Sfiducia e sogno del posto fisso nella pubblica amministrazione

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Sfiducia e sogno del posto fisso nella pubblica amministrazione
Sfiducia e
sogno del posto fisso nella
pubblica amministrazione, una ricerca fotografa il disincanto dei giovani
La Repubblica degli Stagisti
11-03-2015
Hanno una visione «pragmatica» del lavoro, inteso soprattutto nella sua
accezione di strumento di guadagno, e credono ben poco alla realizzazione
personale e alla possibilità di fare carriera. Non stupisce che i risultati di
una recente ricerca dell’agenzia per il lavoroGiGroup arrivino in una fase in cui
trovare un lavoro e, soprattutto, trovare un lavoro soddisfacente, sembra sempre
più
un
sogno.
Lo studio ha coinvolto più di 2mila giovani di età compresa tra i 25 e i 29 anni, di
cui un terzo con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, genitori e un
gruppo di 30 aziende. Manca invece completamente la fascia 29-35, che sarebbe
stata interessante da analizzare perché comprensiva di buona parte dei laureati in
cerca di lavoro o alle prime esperienze professionali. Aree di indagine: situazione
professionale dei giovani, orientamento e ricerca dell’occupazione,
rappresentazione del lavoro con focus sulle professioni manuali e
apprendistato.
La Repubblica degli Stagisti ha provato a fare il punto sugli aspetti salienti della
pubblicazione con l’aiuto di Donato Speroni, giornalista e docente di economia e
statistica, e Giacomo D'Arrigo, direttore generale dell'Agenzia nazionale giovani,
partendo proprio dal ritratto giovanile che ne risulta. «Credo che l’immagine
pragmatica dei giovani emersa dalla ricerca corrisponda a una visione realistica.
Molti dei lavori offerti loro sono di scarsa soddisfazione e con poche prospettive
di carriera. Non c’è da stupirsi che la maggioranza dei giovani avverta questa
situazione, che corrisponde a mio avviso all’evoluzione del mondo del
lavoro. Ormai la carriera, tranne che in una minoranza di casi, si costruisce
passando da un lavoro all’altro», spiega Speroni. Non condivide invece il ritratto
giovanile emerso dalla ricerca D'Arrigo: «I giovani che ho avuto modo di
conoscere io cercano di impegnarsi, di trovare strumenti per realizzare idee, sono
giovani
creativi
attivi
nel
terzo
settore».
Nonostante ciò dallo studio spicca impietosa un’altra evidenza, ossia
la predilezione della maggior parte degli intervistati per un impiego nel settore
pubblico, visto addirittura come il «lavoro dei sogni», in grado di offrire la stabilità
tanto desiderata. I genitori invece vedrebbero volentieri i figli all’interno di una
multinazionale. Insomma il pubblico è amato perché visto tradizionalmente come
sinonimo di una sicurezza sempre meno accessibile, come sostiene anche
Speroni: «il posto fisso è sempre più il sogno. Chi non lo vorrebbe, in un’epoca
di tanta incertezza? Ma è sempre più difficile ottenerlo. Ad esempio anche le
assunzioni a tempo indeterminato nelle piccole aziende non possono più dare
la certezza del posto fisso, perché esse stesse non sono eterne».
Non a caso l'indagine afferma che né i giovani né i genitori hanno una visione
positiva della piccola e media impresa come ambito in grado di garantire
un’occupazione stabile. Così come si guarda sempre con una certa diffidenza al
lavoro manuale da parte di tutti e tre i soggetti intervistati: figli, genitori e
aziende. Giudizio che non trova d’accordo Speroni: a suo avviso sono proprio le
occupazioni in cui il contributo dell’uomo è fondamentale a costituire chance
importanti di impiego in uno scenario di passaggio verso la crescente
automazione. «Nel giro di qualche anno quasi una metà dei posti di lavoro tanto
ambiti negli uffici verrà eliminata dall’automazione. Certo, resterà una minoranza
che padroneggia tecnologia o finanza, i privilegiati. Ma gli altri? A quel punto è
molto più gratificante il tanto disprezzato lavoro manuale, cioè l’artigianato, che
può offrire prospettive interessanti laddove l’uomo è insostituibile».
Quanto alle modalità di ricerca del lavoro, emerge una nuova e per certi versi quasi
incredibile discrepanza tra genitori e figli: se i primi ripongono fiducia in canali
come siti web specializzati, i giovani danno ancora grande peso alla rete di
conoscenze individuali. «Le difficoltà nel trovare lavoro ci sono e la rete di
conosce indubbiamente è preziosa. Sulle raccomandazioni bisogna però
distinguere tra quelle indebite, per esempio per vincere un concorso pubblico, e
quelle che sono in realtà referenze: preferisco assumere una persona perché
probabilmente potrò fidarmi di più. Inoltre, come si dice anche nella
ricerca, l’Italia ha una struttura produttiva basata su aziende piccole e piccolissime
che è difficile raggiungere con strumenti formali. Mi sembra che i genitori
rispondano con una sorta di wishful thinking: il lavoro si dovrebbe cercare
mandando in giro cv e consultando siti specializzati. I giovani più realisticamente
sanno che i curriculum lasciano il tempo che trovano e i siti specializzati non
sempre corrispondono alle promesse: si pensi ad esempio ai ritardi nel
programma europeo Garanzia Giovani, nato proprio per mettere in contatto i
giovani con il mondo del lavoro attraverso un sito ad hoc», commenta il docente.
Anche qui D'Arrigo non è completamente d'accordo: «Certamente l'attuale crisi
pone oggettive difficoltà nella ricerca del lavoro, che portano i giovani a pensare
che la strada più facile sia quella delle conoscenze e relazioni personali. Ma è
sbagliato lanciare un messaggio del genere. I giovani sanno che per lavorare, e
magari per fare il lavoro dei loro sogni, devono rimboccarsi le maniche e questi
giovani, figli della generazione Erasmus, sanno benissimo come farlo e cosa
significhi fare sacrifici per riuscire nella vita. Quindi la ricerca, lo studio, il lavoro
a progetti come Erasmus +, sono strumenti che li aiutano nella ricerca del lavoro
e
questo
i
giovani
lo
sanno».
Ma in una cornice di forte scetticismo esistono segnali positivi? Speroni vede di
buon occhio il tentativo di riordino delle attuali tipologie contrattuali messo in
campo dal Jobs Act, considerata un’operazione di «svecchiamento del sistema»,
che anche secondo D'Arrigo«sta delineando migliori condizioni di lavoro che
potranno creare più occasioni per i giovani senza costringerli a dover sognare il
posto
fisso
come
unica
possibilità».
Sia Speroni sia D'Arrigo guardano con favore al contratto di apprendistato,
giudicato anche da genitori e figli una buona opportunità di ingresso nel mercato
del lavoro: «l’apprendistato è stato ulteriormente modificato con il Decreto lavoro
dello scorso anno, che è stato il primo atto del Jobs Act di Renzi e ha creato una
certa attesa. Certo, è meglio un apprendistato con stipendio ridotto e obblighi
formativi rispetto a uno stage senza stipendio…». È importante però, come
sottolinea il direttore dell'Agenzia nazionale giovani, che «l'apprendistato sia
legato poi a un percorso che porti all'assunzione del giovane o comunque a una
facilità per il giovane apprendista di inserirsi in qualsiasi contesto di lavoro. Una
delle questioni che l'apprendistato potrebbe aiutare a risolvere è l'inserimento nel
mercato del lavoro prima rispetto a quanto avviene ora, per portarci in linea con il
resto
dell'Europa».
La formazione deve essere infine un importante punto di attenzione in un’ottica
di miglioramento del nostro mercato occupazionale: «sono convinto che il più
grande obiettivo politico che abbiamo davanti è togliere ai giovani l’angoscia del
futuro, con una società inclusiva che ti protegge anche quando perdi il lavoro»
chiude Speroni: «Il vero nodo è la garanzia di una remunerazione adeguata nel
passaggio da un lavoro all’altro. Ovviamente bisogna evitare che questo possa
diventare un incentivo a vivere alle spalle dei contribuenti o a lavorare in nero,
come accadeva con certe forme di cassa integrazione. Da qui il problema della
formazione per cogliere opportunità di lavoro rese sempre più variabili dalla
tecnologia, e del controllo su chi percepisce indennità di disoccupazione; insomma
di un “sistema lavoro” che in Italia è ancora da costruire».
Chiara Del Priore