanime di tutte le religiose
della comunità delle Grazie, la
Congregazione per gli Istituti di
vita Consacrata e le Società di
vita Apostolica, in conformità al
canone 582, emanò il Decreto di
fusione dei due Istituti. Era il 21
novembre 2014, memoria della
Presentazione al Tempio della
Beata Vergine Maria.
Uno dei principali motivi
che ha spinto la Congregazione a tale scelta è stata la
richiesta di postulazione della
Superiora Generale; richiesta
che il Dicastero non ha potuto
accogliere a motivo dell’età
avanzata della religiosa. Non
solo, ma anche il numero esiguo
A coronamento di tutto, il 13
dicembre abbiamo avuto la gioia
della visita a Bologna del Padre
Generale, P. Fernando Millán
Romeral, e di P. Mario Alfarano,
Delegato per gli Istituti Aggregati, che hanno celebrato una
Santa Messa di ringraziamento
allo Spirito Santo per l’iter
La
strada
percorsa
per
arrivare alla fusione è passata
per diverse tappe: chiamata,
ricerca, conoscenza, discernimento, decisione, accoglienza.
Tale processo richiedeva anche
un certo investimento di energie,
di tempo, di spese economiche.
Ora tutto è stato ricambiato
dalla gioia di aver raggiunto il
traguardo.
compiuto. È stato un momento
davvero commovente fino alle
lacrime, ma anche di dolore, è
comprensibile! P. Fernando ha
avuto parole di apprezzamento
e di incoraggiamento a proseguire il cammino sorrette dalla
fede nelle volontà di Dio ed ha
consegnato a ciascuna Consorella delle Grazie le nostre Costituzioni e la nuda croce, segni
distintivi delle Suore dell’Istituto
di Nostra Signora del Carmelo.
Alla
commovente
cerimonia
erano presenti il priore dei frati
di Bologna e numerose Sorelle
dell’Istituto di N.S. del Carmelo
provenienti dalle comunità della
Toscana.
Ora il Signore ci aiuterà a
trovare in modo creativo i mezzi
che ci permetteranno di rendere
la fusione una realtà e di raggiungere, con senso di responsabilità, gli obiettivi che ci siamo
proposte. Poniamo la nostra
fiducia e la nostra speranza nel
Signore, nelle nostre Fondatrici e
nelle Sorelle che ci hanno precedute. Ci sostenga la Vergine del
Carmelo nell’impegno quotidiano di sequela così da fare
delle nostre comunità splendide testimonianze d’amore,
secondo l’invito di San Paolo:
“Abbiate una condotta degna
della vocazione a cui siete stati
chiamati” (Ef 4,1).
CITOC | P. 15
Le monache in Asia
P. Mario Alfarano, O.Carm.
Le monache di monastero di Tanay, Filippine
A
ll’inizio di questo nuovo
anno sono stato per
un mese in visita ai
monasteri dell’Asia. Il mio
viaggio è iniziato nelle Filippine dove il Priore Provinciale,
P. Christian Buenafe, prima e
l’Assistente della Federazione
delle monache, P. Marlon Lacao,
poi mi hanno accompagnato
da un’isola all’altra per incontrare le nove comunità di questo
paese che formano la Federazione Stella Maris. La prima
tappa è stata a Roxas City dove
le dodici monache che vi abitano
avevano appena celebrato i 25
anni di fondazione. Attorno al
monastero vi è una grande area
verde con un boschetto sopra
una collina da dove si gode
un meraviglioso panorama. Si
possono ancora notare le tracce
del passaggio del tifone Yolanda
che un paio d’anni fa ha colpito
tremendamente la zona,
ma ha risparmiato,
in modo sorprendente,
il
monastero.
Durante quella calamità la gente
ha trovato rifugio nel recinto del
monastero e le monache hanno
provveduto a dare loro del cibo.
Accanto alla pista dell’aeroporto di Dumaguete si trova il
Monastero di “Nuestra Señora
de las Maravillas y San José”.
Grazie a Dio vi sono solo due
voli al giorno! Questo è il primo
monastero fondato nelle Filippine nel 1958 da quello di
Madrid, di cui ha preso il nome.
La fondatrice, Sr. Trinidad, è
morta in concetto di santità e
sono numerosi i fedeli che vanno
sulla sua tomba a pregare.
Attualmente la comunità è
formata da 12 sorelle, di cui una
di voti temporanei e una postulante.
Il monastero di Dumaguete ha
dato vita a quello di Roxas e sei
anni fa alla fondazione di Lila.
Ho raggiunto in traghetto, con
numerosi turisti, la bella isola
dove si trova Lila. L’edificio,
ancora in costruzione, si
trova
su
una collina da dove si può vedere
il mare. Le monache vivono in
un’area abbastanza povera, ma
la gente si è già affezionata a loro
e non manca di offrire a questa
piccola comunità, formata da
cinque monache e una novizia, i
prodotti dei loro campi.
A pochi chilometri da Manila si
trova il monastero di Guiguinto,
accanto al seminario diocesano,
dove si trovano 22 monache, di
cui una di voti temporanei e una
novizia. Il monastero fu fondato
nel 1966 dalle monache di
Siviglia, otto anni dopo quello di
Dumaguete. In questi monasteri
vi sono ancora 5 monache dei
due gruppi fondatori venuti dalla
Spagna. Bisogna essere grati
a queste sorelle spagnole che,
come pioniere, fecero allora
un lungo viaggio per portare la
presenza della vita contemplativa carmelitana in questo paese.
Negli anni Guiguinto ha dato
vita ad altri quattro Carmeli:
Cabanatuan, Burgos, Tarlac e
ha partecipato alla fondazione
di Tanay; attualmente sta pianificando una nuova fondazione
CITOC | P. 16
fuori dalle Filippine.
Cabanatuan dista poco da
Guiguinto: qui si trovano 18
monache, di cui una di voti
temporanei, una novizia e tre
postulanti. Difronte al monastero
si trova il palazzo del vescovo e
poco distante la cattedrale. Si
può dire che si trova proprio nel
cuore della diocesi! Sei anni fa
ha dato vita a una nuova fondazione a Maramag, in una zona
abbastanza remota e pericolosa dell’isola di Mindanao. Per
raggiungerla abbiamo dovuto
attraversare alcuni posti di
blocco a causa dei ribelli antigovernativi che operano nel territorio. Qualche giorno prima della
mia visita c’era stato un attacco
terroristico con diverse vittime
tra i militari. A Maramag vi è una
piccola comunità di sei monache,
di cui 2 di voti temporanei e una
postulante. L’edificio è in costruzione e attualmente le monache
vivono in una casa di bambù,
come le tipiche case della zona,
che hanno adattato a monastero
con tanto di parlatorio e grate di
bambù.
Appena arrivato a Burgos
sono stato circondato da ben
33 monache. Uno spettacolo! Di
loro 7 sono di voti temporanei,
8 novizie, per sei delle quali ho
avuto la gioia di presiedere il
rito di inizio del noviziato, e 7
postulanti. Qui risiede la Madre
Federale, Sr. Elena Tolentino.
La comunità sta preparando
due fondazioni in Vietnam che
dovrebbero realizzarsi entro 5
anni. Già vi sono in monastero
14 vietnamite appartenenti a
due gruppi distinti.
Circa a metà strada tra il
monastero di Cabanatuan e
quello di Burgos, si trova il
monastero di Santa Ignacia, con
14 monache, di cui 2 novizie
e 4 postulanti. La comunità
sta programmando una nuova
fondazione in un altro paese
dell’Asia. Ora è impegnata
nell’ultimazione della costru-
zione del monastero. La chiesa,
molto grande, è già terminata
e dal coro monastico si sente
il canto molto curato delle
monache.
Un mese prima della fondazione di Santa Ignacia ad opera
di Guiguinto, a novembre del
2001 la federazione filippina ha
stabilito una nuova presenza
contemplativa a Tanay dove
oggi vi sono 14 monache, di cui
2 professe temporanee e due
novizie. In questa comunità
si è svolta alla fine di febbraio
l’assemblea federale alla quale
ho partecipato nei primi due
giorni. Durante l’assemblea è
cui una di voti temporanei.
Nel 1993 hanno realizzato una
nuova fondazione a Palangka
Raya dove vivono 4 monache.
Questa piccola comunità si trova
in un’isola dell’Indonesia dove la
presenza di cattolici è minima,
mentre, oltre alla stragrande
maggioranza
di
musulmani,
vi è un consistente numero
di protestanti. Il monastero è
un vero luogo di incontro di
persone di diverse fedi: i protestanti vengono ospitati nella
chiesa delle monache per le loro
liturgie, mentre i musulmani si
recano in pellegrinaggio alla
statua della Madre di Gesù che
le monache hanno collocato in
P. Mario Alfarano, Delegato Generale per le Monache
ha visitato il Monastero di Batu, Indonesia
stata riconfermata la Federale,
Sr. Elena, mentre il consiglio è
stato rinnovato.
cima ad una collina al termine
della Via Crucis.
Dalle
Filippine
mi
sono
spostato
in
Indonesia
per
visitare i due monasteri di Batu
e di Palangka Raya in compagnia
del Vice Provinciale, P. Dionysius
Kosasih, e del Delegato per
le monache, P. Eligio Ipong
Suponidhi. La presenza delle
monache in questo paese si
deve a un gruppo proveniente
dall’Olanda e dalla Germania
che si stabilì a Batu nel 1962. Di
loro solo una monaca tedesca è
ancora in vita. Oggi la comunità
è formata da 16 monache di
La mia visita a tutti i monasteri
delle monache carmelitane nelle
Filippine e in Indonesia è stata
un’esperienza di comunione, di
preghiera e di grande speranza.
Ringraziamo il Signore perché
molte giovani in Asia sono
generose nel rispondere alla
chiamata di Dio, che le invita ad
abbracciare la vita contemplativa nel Carmelo. Questo è un
dono grandissimo, perché nei
loro monasteri esse vivono la
missione di pregare incessantemente per il nostro Ordine, per
la Chiesa e il mondo intero.
CITOC | P. 17
Monsignor Romero e
la Vergine del Carmelo
P. Fernando Millán Romeral, O.Carm.
L
o scorso 23 maggio è stata
celebrata a San Salvador
la beatificazione di Monsignor Romero, un avvenimento
che ha riempito tutti noi di
gioia. Si tratta senza dubbio di
un evento molto significativo
per la Chiesa di El Salvador,
in America Latina e nel mondo
intero. Per noi carmelitani, in
particolare, questa è una soddisfazione del tutto speciale,
perché
Monsignor
Romero
aveva una grande devozione
per la Vergine del Carmelo e ha
portato fino alla morte il santo
Scapolare. E non è privo di
significato il fatto che, quando
venne colpito da un franco
tiratore mentre celebrava la
Messa nella cappella del cosiddetto “ospedalino”, Romero
cadde morto quasi ai piedi
dell’immagine della Vergine
del Carmine. L’Arcivescovo di
San Salvador aveva abitato in
grande semplicità in quell’ospedale, in cui facevano
servizio le Carmelitane Missionarie di Santa Teresa (una
congregazione per la quale
nutro un affetto tutto particolare per diverse ragioni, che
ora non è il caso di dire); fu
qui che Romero portò a compimento il suo pellegrinaggio
terreno.
Forse
la
miglior
testimonianza
della
devozione
mariana di Monsignor Romero
ci è data dalle sue omelie e, fra
esse, sicuramente ce ne sono
tre che, in misura più o meno
grande, fanno riferimento alla
Vergine del Carmelo e allo
Scapolare. È risaputo che nel
suo intento di raggiungere il
maggior numero di persone
possibile (e specialmente la
gente più semplice), l’Arcivescovo faceva trasmettere le
sue omelie sulla Radio diocesana YSAX. Le tre omelie a cui
mi riferisco risalgono alla festa
del Carmine o alla sua vigilia
degli anni 1977, 1978 e 1979.
Nella prima di esse (un vero
gioiello), l’Arcivescovo sottolinea come la chiesa salvadoregna stesse vivendo un
momento
drammatico
di
persecuzione e repressione
e – come fece Simone
Stock nel XIII secolo –
anch’egli si rivolge a Maria
sotto il titolo tanto popolare
di
Vergine
del
Carmine.
Romero non nasconde la sua
tenera devozione per Maria:
“In questa ora, nella quale la
Chiesa salvadoregna si rinnova
e proprio grazie alla persecuzione, quanto è dolce incontrare gli sguardi della Vergine,
sguardi che esprimono approvazione, sguardi che consolano, sguardi che vengono dal
cuore”.
In seguito Romero insiste
sul fatto che la promessa della
Vergine a San Simone è ancora
valida, sebbene abbia bisogno
di essere reinterpretata in due
sensi diversi. Prima di tutto,
la promessa che la Vergine
offre non si riferisce solo alla
salvezza dopo la morte, ma
riguarda anche il presente,
la storia, le realtà terrene:
“Il santo Scapolare è un
messaggio per la vita eterna,
che ci apre lo sguardo alla
escatologia, verso ciò che ci
aspetta al di là; ma è anche un
messaggio che riguarda la vita
di quaggiù”. È ovvio, e Romero
lo sottolinea in più occasioni, che questa
salvezza terrena di cui parliamo, non
potrà mai essere piena, completa. La
Chiesa desidera migliorare il mondo
presente, ma è ben cosciente che non
si potrà mai arrivare alla perfezione
su questa terra, perché tale perfezione trascende le realtà umane. Ma
è ugualmente vero che nemmeno una
salvezza individualista, del “salvare la
mia anima”, una salvezza spiritualista
e chiusa solo nell’al di là, corrisponde
alla verità del messaggio cristiano. Già
qui bisogna iniziare a lavorare per la
salvezza: ed è quanto anticamente si
intendeva dicendo che bisogna portare
lo Scapolare con tutte le conseguenze
che questa scelta suppone (una vita
virtuosa, accompagnata da una vera
pietà sacramentale e dalla fedeltà
ai propri doveri temporali, ecc.). In
secondo luogo la salvezza che si intende
oggi (e Romero appartiene già all’epoca del dopo Concilio) è una salvezza
integrale, che riguarda tutta la persona
(anima, corpo, cuore, intelligenza,
volontà…). Inoltre Romero sottolinea
che anche l’aspetto della dimensione
sociale della salvezza è incluso.
E
concludeva
questa
omelia
chiedendo che tutti i “carmelitani”,
CITOC | P. 18
e cioè tutti coloro che portano
o ricevono lo Scapolare, siano
fedeli discepoli del Vangelo e che
la Vergine del Carmelo trasformi
i cuori di quanti ostacolano la
costruzione di una società più
giusta e fraterna. Romero, però,
non considera queste persone
come nemici; anzi, li invita a
unirsi a tutti gli altri per lavorare
insieme e insieme migliorare la
società.
Nell’omelia del 1978 Monsignor
Romero fa un’analisi molto critica
della situazione che il paese stava
attraversando e denuncia senza
mezzi termini la repressione
in atto in alcune zone (i famosi
“cateos” o mandati di perquisizione illegali nelle case). Davanti
a un tale panorama, il pastore
deve annunciare la Parola di Dio
senza ambiguità e compromessi.
In apertura e al termine della sua
omelia, Romero fa riferimento alla
Vergine del Carmelo, della quale
si stava celebrando la festa.
Si tratta di due riferimenti molto belli
nei quali egli parla
di Maria che “sotto
il titolo del Carmelo
è la grande missionaria del popolo”
e ricorda “l’affetto
della gente comune,
dei religiosi e dei sacerdoti verso Nostra Signora
del Carmine”. Poi, quasi fosse
il sospiro di un cuore preoccupato, esclama: “Come non
pensare a Lei, quando l’intero
nostro popolo la guarda con
speranza…?”.
Un anno più tardi, nel 1979,
nella sua omelia radio trasmessa,
l’Arcivescovo di San Salvador
tratta del tema del profetismo,
approfittando, però, di diversi
punti, per ricordare la festa del
Carmine. Usando parole molto
dirette, mette in guardia contro
una devozione mariana vuota,
che consista solamente nell’abitudine di portare al collo lo
Scapolare. Ringrazia i diversi
gruppi e congregazioni carmelitane dell’Arcidiocesi per il loro
lavoro di apostolato e auspica che
questa devozione sia strumento
di liberazione e seme di evangelizzazione, poiché Maria stessa è
apostola e sempre annuncia la
buona notizia del Vangelo.
In definitiva le tre omelie, delle
quali abbiamo sottolineato solo
l’aspetto carmelitano, sono una
testimonianza dell’atteggiamento
profetico e pastorale di Monsignor
Romero. Molti sono i temi che si
potrebbero approfondire in modo
più dettagliato, inclusa un’analisi
teologica molto profonda, ma in
questa sede preferisco limitarmi
solamente a un aspetto che mi ha
sempre molto colpito e che spero,
un giorno, di poter ulteriormente
approfondire: si tratta dell’atteggiamento che Romero aveva
nei confronti della religiosità e
pietà popolare. Senza soffermarci sulle possibili connessioni
col documento di Aparecida e con
il magistero di Papa Francesco,
possiamo
affer-
mare che Romero mostri
un
atteggiamento
molto
bello dal punto di vista pastorale.
Da una parte egli critica senza
mezzi termini una pietà popolare
fondata sugli aspetti sensibili,
passeggeri, esteriori e folcloristici, secondo la dottrina già
espressa dal Concilio Vaticano II:
“La vera devozione non consiste
né in un sentimentalismo sterile e
passeggero, né in una certa qual
vana credulità” (LG 67). Se, poi,
uniamo a ciò anche altre problematiche, come quelle del sincretismo religioso, della superstizione, delle deviazioni dottrinali
e morali, giungiamo facilmente
alla conclusione che diventa
necessario purificare, o ancor
meglio, evangelizzare, la religiosità popolare. Allo stesso tempo,
però, Romero riconosce con gioia
che anche la pietà popolare ci
evangelizza e che proprio attraverso di essa il popolo, la gente
umile, rende manifeste in modo
semplice (come, per es., attraverso lo Scapolare) le grandi
verità e la speranza nascoste nella
nostra fede. Ciò che è ancora più
importante è che Romero, come
buon pastore, si rende conto che
questa pietà popolare non deve
essere disprezzata o ignorata, ma
piuttosto deve essere bene utilizzata come piattaforma privilegiata di evangelizzazione e come
luogo di umanizzazione.
Per questo, nel luglio 1977,
il
nostro
Monsignore
affermava: “Non esiste una predicatrice più affascinante della
Vergine del Carmelo in mezzo
al nostro popolo”. E l’anno dopo
dice così: “Oggi, 16 luglio, il
nostro popolo sente che, sotto
questo titolo del Carmelo, Maria
è la grande missionaria della
gente semplice…!”. Speriamo
davvero che noi Carmelitani
sappiamo imitare questo
stile pastorale, popolare,
semplice e profetico!
In varie occasioni ho visitato
El Salvador e alcuni fa ho avito
la fortuna di celebrare l’Eucaristia
davanti alla tomba di Monsignor
Romero. Era il 2 novembre e non
potei fare a meno di ricordare
l’immagine tanto popolare della
Vergine del Carmelo che, con lo
Scapolare tra le mani, libera le
anime del Purgatorio. Mi ricordai
dell’omelia di Romero, piena di
sapienza. Possa egli, dal cielo,
aiutare tutti noi, che ci onoriamo
del nome di carmelitani, a continuare il nostro apostolato di
liberazione nei confronti dei
nostri fratelli che hanno bisogno
di uscire da tanti purgatori,
aiutandoli a indirizzare la loro vita
verso quella salvezza piena di cui
parlava Romero.
CITOC | P. 19
Seconda assemblea del TOC di
Australia-Oceania-Asia
TAGAYTAY CITY, FILIPPINE - 18-22 MARZO 2015
Johannes Sugianto, TOC.
D
urante l’ultimo Congresso
Internazionale tenutosi a
Roma, in Italia, nel 2012,
l’allora
Consigliere
Generale
per l’Asia-Australia-Oceania, P.
Albertus Herwanta, O.Carm., ha
tenuto una riunione informale tra
i rappresentanti di Australia, Filippine e Indonesia il cui risultato è
stato il primo incontro del TOC che
ha avuto luogo a Malang, Indonesia,
nel mese di luglio 2013. Nel corso
di quella riunione, si è convenuto
che tale incontro si debba tenere
con un intervallo di ogni due anni
e che il prossimo si sarebbe svolto
nelle Filippine.
Dal 18 al 22 Marzo 2015, il
TOC delle Filippine ha ospitato il
secondo incontro dal tema: “Vivere
la Via del Carmelo nella Nuova
Evangelizzazione”. L’incontro si è tenuto presso il Centro di Spiritualità delle Suore Carmelitane Missionarie di Tagaytay City, e
circa 130 partecipanti sono intervenuti in rappresentanza dell’Australia, delle Filippine e dell’Indonesia, insieme con una rappresentante della Famiglia Missionaria Donum Dei da Manila. Ciò che ha
reso questo incontro speciale è stata la partecipazione di P. Raúl
Maraví, O.Carm., Delegato Generale per il Laicato Carmelitano, P.
Joseph Hung, O.Carm., Webmaster dell’Ordine, nonché membro
della Commissione Generale per i Laici, la signora Normie Lacanilao
dalle Filippine, che è anche membro di tale Commissione Generale,
e P. Benny Phang, O.Carm., Consigliere Generale per l’Asia-Australia
Oceania. Oltre a questi importanti rappresentanti arrivati da Roma,
erano presenti P. Christian B. Buenafe, O.Carm., Priore Provinciale
delle Filippine, e P. Bal Ronato, O.Carm., Delegato Provinciale per il
Laicato Carmelitano nelle Filippine.
Dopo il saluto di Ruel Santos, TOCarm, priore Nazionale del TOC
delle Filippine, anche P. Raúl Maraví, P. Joseph Hung e P. Benny
Phang hanno rivolto un saluto all’assemblea.
Si sono susseguite durante l’incontro tre grandi relazioni, seguite
poi da discussioni di gruppo e condivisioni. La prima è stata presentata da P. Christian B. Buenafe, che ha avuto come tema: “Il carmelitano Servo e Maestro ad immagine del Buon Pastore [Verso una
spiritualità e il ministero della Leadership nelle Comunità del TOC]”,
questo argomento è stato suggerito dal nostro Delegato Generale, P.
Raul Maravi. Il discorso è stato suddiviso in 4 parti:
•
•
•
•
Introduzione
La spiritualità della Leadership
Il Ministero della Leadership cristiana
Il Servo carmelitano - Leadership nella
comunità del TOC
• Sfide e prospettive per le comunità del
TOC oggi nell’Australia-Oceania-Asia.
viviamo nel 2015 e ci offre un modello per una nuova
evangelizzazione. Come Carmelitani siamo chiamati ad
evangelizzare mediante la predicazione, il lavoro della
missione, i ritiri, la lettura, la meditazione della Scrittura, i seminari ed anche attraverso le manifestazioni di
piazza: tutti questi sono modi buoni per evangelizzare e
diffondere il Vangelo.
Ogni aspetto era riferito al contesto carmelitano regionale e alla realtà dell’Asia-Australia
Oceania. Quattro grandi sfide sono state
approfondite e meditate circa il ruolo del
responsabile:
Nel suo discorso ha infine citato Papa Francesco riguardo
l’elemento più importante della nuova evangelizzazione:
l’attrazione. Così si è espressa: “Questa parola ti fa sorridere? Pensa alle cose che del Carmelo ti hanno affascinato. La prima cosa che ho sempre trovato interessante
nel Carmelo sono state le persone. Sono stato attratta
dal modo in cui riflettevano sul discernimento. Sono
• Il Servo, oltre ad essere un leader, deve
essere un ascoltatore saggio e intelligente
• Un Servo-maestro è un iniziatore
creativo e un facilitatore dell’animazione
• Un Servo-maestro è deciso, fermo e
determinato
• Un Servo-maestro è fedele e umile,
costruisce e unisce una comunità sull’amore e sulla speranza.
Il secondo giorno la relazione è stata presentata da Christine Wade, TOCarm., Australia,
che ora è la responsabile dei Laici Carmelitani
dell’Australia e Nuova Zelanda. A tal proposito, è interessante sottolineare che in Nuova
Zelanda c’è una comunità nascente di una
dozzina di persone che sono state rappresentate da Gwenda. In Australia ci sono circa 150
laici carmelitani, che appartengono a più di 10
comunità. Alcuni di loro vivono lontano dalle
loro comunità più vicine o non possono partecipare alle riunioni a causa delle loro condizioni di salute o di altri motivi.
Christine ha presentato il tema: “Vivere
la via del Carmelo nella Nuova Evangelizzazione”. Ha iniziato col descrivere e definire
la parola “evangelizzare” e la domanda era:
“Come possiamo, da laici carmelitani, in
questo nuovo mondo, presentare il Vangelo di
Gesù Cristo con i nostri valori carmelitani nel
XXI secolo?”. Ha quindi cercato di dare una
risposta legando la domanda alla Regola di S.
Alberto:
• Scegliete un Priore
• Non abbiate beni, ma condividete tutto
in comune
• Costruite un oratorio in mezzo alle vostre
celle
• Osservate il digiuno tutti i giorni tranne
la Domenica
Ha sottolineato inoltre che la Regola di S.
Alberto, scritta agli eremiti che vivevano su
una montagna, è ancora valida per noi che
stato attratta dal modo in cui si affrontavano le questioni
aperte, si spezzava la Parola di Dio, si condivideva la
vita nella fiducia e nell’amore. Sono stata attratta dal
modo in cui gentilmente si affiancavano alla vita dell’altro
offrendo un aiuto o una festa senza essere invadenti.
Sono stata attratta dalla loro generosità con cui condividevano il proprio tempo e talento. Sono stata attratta dal
loro amore per la Scrittura. Sono stata attratta dal loro
amore per il silenzio. Ma più di tutto sono stata attratta
dal modo in cui mi hanno accolto. Nel sentirmi accolta,
ho capito che c’era uno spazio per me e la mia interiorità
nel cammino faticoso verso il mio processo di trasformazione. Tutte queste cose continuano ad essere molto
importanti per me. Cosa ti ha attratto? Cosa continua ad
attirarti? “
Christine ha concluso il suo discorso affermando che il
modo migliore per i Carmelitani di evangelizzare questo
nuovo mondo, è quello di vivere fedelmente la nostra
vita in Ossequio di Gesù Cristo.
Yoanita Laksmi Budi Lestari, TOCarm, (Mieke) ha
presentato la terza relazione. È indonesiana e attualmente è presidente della comunità Flos Carmeli, nella
parrocchia carmelitana dell’Arcidiocesi di Jakarta. Lei ha
continua a pagina 23
CITOC | P. 21
I CARMELITANI IN EL SALVADOR:
LA TERRA DI OSCAR ROMERO
P. Alfredo Guillén, O.Carm.
Con l’arrivo degli europei è
giunta anche la devozione alla
Madonna del Carmine e allo
scapolare. La devozione alla
Vergine del Carmelo è una
delle più presenti nel cattolicesimo popolare di queste terre,
così come quella allo scapolare, che costituisce uno degli
ornamenti del vestito tipico
nelle danze tradizionali del
Salvador. Esistono molte giurisdizioni politiche e parrocchiali
sotto il titolo del Carmine, è uno
dei nomi di donna e di uomo
più popolari. L’immagine della
Vergine del Carmelo si può
trovare nella maggioranza dei
templi, cappelle ed eremitaggi.
Monsignor Romero, la cui beatificazione è stata celebrata lo
scorso mese di maggio, fu un
fervente devoto della Madonna:
una delle reliquie che si conservano di lui è lo scapolare
imbevuto del suo sangue. Così
pure si conservano tre omelie
del suo magistero di arcivescovo nelle quali sviluppò il suo
messaggio profetico partendo
dalla sua tenera e pia devozione
alla Vergine del Carmelo.
In questo paesaggio già carmelitano si è fatto presente il nostro
Ordine attraverso la figura profe-
tica del P. Peter Hinde, O.Carm.,
della Provincia del Purissimo
Cuore di Maria, degli Stati Uniti,
negli anni ’70 del secolo scorso.
Peter prese contatto con questa
realtà in maniera solidale per
mezzo delle Comunità Ecclesiali di Base e dei movimenti
popolari. Diventò parroco per
un breve tempo di una parrocchia salvadoregna. Negli anni
ottanta iniziò ad invitare delegazioni di frati carmelitani della
sua Provincia; tra di loro venne
un giovane studente, David
Blanchard, O.Carm., il quale,
dopo l’ordinazione, si stabilì in
questo piccolo paese centroamericano. Dal 1992 ha lavorato
come parroco in una zona semi
urbana del nord dell’arcidiocesi
di San Salvador.
Nel 2007, cercando opportunità di formazione per i giovani
Carmelitani di origine ispanica,
la Provincia del PCM decise di
fondare una casa di formazione e perciò inviò i primi due
professi per studiare nel Centro
“Oscar Romero” dell’Università
Gesuita (UCA), ispirata e creata
da Jon Sobrino e da un gruppo
di insegnanti della Compagnia
di Gesù. Nello stesso tempo il
gruppo poté approfittare della
magnifica struttura ed esperienza
pastorale del P. Blanchard, il
quale inoltre assunse in quel
momento
la
responsabilità
come Formatore Carmelitano.
Nel 2008 la comunità formativa
crebbe a sei professi semplici e
l’anno seguente aumentò a nove
con l’arrivo di tre frati peruviani.
Nel 2010, il P. Thomas Jordan,
O.Carm., statunitense, ed il
P. Adolfo Medrano, O.Carm.,
peruviano, assunsero la responsabilità
della
formazione,
mentre il P. David continuò ad
essere parroco della parrocchia
di “Nostra Signora di Lourdes”.
Attualmente, con l’aiuto di
Dio, l’appoggio della Provincia
e il lavoro di P. Alfredo Guillén,
O.Carm.,
stiamo
crescendo
numericamente e la presenza
carmelitana
nel
Salvador
conta ormai tre sacerdoti, sei
professi semplici, tre novizi e
nove postulanti. Recentemente
abbiamo elaborato un piano
strategico per cinque anni e a
poco a poco stiamo prevedendo
fino a dove vogliamo svilupparci come comunità in mezzo a
questo popolo così ricco di testimonianza dei suoi martiri e di
una Chiesa viva nella sua azione
evangelizzatrice.
CITOC | P. 22
Viviamo inseriti in un ambiente
rurale di un paese sprofondato nella
povertà en nella violenza giovanile,
ma comprendiamo che qui è dove
Dio ci ha piantato per costruire il
Carmelo che portiamo dentro di
noi e che vuole essere speranza e
vita in questo anti-regno di morte
e violenza. In questo paese e in
questa regione del Centroamerica
dove settanta persone su cento
affermano di voler emigrare verso
il nord del continente.
Il Vescovo Oscar Romero è
stato beatificato lo scorso mese di
maggio 2015 e con questa celebrazione l’autorità ecclesiale riconosce
che non ci siamo sbagliati, che
stiamo seguendo le orme di Gesù
Nazareno, annunciando, secondo
la nostra tradizione carmelitana,
che il Regno è vicino, che non è
volontà di Dio tanta povertà ed
emarginazione. Siamo un Carmelo
giovane che si ispira alla testimonianza non solo dei nostri santi ma
che si fa più forte nella testimonianza dei martiri di questa
terra, nelle persone impoverite
della nostra parrocchia e del
quartiere che in mezzo alle sue
carenze materiali ci evangelizzano e che incoraggiano i
nostri giovani in formazione ad
impegnarsi dal Carmelo a una
vita semplice e gioiosa, nel più
puro stile dei nostri primi padri
di quel lontano Monte Carmelo
della Palestina, e che ci fa
Seconda assemblea del TOC ...
segue da pagina 21
parlato riguardo i “Metodi di Nuova Evangelizzazione basati sulla Evangelii Nuntiandi”,
evidenziandone alcuni:
•
•
•
•
•
la testimonianza
una predicazione viva
la Liturgia della Parola
la catechesi
l’utilizzo dei mezzi di comunicazione.
vibrare e ci appassiona, in pieno
secolo XXI, in queste calde terre
del tropico latinoamericano, in
queste terre bagnate dal sangue
di uomini e donne buoni come
Oscar Romero, Rutilio Grande,
Jean Denovan, Silvia Arriola, le
religiose Maryknoll, e migliaia di
catechisti e ministri della parola
che sono morti eroicamente
per la causa del Regno di Dio.
Siamo qui, qui vogliamo proseguire e qui vi aspettiamo.
Venerdì sera, 20 Marzo 2015, si è vissuta una serata
speciale per tutti. Filippini, australiani e indonesiani hanno
presentato varie danze culturali e canzoni di ogni paese.
L’Indonesia, come secondo paese più grande per delegati
con 32 persone, ha presentato la “Manortor Dance” e
durante il ballo circa 30 persone sono state coperte con le
“ulos” come segno di onore e di amore. Mieke ha concluso
la serata di festa eseguendo la famosa canzone “Dahil
Saiyo”, dedicata alle sorelle e ai fratelli Filippini come segno
di gratitudine per la loro gentile ospitalità durante tutta la
riunione regionale.
Ha ricordato come P. Martinus Gunawan, O.
Carm., Ex Delegato Provinciale per i laici, usi
internet, messenger, WhatsApp, Blackberry
per annunciare il Vangelo. Egli condivide la
sua riflessione in forma scritta, la invia attraverso gruppi di posta elettronica e in formato
vocale e la invia a tanti fedeli con la speranza
che possano iniziare la giornata partendo da
una riflessione sul Vangelo.
Nell’ultimo giorno dell’incontro si è svolto un pellegrinaggio nella maggiore Basilica dell’Asia; nella piccola
chiesa di Nostra Signora di Casaysay e al monastero delle
monache OCD in Lipa, dove è avvenuta un’apparizione della
Madonna nel settembre del 1948, giorno della festa del
Santissimo Nome di Maria. L’apparizione si è ripetuta per
15 giorni consecutivamente e piogge di petali di rosa, ed
anche di rose intere, sono cadute nella zona del convento.
La Vergine Maria qui è invocata come Mediatrice di tutte le
Grazie.
Il Delegato Generale insieme ai rappresentanti dell’ Australia-Oceania-Asia hanno
tenuto una riunione straordinaria per discutere la prossima riunione regionale che si terrà
tra due anni. È stato proposto un luogo per
il prossimo incontro, ma dovrà essere confermato.
In questo Congresso abbiamo vissuto momenti di intensa
preghiera e fraternità, in un’atmosfera di aperto dialogo,
divertimento, condivisione, approfondimento e lavoro.
Abbiamo fatto una bellissima esperienza della ricchezza
dell’Ordine, che ci ha aiutato ad approfondire il nostro
senso di appartenenza alla Famiglia Carmelitana.
CITOC | P. 23
INCONTRO DEI SUPERIORI
E FORMATORI CARMELITANI
DELL’AFRICA
BOKO, DAR ES SALAM, TANZANIA 21-26 GENNAIO 2015
L
’idea di convocare un incontro
per i superiori e i formatori
dell’Africa mi è venuta dopo
la mia prima visita alle comunità
africane nei mesi di gennaiomarzo 2014. Nel corso di quella
prima visita fraterna ho potuto
constatare che sia i superiori che
i formatori dovevano affrontare
pressoché le stesse difficoltà, ma
nonostante ciò, non avevano la
possibilità di trovarsi insieme per
condividere le loro esperienze.
Perciò questo incontro voleva
essere una risposta ai seguenti
bisogni: conoscersi gli uni gli altri,
confrontarsi sulle esperienze e le
sfide, dialogare insieme, aprire
discussioni e scambi di punti di
vista su temi pertinenti. Tenendo
conto delle dimensioni geografiche
del continente africano e delle
distanze fra le diverse presenze
carmelitane, mi è sembrato giusto
invitare i superiori e i formatori a trovarsi insieme per alcuni
giorni. In altri parti del mondo
ho visto, infatti, che questi tipi di
riunioni per superiori e formatori
sono regolari, programmate e
continue. Spero che questo possa
realizzarsi anche per l’Africa.
Gli scopi di questo primo incontro
erano i seguenti: mettere insieme
i superiori e i formatori, per dar
loro la possibilità di interagire e di
conoscersi; condividere, dialogare
e scambiarsi punti di vista sulle
sfide comuni; eleggere equipe
di coordinamento per aiutare i
superiori e i formatori a lavorare
per creare strutture più stabili e
P. Conrad Mutizamhepo, O.Carm.
suggerire modi adatti ad affrontare i problemi specifici del Carmelo
africano. L’incontro ha avuto luogo a Boko, in Tanzania, dal 21 al
26 gennaio 2015, presso il Centro di Spiritualità tenuto dalle Suore
Carmelitane di S. Teresa di Gesù Bambino.
Il metodo di lavoro su cui abbiamo impostato l’incontro seguiva
questa dinamica: esposizione delle relazioni, riflessione in gruppi regionali-linguistici, condivisione tutti insieme e uno spazio per domande e
riflessioni.
Ci sono state tre relazioni più consistenti, offerte da p. Noel Rosas,
O.Carm. (Segretario amministrativo per la formazione) e da p. Conrad
Mutizamhepo, O.Carm. (Consigliere generale per l’Africa). p. Noel ha
offerto una relazione su Formazione alla leadership nel contesto
asiatico: esperienze e speranze per
il futuro – suggerimenti per l’Africa.
p. Noel ha sottolineato che nella
regione asiatica ci sono circa 220
studenti, 25-30 formatori suddivisi
in quattro Province, una delegazione e una delegazione provinciale.
Inoltre ha detto che si organizzano diversi tipi di riunioni a scadenza
regolare, programmate e continue sia per i superiori (provinciali,
commissari e delegati), per gli economi, i presidi di scuole, per i laici
carmelitani e gli studenti. Il successo di questo tipo di riunioni in Asia
si fonda sul carattere intrinseco delle popolazioni asiatiche, sulla loro
CITOC | P. 24
affinità per la vita comunitaria e la collaborazione, come anche sul loro
amore per l’Ordine e il desiderio di promuovere la crescita del Carmelo
in quelle terre. p. Noel ha sottolineato che la collaborazione grazie
alla condivisione in questi incontri ha rafforzato i legami fra le diverse
realtà carmelitane, ma ha anche aperto i cuori e le menti a un sempre
maggior apprezzamento della cooperazione. Grazie a questi incontri
ora la regione asiatica può vantare un buon programma di formazione
permanente per i giovani frati. Inoltre questa cooperazione ha favorito
lo scambio con quei gruppi di persone più bisognosi. L’auspicio di p.
Noel è che anche in africa si possa camminare sulla stessa via.
L’altro relatore, p. Conrad Mutizamhepo, ha parlato su due diversi
temi. La prima relazione aveva il titolo: Un modello appropriato per
una leadership carmelitana in Africa? Uno sguardo alla leadership
di servizio: timori e speranze per il futuro. Ho voluto sottolineare
come l’Africa sia vittima di molte piaghe – fame e malattie, conflitti
socio-economici e politico-religiosi, ma anche una leadership carente
e irresponsabile. Mentre proprio una buona leadership è necessaria
per poter gestire tutti i problemi con le loro complessità e interconnessioni. Mi sono soffermato su
ampi stili di leadership; primo fra
tutti il modello di autorità (cf. Mc
10, 42) e il modello di una leadership di servizio ispirata a Cristo
(Fil 2, 5-11). Il modello di autorità
sembra molto diffuso e attraente
per molti; esso tende a generare
dei superiori tirannici, affamati di potere e incentrati su se stessi. È
una grande tentazione anche per i superiori religiosi. Dall’altra parte,
invece, il modello della leadership di servizio pone Dio al primo posto;
ho voluto sottolineare che il superiore che si fa servo deve essere un
uomo di Dio prima di essere un uomo che lavora per Dio. Per illustrare
meglio questo concetto ho voluto offrire due esempi di leader politici
africani: uno che segue il modello autoritario, Idi Amin Dada e uno che
invece segue il modello di servizio, ovvero Nelson Rolihlahla Mandela.
Per evitare la tentazione del modello autoritario, il superiore religioso
deve rimanere un uomo di Dio attraverso la preghiera, la meditazione, la confessione, l’impegno nella direzione spirituale, la solitudine, l’esame di coscienza, lo studio e anche il riposo.
La seconda relazione che ho
presentato aveva come titolo:
La formazione della prossima
generazione
di
carmelitani
in Africa: esperienze, sfide e
speranze. Ho messo in luce
che ci sono state due generazioni di formatori africani: 1.
Formazione data da fratelli non
africani, in Africa o Europa o
Brasile; 2. Formazione data da
fratelli africani formati, però,
per la maggior parte fuori dall’Africa. Ho voluto puntare l’attenzione su questo particolare per
far capire che questi elementi
hanno influenzato sia il livello
di inter-culturazione nell’esperienza della formazione che gli
obiettivi stessi della formazione.
La formazione, infatti, si fonda
sull’incontro tra le persone e
non tanto su una mera assimilazione di idee. Per questo
essa è capace di operare una
trasformazione nelle persone e
di generare in esse una nuova
identità radicata in Cristo e nel
carisma dell’Ordine. Ho molto
sottolineato che lo scopo della
formazione è la Cristo-formazione, se così possiamo dire,
o la configurazione a Cristo
attraverso l’appropriazione del
carisma dell’Ordine. Quindi il
ruolo dei formatori è quello di
aiutare a riflettere seriamente
sulle motivazioni e sugli scopi
della formazione. La domanda
fondamentale che i formatori
dovrebbero porsi continuamente
è: per che cosa stiamo formando
i nostri candidati?
Ho anche parlato delle sfide nel
ministero della formazione riguardanti l’accompagnamento, la
cura, la crescita, il discernimento
e la valutazione dei candidati (cf.
RIVC, 2013 n° 67). Alcune delle
sfide nel ministero della formazione sono l’influenza molto
diffusa e pervasiva dei valori della
modernità e post-modernità, gli
effetti negativi della globalizzazione, la secolarizzazione, il pluralismo e il relativismo che hanno
CITOC | P. 25
effetti tossici sulla vita di fede; inoltre la fragilità e la vulnerabilità nei candidati, le differenze
fra le generazioni e le culture, come anche nei
modi di pensare e nelle mentalità, come anche
altri problemi personali, quali l’inconsistenza,
l’inadeguato sostegno da parte dell’autorità, la
sostenibilità finanziaria e i problemi di inculturazione. Però mentre le difficoltà sono tante, ci
sono anche molti segni di speranza: una ricca
base di risorse umane, più risorse disponibili
per la formazione, candidati promettenti e
fedeltà a Dio.
La discussione nei gruppi linguistici (francese
e inglese) è stata positiva. L’unica difficoltà è
stata la mancanza di tempo. Il confronto ha
portato a considerare i termini di riferimento
per un Forum dei superiori carmelitani di
Africa e un Forum per i formatori. Le discussioni nelle plenarie sono state ricche e hanno
fatto emergere alcuni dei seguenti punti:
l’urgenza della stabilizzazione del Carmelo in
Africa e le sue sfide: economica, di leadership
e formativa. È emerso il bisogno di coltivare
una visione di formazione equilibrata, aperta
alla crescita, attenta alla conoscenza di sé e
alla capacità di entrare in relazione, saldamente ancorata nella Regola e nelle Costituzioni dell’Ordine. Si è anche sottolineato
quanto sia importante che i candidati in Africa
imparino l’inglese e il francese per facilitare
una maggiore comunicazione, collaborazione
e cooperazione. Dal canto loro i formatori
devono esplorare nuove vie per trovare fondi
in Africa e offrire risorse per iniziare progetti
di auto-aiuto e impegnarsi per la formazione permanente dei fratelli su temi chiave,
come la gestione finanziaria, la spiritualità,
la teologia, giustizia, pace e salvaguardia del
creato.
Perché il lavoro di questo incontro non vada
perduto, sono state istituite due commissioni,
una per I superiori e una per I formatori. p.
Eugene Kabore, O.Carm. (Burkina Faso) è
stato eletto coordinator per i superiori carmelitani africani.
Per quanto riguarda i formatori sono stati costituiti due
gruppi a base regionale: coordinatore dei formatori di
lingua inglese è p. Onesmus Muthoka, O.Carm. (Kenya),
mentre coordinatore dei formatori di lingua francese è p.
Pierre Kengne Talom, O.Carm. (Camerun). I formatori
hanno espresso il desiderio di incontrarsi nuovamente nel
2016.
I fratelli sono riusciti a trovare anche il tempo per una
gita: tutto il gruppo è andata sull’isola di Zanzibar su un
traghetto ad alta velocità. L’esperienza è stata esaltante
per molti. In particolare per un fratello, che ha sofferto
molto di mal di mare, data la corsa pazza sulle acque. Ma
nel viaggio di ritorno il fratello è stato già meglio. Abbiamo
celebrato l’Eucaristia nella cattedrale di Zanzibar, arricchita da dipinti molto belli. Un coro locale ha cantato
magnificamente per noi, mentre p. Vitalis Benza ha tenuto
desta l’attenzione di tutti durante la sua predica con le sue
battute. Dopo la Messa siamo andati a visitare il vecchio
mercato degli schiavi, guidati dall’esperto Mandela, che
ci ha portato anche alle celle dove gli schiavi venivano
rinchiusi prima si essere venduti. Le condizioni in cui erano
tenuti erano a dir poco orribili. La guida ci ha detto che
uno dei metodi usati per provare quale fosse la forza degli
schiavi, era prenderli a bastonate. Se uno gridava forte,
voleva dire che era debole e quindi si poteva vendere solo
a prezzo basso.
Alla fine dell’incontro tutti i partecipanti hanno firmato
una lettera comune, nella quale sono stati messi in luce
i seguenti temi: appuntamenti e scopi, inculturazione,
impegni, comitati di coordinazione, risorse e gratitudine.
La dichiarazione finale, che porta il titolo Cristo nostra
speranza, esprime una profonda fiducia per il futuro: “Il
nostro incontro con Gesù Cristo ci ha condotti sul sentiero
della fraternità. Desideriamo rendere visibile questa
fraternità attraverso una tenera attenzione gli per gli altri
e una grandissima collaborazione”.
Desidero ringraziare tutte le persone che hanno contribuito al buon esito di questo incontro: i provinciali, il
Consiglio generale, p. Míceál O’Neill che è stato un eccellente traduttore dall’inglese al francese e al portoghese e
viceversa. Un grande grazie anche alle sorelle del Centro
di spiritualità di Boko per la loro accoglienza, ospitalità e
gioioso servizio.
CITOC | P. 26
Risultato finale della colletta per il Wadi es Siah
deciso di organizzare una colletta straordinaria nelle proprie
comunità per l’ottobre 2014 per sostenere il restauro e la
conservazione del primo monastero carmelitano nel Wadi
es-Siah sul Monte Carmelo, in Israele. Perciò i due Generali
hanno inviato a settembre 2014 una lettera ai Provinciali,
agli altri superiori, alle Madri Federali, alle Madri Priore dei
monasteri, alle Madri Generali delle Congregazioni affiliate
e ai responsabili del TOC, dell’OCDS e degli altri gruppi dei
laici carmelitani per chiedere aiuto (citoc-online 74/2014).
Alcune comunità o monasteri hanno fatto questa colletta in
una data conveniente per il loro paese.
Come era già stato comunicato a suo
tempo (citoc-online 45/2014), il Consiglio Generale dell’Ordine Carmelitano e il
Definitorio dei Carmelitani Scalzi hanno
Adesso possiamo comunicare con gioia la chiusura della
colletta e che siamo arrivati a una somma di 60.000 euro
che si aggiungerà a quella raccolta dal Carmelo Scalzo. I
due Superiori Generali con i loro consigli desiderano esprimere la propria gratitudine a tutte le province, comunità
monastiche, comunità dei laici e persone singole che hanno
contribuito generosamente a questa colletta, che senza
dubbio contribuirà alla manutenzione e al miglioramento di
questo luogo così significativo, nel quale affondano le radici
della nostra Famiglia Carmelitana.
Sito web della Bibliotheca Carmelitana Nova
È ora disponibile in rete il sito della Bibliotheca Carmelitana Nova. Il progetto è stato realizzato dall’Institutum Carmelitanum in collaborazione con la FOVOG
(Forschungsstelle fur Vergleichende Ordensgeschichte),
un istituto dell’Università di Dresda, Germania, specializzato negli studi di storia comparata degli ordini religiosi.
Ha lo scopo di raccogliere e mettere in rete le notizie
biografiche, archivistiche e bibliografiche di autori carmelitani del medioevo. La realizzazione del progetto è stata
resa possibile anche grazie al contributo generoso e
sostanziale di alcune province ed enti dell’Ordine.
Il sito in inglese è consultabile al seguente indirizzo:
www.bibliocarmnova.org
Chiuso il processo diocesano per la
beatificazione di Madre Mary Ellerker
of the Blessed Sacrament
Il 16 maggio 2015, nella chiesa Holy Rosary
Church di Port of Spain a Trinidad e Tobago,
l’arcivescovo Mons. Joseph Harris, CSSp, ha
concluso la fase diocesana del processo di
beatificazione della serva di Dio Madre Mary
Ellerker of the Blessed Sacrament (18751949), fondatrice delle Suore “Corpus Christi
Carmelites”. Ora il processo verrà consegnato
alla Congregazione per le Cause dei Santi per
la fase romana.
CITOC | P. 27
MESSAGGIO PER L’ANNO DELLA VITA CONSACRATA
L
Fernando Millán Romeral O.Carm. Priore Generale
e Saverio Cannistrà, OCD. Preposito Generale
’anno della Vita Consacrata, cominciato ormai
da alcuni mesi, è anche
per noi carmelitani un’occasione
per tornare a riflettere su alcuni
aspetti fondamentali della nostra
vita e del nostro carisma. Per
questa occasione noi, superiori
generali dei Carmelitani, P.
Fernando Millán Romeral e dei
Carmelitani Scalzi, P. Saverio
Cannistrà,
abbiamo
deciso
mandare un piccolo messaggio
a tutti i membri della grande
famiglia
carmelitana
diffusi
nel mondo intero per incoraggiarvi a vivere con profondità
quest’anno che, inoltre, coincide
con il V Centenario della nascita
di Santa Teresa d’Avila. Si tratta
di un evento molto importante
per tutti noi e Teresa, da sempre
mistagoga e maestra di spiritualità, si offre anche adesso come
modello e guida per un rinnovamento della nostra consacrazione religiosa e come un’inspirazione per affrontare nuove sfide.
Questa bella coincidenza può
essere un’occasione straordinaria
di riflessione e di approfondimento nella nostra identità come
religiosi e come carmelitani.
Per questa riflessione un
importante aiuto ci è stato
offerto, nel novembre dello
scorso anno, da papa Francesco
con la sua Lettera a tutti i consacrati. Mentre non indulge a facili
e forse comodi pessimismi, la
Lettera invita tutti noi, consacrati
e consacrate, a testimoniare alla
Chiesa e al mondo la bellezza
della nostra vocazione e della
nostra vita. Essa contiene un
invito che non dovremmo lasciar
cadere nel vuoto: «Nessuno […]
in quest’Anno dovrebbe sottrarsi
ad una seria verifica sulla sua
presenza nella vita della Chiesa»
(II, n. 5).
Le
seguenti
considerazioni
vogliono essere un aiuto perché
questa «seria verifica» possa
prendere avvio o continuare con
più decisione là dove avesse già
avuto inizio.
Nel cuore della Chiesa
1. Dalla Lettera emerge con
assoluta chiarezza la volontà di
papa Francesco di non rinchiudere la vita consacrata in angusti
recinti per addetti ai lavori, ma
di collocarla nel cuore, nella
profondità, della Chiesa e in
una vastità di orizzonti che la
sappiano condurre ben oltre se
stessa. Nel cuore della Chiesa
perché «la vita consacrata è
dono della Chiesa, nasce nella
Chiesa, cresce nella Chiesa, è
tutta orientata alla Chiesa» come
affermava il cardinal Bergoglio
nel suo intervento al Sinodo del
1994 (cfr. III, n. 5); verso ampi
orizzonti perché con la Chiesa
essa è chiamata ad andare «nelle
periferie
esistenziali»
dove,
accanto a povertà materiali, a
sofferenze di bambini e anziani,
vivono «ricchi sazi di beni e con il
vuoto nel cuore» (II, n. 4). Solo
così si comprende la sua accorata
esortazione: «Non ripiegatevi su
voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa,
non rimanete prigionieri dei
vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori [….]
ad annunciare la buona novella»
(II, n. 4). Sembra di riascoltare il pressante invito che San
Giovanni Paolo II rivolgeva a
tutta la Chiesa il 6 gennaio 2001
al termine del Grande Giubileo
dell’Anno Duemila: «Duc in
altum! Andiamo avanti con
speranza! Un nuovo millennio si
apre davanti alla Chiesa come
oceano vasto in cui avventurarsi,
contando sull’aiuto di Cristo»
(Novo millennio ineunte, n. 58).
Per noi che per grazia di Dio
siamo stati chiamati al Carmelo,
ispirati dalla Regola di Sant’Alberto e dall’esempio di tanti
santi che nel corso dei secoli
si sono impegnati a vivere
questo ideale, chiamati in modo
speciale in quest’anno giubilare a camminare sulle orme
di Teresa di Gesù, sentirsi
«figli della Chiesa», «vivere le
grandi necessità della Chiesa»
(Relazioni, 3,7), «pregare per
la propagazione della Chiesa»
(Fondazioni, 1,6) e stare nel
«cuore della Chiesa, mia Madre»
(Ms B 3v), non è un’inutile fatica,
CITOC | P. 28
ma un dono. Tornano qui più
che mai opportune le parole del
papa al vescovo di Avila del 15
ottobre scorso: «Non c’è nulla di
più bello di vivere e morire come
figli di questa madre Chiesa!».
Quando non si fa esperienza di
questa maternità che alimenta e
che educa non si può che essere,
pur senza pienamente avvertirlo, spiritualmente «orfani»,
anche all’interno di una famiglia
religiosa come la nostra.
2. Nell’immediato post-concilio
Hans Urs von Balthasar osservava che, parlando di vocazione,
si era anzitutto preoccupati di
chiedersi quali fossero i bisogni
della Chiesa, quelli del nostro
tempo, o, «ancor peggio», quelli
del prete e del religioso, e non
ci si chiedesse più di che cosa
avesse bisogno Dio. Scrive papa
Francesco nella sua Lettera:
«Mi aspetto che ogni forma di
vita consacrata si interroghi su
quello che Dio e l’umanità oggi
domandano». Ecco l’interrogativo capitale che anche noi
religiosi carmelitani dobbiamo
tornare a porci: «Che cosa ci
sta chiedendo Dio in questo
nostro tempo»? Un abbozzo
di risposta è già nella stessa
Lettera del papa: «Sperimentare
e mostrare» che Dio «è capace
di colmare il nostro cuore e di
renderci felici senza bisogno di
cercare altrove la nostra felicità»
(II, n. 1). Se diciamo a noi stessi
e agli altri che «Dio solo basta»
non possiamo accontentarci di
«servirlo alla buona» (“tratan
groseramente de contentar a
Dios”, Cammino, 4, 5). Anche
Maria Maddalena de’ Pazzi,
pochi anni dopo, scriveva in
maniera coraggiosa e audace al
Papa Sisto V, raccomandandogli
che la Chiesa assomigli sempre
di più al Cristo: «Attendete,
attedente, Santissimo Padre a
tal imitazione, dico a spogliarvi
tutto da Voi stesso e vestirvi di
Lui: ‘Induimini Dominum Jesum
Christum’ (Rm 13,14)» (RC, 66).
La gioia per «engolosinar
las almas»
3. «Dove ci sono i religiosi c’è
gioia», scrive il papa (II, n. 2).
Se non vogliamo fondare la gioia
sulla sabbia del sentimento,
dobbiamo radicarla nella solida
roccia dell’esperienza personale
e comunitaria dell’amore di Dio.
«Oh, mio soave Riposo, mio Dio,
gioia dei vostri amanti» scriveva
Teresa di Gesù (Esclamazioni,
17, 2). Parlando al vescovo di
Avila della gioia nella vita di
Teresa, papa Francesco scrive:
«E, sentendo il suo [di Dio]
amore, nella santa nasceva una
gioia contagiosa che non poteva
dissimulare e che trasmetteva
attorno a sé». La sua breve ma
efficace descrizione della gioia
di Teresa dovrebbe essere fatta
oggetto di riflessione nelle nostre
comunità per verificarne, pur
entro diverse sensibilità, la sua
effettiva presenza (cfr. Seste
Mansioni, 6, 12).
L’anno appena concluso ha
visto la beatificazione di papa
Paolo VI. A quarant’anni esatti
dalla pubblicazione (1975-2015),
la sua esortazione sulla gioia
cristiana Gaudete in Domino è
ancora attuale, tanto più che,
secondo il beato pontefice,
Teresa d’Avila, con altri santi,
in materia di santità e di gioia,
ha «fatto scuola». Per l’altra
Teresa, quella di Lisieux, questa
stessa gioia si è trasformata
nella «via coraggiosa dell’abbandono nelle mani di Dio». Il beato
Tito Brandsma, quando già si
trovava nelle condizioni terribili
dei Lager nazisti, esortava con
insistenza i compagni di prigionia
nella convinzione che la vita del
carmelitano non può non essere
un segno di gioia e di speranza
per tutti.
4. Come ognuno di noi ha più
volte sperimentato, la gioia,
come il bene, se da un lato
è diffusiva (cfr. Gv 15, 11),
dall’altro attrae chi la incontra e
la sperimenta (Cfr. Sal 92, 5).
Così è per la vita della Chiesa
nel suo insieme e per quella
consacrata in forma particolare.
Scrive il papa: «È la vostra vita
[consacrata] che deve parlare,
una vita nella quale traspare la
gioia e la bellezza di vivere il
Vangelo e di seguire Cristo» (II,
n. 1). Se per ipotesi chiedessimo
a Teresa di Gesù di tradurre con
le sue parole quanto espresso
dal papa, ci risponderebbe
che ella non viveva che per
«engolosinar las almas» (Vita,
18,8), cioè per ingolosire, per
allettare, per affascinare gli altri
e portarli a Dio.
Non è forse quello che anche il
papa ci chiede e che, in quanto
carmelitani, siamo chiamati a
testimoniare seguendo le orme di
Teresa di Gesù e degli altri santi
del Carmelo? Per affascinare altri
bisogna essere prima affascinati.
Allo stesso modo, per comunicare ad altri la «gioia e la bellezza
di vivere il Vangelo e di seguire
Cristo», bisogna prima averne
fatto esperienza. Teresa ricorda di
essersi sentita dire da P. Gracián
che «non si devono conquistare le
anime con la forza delle armi, alla
stessa guisa dei corpi» (Lettera
del 9 gennaio 1577).
Se non vogliamo trasformarci
in gestori del sacro della vita
altrui, come pure della nostra,
dovremmo aderire con tutto il
cuore a queste parole di Teresa:
«Oh, no, Signore! Che non sia
privata, che non sia privata della
gioia di godere in pace la vostra
incantevole
bellezza.
Vostro
Padre vi ha dato a noi. Non perda
io, Signore, un così prezioso
dono» (Esclamazioni, 14, 2).
Una comunione per il mondo
5. Il papa ci ricorda che come
religiosi siamo chiamati ad essere
«esperti di comunione» (II, n.
3). Nella rivelazione cristiana
tutto è segnato dalla comunione:
le tre persone divine sono
CITOC | P. 29
comunione, la fede è comunione,
la preghiera è comunione, la
Chiesa è comunione, la liturgia
è comunione e, finalmente, la
vita consacrata è comunione.
Un cristianesimo che non sa
farsi esperienza di comunione
non è più cristianesimo. Se
così non fosse, l’invito di San
Giovanni Paolo II, ripreso da
papa Francesco, a «fare della
Chiesa la casa e la scuola della
comunione» (II, n. 3; cfr. NMI
43) si ridurrebbe ad una scontata
esortazione che non incide nella
vita, quella vera. In una Chiesa
animata dalla comunione e che
lavora per offrire comunione,
noi religiosi carmelitani non
possiamo accontentarci di essere
spettatori. Come scriveva Teresa
a P. Gracián, «l’amore, quando
c’è, non può dormire tanto»
(Lettera del 4 ottobre 1579).
Ci aspetta un grande lavoro:
con pazienza, ma anche con
determinazione, vivere, lavorare
e pregare perché la comunione,
da principio teologico, diventi
principio antropologico, mentalità, habitus, diventi criterio
alla luce del quale la comunità
e il singolo religioso vivano e
facciano scelte. Giovanni Paolo
II ha chiesto che «la spiritualità della comunione» diventi
un «principio educativo» nei
luoghi dove si formano tutti i
fedeli e perciò anche «i consa-
crati» (NMI 43). E il Papa
Francesco, nel messaggio inviato
al Capitolo Generale dei Carmelitani (O.Carm) a settembre
del 2013, con parole chiare e
dirette, faceva un forte appello
a vivere la nostra dimensione
contemplativa come seme di
comunione per il mondo: «Oggi,
forse più che nel passato, è facile
lasciarsi distrarre dalle preoccupazioni e dai problemi di questo
mondo e farsi affascinare da falsi
idoli. Il nostro mondo è frantumato in molti modi; il contemplativo invece torna all’unità e
costituisce un forte
richiamo
all’unità.
Ora più che mai è il
momento di riscoprire
il sentiero interiore
dell’amore attraverso
la preghiera e offrire
alla gente di oggi
nella
testimonianza
della
contemplazione, come pure nella
predicazione e nella
missione non inutili
scorciatoie, ma quella
sapienza che emerge
dal meditare “giorno
e notte nella Legge
del Signore”, Parola che sempre
conduce presso la Croce gloriosa
di Cristo».
Il 22 settembre 1572 santa
Teresa raccontò la visione
della Trinità che aveva avuto
nel giorno di San Matteo. Quel
racconto contiene una indicazione di carattere pedagogico
utile perché la comunione diventi
uno stile di vita. Scrive Teresa:
«Queste tre persone si amano,
si comunicano e si conoscono»
(Favori celesti, n. 33). Senza
amore reciproco la comunicazione è qualcosa di formale e la
conoscenza resta sempre alla
superficie. Santa Teresa ce lo
ricorda senza stancarsi: «Credo
che non arriveremo mai ad avere
perfetto amore del prossimo,
se non lo faremo nascere dalla
medesima
radice
dell’amore
di Dio (Quinte Mansioni, 3, 9);
«Persuadiamoci, figliuole mie,
che la vera perfezione consiste
nell’amore di Dio e del prossimo»
(Prime Mansioni, 2, 17). Al
vescovo di Avila papa Francesco
ha ricordato che «la via della
fraternità» fu «la risposta provvidenziale» di Teresa «ai problemi
della Chiesa e della società del
suo tempo».
Infine,
la
comunione
«ci
preserva dalla malattia della
autoreferenzialità» (II, n. 3) e
dalla «tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica»
(NMI 52). In questo senso, siamo
lieti di costatare che il cammino
percorso insieme dai Carmelitani
e dai Carmelitani Scalzi durante
gli ultimi decenni, in un clima
di collaborazione, conoscenza
reciproca e fraterna comunione
spirituale, è diventato un segno
e un appello molto positivo in
questo senso.
Anche la comunione ha le
sue maschere. La più insidiosa
è quella della finzione, della
parvenza. Nella vita delle nostre
case essa prende forma quando,
come direbbe Zygmunt Bauman,
ci accontentiamo di vivere
«individualmente, insieme».
6. Papa Francesco ci lascia
un compito che a prima vista
potremmo giudicare più grande
delle nostre forze: «Mi attendo
che
“svegliate
il
mondo”,
perché la nota che caratterizza
la vita consacrata è la profezia»
(II, n. 2).
La
prima
condizione
per
«svegliare il mondo» è di non aver
paura del mondo e degli uomini
(cfr. Gv 16, 33; Lc 12, 4) e di
volerli conoscere nei loro aspetti
sia positivi sia negativi: quando
il bene li fa crescere e quando
il male li mortifica, quando si
aprono all’incontro con Cristo e
quando lo rifiutano.
Nel modo di affrontare il mondo
Teresa ha molto da insegnarci.
CITOC | P. 30
Scrive papa Francesco al vescovo
di Avila: «La sua [di Teresa]
esperienza mistica non la separò
dal mondo né dalle preoccupazioni della gente. […] Lei visse le
difficoltà del suo tempo – tanto
complicato – senza cedere alla
tentazione del lamento amaro,
ma piuttosto accettandole nella
fede come un’opportunità per fare
un passo avanti nel cammino». E
conclude: «È questo il realismo
teresiano, che esige opere invece
di emozioni e amore invece di
sogni».
La seconda condizione per
«svegliare il mondo» riguarda le
nostre singole persone e le nostre
comunità. Alla scuola del profeta
Elia e degli antichi profeti, siamo
chiamati a essere “voce” di Dio,
soprattutto in quelle «periferie
esistenziali», dove più grande è
il bisogno che essa venga udita e
accolta. Quando ciò accade, anche
grazie alla nostra testimonianza,
gli uomini fanno esperienza di
misericordia, di perdono e di
comunione vera. In questo nostro
diventare “voce” di Dio, non
dobbiamo mai dimenticare che
Cristo è la Parola di verità (cfr.
Col 1, 5) di cui gli uomini, oggi
come ieri, hanno bisogno. Papa
Francesco lascia a ognuno di noi
una domanda non certo di circostanza: «Gesù, […] è davvero il
primo e unico amore, come ci
siamo prefissi quando abbiamo
professato i nostri voti?» (I, n.
2). Usando le parole della nostra
Regola
potremmo
chiederci:
«Vogliamo anche oggi “vivere
nell’ossequio di Gesù Cristo e a
lui servire fedelmente con cuore
puro e buona coscienza”(n. 2)»?
Uno sguardo al futuro
7. Dopo il concilio la vita consacrata è andata incontro a profondi
e non sempre facili e costruttivi cambiamenti. Oggi molte
famiglie religiose devono affrontare una forte diminuzione dei
propri membri e un ridimensionamento delle proprie strutture
(cfr. I, n. 3). Prima ancora di ogni
problematica, l’anno dedicato
alla vita consacrata resta un’occasione per «guardare il passato
con gratitudine» (I, n. 1).
«Raccontare la propria storia è
indispensabile, scrive il papa, per
tener viva l’identità». Guardiamo
al passato non per fuggire dal
presente, ma per viverlo «con
passione» (I, n. 2). Come per
i nostri Santi, anche per noi il
criterio per valutare la verità di
questa «passione» resta sempre
il Vangelo. Chi vive il presente
«con passione» sa anche scrutare
il futuro «con speranza» (I, n.
3), perché è consapevole che
in ogni tempo lo Spirito Santo
è la guida e la forza
della Chiesa. Le parole,
che Dietrich Bonhoeffer
scrisse dal carcere pochi
giorni prima di essere
ucciso dai nazisti, ben
si addicono anche a noi:
«Chi non ha un passato di
cui rispondere e un futuro
da plasmare è “labile”».
Se come carmelitani
ci sentiamo collocati nel
«cuore della Chiesa», è
per sentirci ancor più in
comunione con tutto il popolo
cristiano, a cui noi stessi apparteniamo. Nel corso dei secoli molti
cristiani, partendo dalla «loro
condizione laicale», hanno scelto
di «condividere ideali, spirito,
missione» dei nostri Ordini, dando
così vita a una autentica «famiglia
carismatica» (III, n.1) carmelitana. Nei diversi contesti geografici, l’anno della vita consacrata
sia per ognuno di noi occasione
per aver ancor più coscienza di
appartenere a questa «famiglia
carismatica» e in essa, assieme,
rendere lode a Dio. «L’importante
– credetemi – non è nel portare
o nel non portar l’abito religioso,
ma nel praticare la virtù, nel
sottometterci in tutto alla volontà
di Dio, affinché la nostra vita
scorra in conformità delle sue
disposizioni, e nel non volere
che si faccia la nostra, ma la sua
volontà» (Terze Mansioni 2,6).
8. Senso di appartenenza
alla vita della Chiesa, gioiosa
adesione al cammino della
nostra vocazione, comunione
fraterna che si apre all’accoglienza dell’altro: sono queste
alcuni punti fondamentali su
cui dovremmo compiere quella
seria verifica della nostra vita
religiosa a cui ci ha invitato
papa Francesco. Abbiamo voluto
ricordarli e sottolinearli perché
la celebrazione di questo anno
della vita consacrata non ci lasci
indifferenti e inoperosi. Abbiamo
un lavoro da compiere su noi
stessi, incessantemente, ed esso
è l’esatto corrispettivo del dono
di grazia che abbiamo ricevuto.
È solo da tale lavoro di assimilazione del nostro passato e di
maturazione del nostro presente
che la nostra famiglia religiosa
può attendersi un futuro degno
della speranza alla quale siamo
stati chiamati (cf Ef 1, 18).
Che Teresa d’Avila, la grande
schiera dei santi del Carmelo
lungo la sua lunga storia e,
soprattutto, Maria, la stella del
mare, guidino i nostri passi e
ci diano la forza e il coraggio di
vivere la nostra consacrazione
con fedeltà, creatività e generosità...
Roma, 12 marzo 2015
393º anniversario della canonizzazione di Santa Teresa
CITOC | P. 31
Convento di San Andrés
SALAMANCA
CASA CARMELITANA PER FERIE E RITIRO A SALAMANCA, SPAGNA
Il convento di S. Andrés si trova
a Salamanca, nel centro storico,
vicino al fiume Tormes. Fondato
nel 1480, vi abitò san Giovanni
della Croce (1564- 1568).
Salamanca è stato proclamato
patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 2002. Eccelle per i suoi
monumento e per l’Università,
la più antica del paese. È una
città molto popolare, cosmopolita e piena di vita, con migliaia
di studenti che giungono ogni
anno per studiare la lingua e la
cultura spagnola.
Il Centro di Spiritualità offrirà possibilità di:
• Incontri internazionali dell’Ordine, della Famiglia Carmelitana, di
religiosi e religiose e convivenze vocazionali.
• Casa di convivenze per gruppi e movimenti religiosi,
e per esercizi spirituali, organizzati da noi p da altre
persone ed entità.
• Permanenza di persone adulte impegnate in
ricerche o approfondimento degli studi.
• Casa di accoglienza per attività
turistico-religiose. “Strada della
mistica” attraverso i luoghi vicini
a Salamanca, che hanno
risonanze carmelitane
come: Alba de Tormes,
Duruelo, Fontiveros,
Medina del Campo,
Segovia, Ávila...
Casa di Formazione (noviziato) e Centro di Spiritualità
Paseo Rcctor Esperabé, 49-65 37008 Salamanca, Spagna - Telfs.: (+34) 923.213491 – (+34) 923 215 502