universita` cattolica del sacro cuore

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UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
WORKING PAPER
DISCE
Dipartimenti e Istituti di Scienze Economiche
Gli immobili pubblici…..
ovvero, purché restino immobili
Giacomo Vaciago
IEF0071 - marzo - 2007
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE
- Milano -
QUADERNI DELL’ISTITUTO DI
ECONOMIA E FINANZA
Gli immobili pubblici…..
ovvero, purché restino immobili
Giacomo Vaciago
n. 71 - marzo 2007
Quaderni dell’Istituto di Economia e Finanza
numero 71 marzo 2007
Gli immobili pubblici…..
ovvero, purché restino immobili
Giacomo Vaciago (*)
(*) Istituto di Economia e Finanza, Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli 1
20123 Milano, e-mail: [email protected]
Comitato Scientifico
Redazione
Dino Piero Giarda
Michele Grillo
Pippo Ranci
Giacomo Vaciago
Istituto di Economia e Finanza
Università Cattolica del S. Cuore
Largo Gemelli 1
20123 Milano
tel.: 0039.02.7234.2976
fax: 0039.02.7234.2781
e-mail: [email protected]
* Esemplare fuori commercio per il deposito legale agli effetti della
Legge n. 106 del 15 aprile 2004.
* La Redazione ottempera agli obblighi previsti dalla Legge n. 106
del 15.04.2006, Decreto del Presidente della Repubblica del
03.05.2006 n. 252 pubblicato nella G.U. del 18.08.2006 n. 191.
* I quaderni sono disponibili on-line all’indirizzo dell’Istituto
http://www.unicatt.it/istituti/EconomiaFinanza
* I Quaderni dell’Istituto di Economia e Finanza costituiscono un
servizio atto a fornire la tempestiva divulgazione di ricerche
scientifiche originali, siano esse in forma definitiva o provvisoria.
L’accesso alla collana è approvato dal Comitato Scientifico, sentito
il parere di un referee.
Abstract
Gli immobili pubblici…..ovvero, purché restino immobili
The Italian government has succeeded neither in employing nor in disposing of its
unused, abandoned and decaying stock of properties over the last twenty years. The
legislation on it has been changed continuously even more than once in one year. Policy
changed direction yet again this year in the 2007 Finance Act. Is there any hope
something will happen?
I think there are three main causes to this fiasco.
ƒ
No one single office has ever been identified as responsible for implementing the
objectives of the legislator.
ƒ
They have not succeeded in creating the necessary co-operation between the many
levels of government involved in the policy decision-making process.
ƒ
They have been unable to reconcile the desires of local communities with public and
private sector resources necessary for achieving these goals.
If we examine the history of bad rules combined with the wrong policies we can
perhaps learn to do better, especially if account is also taken of the best practices
employed by others and there is the political will to experiment with significant pilot
projects.
JEL: H82, K11.
Key Words: Real Estate, Public Properties, Urban Economics.
Da molti anni lo Stato italiano sta cercando, con assai scarso successo, di valorizzare la
parte non più utilizzata del suo grande patrimonio immobiliare. E’ una vicenda su cui
merita riflettere perché è da più punti di vista emblematica del declino del Paese: basta
guardare alla qualità architettonica di molti di questi edifici per capire come eravamo
migliori una volta, quando sapevamo fare queste cose, di come siamo oggi lasciandole
andare in malora.
Quali sono le ragioni principali di questo fiasco? Dalla mia esperienza1 ho imparato che
tre sono i principali fattori da prendere in considerazione. Fattori in parte rilevanti anche
in altri campi della azione pubblica, ma in modo più diretto e significativo nel caso
degli immobili; di qui un risultato che è probabilmente il peggiore nell’ambito del
settore pubblico. I tre fattori – che esamino nelle pagine che seguono – sono:
1)
l’irresponsabilità degli uffici competenti;
2)
l’incapacità politica ed amministrativa a realizzare “giochi cooperativi”;
3)
l’assenza di una politica in grado di conciliare obiettivi e risorse locali.
Come vedremo, questi sono tre aspetti che rendono più grave un difetto della nostra
cultura politica e giuridica, che è quello di aver spesso identificato un sacrosanto
obiettivo (anche costituzionale) di tutela del nostro patrimonio storico e artistico con la
proprietà pubblica dello stesso. I due insiemi non sono coincidenti: anzitutto perché il
patrimonio della Nazione, che secondo la nostra Costituzione (art. 9) deve essere
tutelato, comprende ovviamente
quello di proprietà privata; ma anche perché la
pubblica proprietà in sé non garantisce né conservazione né pubblico godimento, cioè
gli obiettivi stessi della tutela.
In sede di conclusioni, accennerò alle alternative soluzioni che possono essere
suggerite, non a caso2 derivate dalle “migliori esperienze” europee nelle quali quei tre
problemi sopra accennati sono evidentemente meno rilevanti. Ma un aspetto di metodo
merita di essere sottolineato fin d’ora. Riguarda la nostra incapacità di tenere ben
distinto il quadro normativo – cioè le leggi che definiscono le “regole” per un certo
settore, come nel caso degli immobili pubblici – dall’azione del Governo, cioè l’insieme
1
Mi sono occupato di immobili pubblici come Sindaco di Piacenza (1994-1998); come Presidente della
Commissione del Ministero delle Finanze per la dismissione degli immobili (1996-1998), e come
membro del Consiglio Scientifico per la Tutela del Patrimonio Culturale, Ministero per i Beni e le Attività
Culturali (2003-2005).
2
Questa è infatti la ricetta cui ci siamo impegnati al vertice europeo di Lisbona (2000), per tornare a
crescere.
2
delle “politiche” realizzate in un dato periodo di tempo. In Italia la prassi è spesso
diversa, e lo vediamo molto bene in questo caso: si fanno leggi per realizzare certe
politiche; e se poi non vi è il risultato, allora si fanno nuove e diverse leggi; a volte (ma
non sempre) abrogando le precedenti. Il risultato è paradossale, come avevo già notato3
anni fa, perché “la legislazione non sta ferma, mentre gli immobili pubblici restano per
l’appunto ….immobili!”
A partire dal 1991, abbiamo avuto tre stagioni di tentate dismissioni di immobili
pubblici, ciascuna della durata di circa cinque anni. Anzitutto, l’esperimento di
Immobiliare Italia, che non ha neppure iniziato la sua attività; cui ha fatto seguito,
cinque anni dopo, la diversa strategia dei “fondi immobiliari pubblici”: un altro fiasco.
Cinque anni dopo si cambia ancora strada, con l’istituzione di Patrimonio dello Stato
SpA, che non è però riuscita ad avere molto successo. Passati altri cinque anni,
arriviamo alla Legge Finanziaria 2007, che presenta una svolta ancora più radicale e del
tutto imprevista (neanche un cenno nel DPEF approvato dal Governo il 7 luglio 20064!).
Come vedremo, le dismissioni sono ora diventate marginali, ed un ruolo dominante
viene invece attribuito alla valorizzazione degli immobili pubblici, la cui gestione (ma
non la proprietà) è da affidare a soggetti privati, eventualmente supportati dalle
istituende “Società di investimento immobiliari quotate”. Un ruolo ben più importante
che in passato è inoltre attribuito agli enti locali che sono titolari di funzioni
urbanistiche e quindi esplicitamente coinvolti nelle operazioni di valorizzazione oltre a
poterne essere diretti protagonisti nel caso di operazioni di permuta con il Ministero
della Difesa.
Anche per il 2007, come in tutti gli ultimi anni, abbiamo dunque in Legge
Finanziaria tantissime caserme e carceri, sempre le stesse che da anni servono (si fa per
dire) alla quadratura dei conti. In quale altro paese ciò potrebbe succedere per così tanti
anni di seguito? In quale altro paese si discuterebbe per tanti anni se debbano restare
pubblici, o possano diventare privati, edifici che nel frattempo non sono goduti da
nessuno e vanno in malora? In quale altro paese si continuerebbe a far pagare (ad
3
Vedi Vendere: ci aveva già provato Carli nel ’91, in “Il Giornale dell’Arte”, ottobre 2002.
Nel Programma elettorale del centro sinistra (le 281 pagine intitolate: “Per il bene dell’Italia”), c’è una
serie di riferimenti critici alle dismissioni immobiliari. Si propongono “politiche di valorizzazione
condotte in collaborazione con gli Enti locali” (pag. 210); si promette la “sospensione della vendita di
beni culturali pubblici, ripristinando il vaglio delle Soprintendenze secondo il regolamento Melandri del
2000” ( pag. 272); e si giudica uno “strumento inadeguato” il Codice dei Beni Culturali (pag. 273).
4
3
alcuni!) tasse elevate, per mantenere inutilizzati edifici anche di pregio che concorrono
al degrado di tanti centri storici?
La
Legge
Finanziaria
2007,
nell’ambito
della
“valorizzazione
e
razionalizzazione del patrimonio pubblico” (come chiarito nell’apposita relazione
tecnica, pp. 49 e 50) indica sia entrate una tantum per l’alienazione di beni cui non sono
applicabili procedure di valorizzazione; sia “grandi potenzialità di riconversione
economica di immobili non più utili ai fini istituzionali della Difesa, ma che potranno
essere oggetto di una progressiva messa a reddito”. Più che gli introiti per la cessione di
questi beni, conteranno dunque i valori delle concessioni d’uso e delle locazioni degli
immobili oggetto di processi di valorizzazione. E’ possibile che questa quarta stagione
abbia più successo delle tre precedenti? Abbiamo impiegato quasi dieci anni (dal 1998
al 2006) per rimettere a posto le regole relative all’alienazione di immobili anche di
pregio e adesso che ci eravamo finalmente riusciti5, cambiamo radicalmente strada:
quanti anni ancora serviranno per avere successo? Ma andiamo con ordine ed
esaminiamo anzitutto i tre fattori prima menzionati per spiegare gli insuccessi del
passato.
L’irresponsabilità dei competenti
Le regole che presiedono alla gestione degli immobili pubblici sono compatibili
con un equilibrio di stato stazionario. Quando questo viene turbato ed occorre passare
alla gestione del cambiamento, le regole non funzionano più. Per una serie di motivi, ma
anzitutto per il fatto che nulla succede se chi aveva il dovere di rispettare – e far
rispettare! – quelle regole, poi non vi provvede.
Quante volte abbiamo letto desolanti relazioni della Corte dei Conti che
denunciavano il degrado e l’uso abusivo di tanti immobili pubblici? E non fu proprio
nel 1998 che si dovette ripristinare (art. 32 della legge 448/98) la inalienabilità degli
immobili pubblici di particolare valore, perché se fossero stati liberamente alienabili
allora sarebbero anche diventati facilmente usucapibili, da parte dei loro occupanti
abusivi?6
5
L’ultimo intervento essendo avvenuto con i Decreti Legislativi 156 e 157 pubblicati sulla Gazzetta
Ufficiale del 27 aprile 2006. n. 97.
6
Vedi G. Vaciago, Il futuro degli immobili pubblici, ISAE, Roma, 1999.
4
Quando si leggono queste denunce, uno immagina che qualche amministrazione,
o qualche tribunale, reagisca con le necessarie misure sanzionatorie; che gli abusi
vengano puniti; e soprattutto che le irregolarità siano corrette. Ma se ciò è qualche volta
avvenuto, deve essere anche stato tenuto accuratamente segreto, perché non si ha notizia
che qualche irregolarità sia stata accertata, sanzionata, corretta.
In realtà, il problema è più generale. In un mondo che non cambia, la
tradizionale regola del Demanio di attribuire (“per usi governativi”) i singoli immobili
alle diverse amministrazioni dello Stato che ne hanno bisogno, va benissimo. Saranno
infatti rari i casi in cui quell’ uso viene meno e le singole amministrazioni debbano
ritornare al Demanio l’immobile non più necessario, affinché riceva diversa
destinazione. Ma ciò che era raro una volta, è diventato più frequente negli ultimi
decenni: i bisogni delle amministrazioni mutano, le caratteristiche degli immobili
(località, dimensioni, impianti, etc.) non sono più adeguate all’uso richiesto; e così via.
Non a caso ciò vale soprattutto per edifici che sono “impianti produttivi” diventati
obsoleti come caserme, carceri, ospedali, tribunali, spesso poco adatti ad essere riusati,
senza grandi investimenti, come uffici da parte di altre amministrazioni pubbliche. Nella
maggior parte dei casi ciò che succede è che le diverse amministrazioni (la Difesa per le
caserme, la Giustizia per le carceri, etc.) non restituiscono al Demanio gli edifici già in
uso, mentre soddisfano altrimenti le loro nuove e diverse esigenze (o vi rinunciano). E’
così che si accumula uno stock di immobili pubblici sempre meno utilizzato per i fini
originari, ma anche sempre meno riportato nella disponibilità, e nella responsabilità, del
Demanio. E’ l’accumularsi di questo problema irrisolto che induce il nostro legislatore a
cercare una via d’uscita legislativa. A partire da Immobiliare Italia c’è infatti stata una
continua e a volte inutile attività legislativa: nuove norme, spesso frettolose, cioè in
occasione delle annuali Leggi Finanziarie (le uniche leggi ad approvazione certa), e a
volte contraddittorie con altre norme di altre leggi nel frattempo approvate, hanno se
possibile aggravato il problema, allontanandone una soluzione.
Anzitutto per una prima semplicissima ragione: il legislatore non ha mai previsto
che qualcuno avesse la precisa e univoca responsabilità dell’attuazione della nuova
norma, della cui possibile applicazione era comunque mancata ogni preliminare
verifica. Questo strano modo di fare le leggi immagino valga anche in altri casi del
nostro divertente Paese. Ma solo nel caso degli immobili pubblici ho potuto constatare
5
una tale somma di problemi. Bastino due esempi, piccoli, ma emblematici. Una legge
prevede che entro una certa data, una serie di immobili pubblici siano conferiti a fondi
immobiliari di nuova costituzione. Perché in molti casi ciò non è avvenuto? Perché a
volte quegli immobili (come ovvio, dato il loro precedente uso) non erano accatastati!!
Secondo esempio: una legge prevede che vi siano dismissioni mediante asta pubblica di
immobili pubblici. Perché le aste vanno deserte? Perché di quegli immobili (come
ovvio, dato il loro precedente uso) la domanda che pure c’è non riesce a manifestarsi;
nessuno avendo anzitutto stabilito quale ne possa essere la futura destinazione d’uso
(non sono neppure considerati in Piano Regolatore: la loro cubatura proprio non esiste!).
Questi sono solo due esempi, forse neppure divertenti, di un paese che non
funziona: il legislatore riempie pagine di Gazzetta Ufficiale cui nulla segue. E se la
norma fatta non produce effetti, la si cambia dopo qualche anno. E nel frattempo si
aggiornano gli elenchi degli immobili che si vorrebbe alienare. Un bel po’ di caserme,
per finanziare l’ammodernamento della Difesa; un bel po’ di carceri, per costruire le
carceri che mancano, e così via. Non stupisce che le amministrazioni interessate non
restituiscano al Demanio gli immobili non più necessari! D’altra parte, come potrebbe il
Demanio assegnare ad altra amministrazione immobili comunque obsoleti, quando non
degradati?
Il circolo vizioso che si è prodotto negli ultimi vent’anni non si interrompe
facilmente. E certamente non bastano nuove leggi. Servirebbe almeno una cosa
preliminare: identificare un unico soggetto non solo competente, ma anche responsabile
del conseguimento del risultato, una volta che il legislatore ne ha chiaramente
individuato obiettivi e strumenti.
Condizione necessaria epperò non sufficiente se non valgono anche le ulteriori
condizioni esaminate nei prossimi paragrafi.
L’incapacità a realizzare giochi cooperativi
Sabino Cassese ci ha ricordato che il principio di maggioranza che è alla base
della democrazia è invenzione relativamente recente: “si è formato solo in epoca
moderna, dopo la rivoluzione francese, prima prevalendo il principio di unanimità”7. E’
7
La fabbrica dello Stato, ovvero i limiti della democrazia, “Quaderni Costituzionali”, giugno 2004, p.
250.
6
pensabile che nel caso degli immobili pubblici questo passaggio non sia ancora
avvenuto, e valgano condizioni che richiedono l’unanimità di tutti gli interessati? Le
considerazioni precedenti e molte vicende emblematiche relative agli immobili pubblici
negli ultimi vent’anni possono essere interpretate in questo modo. Si sono sommate due
tendenze che si elidono a vicenda, ricreando le condizioni dello stato stazionario
proprio quando servirebbe il cambiamento. Da un lato, si è continuamente ampliato il
numero dei soggetti coinvolti in qualsiasi significativa operazione relativa ad immobili
pubblici, soprattutto quando di pregio. Dall’altro lato, si è continuamente ridotta la
capacità di riuscire a realizzare “giochi cooperativi”, cioè processi dinamici in cui
ciascun soggetto ottimizza il proprio risultato tenendo conto dell’ottimo risultato
relativo a tutti gli altri interessati. E’ chiaro perché l’immobilità si presenti come un
esito non più migliorabile: è il second best di ciascuno e quindi rappresenta un
equilibrio stabile.
Come dicevo, il problema maggiore nel caso in esame è che mentre nuove
regole rendevano sempre più necessario realizzare giochi cooperativi, nel frattempo si
affievoliva la capacità – da parte delle nostre istituzioni politiche ed amministrative – di
riuscirvi. Dell’aumentata litigiosità dei nostri tanti livelli di governo molto è già stato
detto. Basti osservare il continuo aumento negli ultimi anni del tempo speso a dirimere
questi conflitti da parte della Corte Costituzionale. Ma al di là della litigiosità, è ancora
maggiore la quantità di cose non fatte perché è mancato il necessario preventivo
consenso di qualcuno degli interessati.
E’ infatti evidente che il nostro “federalismo” – sempre più caricatura di quello
tedesco – invece di “specializzare” ciascun livello di governo alla produzione di
determinati beni pubblici, coinvolge tutti e ciascuno in varie parti dei relativi processi
decisionali ed esecutivi, aumentando così la probabilità di “fallimenti”.
La stessa Costituzione del 2001 ha moltiplicato l’interdipendenza tra più livelli
di governo con riferimento alle competenze relative agli immobili pubblici di maggior
pregio.
Ha infatti previsto (art. 117):
1) legislazione esclusiva dello Stato per la tutela;
2) legislazione
concorrente
Stato-Regioni
“concorrente” significa:
7
per
la
valorizzazione,
dove
2.1) le Regioni hanno potestà legislativa;
2.2) salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato;
2.3) mentre la potestà regolamentare spetta alle Regioni.
A questo punto, non stupisce che i problemi si siano moltiplicati. Anzitutto perché
tutela ha da molto tempo un significato univoco (cioè conservazione e pubblico
godimento, come da legge del 1939), mentre la valorizzazione rimane un oggetto
ambiguo. Nel caso di immobili pubblici di pregio – perciò ricompresi tra i beni che
meritano tutela – la valorizzazione può contemplare anche nuove destinazioni d’uso?
Può servire anche ad aumentare il valore economico di beni che non sono finalizzati a
produrre un reddito? Deve precedere o può essere anche successiva all’eventuale (se
autorizzata) alienazione di quegli immobili?
A ben guardare, queste non sono questioni accademiche, ma incidono
direttamente sul processo con il quale lo Stato può determinare il futuro degli immobili
pubblici. Se questi edifici non sono di rilevante pregio architettonico e quindi non
meritano tutela, non interviene l’art. 117 della Costituzione ed ogni loro necessaria
valorizzazione non richiederà l’intervento a tal fine della Regione interessata. Il
contrario avviene nel caso di immobili di pregio meritevoli di tutela: la legislazione
relativa alla loro alienazione resta attribuita allo Stato, ma per ogni necessaria
valorizzazione (che però in questo caso non sarà di tipo economico) dovrà essere
coinvolta la Regione. Non stupisce che in molti casi la “tutela” da sola, cioè senza
capacità di cooperazione tra livelli di governo, produca il suo contrario; cioè non ci sia
né una buona conservazione né tanto meno il godimento del bene da parte del pubblico.
D’altra parte, se la matrice delle competenze (il chi-fa-cosa) è “piena”, nel senso
che tutti si occupano di tutto e devono partecipare ad ogni decisione, è chiaro che solo
per caso8 quando c’è un problema si realizza la sua soluzione. Mentre la collusione tra
privati può sempre raggiungere risultati, magari pessimi; ciò che non funziona è la
nostra governance pubblica, che è quella che dovrebbe garantire la produzione di beni
pubblici. Di qui lo squilibrio tipico del nostro paese tra un eccesso di beni privati e una
scarsità di beni pubblici (che in questi anni ha in particolare caratterizzato il settore
immobiliare). Abbiamo registrato, nello stesso periodo di tempo, un vero e proprio
8
Vedi il mio I rapporti tra livelli di governo, in “Amministrare”, aprile 1998, pp. 39-60.
8
boom di nuove costruzioni private, anche nei centri storici delle principali città, mentre
si accumulava un crescente stock di immobili pubblici anche di pregio sottratto a
qualsiasi impiego.
Inconciliabili gli obiettivi e le risorse locali……
Tutti gli immobili dello Stato sono nel territorio di qualche Comune e in molti
casi rappresentano oggi l’integrale dei sogni che in proposito hanno fatto più
generazioni. C’è dunque un problema politico di prima grandezza: come riconciliare i
sogni di tanti con i conti dell’economia.
Le amministrazioni locali si trovano infatti (e continueranno a trovarsi, anche nei
prossimi anni) tra il martello dei tagli ai trasferimenti che ricevono dallo Stato e
l’incudine rappresentata dall’opportunità di acquisire una parte almeno degli immobili
dello Stato presenti nel loro territorio. Soprattutto nel caso degli immobili di maggior
pregio e che meglio possono riqualificare le zone delle città in cui sono inseriti, è
evidente l’interesse delle amministrazioni locali ad essere controparte attiva del
processo di dismissione di cui da tanti anni si parla (e si legifera!). Questo aspetto ha
però ricevuto riconoscimenti alterni da parte del legislatore, e non si è riusciti ad andare
al di là della generica indicazione dell’opportunità di accordi di programma.
Si sarebbe potuto pensare che la accresciuta dose di imprenditorialità attribuita
prima all’Agenzia del Demanio e poi al suo competitor, la Patrimonio dello Stato SpA,
avrebbe potuto colmare quelle lacune riuscendo così a conciliare i desideri credibili
delle amministrazioni locali con le esigenze dello Stato, dato il vincolo delle risorse
disponibili (eventualmente integrate con capitali privati).
Ma se questo processo non si è ancora realizzato è peraltro evidente che non vi
sono molte realistiche alternative.
….. ma non sono immobili le norme
L’aspetto emblematico di un paese che ha smesso di funzionare è il contrasto
sempre più evidente tra le politiche che si vogliono realizzare e le norme di legge
destinate a permettere il conseguimento di quegli obiettivi. Il risultato paradossale che
abbiamo realizzato in Italia negli ultimi vent’anni è l’affannosa rincorsa tra obiettivi e
9
legislazione. A partire dalla legge 390/1986 ho contato9 negli ultimi vent’anni un totale
di 23 interventi legislativi (compreso l’ultimo, dato dalla Legge Finanziaria per il 2007).
Se vi aggiungiamo le norme relative alla eventuale alienabilità dei beni del demanio
culturale, il numero delle leggi cresce ulteriormente: in questo caso siamo già riusciti a
cambiare nel 2006 norme che erano state approvate solo nel 200410.
Gli interventi normativi sono ancora maggiori se teniamo conto anche delle
mutate regole relative all’attività delle istituzioni responsabili delle politiche di gestione,
valorizzazione, e dismissione degli immobili stessi. Dapprima la riforma e il
potenziamento della Agenzia del Demanio; quindi l’istituzione della Patrimonio dello
Stato SpA. Infine, un crescente numero di Regioni ha legiferato (anche più volte) in
tema di immobili, loro gestione, e valorizzazione.
Lo studioso che oggi volesse ricostruire la normativa vigente in tema di
immobili pubblici, dovrebbe sapersi destreggiare tra norme abrogate ed altre ancora in
vigore ma in parte tra loro incompatibili, e faticherebbe non poco a pervenire ad un
risultato univoco. Mettendo ordine in un puzzle fatto da decine di provvedimenti
legislativi, si può arrivare alla conclusione che è possibile tutto, … e il suo contrario!
Perché le norme relative agli immobili pubblici cambiano anche più volte in un
anno? Oltre ai motivi già indicati, credo si debbano sottolineare due aspetti di metodo,
che aiutano a capire perché il nostro da tempo non sia più un paese normale.
Il primo aspetto, riguarda le esigenze di finanza pubblica. Molti di quegli
interventi sono infatti originati da comprensibili esigenze di finanza pubblica: si
vogliono dismettere immobili non più utilizzati e ritenuti non più necessari in futuro.
9
Per la situazione fino al 2001, vedi ancora S. Parlato - G. Vaciago, La dismissione degli immobili
pubblici: la lezione del passato e le novità della Legge n. 410, 23 novembre 2001, Quaderni ref., n. 8,
maggio 2002. Rileggendo oggi quel nostro lavoro del 2002, può stupire il relativo ottimismo con cui
venivano sottolineate le opportunità rappresentate dalla Legge 410/2001. Ci era sembrato che si fosse già
tenuto conto di tutte le cause dei due precedenti fallimenti. In effetti, alcuni successi la legge 410/2001 li
ha registrati. Si veda il lavoro di Reviglio in questo volume.
10
E’ il caso del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, entrato in vigore il 1° maggio 2004, ma già
modificato con i dlgs 156/2006 e 157/2006.
Si confrontino in proposito le due formulazioni del primo comma dell’art. 55 che riguarda le condizioni
che devono essere soddisfatte perché sia autorizzabile l’alienazione di immobili appartenenti al demanio
culturale:
prima versione (2004): “l’alienazione assicuri la tutela e la valorizzazione dei beni, e comunque non ne
pregiudichi il pubblico godimento”;
nuova versione(2006): “l’alienazione assicuri la tutela, la fruizione pubblica e la valorizzazione dei beni”.
E’ possibile che la differenza tra queste due alternative dipenda dall’osservazione che di numerosi
immobili di pregio non fosse stato (pensiamo a carceri e caserme!) mai previsto alcun “pubblico
godimento”?
10
Ma i relativi proventi sono anche necessari per coprire un qualche buco di finanza
pubblica e sono quindi non solo necessari, ma anche urgenti. Di qui la previsione di
procedure incredibilmente rapide, del tutto irrealistiche per i normali tempi della nostra
burocrazia. Il mancato rispetto dei tempi inizialmente indicati porta a ritardi che spesso
vengono interpretati come difficoltà a realizzare le politiche stesse, che sono quindi
modificate in nuove direzioni. Peccato che al cambiare delle norme, i procedimenti
avviati vengano dismessi e se ne aprano di nuovi! Il circolo vizioso: nuove norme di
legge e relativo procedimento amministrativo, viene dunque continuamente alimentato
dall’innovazione (si fa per dire) legislativa. Il secondo aspetto da considerare riguarda il
rapporto tra obiettivi e strumenti che è coinvolto dall’interagire tra attività di governo e
relativa attività legislativa. Le norme di legge vengono continuamente cambiate perché
pensate per il conseguimento di un qualche specifico obiettivo: cambiano gli strumenti
(le norme) sia perché diversi sono gli obiettivi, sia perché servono nuovi strumenti per
conseguire gli stessi precedenti obiettivi. Negli ultimi vent’anni, si è favorito anzitutto il
trasferimento di immobili statali agli enti locali, per loro attività istituzionali. Poi si è
preferita la strada finanziaria del collocamento degli immobili pubblici nei costituendi
fondi di investimento. Poi ancora c’è stata una stagione di dismissioni che fossero anche
vere e proprie privatizzazioni (in occasione delle aste di vendita degli immobili non era
attribuito alcun diritto di prelazione agli enti locali)11. Al mutare degli obiettivi
(trasferire ad altri la proprietà di immobili dello Stato) sono risultate prevalenti a volta
semplici condizioni economiche, ma a volte contenuti istituzionali più ambiziosi. Di qui
la scelta tra i diversi strumenti utilizzati.
A ben guardare, due sono stati i principali problemi controversi attorno ai quali
questa problematica ha continuamente ruotato. Il primo riguarda la scelta della funzione
che l’immobile deve svolgere, cioè la sua destinazione d’uso. Il secondo problema
riguarda l’individuazione del livello di governo cui è attribuita la responsabilità di
quella decisione.
11
Come vedremo, la Legge Finanziaria 2007 propone una soluzione ancora diversa al ruolo degli enti
locali. Non sono destinatari né di concessioni né di locazioni di immobili statali (due operazioni rivolte
solo ai privati, cui gli enti locali collaborano nell’interesse dello sviluppo dei loro territori). Ma possono
essere attivi partecipanti a permute con immobili tuttora in uso al Ministero della Difesa, quando ciò serva
alle nuove esigenze delle forze armate (il riferimento un po’ enigmatico è al fabbisogno di abitazioni da
soddisfare per le esigenze abitative di un esercito professionale e non più di leva).
11
Le cose sono ovviamente complesse quando si è in presenza di immobili che
hanno valore culturale e storico, per i quali si pongono ulteriori problemi con
riferimento alle molte questioni connesse ai processi di valorizzazione. Ciò è infatti ben
diverso nei confronti dei beni culturali rispetto al caso di normali immobili anche di
pregio suscettibili di impieghi più redditizi.
Ricordiamo che di valorizzazione, con riferimento ai beni culturali si è iniziato a
parlare negli anni ’70, quando si avvia il Ministero per i Beni culturali e ambientali. Ma
è solo nel 1998 (con il dlgs 112) che si precisa che la tutela è riservata allo Stato mentre
la valorizzazione spetta allo Stato come alle Regioni ed agli enti locali, ciascuno nel
proprio ambito. E comunque valorizzazione significa un’attività mirata a migliorare il
godimento (o la fruizione, come oggi si preferisce dire) del bene culturale stesso. E’
definitivamente chiarito nel Codice dei Beni Culturali (art. 6, comma 1, come integrato
dal dlgs 24 marzo 2006, n. 156) che “la valorizzazione consiste nell’esercizio delle
funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del
patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione
pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”.
La valorizzazione di cui spesso si è parlato in questi anni con riferimento agli immobili
pubblici (e che, come vedremo, è centrale – seppure in modo nuovo – anche nella
neonata Legge Finanziaria 2007) riguarda invece la loro utilizzazione a fini economici,
e quindi contempla interventi di ristrutturazione (sempre esclusi per i beni culturali) e
nuove destinazioni d’uso per lo svolgimento di attività economiche. Da questo punto di
vista, valorizzazione equivale a “mettere a reddito”, e implica tutte quelle riconversioni
e riqualificazioni che sono a tal fine necessarie. Questa valorizzazione è per definizione
esclusa nel caso dei beni culturali, e non deve trarre in inganno il fatto che nel nuovo
Codice dei Beni Culturali sia stata ripristinata la loro alienabilità, com’era
nell’originaria Legge 1089/39. Perché l’alienazione di un bene culturale non può
comunque alterarne né la tutela né la fruizione pubblica (e quindi anche le destinazioni
d’uso ammesse dopo l’eventuale alienazione devono restare compatibili con la natura
di quegli immobili, e non essere unicamente finalizzate al loro rendimento economico).
Le novità della Legge Finanziaria 2007
Mentre il completamento del “Codice dei Beni Culturali” (decreto legislativo 22
12
gennaio 2004 n. 42; come integrato con i Dlgs. 156 e 157 del 2006) ulteriormente
affinava la normativa relativa alla alienabilità degli immobili demaniali, ed anzitutto alla
verifica della qualità dei diversi immobili pubblici in previsione di loro possibili
alienazioni, il legislatore cambiava completamente rotta con la Legge Finanziaria 2007.
L’alienazione degli immobili pubblici cessa infatti di essere una priorità, e si
propongono altri ben diversi obiettivi: nuove regole di gestione, basate su un processo
di valorizzazione che l’Agenzia del Demanio gestisce in cooperazione con gli enti
locali, l’utilizzatore finale di quegli immobili essendo il settore privato con appositi
contratti di concessione o locazione di lunga durata che potranno ricevere necessari
finanziamenti anche grazie alle nasciture “Società di investimento immobiliari quotate”.
Questo è il modello principale cui è dedicata buona parte della nuova normativa. Ci si è
arrivati nel tradizionale modo con cui si costruisce una Legge Finanziaria, cioè per
successive (nel giro di tre mesi!) approssimazioni; grazie ad emendamenti sia in prima
sia in seconda lettura; con nuove norme ordinamentali che come è noto non dovrebbero
stare in Finanziaria; e sparpagliando le norme stesse nelle parti più disparate della
Legge, quasi per impedire che si riescano a trovare e magari anche a comprendere. Ma
di tutto ciò vi è lunga tradizione (e si è visto anche di peggio!).
Proviamo a ricostruire quale è il disegno che emerge dalla nuova legislazione,
che senza alcun dubbio rappresenta ciò che il Governo intende realizzare nei prossimi
anni (le norme - sia quelle iniziali sia quelle aggiunte nelle due tappe successive – sono
tutte di fonte governativa, il contributo delle Camere in materia essendo stato nullo,
anche nel dibattito). Anzitutto, la svolta radicale. In due commi che rientrano
nell’insieme dei commi 259-265, tutti dedicati agli immobili pubblici, (mentre un’altra
sezione relativa alle SIIQ è nei commi 119-141; essendovi poi una lunga serie di altri
commi relativi agli immobili, privati e pubblici, sparpagliati qua e là nella Legge
Finanziaria 2007) è stabilito che il metodo “normale” di valorizzazione e utilizzazione a
fini economici dei beni immobili di proprietà dello Stato a partire dal 2007 diventano
rispettivamente la concessione o la locazione a privati; in ambedue i casi per un periodo
di tempo
commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico–finanziario
dell’iniziativa e non superiore a cinquant’ anni.
I privati che riceveranno, mediante procedure ad evidenza pubblica, detti beni in
concessione o in locazione gestiranno i corrispondenti progetti di recupero-restauro-
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ristrutturazione e quindi impiegheranno gli immobili così riqualificati per lo
svolgimento di attività economiche o di servizio per i cittadini. Essendo escluso ogni
diritto di prelazione a favore degli enti locali interessati, il loro coinvolgimento avverrà
unicamente in sede di conferenze di servizi o accordi di programma relativi a quelle
iniziative di valorizzazione, con la previsione di incassare un contributo di costruzione
riferito alle opere necessarie alla riqualificazione degli immobili stessi. Per alimentare
questo principale canale di valorizzazione e uso degli immobili dello Stato attualmente
inutilizzati, è indicato un piano di trasferimento di immobili per complessivi quattro
miliardi di euro dal Ministero della Difesa all’Agenzia del Demanio (in quattro rate
semestrali di 1 miliardo di euro ciascuna, nel biennio 2007-8).
Accanto a questa modalità di riqualificazione degli immobili dello Stato, c’è un
secondo canale che è invece di collegamento diretto (seppure intermediato dall’Agenzia
del Demanio) tra Ministero della Difesa ed enti territoriali, ed è la possibilità di permuta
di immobili tuttora in uso per fini istituzionali con altri immobili degli enti locali. E’
stato
aggiunto
alla
Legge
Finanziaria
come
emendamento
del
Governo,
presumibilmente per consentire di portare a termine trattative già avviate tra il Ministero
della Difesa ed alcuni enti locali. Nulla è peraltro detto sul futuro di questi immobili
oggi militari, una volta pervenuti agli enti locali partecipanti alla permuta stessa. Si deve
presumere che essi rientrino nel loro patrimonio disponibile.
In generale, le (radicali) novità contenute nella Legge Finanziaria 2007 risolvono
passati problemi e ne aprono di nuovi. Rispetto al passato, abbiamo alcuni evidenti passi
avanti:
1) L’Agenzia del Demanio è chiaramente indicata come responsabile dei nuovi
risultati da ottenere. Si dovrebbe così superare la situazione finora prevalente di
leggi che decidevano cosa dovesse succedere senza mai indicare anche chi ne
avesse la responsabilità. Situazione tante volte deprecata dalla Corte dei Conti12
12
Da anni, ma di solito senza molte conseguenze, la Corte dei Conti lamenta l’abbandono in cui sono stati
lasciati tanti immobili pubblici (dei quali non si è neppure riusciti ad avere un elenco completo). Nel suo
ultimo intervento in merito, la Corte ha sottolineato “le difficoltà di poter conseguire ambiziosi, ma
realistici obiettivi di proficui realizzi da vendite di immobili, ragioni legate a carenze organizzativogestionali ed allo scarso interesse che presentano per i potenziali acquirenti immobili degradati, ovvero
abusivamente occupati, e comunque scarsamente appetibili.” Corte dei Conti, Giudizio di parificazione
del rendiconto generale dello Stato relativo all’esercizio finanziario 2005, Roma, 28 giugno 2006, p. 318.
Nella stessa relazione, pubblicata il 28 giugno 2006, la Corte lamenta (pag. 288) che il censimento
14
che con riferimento all’attività svolta dall’Agenzia del Demanio ne ha
apprezzato i progressi “sia pure ancora in termini prevalentemente potenziali e
di comunicazione e di immagine13”.
2) La necessità di giochi cooperativi con gli enti locali è pure riaffermata, e il loro
ruolo con riferimento all’individuazione delle nuove destinazioni d’uso
chiaramente riconosciuto.
3) E’ saggiamente spostata l’ enfasi dalla proprietà all’ uso (e 50 anni di tempo per
una concessione o per una locazione sono un periodo di tempo chiaramente in
linea con le pratiche internazionali).
Naturalmente, restano anche problemi:
1) Occorrerà un qualche rodaggio delle nuove norme per tutti e quattro i loro
aspetti: permute; concessioni, locazioni; ed istituzione delle Siiq.
2) Occorre inoltre capire se il ricorso alle concessioni (si deve presumere limitato al
caso dei beni culturali, poiché è solo con riferimento a questi che si può
configurare l’interesse pubblico insito nel bene considerato; mentre è di norma
privato l’interesse perseguito nel caso della locazione, come chiarito dalla
sentenza della Cassazione dell’11 febbraio 2005, n. 2852) potrà contemplare –
per analogia – l’applicabilità di tutta la normativa già prevista dal Codice dei
Beni culturali per il caso delle alienazioni.
3) Sarà soprattutto necessario avere successo nel convincere tutti gli interessati, e
sono tanti, che la nuova strategia è volta alla valorizzazione degli immobili
pubblici e quindi non ha più come priorità dismissioni finalizzate a ridurre il
debito pubblico, ma semmai quella della crescita economica. In termini degli
impegni di Maastricht (1992) volti a ridurre il rapporto % tra Debito e Reddito
nazionale, dopo 15 anni trascorsi invano a cercare di ridurre il numeratore (il
Debito), ora si prova a far crescere il denominatore (il Reddito).
realizzato dall’Agenzia non consenta una gestione strategica del patrimonio dello Stato non avendo
definito gli indispensabili elementi informativi.
13
Corte dei Conti, Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni, Roma 9 gennaio 2006, pag. 15.
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Conclusioni
Dall’ esperienza degli ultimi vent’anni ho imparato che se si chiamano
“immobili” una ragione ci deve essere. E’ infatti difficilissimo cambiarne qualche
aspetto: destinazione d’uso, titolo di proprietà, e così via. D’altra parte, il declino di un
paese non è dimostrato solo dalla scarsa crescita del Pil. Ma anzitutto dall’incapacità
della politica e delle istituzioni a garantire buone regole - e il loro rispetto nell’interesse comune, cioè di tutti e di ciascuno.
In questo senso le vicende degli immobili pubblici, negli ultimi vent’anni, sono
l’emblematico esempio di un paese-che-non-funziona. Nei paesi normali, conservazione
e pubblico godimento degli immobili di pregio non richiedono sempre la proprietà
pubblica. Nel nostro caso, la proprietà pubblica è invece normalmente prevista, ma a
volte è d’ostacolo al realizzarsi stesso degli obiettivi della tutela. Come si esce da questo
circolo vizioso?
E’ evidente che la priorità non può essere l’ennesima previsione legislativa di un
lungo elenco di immobili, inutilizzati, da dismettere. Ma dovrebbe essere anzitutto la
riscoperta di un metodo di governo - possibilmente da sperimentare inizialmente in un
numero limitato di casi di accertata fattibilità – che corregga i difetti finora riscontrati e
possa rappresentare un caso di best practice equivalente ai migliori esempi del resto
d’Europa. 14Soprattutto nel caso degli immobili pubblici di valore architettonico, spesso
presenti all’interno di centri storici di qualità, è evidente che la priorità debba essere
attribuita alle caratteristiche dei processi di recupero quando necessari; con destinazioni
d’uso coerenti con la storia e il pregio di quegli edifici. E’ anche ovvio come tutto ciò
debba sì coinvolgere le amministrazioni locali, seppure nel rigoroso rispetto di
competenze e di precise responsabilità politiche e amministrative, ma debba anche saper
attrarre l’interesse (e i capitali) di tutto il mondo. E’ infine evidente perché questo
processo non possa essere governato dal Ministero delle Finanze, o da una sua Agenzia,
ma debba essere posto al centro dell’azione di governo, rappresentando un contributo
essenziale al miglior funzionamento del Paese nell’interesse della sua crescita.
14
I migliori esempi di rinnovamento urbano che si presentano oggi in Europa potrebbero insegnarci
molto, se solo riuscissimo ad essere meno provinciali. Vedi S. Roodhouse, Cultural Quarters, Principles
and practices, Intellect, Bristol, 2006.
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Elenco Quaderni già pubblicati
1. L. Giuriato, Problemi di sostenibilità di programmi di riforma strutturale,
settembre 1993.
2. L. Giuriato, Mutamenti di regime e riforme: stabilità politica e comportamenti
accomodanti, settembre 1993.
3. U. Galmarini, Income Tax Enforcement Policy with Risk Averse Agents,
novembre 1993.
4. P. Giarda, Le competenze regionali nelle recenti proposte di riforma
costituzionale, gennaio 1994.
5. L. Giuriato, Therapy by Consensus in Systemic Transformations: an Evolutionary
Perspective, maggio 1994.
6. M. Bordignon, Federalismo, perequazione e competizione fiscale. Spunti di
riflessione in merito alle ipotesi di riforma della finanza regionale in Italia, aprile
1995.
7. M. F. Ambrosanio, Contenimento del disavanzo pubblico e controllo delle
retribuzioni nel pubblico impiego, maggio 1995.
8. M. Bordignon, On Measuring Inefficiency in Economies with Public Goods: an
Overall Measure of the Deadweight Loss of the Public Sector, luglio 1995.
9. G. Colangelo, U. Galmarini, On the Pareto Ranking of Commodity Taxes in
Oligopoly, novembre 1995.
10. U. Galmarini, Coefficienti presuntivi di reddito e politiche di accertamento
fiscale, dicembre 1995.
11. U. Galmarini, On the Size of the Regressive Bias in Tax Enforcement, febbraio
1996.
12. G. Mastromatteo, Innovazione di Prodotto e Dimensione del Settore Pubblico
nel Modello di Baumol, giugno 1996.
13. G. Turati, La tassazione delle attività finanziarie in Italia: verifiche empiriche
in tema di efficienza e di equità, settembre 1996.
14. G. Mastromatteo, Economia monetaria post-keynesiana e rigidità dei tassi
bancari, settembre 1996.
15. L. Rizzo, Equalization of Public Training Expenditure in a Cross-Border
Labour Market, maggio 1997.
16. C. Bisogno, Il mercato del credito e la propensione al risparmio delle famiglie:
aggiornamento di un lavoro di Jappelli e Pagano, maggio 1997.
17. F.G. Etro, Evasione delle imposte indirette in oligopolio. Incidenza e ottima
tassazione, luglio 1997.
18. L. Colombo, Problemi di adozione tecnologica in un’industria monopolistica,
ottobre 1997.
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1998.
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A Sample of Italian Household with Pre-School Children, maggio 1998.
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