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UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE WORKING PAPER DISCE Dipartimenti e Istituti di Scienze Economiche Gli immobili pubblici….. ovvero, purché restino immobili Giacomo Vaciago IEF0071 - marzo - 2007 UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - Milano - QUADERNI DELL’ISTITUTO DI ECONOMIA E FINANZA Gli immobili pubblici….. ovvero, purché restino immobili Giacomo Vaciago n. 71 - marzo 2007 Quaderni dell’Istituto di Economia e Finanza numero 71 marzo 2007 Gli immobili pubblici….. ovvero, purché restino immobili Giacomo Vaciago (*) (*) Istituto di Economia e Finanza, Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli 1 20123 Milano, e-mail: [email protected] Comitato Scientifico Redazione Dino Piero Giarda Michele Grillo Pippo Ranci Giacomo Vaciago Istituto di Economia e Finanza Università Cattolica del S. Cuore Largo Gemelli 1 20123 Milano tel.: 0039.02.7234.2976 fax: 0039.02.7234.2781 e-mail: [email protected] * Esemplare fuori commercio per il deposito legale agli effetti della Legge n. 106 del 15 aprile 2004. * La Redazione ottempera agli obblighi previsti dalla Legge n. 106 del 15.04.2006, Decreto del Presidente della Repubblica del 03.05.2006 n. 252 pubblicato nella G.U. del 18.08.2006 n. 191. * I quaderni sono disponibili on-line all’indirizzo dell’Istituto http://www.unicatt.it/istituti/EconomiaFinanza * I Quaderni dell’Istituto di Economia e Finanza costituiscono un servizio atto a fornire la tempestiva divulgazione di ricerche scientifiche originali, siano esse in forma definitiva o provvisoria. L’accesso alla collana è approvato dal Comitato Scientifico, sentito il parere di un referee. Abstract Gli immobili pubblici…..ovvero, purché restino immobili The Italian government has succeeded neither in employing nor in disposing of its unused, abandoned and decaying stock of properties over the last twenty years. The legislation on it has been changed continuously even more than once in one year. Policy changed direction yet again this year in the 2007 Finance Act. Is there any hope something will happen? I think there are three main causes to this fiasco. No one single office has ever been identified as responsible for implementing the objectives of the legislator. They have not succeeded in creating the necessary co-operation between the many levels of government involved in the policy decision-making process. They have been unable to reconcile the desires of local communities with public and private sector resources necessary for achieving these goals. If we examine the history of bad rules combined with the wrong policies we can perhaps learn to do better, especially if account is also taken of the best practices employed by others and there is the political will to experiment with significant pilot projects. JEL: H82, K11. Key Words: Real Estate, Public Properties, Urban Economics. Da molti anni lo Stato italiano sta cercando, con assai scarso successo, di valorizzare la parte non più utilizzata del suo grande patrimonio immobiliare. E’ una vicenda su cui merita riflettere perché è da più punti di vista emblematica del declino del Paese: basta guardare alla qualità architettonica di molti di questi edifici per capire come eravamo migliori una volta, quando sapevamo fare queste cose, di come siamo oggi lasciandole andare in malora. Quali sono le ragioni principali di questo fiasco? Dalla mia esperienza1 ho imparato che tre sono i principali fattori da prendere in considerazione. Fattori in parte rilevanti anche in altri campi della azione pubblica, ma in modo più diretto e significativo nel caso degli immobili; di qui un risultato che è probabilmente il peggiore nell’ambito del settore pubblico. I tre fattori – che esamino nelle pagine che seguono – sono: 1) l’irresponsabilità degli uffici competenti; 2) l’incapacità politica ed amministrativa a realizzare “giochi cooperativi”; 3) l’assenza di una politica in grado di conciliare obiettivi e risorse locali. Come vedremo, questi sono tre aspetti che rendono più grave un difetto della nostra cultura politica e giuridica, che è quello di aver spesso identificato un sacrosanto obiettivo (anche costituzionale) di tutela del nostro patrimonio storico e artistico con la proprietà pubblica dello stesso. I due insiemi non sono coincidenti: anzitutto perché il patrimonio della Nazione, che secondo la nostra Costituzione (art. 9) deve essere tutelato, comprende ovviamente quello di proprietà privata; ma anche perché la pubblica proprietà in sé non garantisce né conservazione né pubblico godimento, cioè gli obiettivi stessi della tutela. In sede di conclusioni, accennerò alle alternative soluzioni che possono essere suggerite, non a caso2 derivate dalle “migliori esperienze” europee nelle quali quei tre problemi sopra accennati sono evidentemente meno rilevanti. Ma un aspetto di metodo merita di essere sottolineato fin d’ora. Riguarda la nostra incapacità di tenere ben distinto il quadro normativo – cioè le leggi che definiscono le “regole” per un certo settore, come nel caso degli immobili pubblici – dall’azione del Governo, cioè l’insieme 1 Mi sono occupato di immobili pubblici come Sindaco di Piacenza (1994-1998); come Presidente della Commissione del Ministero delle Finanze per la dismissione degli immobili (1996-1998), e come membro del Consiglio Scientifico per la Tutela del Patrimonio Culturale, Ministero per i Beni e le Attività Culturali (2003-2005). 2 Questa è infatti la ricetta cui ci siamo impegnati al vertice europeo di Lisbona (2000), per tornare a crescere. 2 delle “politiche” realizzate in un dato periodo di tempo. In Italia la prassi è spesso diversa, e lo vediamo molto bene in questo caso: si fanno leggi per realizzare certe politiche; e se poi non vi è il risultato, allora si fanno nuove e diverse leggi; a volte (ma non sempre) abrogando le precedenti. Il risultato è paradossale, come avevo già notato3 anni fa, perché “la legislazione non sta ferma, mentre gli immobili pubblici restano per l’appunto ….immobili!” A partire dal 1991, abbiamo avuto tre stagioni di tentate dismissioni di immobili pubblici, ciascuna della durata di circa cinque anni. Anzitutto, l’esperimento di Immobiliare Italia, che non ha neppure iniziato la sua attività; cui ha fatto seguito, cinque anni dopo, la diversa strategia dei “fondi immobiliari pubblici”: un altro fiasco. Cinque anni dopo si cambia ancora strada, con l’istituzione di Patrimonio dello Stato SpA, che non è però riuscita ad avere molto successo. Passati altri cinque anni, arriviamo alla Legge Finanziaria 2007, che presenta una svolta ancora più radicale e del tutto imprevista (neanche un cenno nel DPEF approvato dal Governo il 7 luglio 20064!). Come vedremo, le dismissioni sono ora diventate marginali, ed un ruolo dominante viene invece attribuito alla valorizzazione degli immobili pubblici, la cui gestione (ma non la proprietà) è da affidare a soggetti privati, eventualmente supportati dalle istituende “Società di investimento immobiliari quotate”. Un ruolo ben più importante che in passato è inoltre attribuito agli enti locali che sono titolari di funzioni urbanistiche e quindi esplicitamente coinvolti nelle operazioni di valorizzazione oltre a poterne essere diretti protagonisti nel caso di operazioni di permuta con il Ministero della Difesa. Anche per il 2007, come in tutti gli ultimi anni, abbiamo dunque in Legge Finanziaria tantissime caserme e carceri, sempre le stesse che da anni servono (si fa per dire) alla quadratura dei conti. In quale altro paese ciò potrebbe succedere per così tanti anni di seguito? In quale altro paese si discuterebbe per tanti anni se debbano restare pubblici, o possano diventare privati, edifici che nel frattempo non sono goduti da nessuno e vanno in malora? In quale altro paese si continuerebbe a far pagare (ad 3 Vedi Vendere: ci aveva già provato Carli nel ’91, in “Il Giornale dell’Arte”, ottobre 2002. Nel Programma elettorale del centro sinistra (le 281 pagine intitolate: “Per il bene dell’Italia”), c’è una serie di riferimenti critici alle dismissioni immobiliari. Si propongono “politiche di valorizzazione condotte in collaborazione con gli Enti locali” (pag. 210); si promette la “sospensione della vendita di beni culturali pubblici, ripristinando il vaglio delle Soprintendenze secondo il regolamento Melandri del 2000” ( pag. 272); e si giudica uno “strumento inadeguato” il Codice dei Beni Culturali (pag. 273). 4 3 alcuni!) tasse elevate, per mantenere inutilizzati edifici anche di pregio che concorrono al degrado di tanti centri storici? La Legge Finanziaria 2007, nell’ambito della “valorizzazione e razionalizzazione del patrimonio pubblico” (come chiarito nell’apposita relazione tecnica, pp. 49 e 50) indica sia entrate una tantum per l’alienazione di beni cui non sono applicabili procedure di valorizzazione; sia “grandi potenzialità di riconversione economica di immobili non più utili ai fini istituzionali della Difesa, ma che potranno essere oggetto di una progressiva messa a reddito”. Più che gli introiti per la cessione di questi beni, conteranno dunque i valori delle concessioni d’uso e delle locazioni degli immobili oggetto di processi di valorizzazione. E’ possibile che questa quarta stagione abbia più successo delle tre precedenti? Abbiamo impiegato quasi dieci anni (dal 1998 al 2006) per rimettere a posto le regole relative all’alienazione di immobili anche di pregio e adesso che ci eravamo finalmente riusciti5, cambiamo radicalmente strada: quanti anni ancora serviranno per avere successo? Ma andiamo con ordine ed esaminiamo anzitutto i tre fattori prima menzionati per spiegare gli insuccessi del passato. L’irresponsabilità dei competenti Le regole che presiedono alla gestione degli immobili pubblici sono compatibili con un equilibrio di stato stazionario. Quando questo viene turbato ed occorre passare alla gestione del cambiamento, le regole non funzionano più. Per una serie di motivi, ma anzitutto per il fatto che nulla succede se chi aveva il dovere di rispettare – e far rispettare! – quelle regole, poi non vi provvede. Quante volte abbiamo letto desolanti relazioni della Corte dei Conti che denunciavano il degrado e l’uso abusivo di tanti immobili pubblici? E non fu proprio nel 1998 che si dovette ripristinare (art. 32 della legge 448/98) la inalienabilità degli immobili pubblici di particolare valore, perché se fossero stati liberamente alienabili allora sarebbero anche diventati facilmente usucapibili, da parte dei loro occupanti abusivi?6 5 L’ultimo intervento essendo avvenuto con i Decreti Legislativi 156 e 157 pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale del 27 aprile 2006. n. 97. 6 Vedi G. Vaciago, Il futuro degli immobili pubblici, ISAE, Roma, 1999. 4 Quando si leggono queste denunce, uno immagina che qualche amministrazione, o qualche tribunale, reagisca con le necessarie misure sanzionatorie; che gli abusi vengano puniti; e soprattutto che le irregolarità siano corrette. Ma se ciò è qualche volta avvenuto, deve essere anche stato tenuto accuratamente segreto, perché non si ha notizia che qualche irregolarità sia stata accertata, sanzionata, corretta. In realtà, il problema è più generale. In un mondo che non cambia, la tradizionale regola del Demanio di attribuire (“per usi governativi”) i singoli immobili alle diverse amministrazioni dello Stato che ne hanno bisogno, va benissimo. Saranno infatti rari i casi in cui quell’ uso viene meno e le singole amministrazioni debbano ritornare al Demanio l’immobile non più necessario, affinché riceva diversa destinazione. Ma ciò che era raro una volta, è diventato più frequente negli ultimi decenni: i bisogni delle amministrazioni mutano, le caratteristiche degli immobili (località, dimensioni, impianti, etc.) non sono più adeguate all’uso richiesto; e così via. Non a caso ciò vale soprattutto per edifici che sono “impianti produttivi” diventati obsoleti come caserme, carceri, ospedali, tribunali, spesso poco adatti ad essere riusati, senza grandi investimenti, come uffici da parte di altre amministrazioni pubbliche. Nella maggior parte dei casi ciò che succede è che le diverse amministrazioni (la Difesa per le caserme, la Giustizia per le carceri, etc.) non restituiscono al Demanio gli edifici già in uso, mentre soddisfano altrimenti le loro nuove e diverse esigenze (o vi rinunciano). E’ così che si accumula uno stock di immobili pubblici sempre meno utilizzato per i fini originari, ma anche sempre meno riportato nella disponibilità, e nella responsabilità, del Demanio. E’ l’accumularsi di questo problema irrisolto che induce il nostro legislatore a cercare una via d’uscita legislativa. A partire da Immobiliare Italia c’è infatti stata una continua e a volte inutile attività legislativa: nuove norme, spesso frettolose, cioè in occasione delle annuali Leggi Finanziarie (le uniche leggi ad approvazione certa), e a volte contraddittorie con altre norme di altre leggi nel frattempo approvate, hanno se possibile aggravato il problema, allontanandone una soluzione. Anzitutto per una prima semplicissima ragione: il legislatore non ha mai previsto che qualcuno avesse la precisa e univoca responsabilità dell’attuazione della nuova norma, della cui possibile applicazione era comunque mancata ogni preliminare verifica. Questo strano modo di fare le leggi immagino valga anche in altri casi del nostro divertente Paese. Ma solo nel caso degli immobili pubblici ho potuto constatare 5 una tale somma di problemi. Bastino due esempi, piccoli, ma emblematici. Una legge prevede che entro una certa data, una serie di immobili pubblici siano conferiti a fondi immobiliari di nuova costituzione. Perché in molti casi ciò non è avvenuto? Perché a volte quegli immobili (come ovvio, dato il loro precedente uso) non erano accatastati!! Secondo esempio: una legge prevede che vi siano dismissioni mediante asta pubblica di immobili pubblici. Perché le aste vanno deserte? Perché di quegli immobili (come ovvio, dato il loro precedente uso) la domanda che pure c’è non riesce a manifestarsi; nessuno avendo anzitutto stabilito quale ne possa essere la futura destinazione d’uso (non sono neppure considerati in Piano Regolatore: la loro cubatura proprio non esiste!). Questi sono solo due esempi, forse neppure divertenti, di un paese che non funziona: il legislatore riempie pagine di Gazzetta Ufficiale cui nulla segue. E se la norma fatta non produce effetti, la si cambia dopo qualche anno. E nel frattempo si aggiornano gli elenchi degli immobili che si vorrebbe alienare. Un bel po’ di caserme, per finanziare l’ammodernamento della Difesa; un bel po’ di carceri, per costruire le carceri che mancano, e così via. Non stupisce che le amministrazioni interessate non restituiscano al Demanio gli immobili non più necessari! D’altra parte, come potrebbe il Demanio assegnare ad altra amministrazione immobili comunque obsoleti, quando non degradati? Il circolo vizioso che si è prodotto negli ultimi vent’anni non si interrompe facilmente. E certamente non bastano nuove leggi. Servirebbe almeno una cosa preliminare: identificare un unico soggetto non solo competente, ma anche responsabile del conseguimento del risultato, una volta che il legislatore ne ha chiaramente individuato obiettivi e strumenti. Condizione necessaria epperò non sufficiente se non valgono anche le ulteriori condizioni esaminate nei prossimi paragrafi. L’incapacità a realizzare giochi cooperativi Sabino Cassese ci ha ricordato che il principio di maggioranza che è alla base della democrazia è invenzione relativamente recente: “si è formato solo in epoca moderna, dopo la rivoluzione francese, prima prevalendo il principio di unanimità”7. E’ 7 La fabbrica dello Stato, ovvero i limiti della democrazia, “Quaderni Costituzionali”, giugno 2004, p. 250. 6 pensabile che nel caso degli immobili pubblici questo passaggio non sia ancora avvenuto, e valgano condizioni che richiedono l’unanimità di tutti gli interessati? Le considerazioni precedenti e molte vicende emblematiche relative agli immobili pubblici negli ultimi vent’anni possono essere interpretate in questo modo. Si sono sommate due tendenze che si elidono a vicenda, ricreando le condizioni dello stato stazionario proprio quando servirebbe il cambiamento. Da un lato, si è continuamente ampliato il numero dei soggetti coinvolti in qualsiasi significativa operazione relativa ad immobili pubblici, soprattutto quando di pregio. Dall’altro lato, si è continuamente ridotta la capacità di riuscire a realizzare “giochi cooperativi”, cioè processi dinamici in cui ciascun soggetto ottimizza il proprio risultato tenendo conto dell’ottimo risultato relativo a tutti gli altri interessati. E’ chiaro perché l’immobilità si presenti come un esito non più migliorabile: è il second best di ciascuno e quindi rappresenta un equilibrio stabile. Come dicevo, il problema maggiore nel caso in esame è che mentre nuove regole rendevano sempre più necessario realizzare giochi cooperativi, nel frattempo si affievoliva la capacità – da parte delle nostre istituzioni politiche ed amministrative – di riuscirvi. Dell’aumentata litigiosità dei nostri tanti livelli di governo molto è già stato detto. Basti osservare il continuo aumento negli ultimi anni del tempo speso a dirimere questi conflitti da parte della Corte Costituzionale. Ma al di là della litigiosità, è ancora maggiore la quantità di cose non fatte perché è mancato il necessario preventivo consenso di qualcuno degli interessati. E’ infatti evidente che il nostro “federalismo” – sempre più caricatura di quello tedesco – invece di “specializzare” ciascun livello di governo alla produzione di determinati beni pubblici, coinvolge tutti e ciascuno in varie parti dei relativi processi decisionali ed esecutivi, aumentando così la probabilità di “fallimenti”. La stessa Costituzione del 2001 ha moltiplicato l’interdipendenza tra più livelli di governo con riferimento alle competenze relative agli immobili pubblici di maggior pregio. Ha infatti previsto (art. 117): 1) legislazione esclusiva dello Stato per la tutela; 2) legislazione concorrente Stato-Regioni “concorrente” significa: 7 per la valorizzazione, dove 2.1) le Regioni hanno potestà legislativa; 2.2) salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato; 2.3) mentre la potestà regolamentare spetta alle Regioni. A questo punto, non stupisce che i problemi si siano moltiplicati. Anzitutto perché tutela ha da molto tempo un significato univoco (cioè conservazione e pubblico godimento, come da legge del 1939), mentre la valorizzazione rimane un oggetto ambiguo. Nel caso di immobili pubblici di pregio – perciò ricompresi tra i beni che meritano tutela – la valorizzazione può contemplare anche nuove destinazioni d’uso? Può servire anche ad aumentare il valore economico di beni che non sono finalizzati a produrre un reddito? Deve precedere o può essere anche successiva all’eventuale (se autorizzata) alienazione di quegli immobili? A ben guardare, queste non sono questioni accademiche, ma incidono direttamente sul processo con il quale lo Stato può determinare il futuro degli immobili pubblici. Se questi edifici non sono di rilevante pregio architettonico e quindi non meritano tutela, non interviene l’art. 117 della Costituzione ed ogni loro necessaria valorizzazione non richiederà l’intervento a tal fine della Regione interessata. Il contrario avviene nel caso di immobili di pregio meritevoli di tutela: la legislazione relativa alla loro alienazione resta attribuita allo Stato, ma per ogni necessaria valorizzazione (che però in questo caso non sarà di tipo economico) dovrà essere coinvolta la Regione. Non stupisce che in molti casi la “tutela” da sola, cioè senza capacità di cooperazione tra livelli di governo, produca il suo contrario; cioè non ci sia né una buona conservazione né tanto meno il godimento del bene da parte del pubblico. D’altra parte, se la matrice delle competenze (il chi-fa-cosa) è “piena”, nel senso che tutti si occupano di tutto e devono partecipare ad ogni decisione, è chiaro che solo per caso8 quando c’è un problema si realizza la sua soluzione. Mentre la collusione tra privati può sempre raggiungere risultati, magari pessimi; ciò che non funziona è la nostra governance pubblica, che è quella che dovrebbe garantire la produzione di beni pubblici. Di qui lo squilibrio tipico del nostro paese tra un eccesso di beni privati e una scarsità di beni pubblici (che in questi anni ha in particolare caratterizzato il settore immobiliare). Abbiamo registrato, nello stesso periodo di tempo, un vero e proprio 8 Vedi il mio I rapporti tra livelli di governo, in “Amministrare”, aprile 1998, pp. 39-60. 8 boom di nuove costruzioni private, anche nei centri storici delle principali città, mentre si accumulava un crescente stock di immobili pubblici anche di pregio sottratto a qualsiasi impiego. Inconciliabili gli obiettivi e le risorse locali…… Tutti gli immobili dello Stato sono nel territorio di qualche Comune e in molti casi rappresentano oggi l’integrale dei sogni che in proposito hanno fatto più generazioni. C’è dunque un problema politico di prima grandezza: come riconciliare i sogni di tanti con i conti dell’economia. Le amministrazioni locali si trovano infatti (e continueranno a trovarsi, anche nei prossimi anni) tra il martello dei tagli ai trasferimenti che ricevono dallo Stato e l’incudine rappresentata dall’opportunità di acquisire una parte almeno degli immobili dello Stato presenti nel loro territorio. Soprattutto nel caso degli immobili di maggior pregio e che meglio possono riqualificare le zone delle città in cui sono inseriti, è evidente l’interesse delle amministrazioni locali ad essere controparte attiva del processo di dismissione di cui da tanti anni si parla (e si legifera!). Questo aspetto ha però ricevuto riconoscimenti alterni da parte del legislatore, e non si è riusciti ad andare al di là della generica indicazione dell’opportunità di accordi di programma. Si sarebbe potuto pensare che la accresciuta dose di imprenditorialità attribuita prima all’Agenzia del Demanio e poi al suo competitor, la Patrimonio dello Stato SpA, avrebbe potuto colmare quelle lacune riuscendo così a conciliare i desideri credibili delle amministrazioni locali con le esigenze dello Stato, dato il vincolo delle risorse disponibili (eventualmente integrate con capitali privati). Ma se questo processo non si è ancora realizzato è peraltro evidente che non vi sono molte realistiche alternative. ….. ma non sono immobili le norme L’aspetto emblematico di un paese che ha smesso di funzionare è il contrasto sempre più evidente tra le politiche che si vogliono realizzare e le norme di legge destinate a permettere il conseguimento di quegli obiettivi. Il risultato paradossale che abbiamo realizzato in Italia negli ultimi vent’anni è l’affannosa rincorsa tra obiettivi e 9 legislazione. A partire dalla legge 390/1986 ho contato9 negli ultimi vent’anni un totale di 23 interventi legislativi (compreso l’ultimo, dato dalla Legge Finanziaria per il 2007). Se vi aggiungiamo le norme relative alla eventuale alienabilità dei beni del demanio culturale, il numero delle leggi cresce ulteriormente: in questo caso siamo già riusciti a cambiare nel 2006 norme che erano state approvate solo nel 200410. Gli interventi normativi sono ancora maggiori se teniamo conto anche delle mutate regole relative all’attività delle istituzioni responsabili delle politiche di gestione, valorizzazione, e dismissione degli immobili stessi. Dapprima la riforma e il potenziamento della Agenzia del Demanio; quindi l’istituzione della Patrimonio dello Stato SpA. Infine, un crescente numero di Regioni ha legiferato (anche più volte) in tema di immobili, loro gestione, e valorizzazione. Lo studioso che oggi volesse ricostruire la normativa vigente in tema di immobili pubblici, dovrebbe sapersi destreggiare tra norme abrogate ed altre ancora in vigore ma in parte tra loro incompatibili, e faticherebbe non poco a pervenire ad un risultato univoco. Mettendo ordine in un puzzle fatto da decine di provvedimenti legislativi, si può arrivare alla conclusione che è possibile tutto, … e il suo contrario! Perché le norme relative agli immobili pubblici cambiano anche più volte in un anno? Oltre ai motivi già indicati, credo si debbano sottolineare due aspetti di metodo, che aiutano a capire perché il nostro da tempo non sia più un paese normale. Il primo aspetto, riguarda le esigenze di finanza pubblica. Molti di quegli interventi sono infatti originati da comprensibili esigenze di finanza pubblica: si vogliono dismettere immobili non più utilizzati e ritenuti non più necessari in futuro. 9 Per la situazione fino al 2001, vedi ancora S. Parlato - G. Vaciago, La dismissione degli immobili pubblici: la lezione del passato e le novità della Legge n. 410, 23 novembre 2001, Quaderni ref., n. 8, maggio 2002. Rileggendo oggi quel nostro lavoro del 2002, può stupire il relativo ottimismo con cui venivano sottolineate le opportunità rappresentate dalla Legge 410/2001. Ci era sembrato che si fosse già tenuto conto di tutte le cause dei due precedenti fallimenti. In effetti, alcuni successi la legge 410/2001 li ha registrati. Si veda il lavoro di Reviglio in questo volume. 10 E’ il caso del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, entrato in vigore il 1° maggio 2004, ma già modificato con i dlgs 156/2006 e 157/2006. Si confrontino in proposito le due formulazioni del primo comma dell’art. 55 che riguarda le condizioni che devono essere soddisfatte perché sia autorizzabile l’alienazione di immobili appartenenti al demanio culturale: prima versione (2004): “l’alienazione assicuri la tutela e la valorizzazione dei beni, e comunque non ne pregiudichi il pubblico godimento”; nuova versione(2006): “l’alienazione assicuri la tutela, la fruizione pubblica e la valorizzazione dei beni”. E’ possibile che la differenza tra queste due alternative dipenda dall’osservazione che di numerosi immobili di pregio non fosse stato (pensiamo a carceri e caserme!) mai previsto alcun “pubblico godimento”? 10 Ma i relativi proventi sono anche necessari per coprire un qualche buco di finanza pubblica e sono quindi non solo necessari, ma anche urgenti. Di qui la previsione di procedure incredibilmente rapide, del tutto irrealistiche per i normali tempi della nostra burocrazia. Il mancato rispetto dei tempi inizialmente indicati porta a ritardi che spesso vengono interpretati come difficoltà a realizzare le politiche stesse, che sono quindi modificate in nuove direzioni. Peccato che al cambiare delle norme, i procedimenti avviati vengano dismessi e se ne aprano di nuovi! Il circolo vizioso: nuove norme di legge e relativo procedimento amministrativo, viene dunque continuamente alimentato dall’innovazione (si fa per dire) legislativa. Il secondo aspetto da considerare riguarda il rapporto tra obiettivi e strumenti che è coinvolto dall’interagire tra attività di governo e relativa attività legislativa. Le norme di legge vengono continuamente cambiate perché pensate per il conseguimento di un qualche specifico obiettivo: cambiano gli strumenti (le norme) sia perché diversi sono gli obiettivi, sia perché servono nuovi strumenti per conseguire gli stessi precedenti obiettivi. Negli ultimi vent’anni, si è favorito anzitutto il trasferimento di immobili statali agli enti locali, per loro attività istituzionali. Poi si è preferita la strada finanziaria del collocamento degli immobili pubblici nei costituendi fondi di investimento. Poi ancora c’è stata una stagione di dismissioni che fossero anche vere e proprie privatizzazioni (in occasione delle aste di vendita degli immobili non era attribuito alcun diritto di prelazione agli enti locali)11. Al mutare degli obiettivi (trasferire ad altri la proprietà di immobili dello Stato) sono risultate prevalenti a volta semplici condizioni economiche, ma a volte contenuti istituzionali più ambiziosi. Di qui la scelta tra i diversi strumenti utilizzati. A ben guardare, due sono stati i principali problemi controversi attorno ai quali questa problematica ha continuamente ruotato. Il primo riguarda la scelta della funzione che l’immobile deve svolgere, cioè la sua destinazione d’uso. Il secondo problema riguarda l’individuazione del livello di governo cui è attribuita la responsabilità di quella decisione. 11 Come vedremo, la Legge Finanziaria 2007 propone una soluzione ancora diversa al ruolo degli enti locali. Non sono destinatari né di concessioni né di locazioni di immobili statali (due operazioni rivolte solo ai privati, cui gli enti locali collaborano nell’interesse dello sviluppo dei loro territori). Ma possono essere attivi partecipanti a permute con immobili tuttora in uso al Ministero della Difesa, quando ciò serva alle nuove esigenze delle forze armate (il riferimento un po’ enigmatico è al fabbisogno di abitazioni da soddisfare per le esigenze abitative di un esercito professionale e non più di leva). 11 Le cose sono ovviamente complesse quando si è in presenza di immobili che hanno valore culturale e storico, per i quali si pongono ulteriori problemi con riferimento alle molte questioni connesse ai processi di valorizzazione. Ciò è infatti ben diverso nei confronti dei beni culturali rispetto al caso di normali immobili anche di pregio suscettibili di impieghi più redditizi. Ricordiamo che di valorizzazione, con riferimento ai beni culturali si è iniziato a parlare negli anni ’70, quando si avvia il Ministero per i Beni culturali e ambientali. Ma è solo nel 1998 (con il dlgs 112) che si precisa che la tutela è riservata allo Stato mentre la valorizzazione spetta allo Stato come alle Regioni ed agli enti locali, ciascuno nel proprio ambito. E comunque valorizzazione significa un’attività mirata a migliorare il godimento (o la fruizione, come oggi si preferisce dire) del bene culturale stesso. E’ definitivamente chiarito nel Codice dei Beni Culturali (art. 6, comma 1, come integrato dal dlgs 24 marzo 2006, n. 156) che “la valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura”. La valorizzazione di cui spesso si è parlato in questi anni con riferimento agli immobili pubblici (e che, come vedremo, è centrale – seppure in modo nuovo – anche nella neonata Legge Finanziaria 2007) riguarda invece la loro utilizzazione a fini economici, e quindi contempla interventi di ristrutturazione (sempre esclusi per i beni culturali) e nuove destinazioni d’uso per lo svolgimento di attività economiche. Da questo punto di vista, valorizzazione equivale a “mettere a reddito”, e implica tutte quelle riconversioni e riqualificazioni che sono a tal fine necessarie. Questa valorizzazione è per definizione esclusa nel caso dei beni culturali, e non deve trarre in inganno il fatto che nel nuovo Codice dei Beni Culturali sia stata ripristinata la loro alienabilità, com’era nell’originaria Legge 1089/39. Perché l’alienazione di un bene culturale non può comunque alterarne né la tutela né la fruizione pubblica (e quindi anche le destinazioni d’uso ammesse dopo l’eventuale alienazione devono restare compatibili con la natura di quegli immobili, e non essere unicamente finalizzate al loro rendimento economico). Le novità della Legge Finanziaria 2007 Mentre il completamento del “Codice dei Beni Culturali” (decreto legislativo 22 12 gennaio 2004 n. 42; come integrato con i Dlgs. 156 e 157 del 2006) ulteriormente affinava la normativa relativa alla alienabilità degli immobili demaniali, ed anzitutto alla verifica della qualità dei diversi immobili pubblici in previsione di loro possibili alienazioni, il legislatore cambiava completamente rotta con la Legge Finanziaria 2007. L’alienazione degli immobili pubblici cessa infatti di essere una priorità, e si propongono altri ben diversi obiettivi: nuove regole di gestione, basate su un processo di valorizzazione che l’Agenzia del Demanio gestisce in cooperazione con gli enti locali, l’utilizzatore finale di quegli immobili essendo il settore privato con appositi contratti di concessione o locazione di lunga durata che potranno ricevere necessari finanziamenti anche grazie alle nasciture “Società di investimento immobiliari quotate”. Questo è il modello principale cui è dedicata buona parte della nuova normativa. Ci si è arrivati nel tradizionale modo con cui si costruisce una Legge Finanziaria, cioè per successive (nel giro di tre mesi!) approssimazioni; grazie ad emendamenti sia in prima sia in seconda lettura; con nuove norme ordinamentali che come è noto non dovrebbero stare in Finanziaria; e sparpagliando le norme stesse nelle parti più disparate della Legge, quasi per impedire che si riescano a trovare e magari anche a comprendere. Ma di tutto ciò vi è lunga tradizione (e si è visto anche di peggio!). Proviamo a ricostruire quale è il disegno che emerge dalla nuova legislazione, che senza alcun dubbio rappresenta ciò che il Governo intende realizzare nei prossimi anni (le norme - sia quelle iniziali sia quelle aggiunte nelle due tappe successive – sono tutte di fonte governativa, il contributo delle Camere in materia essendo stato nullo, anche nel dibattito). Anzitutto, la svolta radicale. In due commi che rientrano nell’insieme dei commi 259-265, tutti dedicati agli immobili pubblici, (mentre un’altra sezione relativa alle SIIQ è nei commi 119-141; essendovi poi una lunga serie di altri commi relativi agli immobili, privati e pubblici, sparpagliati qua e là nella Legge Finanziaria 2007) è stabilito che il metodo “normale” di valorizzazione e utilizzazione a fini economici dei beni immobili di proprietà dello Stato a partire dal 2007 diventano rispettivamente la concessione o la locazione a privati; in ambedue i casi per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell’equilibrio economico–finanziario dell’iniziativa e non superiore a cinquant’ anni. I privati che riceveranno, mediante procedure ad evidenza pubblica, detti beni in concessione o in locazione gestiranno i corrispondenti progetti di recupero-restauro- 13 ristrutturazione e quindi impiegheranno gli immobili così riqualificati per lo svolgimento di attività economiche o di servizio per i cittadini. Essendo escluso ogni diritto di prelazione a favore degli enti locali interessati, il loro coinvolgimento avverrà unicamente in sede di conferenze di servizi o accordi di programma relativi a quelle iniziative di valorizzazione, con la previsione di incassare un contributo di costruzione riferito alle opere necessarie alla riqualificazione degli immobili stessi. Per alimentare questo principale canale di valorizzazione e uso degli immobili dello Stato attualmente inutilizzati, è indicato un piano di trasferimento di immobili per complessivi quattro miliardi di euro dal Ministero della Difesa all’Agenzia del Demanio (in quattro rate semestrali di 1 miliardo di euro ciascuna, nel biennio 2007-8). Accanto a questa modalità di riqualificazione degli immobili dello Stato, c’è un secondo canale che è invece di collegamento diretto (seppure intermediato dall’Agenzia del Demanio) tra Ministero della Difesa ed enti territoriali, ed è la possibilità di permuta di immobili tuttora in uso per fini istituzionali con altri immobili degli enti locali. E’ stato aggiunto alla Legge Finanziaria come emendamento del Governo, presumibilmente per consentire di portare a termine trattative già avviate tra il Ministero della Difesa ed alcuni enti locali. Nulla è peraltro detto sul futuro di questi immobili oggi militari, una volta pervenuti agli enti locali partecipanti alla permuta stessa. Si deve presumere che essi rientrino nel loro patrimonio disponibile. In generale, le (radicali) novità contenute nella Legge Finanziaria 2007 risolvono passati problemi e ne aprono di nuovi. Rispetto al passato, abbiamo alcuni evidenti passi avanti: 1) L’Agenzia del Demanio è chiaramente indicata come responsabile dei nuovi risultati da ottenere. Si dovrebbe così superare la situazione finora prevalente di leggi che decidevano cosa dovesse succedere senza mai indicare anche chi ne avesse la responsabilità. Situazione tante volte deprecata dalla Corte dei Conti12 12 Da anni, ma di solito senza molte conseguenze, la Corte dei Conti lamenta l’abbandono in cui sono stati lasciati tanti immobili pubblici (dei quali non si è neppure riusciti ad avere un elenco completo). Nel suo ultimo intervento in merito, la Corte ha sottolineato “le difficoltà di poter conseguire ambiziosi, ma realistici obiettivi di proficui realizzi da vendite di immobili, ragioni legate a carenze organizzativogestionali ed allo scarso interesse che presentano per i potenziali acquirenti immobili degradati, ovvero abusivamente occupati, e comunque scarsamente appetibili.” Corte dei Conti, Giudizio di parificazione del rendiconto generale dello Stato relativo all’esercizio finanziario 2005, Roma, 28 giugno 2006, p. 318. Nella stessa relazione, pubblicata il 28 giugno 2006, la Corte lamenta (pag. 288) che il censimento 14 che con riferimento all’attività svolta dall’Agenzia del Demanio ne ha apprezzato i progressi “sia pure ancora in termini prevalentemente potenziali e di comunicazione e di immagine13”. 2) La necessità di giochi cooperativi con gli enti locali è pure riaffermata, e il loro ruolo con riferimento all’individuazione delle nuove destinazioni d’uso chiaramente riconosciuto. 3) E’ saggiamente spostata l’ enfasi dalla proprietà all’ uso (e 50 anni di tempo per una concessione o per una locazione sono un periodo di tempo chiaramente in linea con le pratiche internazionali). Naturalmente, restano anche problemi: 1) Occorrerà un qualche rodaggio delle nuove norme per tutti e quattro i loro aspetti: permute; concessioni, locazioni; ed istituzione delle Siiq. 2) Occorre inoltre capire se il ricorso alle concessioni (si deve presumere limitato al caso dei beni culturali, poiché è solo con riferimento a questi che si può configurare l’interesse pubblico insito nel bene considerato; mentre è di norma privato l’interesse perseguito nel caso della locazione, come chiarito dalla sentenza della Cassazione dell’11 febbraio 2005, n. 2852) potrà contemplare – per analogia – l’applicabilità di tutta la normativa già prevista dal Codice dei Beni culturali per il caso delle alienazioni. 3) Sarà soprattutto necessario avere successo nel convincere tutti gli interessati, e sono tanti, che la nuova strategia è volta alla valorizzazione degli immobili pubblici e quindi non ha più come priorità dismissioni finalizzate a ridurre il debito pubblico, ma semmai quella della crescita economica. In termini degli impegni di Maastricht (1992) volti a ridurre il rapporto % tra Debito e Reddito nazionale, dopo 15 anni trascorsi invano a cercare di ridurre il numeratore (il Debito), ora si prova a far crescere il denominatore (il Reddito). realizzato dall’Agenzia non consenta una gestione strategica del patrimonio dello Stato non avendo definito gli indispensabili elementi informativi. 13 Corte dei Conti, Analisi dei risultati delle cartolarizzazioni, Roma 9 gennaio 2006, pag. 15. 15 Conclusioni Dall’ esperienza degli ultimi vent’anni ho imparato che se si chiamano “immobili” una ragione ci deve essere. E’ infatti difficilissimo cambiarne qualche aspetto: destinazione d’uso, titolo di proprietà, e così via. D’altra parte, il declino di un paese non è dimostrato solo dalla scarsa crescita del Pil. Ma anzitutto dall’incapacità della politica e delle istituzioni a garantire buone regole - e il loro rispetto nell’interesse comune, cioè di tutti e di ciascuno. In questo senso le vicende degli immobili pubblici, negli ultimi vent’anni, sono l’emblematico esempio di un paese-che-non-funziona. Nei paesi normali, conservazione e pubblico godimento degli immobili di pregio non richiedono sempre la proprietà pubblica. Nel nostro caso, la proprietà pubblica è invece normalmente prevista, ma a volte è d’ostacolo al realizzarsi stesso degli obiettivi della tutela. Come si esce da questo circolo vizioso? E’ evidente che la priorità non può essere l’ennesima previsione legislativa di un lungo elenco di immobili, inutilizzati, da dismettere. Ma dovrebbe essere anzitutto la riscoperta di un metodo di governo - possibilmente da sperimentare inizialmente in un numero limitato di casi di accertata fattibilità – che corregga i difetti finora riscontrati e possa rappresentare un caso di best practice equivalente ai migliori esempi del resto d’Europa. 14Soprattutto nel caso degli immobili pubblici di valore architettonico, spesso presenti all’interno di centri storici di qualità, è evidente che la priorità debba essere attribuita alle caratteristiche dei processi di recupero quando necessari; con destinazioni d’uso coerenti con la storia e il pregio di quegli edifici. E’ anche ovvio come tutto ciò debba sì coinvolgere le amministrazioni locali, seppure nel rigoroso rispetto di competenze e di precise responsabilità politiche e amministrative, ma debba anche saper attrarre l’interesse (e i capitali) di tutto il mondo. E’ infine evidente perché questo processo non possa essere governato dal Ministero delle Finanze, o da una sua Agenzia, ma debba essere posto al centro dell’azione di governo, rappresentando un contributo essenziale al miglior funzionamento del Paese nell’interesse della sua crescita. 14 I migliori esempi di rinnovamento urbano che si presentano oggi in Europa potrebbero insegnarci molto, se solo riuscissimo ad essere meno provinciali. Vedi S. Roodhouse, Cultural Quarters, Principles and practices, Intellect, Bristol, 2006. 16 Elenco Quaderni già pubblicati 1. L. Giuriato, Problemi di sostenibilità di programmi di riforma strutturale, settembre 1993. 2. L. Giuriato, Mutamenti di regime e riforme: stabilità politica e comportamenti accomodanti, settembre 1993. 3. U. Galmarini, Income Tax Enforcement Policy with Risk Averse Agents, novembre 1993. 4. P. Giarda, Le competenze regionali nelle recenti proposte di riforma costituzionale, gennaio 1994. 5. L. Giuriato, Therapy by Consensus in Systemic Transformations: an Evolutionary Perspective, maggio 1994. 6. M. Bordignon, Federalismo, perequazione e competizione fiscale. Spunti di riflessione in merito alle ipotesi di riforma della finanza regionale in Italia, aprile 1995. 7. M. F. Ambrosanio, Contenimento del disavanzo pubblico e controllo delle retribuzioni nel pubblico impiego, maggio 1995. 8. M. Bordignon, On Measuring Inefficiency in Economies with Public Goods: an Overall Measure of the Deadweight Loss of the Public Sector, luglio 1995. 9. G. Colangelo, U. Galmarini, On the Pareto Ranking of Commodity Taxes in Oligopoly, novembre 1995. 10. U. Galmarini, Coefficienti presuntivi di reddito e politiche di accertamento fiscale, dicembre 1995. 11. U. Galmarini, On the Size of the Regressive Bias in Tax Enforcement, febbraio 1996. 12. G. Mastromatteo, Innovazione di Prodotto e Dimensione del Settore Pubblico nel Modello di Baumol, giugno 1996. 13. G. Turati, La tassazione delle attività finanziarie in Italia: verifiche empiriche in tema di efficienza e di equità, settembre 1996. 14. G. Mastromatteo, Economia monetaria post-keynesiana e rigidità dei tassi bancari, settembre 1996. 15. L. Rizzo, Equalization of Public Training Expenditure in a Cross-Border Labour Market, maggio 1997. 16. C. Bisogno, Il mercato del credito e la propensione al risparmio delle famiglie: aggiornamento di un lavoro di Jappelli e Pagano, maggio 1997. 17. F.G. Etro, Evasione delle imposte indirette in oligopolio. Incidenza e ottima tassazione, luglio 1997. 18. L. Colombo, Problemi di adozione tecnologica in un’industria monopolistica, ottobre 1997. 19. L. Rizzo, Local Provision of Training in a Common Labour Market, marzo 1998. 20. M.C. Chiuri, A Model for the Household Labour Supply: An Empirical Test On A Sample of Italian Household with Pre-School Children, maggio 1998. 21. U. Galmarini, Tax Avoidance and Progressivity of the Income Tax in an Occupational Choice Model, luglio 1998. 22. R. Hamaui, M. Ratti, The National Central Banks’ Role under EMU. The Case of the Bank of Italy, novembre 1998. 23. A. Boitani, M. Damiani, Heterogeneous Agents, Indexation and the Non Neutrality of Money, marzo 1999. 24. A. Baglioni, Liquidity Risk and Market Power in Banking, luglio 1999. 25. M. Flavia Ambrosanio, Armonizzazione e concorrenza fiscale: la politica della Comunità Europea, luglio 1999. 26. A. Balestrino, U. Galmarini, Public Expenditure and Tax Avoidance, ottobre 1999. 27. L. Colombo, G. Weinrich, The Phillips Curve as a Long-Run Phenomenon in a Macroeconomic Model with Complex Dynamics, aprile 2000. 28. G.P. Barbetta, G. Turati, L’analisi dell’efficienza tecnica nel settore della sanità. Un’applicazione al caso della Lombardia, maggio 2000. 29. L. Colombo, Struttura finanziaria delle imprese, rinegoziazione del debito Vs. Liquidazione. Una rassegna della letteratura, maggio 2000. 30. M. Bordignon, Problems of Soft Budget Constraints in Intergovernmental Relationships: the Case of Italy, giugno 2000. 31. A. Boitani, M. Damiani, Strategic complementarity, near-rationality and coordination, giugno 2000. 32. P. Balduzzi, Sistemi pensionistici a ripartizione e a capitalizzazione: il caso cileno e le implicazioni per l’Italia, luglio 2000. 33. A. Baglioni, Multiple Banking Relationships: competition among “inside” banks, ottobre 2000. 34. A. Baglioni, R. Hamaui, The Choice among Alternative Payment Systems: The European Experience, ottobre 2000. 35. M.F. Ambrosanio, M. Bordignon, La concorrenza fiscale in Europa: evidenze, dibattito, politiche, novembre 2000. 36. L. Rizzo, Equalization and Fiscal Competition: Theory and Evidence, maggio 2001. 37. L. Rizzo, Le Inefficienze del Decentramento Fiscale, maggio 2001. 38. L. Colombo, On the Role of Spillover Effects in Technology Adoption Problems, maggio 2001. 39. L. Colombo, G. Coltro, La misurazione della produttività: evidenza empirica e problemi metodologici, maggio 2001. 40. L. Cappellari, G. Turati, Volunteer Labour Supply: The Role of Workers’ Motivations, luglio 2001. 41. G.P. Barbetta, G. Turati, Efficiency of junior high schools and the role of proprietary structure, ottobre 2001. 42. A. Boitani, C. Cambini, Regolazione incentivante per i servizi di trasporto locale, novembre 2001. 43. P. Giarda, Fiscal federalism in the Italian Constitution: the aftermath of the October 7th referendum, novembre 2001. 44. M. Bordignon, F. Cerniglia, F. Revelli, In Search for Yardstick Competition: Property Tax Rates and Electoral Behavior in Italian Cities, marzo 2002. 45. F. Etro, International Policy Coordination with Economic Unions, marzo 2002. 46. Z. Rotondi, G. Vaciago, A Puzzle Solved: the Euro is the D.Mark, settembre 2002. 47. A. 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Ambrosanio, Il ruolo degli enti locali per lo sviluppo sostenibile: prime valutazioni, luglio 2004. 57. M. F. Ambrosanio, M. S. Caroppo, The Response of Tax Havens to Initiatives Against Harmful Tax Competition: Formal Statements and Concrete Policies, ottobre 2004. 58. A. Monticini, G. Vaciago, Are Europe’s Interest Rates led by FED Announcements?, dicembre 2004. 59. A. Prandini, P. Ranci, The Privatisation Process, dicembre 2004. 60. G. Mastromatteo, L. Ventura, Fundamentals, beliefs, and the origin of money: a search theoretic perspective, dicembre 2004. 61. A. Baglioni, L. Colombo, Managers’ Compensation and Misreporting, dicembre 2004. 62. P. Giarda, Decentralization and intergovernmental fiscal relations in Italy: a review of past and recent trends, gennaio 2005. 63. A. Baglioni, A. Monticini, The Intraday price of money: evidence from the eMID market, luglio 2005. 64. A. Terzi, International Financial Instability in a World of Currencies Hierarchy, ottobre 2005. 65. M. F. Ambrosanio, A. Fontana, Ricognizione delle Fonti Informative sulla Finanza Pubblica Italiana, gennaio 2006. 66. L. Colombo, M. Grillo, Collusion when the Number of Firms is Large, marzo 2006. 67. A. Terzi, G. Verga, Stock-bond correlation and the bond quality ratio: Removing the discount factor to generate a “deflated” stock index, luglio 2006. 68. M. Grillo, The Theory and Practice of Antitrust. A perspective in the history of economic ideas, settembre 2006. 69. A. Baglioni, Entry into a network industry: consumers’ expectations and firms’ pricing policies, novembre 2006. 70. Z. Rotondi, G. Vaciago, Lessons from the ECB experience: Frankfurt still matters!, marzo 2007. 71. G. Vaciago, Gli immobili pubblici…..ovvero, purché restino immobili, marzo 2007.