Conoscere_ed_amare_l`Eucaristia

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Conoscere_ed_amare_l`Eucaristia
Gioacchino Ventimiglia
Conoscere ed amare
l’Eucaristia
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Introduzione
Se proviamo ad immaginare qualche aggettivo, per descrivere i sentimenti
che prova un fedele devoto verso il Santissimo Sacramento
dell’Eucaristia, rimaniamo tutti senza parole, perché è difficile trovare
una parola adeguata, così come è difficile parlare dell’Eucaristia senza
provare interiormente una sensazione di inadeguatezza verso un mistero
che è troppo grande per noi per poterlo comprendere.
Tutto quello che possiamo fare, per parte nostra, è accostarci al Mistero
con profonda e rispettosa umiltà, chiedendo la Grazia di comprendere
quanto ci basta per poter amare il mistero Eucaristico con tutte le nostre
profondità spirituali e di essere aiutati a parlarne quanto basta per
diffondere e promuovere l’amore e la devozione verso il SS.mo
Sacramento dell’Eucaristia, perché se è vero che non si può conoscere ciò
che è bello e buono, senza conseguentemente amarlo e desiderarlo, è
anche vero che è umanamente impossibile amare ciò che non si conosce o
si conosce poco.
Mi sono allora profuso in uno sforzo, teso ad approfondire, per quanto
possibile, il Mistero Eucaristico, alla luce della vasta letteratura che la
Chiesa ci mette disposizione, a partire dalle Sacre scritture, e poi, a
seguire, le Encicliche Papali sull’argomento e poi ancora le testimonianze
dei Santi devoti dell’Eucaristia.
Il risultato di questo lavoro è approdato alla stesura di un opuscoletto,
utilizzato in una serie di incontri di meditazione sul tema dell’Eucaristia,
all’interno di un programma formativo sull’argomento..
Si propone all’attenzione la lettura di questo opuscolo come semplice ed
umile strumento per meditare sulle ricchezze del Divino Sacramento
Eucaristico del Corpo e Sangue del Signore, al fine anche di accrescere
nel cuore dei fedeli l’amore e la devozione verso di Esso.
L’autore
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Che cosa è l’eucaristia ?
E’ una domanda difficilissima alla quale rispondere. Di primo acchito
sembrerebbe facile, ma le risposte che noi possiamo dare a questo
quesito affrontano solo in superficie il merito della questione : in realtà
l’Eucaristia è il Grande Mistero di Dio.Ogni risposta che noi possiamo dare
a questa domanda è una libera interpretazione del pensiero di Dio, che
può avvicinarsi alla verità, la quale ci sarà nota in tutto il suo splendore
soltanto quando abbandoneremo il mondo materiale e ritorneremo a Dio,
a cui apparteniamo e da cui proveniamo.
Siamo certi di dire tutta la verità se affermiamo che la Santissima
Eucaristia è la cura, lo strumento, la medicina più importante che Gesù ci
ha lasciato per la nostra santificazione e dunque per la nostra salvezza, e
quindi essa è il segno più grande ed evidente dell’amore di Dio per
l’umanità, dopo il dono di Gesù ed il suo olocausto sulla croce.
Essa è un Sacramento, cioè un segno invisibile della Grazia Divina, ma a
differenza degli altri Sacramenti, l’Eucaristia è Dio stesso che si dona a
noi per mezzo del Signore Gesù, e non semplicemente il tocco della Grazia
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Divina: per questo l’Eucaristia è il maggiore ed il più importante dei sette
Sacramenti.
Molte sono le domande che ci porremo in questo anno di Grazia che il
Signore ci concede, illuminando ed aprendo le nostre menti, affinchè, con
una più approfondita conoscenza del “Sacramento dell’Amore”, possiamo
amarlo più profondamente, ed amandolo in pienezza, possiamo
testimoniare agli altri la nostra devozione verso l’Eucaristia e diventare
Apostoli dell’Amore Eucaristico di Gesù per tutti gli uomini.
A tutte queste domande cercheremo di rispondere scendendo nelle
profondità del mistero eucaristico, utilizzando ogni mezzo, dalla Sacra
scrittura, al pensiero ed alla testimonianza dei Santi, in modo particolare
i dottori della Chiesa ed i Santi il cui carisma è stato amare ed adorare la
presenza di Gesù, nostro Signore, nella particella di pane azzimo e nel
calice di vino consacrati.
Eviteremo di ripetere le nozioni di base su questo Sacramento, perché
diamo per scontato che ciascuno di noi le possiede, e quando lo faremo,
ciò servirà come base per approfondire i concetti e per salire ad un livello
di maggiore profondità ed altezza conoscitiva.
In questa trattazione non servirà una grande intelligenza per capire, né
spremere le meningi, bensì aprire il cuore alla comprensione del Grande
Mistero, perché questo è l’unico modo per capire: l’Eucaristia si conosce e
si comprende con il cuore, non con la mente; per queste ragioni il Mistero
è svelato da Dio soltanto ai piccoli.
Il Signore non diede molte spiegazioni agli Apostoli, ma non lo fece per
non dare loro molta confidenza, come diciamo a volte noi, bensì non lo
fece perché non erano ancora pronti a ricevere una spiegazione; se Gesù
lo avesse fatto loro non avrebbero capito.
Nella notte in cui fù tradito Gesù compì dei gesti, pronunciando delle
parole misteriose, raccomandando soltanto che essi facessero come Egli
stava loro insegnando, cioè gli stessi gesti e le stesse parole, in memoria
di Lui. Gli Apostoli non compresero quel che Gesù stava facendo, anzi si
scandalizzarono sentendo le parole “questo è il mio corpo…….e questo è il
mio sangue, mangiatene e bevetene tutti”, e si interrogarono su quel che
stava accadendo, ma prevalse la fiducia nel loro Signore e soprattutto
l’amore, sicchè mangiarono quel pane e bevvero quel vino, che Gesù loro
offrì, come Suo Corpo e Suo Sangue.
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Capite che l’amore e la fiducia verso Gesù sono i sentimenti che animarono
le prime comunioni Eucaristiche della storia cristiana, da parte degli
apostoli.Ma, se ci soffermiamo un attimo a riflettere, ammetteremo che
amore e fiducia verso Dio sono i sentimenti che animano la Fede della
Chiesa, e che quindi la Fede della Chiesa, cioè la Chiesa stessa, è costruita
su due pilastri fondamentali: l’amore e la fiducia verso Dio, che amiamo e
conosciamo nella Santissima Persona di Gesù Cristo, Signore nostro.
Vedete come tutto parte dall’Eucaristia, che è il punto di partenza della
vita cristiana, ma vedremo meglio, dopo, che Essa è anche il punto di
arrivo, cioè il culmine della vita cristiana stessa.Essa è come un cerchio,
da essa partiamo e ad essa tendiamo.
L’Eucaristia è anche il cuore della Chiesa, ed i suoi polmoni; senza questo
cuore non c’è vita e senza questi polmoni non si respira la Grazia Divina.
E’ impossibile una vita cristiana senza Eucaristia: è una illusione sterile,
quella di tanti cristiani, di poter vivere la fede astenendosi dalla
Confessione e dalla Santa Comunione ; per questa illusoria convinzione
molti non progrediscono nella loro vita spirituale, rimanendo ancorati ai
loro difetti, di cui non riescono a liberarsi, come una nave incagliata in una
secca, e anzi regrediscono divenendo peggiori e scandalo per coloro che
non credono.
L’Eucaristia è come la pioggia, senza di essa il terreno inaridisce e non
produce frutti.
Non si acquistano le virtù cristiane senza l’Eucaristia, ed in breve tempo
le anime che se ne privano si inaridiscono e diventano permeabili ai vizi e
prossime ad una facile perdita della fede e delle altre virtù teologali, in
modo particolare la speranza, sotto i colpi delle insidie sataniche, e delle
tentazioni del mondo e dei nostri peggiori istinti, che sono i nostri più
temibili nemici.
Al contrario, le anime che si cibano frequentemente e degnamente
dell’Eucaristia sono come piante bagnate dalla rugiada e come fiori
profumati, che si aprono sotto i raggi del sole, o piuttosto come alberi di
frutta pingui e sovrabbondanti.
Non a caso il Signore Gesù ha usato l’allegoria della vite e dei tralci: noi
siamo tralci della vite sinchè siamo parte della vigna e riceviamo la linfa
vitale dalla pianta, che ci consente di portare frutto; ma nel momento in
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cui non riceviamo più la linfa vitale i tralci si seccano e diventano legna
inutile, da tagliare e bruciare.
La vite è il Signore Gesù, i tralci siamo noi, la linfa è la Grazia Divina
veicolata dai Sacramenti tutti, ma in modo particolare dall’Eucaristia, i
frutti sono le nostre buone opere ed in particolare i nostri progressi
spirituali, di cui le nostre azioni sono la conseguenza naturale; la potatura
è l’azione della Divina Provvidenza, che mette a frutto tutti gli eventi
della nostra vita, al fine della nostra santificazione, persino i nostri
errori, persino i nostri peccati (“Tutto concorre al bene di coloro che il
Signore ama” S.Paolo) ; i tralci tagliati simboleggiano la fine irreversibile
della vita di Grazia, che il rifiuto dell’Amore Divino e dei suoi precetti ci
procura, se siamo ostinati sino al momento della morte ; il fuoco è il
destino dell’eterna separazione da Dio, nostro unico e sommo bene, questo
è l’inferno: per evitare che la nostra vita si concluda con un dramma, con
una tragedia senza fine, non c’è che un solo rimedio : amare l’Eucaristia,
nutrirci frequentemente di questo Santo Ciborio, adorare la presenza
Eucaristica di Gesù nel mondo, ed infine vivere l’Eucaristia, che è la cosa
più difficile da fare, perché significa testimoniare la presenza eucaristica
in noi, e comportarci come Gesù si comporta con noi.
Egli infatti divenuto olocausto per i nostri peccati, volontariamente, ha
offerto la sua vita per noi e dopo aver fatto questo si è fatto cibo per
noi, come una mamma farebbe, non avendo altro da dare ai suoi piccoli.
L’esempio del Pellicano, che ha fatto si che S.Tommaso D’Aquino
paragonasse il Cristo a questo volatile, è perfetto: infatti mamma
Pellicano, non trovando cibo per i suoi piccoli, si ferisce il petto con il
becco e procura di somministrare il suo stesso corpo ed il suo sangue ai
suoi pulcini, felice di farlo, perché sa che così vivranno e non morranno.
La stessa cosa siamo chiamati a fare noi nell’imitazione di Cristo Signore.
Noi diventiamo cibo per il nostro prossimo quando siamo capaci di donarci,
che vuol dire offrire il nostro aiuto ed il nostro soccorso senza chiedere
nulla in cambio; siamo cibo anche quando perdoniamo, amiamo,
condividiamo quel che abbiamo, nel poco e nel molto, non solo a livello
materiale, ma anche quando mettiamo a disposizione i nostri talenti,
quando comprendiamo, siamo solidali,quando non giudichiamo, cioè
rinunciamo al disprezzo delle miserie altrui, rinunciamo ai nostri egoismi,
quando smettiamo di considerarci migliori degli altri; quando facciamo
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questo l’eucaristia diventa proficua per noi. C’è come una reciprocità, Essa
agisce tanto più in noi quanto più noi siamo decisi ed efficaci nell’amare e
quindi nel donarci al nostro prossimo.
Come dire che questo cibo è profittevole per noi quanto più il cibo che noi
diamo agli altri e profittevole verso di loro.
Dio ci nutre proteggendoci ed avvolgendoci nella sua Grazia con
l’Eucaristia, chiedendo in cambio a noi di fare altrettanto con il nostro
prossimo, avvolgendo e proteggendo il nostro prossimo, con il nostro
amore, con la nostra solidarietà, con la nostra comprensione.
Il Progetto di Dio, sin dalla creazione del mondo, è una spirale di amore,
che cresce sempre di più, avvolgendo il mondo e tutte le creature, non
solo gli uomini. Non è un caso che S.Giovanni Evangelista, l’apostolo che più
teneramente amava il Signore, chiaramente afferma nel prologo del suo
Vangelo che “Dio è amore”.
La storia del mondo, dall’ingresso del peccato, che con la trasgressione
umana ha separato l’uomo da Dio, è una storia di odio e di violenza
alimentata dal demonio, contrastata dall’amore e dalla bellezza di tanti
uomini e donne, che, illuminati dalla Grazia Divina, hanno acceso la
speranza in un mondo migliore, prospettando uno scenario in cui l’amore e
la generosità umana possano vincere l’odio e l’egoismo umano.
E’ l’eterna lotta tra il bene ed il male, cominciata in cielo con la rivolta
degli angeli ribelli, che prosegue sulla terra; ed anche noi siamo chiamati a
schierarci da una parte o dall’altra con Dio, oppure, non ci accada mai,
contro di Lui.
Con Lui mangiamo l’Eucaristia e ci facciamo mangiare dal nostro prossimo,
cioè riceviamo in dono Dio e ci facciamo dono verso il nostro prossimo;
senza di Lui, non riconosciamo l’Eucaristia, e mangiamo, anzi divoriamo il
nostro prossimo; l’indurimento del nostro cuore, che la lontananza
dall’Eucaristia determina in noi, produce avversione verso gli altri,
avversione verso la diversità di pensiero, di gusti, produce intolleranza ed
il pensare che ogni uomo ci è nemico ed ostacolo per la nostra serenità e
felicità.
Tutte le volte che noi distruggiamo la reputazione altrui, tutte le volte
che calpestiamo i diritti altrui, tutte le volte che chiudiamo gli occhi ai
bisogni altrui, e potendo aiutare decidiamo di non farlo, tutte le volte che
ridiamo sul pianto altrui e piangiamo del loro sorriso e della loro gioia,
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tutte le volte che non apriamo a chi bussa alla nostra porta, o bussiamo
alla porta altrui per insidiare la loro casa, tutte le volte che il nostro agire
procura la rovina del nostro prossimo, tutte le volte che profittiamo a
nostro vantaggio delle disgrazie altrui, essendone noi la causa, noi
divoriamo il nostro prossimo e voltiamo le spalle a Dio; è come se gli
dicessimo “non me ne importa nulla di Te, non so che farmene di Te”: ” io
sono Dio a me stesso, il mio pensiero è la mia legge, le mie brame i miei
comandamenti”.
L’Eucaristia è dunque la comunione vera e reale, non solo spirituale,
dell’uomo con Dio mentre è sulla terra, e si realizza sinchè Egli tende a
Dio con le intenzioni e con i comportamenti, salvo le cadute che il Signore
perdona sempre, purchè ci sia sincero pentimento ed il proposito di
evitare le mancanze future.Ma c’è anche una anti-eucaristia ed è la
separazione sistematica da Dio di uomini e donne, che scelgono di
ribellarsi al Signore e che quotidianamente mangiano e bevono odio,
invidia del bene altrui, tessono la tela della trama in danno degli altri,
spargono il seme della maldicenza, respirano menzogna, dimorano nel
fango della falsità, ingrassano nei vizi e nelle dissipazioni a dispetto
dell’altrui pianto, si fanno scudo delle loro fortune, usando il potere loro
dato per prevaricare le persone loro sottoposte.
L’antieucaristia esiste realmente non è un’invenzione: essa è la presenza
quotidiana e reale degli spiriti maligni, che dimorano nel cuore umano,
possedendolo e spingendolo costantemente al male, ad un grado maggiore
di separazione da Dio, rinnovando ogni giorno la loro azione malefica,
seminando veleni ed odio, allo stesso modo in cui il Signore Gesù,
quotidianamente, nei cuori che a Lui si donano nell’unione eucaristica
giornaliera, riversa nuove grazie, aumentando la partecipazione delle
anime, in grado, alla vita Divina.
L’Eucaristia per noi è vita, è il nostro aggrapparci a Dio per mezzo
dell’unione reale a Gesù, non è un accessorio della vita cristiana, è
indispensabile alla salute dell’anima ed al suo progresso spirituale nella
seria decisione per Dio.
Chi mangia e beve l’Eucaristia non vive più per se stesso, ma diventa
proprietà esclusiva di Dio, per mezzo dell’appartenenza a Gesù Signore.
Ed ancora, chi mangia degnamente l’Eucaristia partecipa già sulla terra
alla comunione dei Santi, è già in Paradiso senza saperlo, partecipa già
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della vita beata ed eterna senza accorgersene; ma i Santi se ne
accorgevano, vivendo nella gioia, anche se nelle sofferenze fisiche e nelle
tribolazioni.
Le parole di Gesù: “Chi mangia di Me vive per Me”. Ed ancora:”Chi mangia il
Mio Corpo e beve il Mio Sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò
nell’ultimo giorno”.
Dunque amiamo e facciamo amare l’Eucaristia, come il più grande dono che
Dio ha fatto all’umanità.
Meditiamo frequentemente queste cose, soprattutto quando ci
accostiamo all’altare per ricevere questo Grande Sacramento.Gesù ama
che i suoi fratelli e le sue sorelle siano consapevoli di ciò che ricevono
nella Comunione Eucaristica e che questa consapevolezza produca una
riverenza ed un ringraziamento adeguati al Dono ricevuto.
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Perché l’Eucaristia?
Nel primo capitolo abbiamo cercato di approfondire, per quanto ci è
possibile, il mistero eucaristico, cercando di rispondere alle numerose
domande che ci poniamo nell’approccio conoscitivo a questo mirabile
sacramento.
In questo secondo capitolo cercheremo di approcciare il mistero
eucaristico nel suo “perché”, con l’umiltà che ci deve sempre
accompagnare nella nostra ricerca. In fondo Dio ci ha creato per
conoscerLo, ed allora il nostro sforzo conoscitivo è benedetto, purchè sia
accompagnato dall’umiltà e si compia con amore e per amore.
L’Eucaristia è una realtà stigmatizzata dalle parole stesse del Signore
Gesù (“Questo è il Mio Corpo”), ma è al tempo stesso un coacervo di
misteri e di evidenti richiami simbolici, che si rifanno alle parole del
Maestro, pronunciate anche in altre occasioni (“Chi mangia di Me vive per
Me”), (“Chi mangia il Mio Corpo ha la vita eterna”), (“Io sono il Pane vivo
disceso dal Cielo”); nello stesso tempo l’Eucaristia richiama, in modo
illuminante, il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, sia perché
un solo pane è dato per le moltitudini, sia perché, come nella montagna
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delle beatitudini, questo pane è ristoro per i viandanti e viatico per
recuperare le forze e proseguire il cammino, sia perché, come nella
montagna delle beatitudini, dove chi ascoltò il discorso del Signore si
infervorò e divenne suo discepolo, forma e plasma il popolo dei Cristiani,
che vive di Gesù Cristo e per Gesù Cristo.
Che dire, a me pare evidente cogliere in quel Pane, e nelle parole del
Maestro, che oltre 2000 anni fa lo consacrò con le Sue mirabili parole
“Questo è il mio Corpo”, non solo le Parole di verità con le quali la Sua
onnipotenza divina creò il mistero del Suo Corpo e del Suo Sangue, come
cibo e bevanda salutari per i Suoi fratelli e le Sue sorelle, ma soprattutto
il mistero del Suo Corpo Mistico, che è Suo perché a Lui appartiene, di cui
Lui è il Capo e noi le membra o piuttosto le cellule, se lo vogliamo, se ci
nutriamo di Lui, se camminiamo con Lui, se viviamo di Lui e per Lui.
In altre parole, ritengo che l’Eucaristia stigmatizzi e racchiuda il
mistero del Corpo Mistico, che è la Chiesa di Cristo, che mangia un solo
Pane indivisibile e per questo diventa un solo Corpo, il Corpo del Signore,
al quale i Cristiani prestano le loro membra, affinchè il Signore viva in loro
ed edifichi, per mezzo di loro e le loro opere, il Regno di Dio e le opere di
Dio.Nelle parole del Signore “Chi mangia di Me vive per Me” è evidente
che l’Eucaristia è una scelta di vita precisa e significante, per mezzo della
quale il Buon Pastore crea e ricrea continuamente il recinto delle Sue
pecorelle; mangiando di Lui siamo obbligati e ci obblighiamo, perché non
siamo forzati a farlo, nessuno ci costringe, a vivere per Gesù, a compiere
le Sue opere, ad eseguire i suoi comandi e le sue prescrizioni, altrimenti il
nostro banchetto è sacrilego, e compiamo nell’accostarci alla santa cena
del Signore un gesto che è lontano dalla nostra effettiva volontà,
contrastante con la sua natura di consacrazione piena e totale alla
Signoria di Gesù Cristo Figlio e Sapienza incarnata dell’Altissimo.
Dio ci ha creato per la Comunione con Lui in Cielo, beatitudine che è
preceduta da un esilio dell’uomo sulla terra, nella quale è apprestato un
ausilio affinchè, anche sulla terra, l’uomo che vuole possa rimanere in
comunione con Dio e compiere nella sua vita le opere di Dio: lo strumento
per mezzo del quale si realizza questa comunione è l’Eucaristia.
Nell’Eucaristia e attraverso l’Eucaristia noi abbiamo l’Emmanuele,
cioè il Dio con noi, e siamo il Popolo di Dio.
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L’Eucaristia è si definita dalla teologia primariamente “actio”, cioè azione
misterica, ma è anche “sacramentum permanens”, cioè presenza reale del
Signore, che continua a sussistere anche fuori della celebrazione
Eucaristica.
Questa presenza si realizza nel tabernacolo, dove Gesù è presente
sempre intero, cioè nella dualità delle Sue Nature Divina ed Umana,
prigioniero volontariamente per amore, unica autorità sulla terra
disponibile a ricevere in udienza chiunque abbia bisogno senza
appuntamento, ma anche unica autorità disprezzata e vilipesa dai tanti
che non lo amano, lo offendono, lo insultano, lo odiano e non lo
riconoscono; ma soprattutto offesa dai tanti cristiani di anagrafe che,
pur riconoscendo la presenza del Signore nel Tabernacolo, vengono meno
ai loro doveri verso di Lui, soprattutto ai doveri di rispetto e di ossequio.
Nel mangiare l’Eucaristia noi comunichiamo al Corpo e Sangue del Signore,
il quale ci assimila a se, ci trasforma in se (gradualmente e secondo le
disposizioni della Grazia e le nostre disposizioni ed inclinazioni), se ci
rendiamo duttili e disponibili al lavoro che il Signore compie dentro di noi;
in sostanza l’Eucaristia diventa virtù del nostro corpo e del nostro spirito,
nella misura in cui noi collaboriamo all’azione che la Grazia compie dentro
di noi.
Ciò non vuol dire che è nostro il merito della trasformazione in Cristo
(Cristificazione), che in noi opera l’Eucaristia (progressivamente), ma
che piuttosto è nostro il solo merito della collaborazione, che consiste
nella eliminazione degli impedimenti all’azione della Grazia che, per mezzo
dell’Eucaristia, opera in noi, primo impedimento tra tutti gli affetti al
peccato, ma anche l’eliminazione dei vizi e delle cattive nostre inclinazioni,
la lotta ai nostri difetti caratteriali ed ai nostri atavici egoismi ed
egocentrismi, che ci allontanano dalla carità e dalle virtù.
Ma nell’Eucaristia ed attraverso di Essa noi diveniamo partecipi della vita
eterna, secondo le parole di verità del Signore (“Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue ha la vita eterna……”).
Il Signore non ha detto “avrà”, bensi “ha”, ciò stà a significare che i
Cristiani, che si accostano all’Eucaristia degnamente, partecipano della
vita eterna nel Corpo Mistico del Signore, che è comunione perfetta e
stabile della Chiesa trionfante e purgante con il Signore, e perfetta,
sebbene instabile e discontinua, della Chiesa militante che è sulla terra, la
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quale continuamente cade, a causa del peccato, e si rialza per mezzo dei
Sacramenti.
Questa comunione spirituale, di cui ci sfugge la percezione, è sempre
presente nei cristiani che si trovano nello stato di Grazia, ma raggiunge
l’apice e la sua massima espressione nella celebrazione eucaristica,
durante la quale il Paradiso, il Purgatorio e la Chiesa terrena militante
divengono realmente una cosa sola, cioè quell’unico corpo che desidera
quel solo Pane (Il Pane del Cielo).
Questa realtà misteriosa ed invisibile del Corpo mistico di Cristo, che
sempre è unito al Padre ed allo Spirito, quindi sempre nella comunione
Trinitaria, prende consistenza per ciascun cristiano nella Comunione
Eucaristica, fatta degnamente o il meno indegnamente possibile: cioè ogni
qualvolta ci accostiamo all’Eucaristia, con l’amore e la devozione che
devono accompagnarci sempre in questa circostanza, riceviamo il Signore
nella nostra anima, il quale si fonde in noi e ci plasma trasformandoci in
Lui e comunicandoci a tutto il Suo Corpo Mistico, cioè unendoci in modo a
noi misterioso, cioè non comprensibile, al Paradiso, al Purgatorio ed a tutti
i cristiani che costituiscono la comunità dei battezzati nel mondo, cioè La
Chiesa terrena e militante.
Se si riflettesse maggiormente su queste cose, se si pensasse con
maggiore riflessione e profondità a quale privilegio i cristiani sono
chiamati nel cibarsi dell’Eucaristia, le Chiese traboccherebbero di
presenze alla S.Messa, al punto di non riuscire ad entrarvi.
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L’Eucaristia come ?
L’Eucaristia è il Sacramento in cui è presente Gesù stesso in carne,
sangue, anima, Divinità ed umanità, ed attraverso l’Eucaristia si realizza la
comunione di Gesù con noi, cioè la “comune unione” intima e totale tra il
nostro essere e la Sua persona Divina.
E’ condizione, per accedere ai sacramenti, ed a maggior ragione a questo
Speciale sacramento, il riconoscere che Gesù è il Signore ed il Redentore,
ed accettare la salvezza che Egli ci offre.La salvezza di Dio è offerta
all’uomo e non imposta, e prescrive, affinchè possa operare, la conversione
del cuore, cioè l’abbandono delle vie del peccato, e la condivisione del
Vangelo come unica vera Legge da osservare, che deve regolare tutta la
nostra esistenza terrena.In conseguenza di ciò l’uomo deve abbandonare
le strade della malizia e vivere con purezza di cuore la propria vita, in
costante comunione con Dio. Realizzandosi queste condizioni, ugualmente
l’uomo cade nel peccato, per la fragilità della sua natura e per l’azione del
mondo, del maligno e per la sua stessa concupiscenza, che lo spinge verso
il male; ma subito dopo aver peccato Dio lo rialza, riammettendolo alla Sua
presenza e restituendogli la dignità di Figlio, attraverso il sacramento
della Confessione e per mezzo del suo pentimento ed il proposito di
emendarsi per il futuro.
Il fedele, dunque, può accostarsi tranquillamente e con fiducia
all’Eucaristia, a condizione che sia seriamente impegnato, nel cammino
della sua conversione personale nella fede del Signore Gesù Cristo, e che
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sia in stato di Grazia, cioè non deve aver commesso peccati mortali ; nel
caso li avesse commessi, deve far precedere la Comunione da una buona
confessione.San Paolo dice che chi mangia e beve il corpo ed il sangue del
Signore indegnamente, cioè in stato di colpa grave, mangia e beve la
propria condanna ed è reo del corpo e del sangue del Signore. Perché
questo ?
Chi si accosta in stato di peccato mortale al sacramento eucaristico, in
totale consapevolezza di questo beninteso, compie un grave atto di
irriverenza verso il Signore, che è la Santità stessa, offendendo la
Maestà di Dio e rendendosi colpevole di un gravissimo peccato, che è il
sacrilegio, cioè l’uso futile ed inutile della grazia divina; chi fa questo,
inoltre, irride l’olocausto della Seconda Persona della Santissima Trinità e
rende inutile per se stesso il sacrificio della Croce; offende, inoltre,
gravemente la volontà di Dio, che è quella che tutti gli uomini accolgano e
rendano fruttuosa la salvezza, da Lui offerta all’umanità per mezzo del
sacrificio del Suo Figlio unigenito.
Per queste ragioni chi si accosta all’Eucaristia in stato di colpa grave è reo
del corpo e del sangue di Cristo, cioè è responsabile di un olocausto
vittimale inutile, perché i frutti di quel sacrificio sono applicabili alle
condizioni che abbiamo visto prima.
Possiamo dunque accostarci all’eucaristia solo se siamo in stato di Grazia.I
peccati veniali non fanno perdere lo stato di Grazia, ma solo i mortali.Il
peccato, in generale, è un atto contrario alla carità, caratterizzato dalla
volontà, dalla consapevolezza e da un determinato oggetto, che è la
materia della colpa; perché ci sia il peccato devono realizzarsi tutte e tre
le condizioni; la gravità dell’oggetto determina la gravità della colpa.
Noi non sappiamo mai con certezza se siamo in stato di Grazia; l’esame di
coscienza, che siamo sempre tenuti a fare quotidianamente, da buoni
cristiani, non sempre ci rivela la dimensione esatta delle nostre colpe.Ci
sovviene in questo, però, un grande dottore della Chiesa, San Tommaso
d’Aquino, il quale nella sua,”Summa Teologica” ci suggerisce quattro
situazioni, che indicano verisimilmente la sussistenza dello stato di Grazia
in un’anima:
1) ascolto devoto della parola di Dio;
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2) facilità e prontezza nel compiere le opere di carità;
3) dolore per i peccati commessi nella vita passata;
4) proponimento di non commetterne mai più.
La regola è ascoltare la nostra coscienza, che ci dirà se è necessaria la
confessione e nel dubbio confessarsi sempre prima di fare la comunione,
se è possibile; se non è possibile confessarsi, nel dubbio se siamo in stato
di colpa grave, prima di comunicarci diciamo con fiducia nella misericordia
divina un atto di dolore, facendo un profondo atto di contrizione e ci
confesseremo alla prima occasione che ci è possibile.Se siamo certi di
essere nella colpa grave, affidiamoci comunque alla misericordia divina,
chiedendo perdono delle nostre colpe, ma non comunichiamoci se non dopo
esserci confessati.
I peccati veniali non sono un ostacolo alla comunione eucaristica per i
fedeli, ma è buona norma confessarsi ugualmente, di tanto in tanto,
perché nella confessione riceviamo tante grazie utili all’avanzamento
spirituale delle nostre anime nel combattimento.
Per partecipare degnamente all’Eucaristia sono inoltre necessarie altre
condizioni:
1) l’ascolto devoto ed attento della Santa Messa, non distratto e
nemmeno passivo, perché noi siamo parte attiva nella messa, e ci
offriamo insieme al Sacerdote ed a Gesù al Padre, in sacrificio, per
il perdono dei peccati, per la salvezza nostra e di tutta la Chiesa,
cioè di tutta l’umanità;La messa inoltre è la mensa di Dio in cui
riceviamo il Verbo di Dio nelle due dimensioni, la Parola, e
nell’Eucaristia, il Verbo stesso fatto carne : per questo è
indispensabile, per la completezza del banchetto, assistere alla
Santa Messa sin da principio.
2) La preparazione che deve avvenire con sommo raccoglimento,
pensando a Chi andiamo a ricevere: Essa deve essere amata sommamente
e desiderata, attesa e cercata come il dono più grande che Dio fa
all’umanità. E’ conveniente compiere una preparazione in cui ci si dispone a
ricevere Gesù con sentimenti di fede, di speranza, di carità, di dolore dei
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propri peccati, di umiltà, di desiderio e di devozione interna ed esterna.
L'atteggiamento del corpo (gesti, abiti) esprimerà il rispetto, la solennità,
la gioia di questo momento in cui Cristo diventa nostro ospite.
L’attenzione del cuore dovrà essere proporzionata al mistero che si
riceve, senza dissipazioni e distrazioni, pensando al grande dono che il
Signore ci fa di comunicarci a Lui vivo e vero, presente nelle specie
eucaristiche. La formazione della mente, che permetterà quella coscienza
sufficiente per il momento importantissimo della ricezione del Corpo e
Sangue del Signore. L’ordine esteriore (la fila, le mani ben messe, un
profondo inchino di fronte alla pisside in cui è contenuta l’Eucaristia, la
risposta “amen”, il ritorno al proprio posto con raccoglimento) come segno
del raccoglimento indispensabile.
3) Essere digiuni da un’ora, cioè i fedeli devono osservare il digiuno
prescritto dalla Chiesa. Si ricorda che l'acqua e le medicine si
possono prendere sempre, i malati e chi li assiste sono dispensati dal
digiuno.
4) Dopo avere ricevuto l’Eucaristia è importantissimo compiere un
doveroso ringraziamento, in cui si rinnovano gli atti di fede, di
speranza, di carità, di adorazione, di ringraziamento, di offerta e di
domanda delle grazie, che maggiormente sono necessarie per noi e
per coloro per i quali vogliamo pregare.
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L’Eucaristia quando ?
La Chiesa fa obbligo ai fedeli di « partecipare alla divina liturgia della
Messa la domenica e le feste comandate » e di ricevere, almeno una volta
all'anno, l'Eucaristia, possibilmente nel tempo pasquale, preparati dal
sacramento della Riconciliazione. La Chiesa, tuttavia, raccomanda
vivamente ai fedeli di ricevere la Santa Eucaristia la domenica e i giorni
festivi, o ancora più spesso, anche tutti i giorni(CCC 1389).
La S. Comunione si può ricevere al massimo due volte nello stesso giorno,
solo se si partecipa a due SS. Messe.
Queste sono le disposizioni della Chiesa circa la somministrazione ai
fedeli della S. Eucaristia.Ma è sempre stato così? Certamente no, per
tanti, troppi anni, nei secoli passati, la Chiesa ha ritenuto che la
Comunione frequente o quotidiana fosse un traguardo per chi avesse
raggiunto apici di santità di vita. La preoccupazione della Chiesa era la
naturale conseguenza della raccomandazione di San Paolo ai fedeli: ”Prima
di mangiare il corpo e bere il sangue di Cristo ciascuno esamini se stesso,
21
poiché chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la sua condanna”; e
quindi tale preoccupazione, che si sostanziava nella decisione di scansare
il rischio di commettere sacrilegio attraverso l’abuso di comunioni
indegne, orientava la Chiesa nel suo complesso, ed i Padri spirituali, a
raccomandare la comunione mensile o al massimo settimanale, dietro la più
stretta sorveglianza e prescrizione dei direttori spirituali.
Soltanto nel corso del secolo passato, ritengo, con un forte impulso del
Concilio Vaticano II, si è arrivati al cambiamento epocale, ed oggi la
Chiesa raccomanda la Comunione frequente alle anime che intendono
progredire nel cammino di conversione, ritenendo, come del resto lo
stesso Maestro ci ha insegnato, che Egli è venuto per i malati e non per i
sani, e che il Sacramento del Suo Corpo e del Suo Sangue è vera Medicina
per il corpo e per le anime che a Lui si affidano. S. Giovanni Bosco,
assieme a S. Benedetto Cottolengo e a S. Giuseppe Cafasso, si dice che
siano stati tra coloro che nella Chiesa hanno lavorato indefessamente per
introdurre l'uso della Comunione frequente e quotidiana tra i fedeli. Al
tempo di questi Santi la Comunione non era frequente e tanto meno
quotidiana né tra i semplici fedeli né negli stessi Istituti religiosi e nei
Seminari.
La Comunione quotidiana è un'abitudine veramente santa e salutare,
purchè sia fatta bene, cioè con la dovuta preparazione e con le necessarie
disposizioni dell’anima.
Quando la Comunione non è fatta bene siamo in presenza dell’abuso
eucaristico, che diventa sacrilegio quando vi è consapevolezza di colpa
grave. Tuttavia vi è un uso quotidiano della Comunione in anime non
abbastanza fervorose, frutto di abitudine e di miserabile calcolo (così Dio
mi aiuta e mi concede le grazie), testimoniato dall’assenza di progresso
spirituale nelle vie della virtù e della santificazione. Abitudine ottima è la
Comunione frequente; ma quando l'anima non si eccita al fervore, allora la
Comunione diventa come una qualsiasi opera di pietà, per esempio come
una Via crucis, una processione, una dimostrazione esteriore. Occorre
entrare nello spirito vero della Comunione: essa è nutrimento,
alimentazione dell'anima. "La mia carne è veramente cibo", ha detto Gesù.
Il Signore ci ha dato due generi di alimenti, perché due sono le parti che
costituiscono l'uomo, l'anima e il corpo. Abbiamo il cibo per l'anima e il
cibo per il corpo. Quanto al cibo per il corpo si deve essere sempre
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attenti alle quantità, se ne deve fare uso regolato, conveniente; quanto
invece all'alimento spirituale, se vogliamo mantenerci in salute, se
vogliamo crescere, è necessario che ci cibiamo con abbondanza. Nutrire il
corpo per mantenere la vita fisica; e perché la vita dell'anima si conservi
e cresca ci vogliono Comunioni ben fatte e frequenti.
Due specie di anime han bisogno di comunicarsi frequentemente: le anime
che non sono ancora perfette, perché si perfezionino; e le anime già
perfette, perché si mantengano nella perfezione. Il cibo fisico, fino a una
certa età, contribuisce all'aumento e cioè alla crescita del corpo; per
l'anima non è così. Essa deve crescere fino a che si vive, anzi, man mano
che si va avanti negli anni, il progresso spirituale deve diventare più
illuminato, più fondamentalmente nutriente, più sostanzialmente santo.
L'alimentazione spirituale, quindi, va continuata per arrivare al grado di
santità a cui il Signore chiama un'anima. Quando l'anima passa
all'eternità, allora si ferma nel suo avanzamento spirituale e vi resta per
tutta l'eternità, con quella santità e quella gloria e beatitudine celeste
che corrisponde ai meriti della vita presente.
Se la Comunione è ben fatta porta sempre un aumento di grazia.
"O sacrum Convivium, in quo Christus sumitur" è un canto tanto bello per
le verità sublimi e semplici che contiene. "Mens impletur gratia et futurae
gloriae nobis pignus datur".”O sacro convito in cui Cristo si fa nostro cibo,
l’anima nostra è ricolma di Grazia ed a noi è dato il pegno della Gloria
futura”.E’ un cantico eucaristico di San Tommaso D’Aquino, dottore della
Chiesa.
La Comunione è alimento. Ma che cosa deve nutrire? Deve nutrire lo
spirito, la vita interiore. "Veni ut vitam habeant et abundantius habeant".
E la Comunione porta la vita che è Cristo. "Io sono la vita". Ma notate:
"...et abundantius habeant"? cioè ogni giorno questa vita deve crescere, e
crescere fino a quel grado di gloria che si avrà in paradiso, perché il
premio sarà proporzionato al grado di santità di vita con cui l'anima
termina il suo pellegrinaggio terreno.
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Alimentare lo spirito significa avere più fede, più fiducia, cioè più
speranza nei meriti di Gesù Cristo, nella misericordia di Dio, e soprattutto
più carità; più amore verso Dio e, per riflesso, più amore al prossimo,
poiché non si può amare Dio se non si ama il prossimo.
Alimentare lo spirito: le Comunioni quotidiane portano un unione con Dio
sempre più intima, danno una luce spirituale sempre più chiara, conducono
a una conoscenza più profonda di Dio, della sua misericordia, della sua
bontà; fanno conoscere sempre meglio la bontà del Padre che ha creato
l'anima; mostrano l'amore infinito del Figlio che si è incarnato e si è fatto
nostro cibo: "prendete e mangiate: questo è il mio corpo"; svelano più
apertamente l'azione dello Spirito Santo in noi e quindi la nostra
trasformazione in Cristo.
Nutrendosi nella Comunione, l'anima si irrobustisce e allora fa come Gesù
che "proficiebat aetate, sapientia et gratia", cresce negli anni, nella virtù,
nella sapienza celeste e nella santità.
Ma perché il cibo alimenti davvero il corpo e si cambi in sangue, si
richiede che trovi uno stomaco sano; la Comunione richiede buone
disposizioni, disposizioni che sostanzialmente sono la fede, la speranza, la
carità. A loro volta la fede, la speranza, la carità vengono alimentate dalla
Comunione e così, di giorno in giorno, si va crescendo. "Puer autem
crescebat aetate, sapientia et gratia". Sì, allora, fare la Comunione
frequente, quando si può quotidiana, ma soprattutto farla bene!
Certamente si richiede che l'anima sia in stato di grazia, perché col
peccato non si può fare la Comunione, anzi dice S. Paolo: "ognuno prima
faccia l'esame di coscienza, perché chi mangia questo pane e beve questo
sangue in peccato, mangia e beve la sua condanna"; la morte spirituale c'è
già nell'anima in peccato grave, ma viene aggravata, viene ad essere più
terribile aggiungendo peccato a peccato.
L'uomo ha bisogno di due alimenti, cioè della Parola di Dio, contenuta nel
Vangelo e nelle altre Sacre scritture, e della Comunione. E' la Comunione
che porta la forza per camminare nella virtù. Il Vangelo illumina la strada,
ma la forza per percorrerla viene dalla Comunione. Quando poi l'anima si
24
comunica con fervore entra in una comunicazione intima con Dio,
stabilisce un dialogo con Gesù in cui esprime tutti i suoi sentimenti e si
effonde in atti di fede e di amore. Che cosa avviene allora? Avviene la
crescita spirituale.
Quando la Comunione sacramentale è fatta bene, con fervore, viene
continuata con le Comunioni spirituali, che possono essere ripetute più
volte nella giornata: l'anima si riporta per un momento a quell'intimità con
Gesù che aveva stabilito al mattino. Ne viene che tutte le azioni della
giornata, le parole che si dicono, le attività e gli uffici che si compiono,
sono atti di amore verso Dio, verso Gesù; sono ringraziamento alla
Comunione fatta; sono preparazione alla Comunione del giorno seguente,
cosicché tutta la giornata resta ispirata a Gesù Eucaristia e diventa tutta
eucaristica. Vivere di questo Pane! "Panem de coelo praestitisti eis": ci
dona letizia e porta in noi la forza e robustezza spirituale, e aumento di
grazia. Quale sorgente di santità è la Comunione! Allora diventa anche più
facile fare bene la Visita al SS.mo Sacramento; è più facile entrare nello
spirito della Messa e seguirla coi sentimenti stessi della Chiesa.
Ogni giorno la Comunione sia un po' migliore; e se proprio non si può farla
ogni giorno, almeno ogni settimana, la domenica, il giorno del Signore.
Negli esami di coscienza, quando ci esaminiamo nella nostra vita spirituale,
n articolare sui nostri sentimenti verso Dio e verso il nostro prossimo,
occorre fermarsi un attimo a riflettere sulla pietà eucaristica: come è il
nostro rapporto con l’Eucaristia? Come ascolto la Messa? Anzi, come
partecipo alla Messa? Come faccio la Comunione? Tutto il bene ed il
profitto spirituale viene da qui, cioè dalla qualità del nostro rapporto con
Dio.
La Comunione sia preceduta dagli atti di amore, di contrizione e di
preparazione, che sono raccomandati e suggeriti dalla Chiesa; ma, a poco
a poco, l'anima non ha più bisogno di quelle formule che sono scritte nei
libri, perché ha penetrato la sostanza delle formule e adopera delle
espressioni proprie che dicono bene i suoi sentimenti, anche perchè
quando l'anima è illuminata e riscaldata da quel fuoco divino che è Gesù
Eucaristia ("sono venuto a portare il fuoco"), le espressioni le partono
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dall'intimo del cuore, e, tante volte, anche essendo di minor valore in se
stesse, per l'anima valgono di più, perché comunicano l'interno del cuore.
Occorre chiedere la grazia che nelle nostre comunioni non ci siano mai
sacrilegi e che da ogni Comunione l'anima nostra riporti fervore e calore,
che l'accompagnino per tutta la giornata, che abbia luce per il cammino e
forza nuova.
Per il cammino di ogni giornata serve una buona alimentazione. E poiché il
cibo eucaristico è santissimo, la nostra preparazione e il nostro
ringraziamento siano animati da una profonda devozione e gratitudine.
Un‘ultima considerazione voglio fare a proposito delle Comunioni
quotidiane: molti di noi le fanno come una sana abitudine, acquisita e molti
di noi non intendono affatto rinunciare né alla Messa, né all’Eucaristia
tutti i giorni, e fanno bene. Quella santa abitudine, che noi abbiamo
acquisito, ritengo che sia una Grazia del Signore ed una chiamata alla
Santità di vita, ma è anche qualcosa di altro. Il Signore ha bisogno di
anime eucaristiche e spesso chiama nuovi suoi figli, al momento giusto, a
diventarle. Le anime eucaristiche sono anime chiamate a consolare il
Cuore Divino di Gesù dagli oltraggi e dalle continue indifferenze e offese
di cui è fatto oggetto nelle Sue Icone, ma soprattutto nel Sacramento
Eucaristico; e sono chiamate, pertanto, anche a riparare con questo
ripetuto e quotidiano atto di amore, che è la partecipazione devota alla
S.Messa e la Comunione Eucaristica, questi gravi peccati di oltraggio e di
indifferenza alla Divina Bontà ed al Sacramento che più di tutti la incarna
e la interpreta.E’ necessario che ci sia una matura consapevolezza di
questo nel nostro agire di Cristiani e di anime eucaristiche che siamo
chiamati ad essere ed a diventare.Ma aldilà delle definizioni che cosa è in
concreto un’anima eucaristica?
E’ un’anima destinata ad assomigliare al Signore, a vivere con gli stessi
sentimenti del Signore, a pensare ed ad agire come Lui penserebbe ed
agirebbe al posto nostro. In fondo scopo della comunione frequente è
quello di essere assimilati a Cristo, affinchè Egli viva in noi. “Chi mangia di
me vive per me”,dice il Signore. E noi tutti abbiamo in Maria, madre di
Gesù e nostra, un esempio splendido di Anima Eucaristica.
A Lei dobbiamo guardare per ammirarLa ed imitarLa per quanto ci è
possibile, confidando nel Suo aiuto e nell’aiuto del nostro Maestro.
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L’adorazione eucaristica.
L’adorazione eucaristica è, dopo la Messa, l’atto di culto più sublime e
gradito a Dio. Il dovere di adorazione scaturisce dal 1° comandamento
(“Non avrai altro Dio fuor che Me”), ma anche dalle parole stesse di Gesù
(“Adora il Signore Dio Tuo e solo a Lui rendi culto”, Mt 4,10), (“i veri
adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, poiché il Padre cerca tali
adoratori”, Gv 4,23), (“amerai dunque il Signore Dio Tuo con tutto il tuo
cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”, Marco 12,30).
Ma che cosa è l’adorazione?
L’adorazione è un atteggiamento fondamentale del credente attraverso il
quale egli esprime il suo atteggiamento verso Dio e la sua consapevolezza
di creatura in tutto dipendente da Lui. Adorare è offrire un atto di
supremo omaggio con amore, riconoscenza e docile sottomissione a Dio. E’
un “gesto del cuore”, un moto dell’animo umano, che nasce percependo la
presenza del Divino e non disdegna di manifestare in modo visibile i suoi
sentimenti di amore. L’adorazione coinvolge tutta la persona: Il cuore, la
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mente, il corpo, la volontà. E’ il respiro della vita di Dio che diventa nostro
e la nostra vita si consegna a Dio. Adorare significa porsi dinanzi a Dio è
lasciarsi amare ; lasciarsi plasmare come la creta nelle mani del vasaio.
Nell’adorazione siamo attirati nel vortice d’Amore della Santissima
Trinità e, per grazia, siamo resi partecipi di questo dono di comunione.
Ma cosa significa la parola “adorazione”?
Deriva dalla radice latina “ ad oris actio” che significa “azione del pregare
presso, vicino”, abbreviato in “adoratio”, esprime il concetto della
preghiera presso Dio, vicino a Dio, noi diremmo piuttosto “alla presenza di
Dio”. Adorare significa allora mettersi alla presenza di Dio, che è
Onnipresente, riconoscendo la Sua Signoria sulla nostra vita e
presentando gli omaggi della nostra mente, del nostro cuore, della nostra
volontà, con tutto l’amore di cui disponiamo.Quando facciamo questo
coinvolgendo tutto il nostro essere e con amore, avviene una fusione
mistica e spirituale della nostra persona che comunica con Dio, siamo nella
contemplazione del Divino, e siamo inseriti nel circuito trinitario di amore.
S. Tommaso D’Aquino al termine della sua Summa Teologica si sentì dire
un giorno dal Crocifisso: “Hai descritto bene di me, ora cosa vuoi “?
Tommaso rispose: “Te solum domine.” “ Te solo Signore.” Questa è
l’adorazione ! L’adorazione si traduce in contemplazione: è guardare a
lungo con stupore e ammirazione Dio presente dinanzi a noi. La
contemplazione è il grado più alto dell’unione con Dio.
Dal catechismo della Chiesa cattolica: “Della virtù della religione,
l’adorazione è l’atto principale. Adorare Dio, è riconoscerlo come Dio,
come Creatore e Salvatore, il Signore e il Padrone di tutto ciò che esiste,
l’Amore infinito e misericordioso. “ Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai,
Lui solo adorerai” (Luca 4,8 ), dice Gesù citando il Deuterenomio. Adorare
Dio è riconoscere, nel rispetto e nella sottomissione assoluta, il “ nulla
della creatura”, la quale non esiste che per volontà di Dio. Adorare Dio è,
come ci insegna Maria nel Magnificat, lodarlo, esaltarlo e umiliare se
stessi, confessando con gratitudine che Egli ha fatto grandi cose e che
Santo è il Suo nome. L’atteggiamento di Maria è proprio quello della
‘ancilla Domini’, della ‘serva del Signore’, dove per “ancilla” intendiamo
quell’atto di sottomissione profonda verso il suo Signore. L’adorazione del
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Dio Vero e Unico libera l’uomo dal ripiegamento su se stesso, dalla
schiavitù dei propri vizi e dall’idolatria del mondo.
L’ADORAZIONE SPIRITUALE
Gesù parlando con la samaritana disse :“ I veri adoratori adoreranno il
Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori” ( Gv 4, 23).
Ma che cosa è l’adorazione in spirito e verità di cui ci parla il Maestro?
Tutto l’Antico testamento è permeato di regole e prescrizioni alla casa di
Israele affinchè, con l’intento di adorare Dio, essa non cada in
un’adorazione idolatrica, totemica, di immagini, di simboli di oggetti vuoti
ed inanimati che conducono ad un culto liturgico inutile, come atto dovuto,
senza cuore e senza amore.Anche a Dio può essere tributato un culto
idolatrico, che non serve a Dio e nemmeno a chi lo pratica.L’adorazione
che Dio ci chiede è un atto di amorosa sottomissione, nel ringraziamento,
nella lode e nella totale donazione delle nostre persone a Colui che ci ha
creati, amati e redenti e vuole donarci ogni cosa aldilà dei nostri meriti.E’
quindi un atto spirituale che non ha bisogno di riti, di materia, di simboli,
di immagini, di sacrifici o di sacri rituali.Avviene in spirito perché è
spirituale, ma anche perché lo Spirito Santo ci guida e ci ammaestra
indirizzandoci verso un’adorazione conforme al nostro vero bene ed ai
desideri del Padre.L’adorazione inoltre deve essere conforme alla verità,
cioè non secondo la nostra fantasiosa idea di Dio, ma nell’ambito delle
verità rivelate (dal Maestro e dalla Sacra Scrittura) e conformemente
all’insegnamento della Santa Chiesa, perché in Essa ci è dato lo Spirito
Santo.Ci sono molti modi per adorare il Signore : Donandosi, amandolo,
obbedendogli, ringraziandolo, sottomettendosi, usando i nostri talenti per
la Sua gloria o sviluppando un’amicizia intima con Lui. L’adorazione è il
primo proposito della nostra vita; siamo stati creati per adorare Dio e ci è
stato richiesto di adorarlo. E’ la nostra responsabilità più grande, il nostro
più alto privilegio; l’adorare Dio dovrebbe avere la priorità su qualsiasi
cosa. Gesù disse: “Amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore,
con tutta al tua mente e con tutta la tua forza” ( Marco 12,30 ). Ogni
volta che esprimi amore verso Dio, tu stai adorando; non importa se sei da
solo, in famiglia o in una comunità di credenti. L’adorazione deve essere
genuina e nascere dal cuore, non è solo questione di dire parole giuste o
adatte; ciò che stai dicendo lo devi dire sul “serio”. Adorare senza cuore
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non è affatto adorare. La Bibbia dice: “ L’uomo guarda all’apparenza, il
Signore guarda al cuore“ (1 Samuele 16,7). L’adorazione è deliziarsi e
godere Dio, essa coinvolge le tue emozioni. Dio ti ha dato emozioni così
che tu possa adorarlo con sentimenti profondi, ma queste emozioni devono
essere sincere, non false. Dio rifiuta l’ipocrisia. Egli non vuole uno
spettacolo, una finzione, o una falsa adorazione; egli desidera il tuo
onesto e vero amore, vuole ascoltare i palpiti del tuo cuore. Possiamo
adorare Dio in maniera imperfetta, ma non possiamo adorarlo in maniera
non sincera. Il cuore dell’adorazione è arrenderci e offrire noi stessi a
Dio. L’adorazione comincia quando iniziamo ad interessarci di Lui, quando il
pensiero e l’azione si uniscono alla Sua volontà. L’adorazione non riguarda
esclusivamente il culto in Chiesa; è stato detto di “adorarlo di continuo” e
di adorarlo dalla “nascita del sole fino al suo tramonto”. Israele adorava
Dio al lavoro, a casa, in battaglia, in prigione e persino a letto! La lode
dovrebbe essere la nostra prima attività quando apriamo gli occhi al
mattino e l’ultima quando li chiudiamo la sera. “ Della tua lode è piena la
mia bocca, della tua gloria tutto il giorno” (Sal 71,8). Nella vita di ogni
giorno ogni attività può essere trasformata in un atto di adorazione
quando lo fai a lode e gloria di Dio. “ Sia dunque che mangiate sia che
beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di
Dio”(1 Corinzi 10, 31 ). Come è possibile fare tutto per la gloria di Dio?
Facendo ogni cosa come se la stessi facendo per Gesù e stando in
comunione continua con Lui mentre fai le cose. S.Paolo, scrivendo agli
Efesini , osserva: “ non servendo per essere visti, come per piacere agli
uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore,
prestando servizio di buona voglia come al Signore e non come a
uomini”(Ef.6,6-7).E’ questo il segreto per una vita di adorazione, fare ogni
cosa come se lo si facesse per il Signore, come suoi servi. Il lavoro diviene
allora adorazione quando lo dedichi a Dio, svolgendolo con la
consapevolezza della Sua presenza nella tua vita.
Adorazione eucaristica e riparatrice, come, quando, in che modo,
preghiera comunitaria o silenziosa?
Colui che adora Cristo, presente nell’Eucaristia, è trasformato in un
canale di grazie per tutta l’umanità; un canale che ci porta verso l’esterno
verso i fratelli e le sorelle per comunicare la vita divina della quale siamo
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stati resi partecipi. E’ la presenza reale del Cristo sull’altare ciò che ci
trasforma, che fa assumere significato alle nostre povere membra, che
cambia la nostra vita, rendendoci capaci di diventare dono e di
trasmettere la luce, la verità, l’amore di Colui che è venuto a portare il
fuoco sulla terra.
L’adorazione eucaristica è il cuore dell’adorazione della Chiesa, perché non
adoriamo un Dio che immaginiamo nel nostro cuore, ma la presenza viva e
vera di Dio, resa attuale, qui ed ora, nel Tabernacolo, per un Mistero di
amore dell’Onnipotente.Ma è proprio necessaria l’esposizione eucaristica
perché l’adorazione sia efficace? Io penso di no! Non sarà certo la
porticina del tabernacolo un ostacolo alla onnipotenza divina; l’esposizione
infatti serve principalmente a concentrare meglio la nostra attenzione su
Gesù Eucaristico ed a stimolare la profondità e l’effusione dei nostri
sentimenti di amore e di devozione, ma non serve certamente al Signore e
non è condizione per poterlo efficacemente adorare. L’adorazione
eucaristica dovrebbe essere una sana abitudine quotidiana di tutti i
fedeli, non perché il Signore abbia bisogno della nostra adorazione, ma
perché siamo noi ad averne bisogno: dall’adorazione, infatti, i fedeli
traggono la forza necessaria per proseguire nel cammino della vita lungo
le vie che il Signore ha tracciato per noi; l’adorazione dunque ci aiuta a
vivere secondo la volontà di Dio ed a compiere il disegno di conversione
che Dio ha stabilito per ciascuno di noi.Ma occorre molto tempo per
adorare? Certamente no, ciascuno dedichi il tempo che può, senza
trascurare i doveri del proprio stato, anche perché nell’adorazione non
conta la quantità del tempo o delle parole, bensì la qualità e l’intensità
degli atti di amore che riusciamo ad esprimere.
Alcuni fedeli sono convinti che l’adorazione consista nello ruzzolare una
serie molteplice di preghiere vocali, nel maggior numero possibile, con una
frenesia di offrire una quantità indescrivibile di orazioni nell’unità di
tempo dedicata all’adorazione, nella convinzione che più si prega meglio è
e che queste preghiere servano al Signore.E’ opportuno comprendere che
l’adorazione è innanzitutto preghiera personale e silenziosa e
contemplazione di Dio nei misteri della fede, oltre che nella sua presenza
reale nelle specie eucaristiche ed in noi, prima ancora di essere preghiera
liturgica e comunitaria e quindi necessariamente orante e corale.Direi che
in una certa misura è necessaria ed opportuna anche la preghiera
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comunitaria e liturgica, ma la preghiera di adorazione personale e del
cuore deve avere la precedenza, perché Dio dimora nel cuore delle sue
creature, che ne osservano i comandamenti e che lo amano.
L’adorazione eucaristica è personale, ma deve anche essere riparatrice.
Diceva Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Mane Nobiscum Domine (
Rimani con noi Signore): “Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù
presente nell’Eucarestia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le
trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Signore
in tante parti del mondo subisce”.
Così come abbiamo visto in precedenza Dio chiama alcuni tra i fedeli ad
essere anime eucaristiche, cioè chiamate a nutrirsi quotidianamente della
S.Eucaristia non solo per se stessi, ma per riparare i peccati di sacrilegio
e di indifferenza e di tiepidità di cui è fatta oggetto l’Eucaristia
stessa.Allo stesso modo e per le stesse ragioni l’adorazione eucaristica
deve essere non solo personale, cioè dovuta da ciascuno di noi e sentita
come un dovere di amore, lode e riconoscenza verso Colui che ci ha creati,
amati e redenti, ma deve diventare anche un tributo di riparazione dovuto
a Dio in luogo e vece di coloro che lo ignorano, dimenticano, disprezzano
ed odiano.Questa riparazione è necessaria, per la salvezza del mondo, e
per attirare sulle nostre comunità una quantità notevole di grazie
spirituali e materiali, grazie di provvidenza, di benessere, di lavoro, di
prosperità, di fertilità, di salute fisica e psichica, di buona meteorologia,
di santità delle comunità, di santità dei sacerdoti ministri delle nostre
comunità; poiché così come della santità di pochi si avvantaggia tutta la
comunità, della gravità del peccato di molti soffrono i pochi o molti santi
di quella stessa comunità.Infatti Dio fa splendere il sole sui giusti e sui
peccatori, così come fa piovere e scendere i castighi su entrambi,
soprattutto quando essi sono destinati alle comunità.
Occorre allora moltiplicare la virtù delle adorazioni riparatrici,
estendendone e diffondendone la pratica, a cominciare da chi tra di noi si
riconosce, esaminandosi nella sua personale devozione e nella qualità del
suo proprio amore alla S.Eucaristia.Tutti coloro che sono impegnati nella
Chiesa devono ispirarsi a Maria, che è la prima anima eucaristica della
terra, ed addirittura Madre dell’Eucaristia ( è uno dei titoli conferitole
dalla Chiesa), e pertanto devono, anzi dobbiamo, sentire il dovere di
imitarla diventando anche noi, se non lo siamo già, anime
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eucaristiche.L’amore, la devozione e lo zelo verso l’Eucaristia, ricevendola
degnamente ed adorandola tutte le volte che ci è possibile, siano vissuti
da noi come un impegno indispensabile e prioritario e come una missione di
cooperazione alla salvezza delle nostre famiglie e delle nostre comunità.
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I Miracoli Eucaristici
San Pier Giuliano Eymard (1811-1868) intorno alla tenera età di 15 anni,
avendo sentito che Gesù stava dentro la casa d'oro, il tabernacolo, in
chiesa, un giorno, elusa la sorveglianza della mamma e della sorella,
scomparve per lungo tempo. Preoccupate, la mamma e la sorella, cercarono
il fanciullo dappertutto.Finalmente, alla sorella di Pier Giuliano, venne in
mente di cercarlo nella vicina chiesa parrocchiale. Ed infatti era proprio
là, anzi, dopo aver preso uno sgabello, vi era salito per giungere fino al
tabernacolo sopra l'altare. Il fanciullo teneva la piccola testa appoggiata
alla porticina d'oro del tabernacolo e diceva: “Gesù sei qui?”. Divenuto
grande, San Pier Giuliano diventerà il santo della DIVINA PRESENZA di
Gesù nei nostri tabernacoli e fonderà persino un istituto religioso
chiamato dei Sacerdoti del S.S. Sacramento, i quali coltivano con ogni zelo
l'amore e l'adorazione a Gesù Eucaristia.Dinanzi a Gesù Eucaristia
rinnoviamo sempre la nostra fede e il nostro amore, e invitiamo tutti ad
andare con la mente al Tabernacolo della nostra chiesa ed a mandare un
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saluto filiale a Gesù, che vive giorno e notte tra noi.
Che Gesù abbia donato la sua vita per noi questo lo sappiamo, perché,
conoscendo il suo Cuore misericordioso, comprendiamo il suo amore
infinito, fino a giungere al dono di tutta la sua vita per ciascuno di noi: ma
chi avrebbe mai pensato che Egli potesse inventare nel suo amore un modo
così straordinario per restare sempre con noi?
Questo è il dono mirabile della sua PRESENZA VERA, anche se
misteriosa, in mezzo a noi: IL MIRACOLO QUOTIDIANO.
Ogni giorno, non importa l'ora se all'alba o se nel pieno meriggio o se sul
far della sera quieta, o addirittura nella notte, molti sacerdoti, sparsi nel
mondo, compiono un miracolo stupendo dì grazia, di vita, d'amore.Il
sacerdote ha le mani, la bocca, il cuore portentosi: ad un loro cenno, ad
una loro parola, ad un loro gesto d'amore i sacerdoti, quando sono
all'altare per celebrare la messa, compiono ogni giorno, ad ogni ora del
giorno, in tutto il mondo, il miracolo quotidiano di rendere vivo e vero
Gesù, presente nel pane e nel vino consacrati.
Quando salgono l'altare rivestiti dai sacri paramenti e nel momento più
culminante dell'intero sacrificio di Cristo, prendono fra le mani, ancor
tremanti, un pezzo di pane bianco che raccoglie le fatiche e il sudore
dell'uomo e pronunciano le parole immortali: “Questo è il mio corpo”;
allora, proprio in quel momento, avviene il grande miracolo; così quando
prendono il calice del vino e dicono con voce sommessa: “Questo è il mio
sangue”, allora il miracolo è pieno, perfetto.Questo è il MIO corpo, questo
è il MIO sangue! Mio? Sì, o potente mio Signore: è mio questo corpo
sacrificato, è mio questo sangue versato, perché tu, Signore, hai detto
che ogni sacerdote è come Te, nel suo ministero, perché è stato
consacrato da Te ad essere Tuo Sacerdote, per sempre.Ed anche noi
fedeli laici siamo tuoi sacerdoti per sempre, sebbene non rivestiti
dell’alta dignità ministeriale, ma pur sempre accomunati e rappresentati
nella Chiesa e ricapitolati dai sacerdoti ordinati all’alto ministero.
Ma dimmi, o altissimo mio Signore, che cosa è avvenuto?
Proprio così: un poco di pane bianco è diventato il tuo corpo candido; un
poco di vino genuino è diventato il tuo sangue vermiglio!Un
miracolo!Questo pane che vediamo e mangiamo non è più pane, ma Gesù
tutto intero; questo vino che vediamo e beviamo, non è più vino, ma Gesù
tutto intero. Un miracolo, dunque, avviene e si compie fra le mani
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sacerdotali , sugli altari, sotto i nostri occhi e dinanzi agli occhi di tutti i
fedeli, che tengono le mani giunte e i cuori adoranti pieni di intima gioia e
fede.Il vero miracolo eucaristico, il più importante, quello che ti rende
presente ed attuale tutti i giorni, in tutte le Chiese del mondo, nell’atto
della consacrazione da parte dei Tuoi sacerdoti, è così quotidiano che,
quasi quasi, non ci accorgiamo più del suo sconvolgente evento di grazia e
di amore, perché è sopraggiunta l’assuefazione a questo evento
quotidiano, e con essa le perniciose conseguenze dell’abitudine umana, che
trasforma le cose importanti in noiose, ordinarie, quasi insignificanti.Ma
quand'è che, tutti, apriremo gli occhi alla fede, con sacro stupore e
meraviglia, per “vedere” quello che effettivamente avviene sull'altare?
Ricordiamocelo, ogni altare è circondato da migliaia d'angeli adoranti che
cantano: Santo, Santo, Santo, mentre lo stesso Spirito Santo, invocato e
posto sulle offerte con la imposizione delle mani sacerdotali, trasforma,
transustanzia il pane nel mirabile Corpo del Signore Gesù, e il vino nel
prezioso Sangue dello stesso Gesù, come una volta dal grembo verginale di
Maria S.S. diede la carne e il sangue al Verbo Divino fatto uomo!Davanti
agli occhi sbigottiti “nulla vedo, nulla comprendo”, dice San Tommaso
d'Aquino, eppure la fede mi conferma, mi fa certo che, nello Spirito
Santo, il pane è trasformato sostanzialmente nella Carne di Gesù e il vino
nel Sangue di Gesù. E’ Cristo stesso, vivente, che si offre per noi e si
consegna come cibo e bevanda che danno la VITA IMMORTALE!
L'Eucaristia è “omnium miracolorum maximum”, il più grande di tutti i
miracoli, afferma S. Tommaso d'Aquino.
Miracolata ne è la sostanza: Gesù stesso, ne è la quantità, sta tutto Gesù;
ne è la qualità, è invisibile, ma reale ne è l'azione; è la transustanziazione,
la specie del pane e vino sussiste nelle apparenze, ma si cambia nella
sostanza in Gesù stesso.
“Devotamente vi adoro, o Divinità nascosta sotto queste specie, a Voi
tutto sì dona il mio cuore, e tutto si strugge nella contemplazione del
vostro amore”. (S. Tommaso d'Aquino)
Eppure davanti a così grande miracolo quotidiano, non tutti credono, non
tutti sanno, non tutti accettano, non tutti mangiano e bevono la vera vita
che è Cristo Gesù Eucaristia! È così pieno di luce ineffabile questo
miracolo che molti non apprezzano, non accolgono, non adorano. Quanto
piccola e languida è la nostra fede! Lo si vede come si celebra, come si
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adora, come ci si prepara e quanto poco ed in fretta si ringrazia!
Freddezza, stanchezza, abitudini, fretta, distrazione, indifferenza, sono
tra i difetti più comuni di una fede smorta, tiepida, quella di tutti noi. E’
per questo che Gesù stesso, ogni tanto lungo i secoli della nostra storia
umana, appare e si fa visibile e palpitante sotto i nostri occhi increduli e
distratti, per rinnovare la nostra fede assopita e il nostro cuore
tiepido.Sono i miracoli eucaristici straordinari, sono la realtà eucaristica
visibile e tangibile della mirabile Presenza del Signore.
I MIRACOLI EUCARISTICI
Lanciano, Trani, Ferrara, Alatri, Firenze, Bolsena, Offida, Valvasone,
Cascia, Macerata, Bagno di Romagna, Torino, Asti, Morrovalle, Veroli,
Siena, Patierno, sono le sedi privilegiate, in Italia, che il Signore Gesù ha
scelto come luoghi dei suoi prodigi, per manifestare, attraverso segni
concreti, che davvero Egli è presente quando il pane e il vino sono
consacrati nel Corpo e nel Sangue suo.
I miracoli eucaristici accertati sono di varie forme:
ostie sanguinanti come nel famoso miracolo di Bolsena (1263)
avvenuto più volte anche altrove (Lanciano, Ferrara, Firenze e
fuori Italia anche a Berlino);
- ostie prodigiosamente conservate, come quelle di Siena (1730);
- ostie luminose come quelle di Torino;
ostie irradianti l'immagine di Gesù, come quelle di ULMES in
Francia (1668);
- ostie che guariscono i malati come a Lourdes.
Padre NICOLA NASUTI, frate minore conventuale, ha curato un volume
dal titolo: “L'Italia dei prodigi eucaristici” in cui, con ricchezza di notizie
storiche, di suggerimenti ascetici e culturali, offre la presentazione, in
forma ordinata, dì ben 17 miracoli eucaristici avvenuti in maniera
straordinaria nei vari luoghi della nostra Italia.
Nell'Introduzione, p. Nasuti ricorda che a PARAY LE MONIAL, in
Francia, (patria di S. Margherita Maria Alacoque devota e apostola del
Sacratissimo Cuore di Gesù) “c'è una grande carta geografica con
l'indicazione di 132 luoghi, sparsi nel mondo, dove si sarebbero verificati i
miracoli eucaristici”.
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Sono tutti i segni tangibili dell'amore misericordioso di Gesù, per portarci
ad una più attenta, attiva, consapevole e fruttuosa partecipazione alla
Messa, che, come memoriale dell'altissima carità di Dio per noi, deve
ancora stupirci, meravigliarci, inebriarci. Dobbiamo abituarci all'esercizio
di una più sentita e solida pietà eucaristica. Occorre passare dai miracoli
al Miracolo quotidiano della presenza reale nel Sacramento.
San Filippo Neri sapeva stare anche 40 ore ininterrotte davanti al S.S.
Sacramento ed otteneva, alla fine, ogni grazia che chiedeva.
A New York è sorta una bella iniziativa: ogni notte in un'ora a propria
scelta, due persone stando nella propria casa, ma unite col filo del
telefono, adorano il S.S. Sacramento, presente nei milioni di tabernacoli
sparsi nel mondo.E noi che leggiamo queste cose che cosa faremo per
diventare davvero ANIME EUCARISTICHE? Il nostro amore per Gesù
Eucaristia ci sospinga amabilmente, ma decisamente, a compiere un
proposito santo, tutti i giorni, per amore di Gesù.Ma noi non abbiamo mai
tempo, siamo troppo presi dalla famiglia, dai figli, dai pensieri, dal lavoro,
dalle suocere e dai suoceri che ci assillano, dalle solite relazioni pubbliche
con parenti, vicine ed amiche o amici, per avere tempo per i santi
propositi, per i nostri doveri di buoni Cristiani. Poi, di colpo, insorge una
brutta malattia che ci assilla, magari anche in un nostro familiare o
parente prossimo, ed ecco allora che ritroviamo il tempo, l’entusiasmo di
cattolici ferventi, la passione per la Chiesa e per la preghiera: ma questa
novella fiamma d’amore verso il Signore è interessata, perché cerchiamo
la Grazia; il Signore sorride e spesso ce la concede, perché sa di che
siamo fatti; ma altre volte non la concede, anche perché sa che, ottenuta
la Grazia domandata, torneremo ad essere come prima e talvolta anche
peggio di prima.Quanti nella notte sono in adorazione davanti al totem
televisivo! Tu anima fedele, invece, sei capace di offrire un'ora del tuo
riposo per adorare il Signore del Cielo e della terra e del tuo cuore? Si
riposa bene non solo dormendo, ma anche devotamente immersi nella
preghiera! Come è bello sapere che, mentre molti dormono, alcuni invece
con il volto rivolto verso il più vicino tabernacolo, adorano Gesù. Lo
possono fare tutti: il sacerdote, la casalinga, l'uomo che lavora, il sano o
l'infermo, il carcerato o il libero, il povero o il ricco, il semplice o il dotto,
il vescovo e il contadino, io e voi !
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E ricordiamoci sempre che l’adorazione è un nostro dovere, ed è
l’anticipazione di ciò che faremo nel Paradiso, sperando che la
Misericordia di Dio ci conceda di entrarvi.Quando transiteremo nel mondo
della eternità rimpiangeremo di non aver compreso l’importanza
dell’adorazione e di non aver trascorso molte ore nella adorazione
eucaristica.
Uno dei più recenti miracoli eucaristici è avvenuto a Lourdes nel 1999:
durante la preghiera eucaristica, nel corso della consacrazione, la grande
ostia poggiata sulla patena comincia a levitare, con composto stupore dei
presenti e dei concelebranti.Altro recente miracolo eucaristico è quello
avvenuto nel 1995, durante la somministrazione dell’eucaristia da parte di
Giovanni Paolo II ad una mistica coreana; in quella occasione l’Eucaristia si
convertì visibilmente in un pezzo di carne sanguinolenta.
TAVOLA CRONOLOGICA DEI DIVERSI PRODIGI
VIII sec.
LANCIANO (totale conversione dell'ostia grande in carne e del vino in
sangue) Italia
X sec.
1000 circa TRANI (Carne e sangue) Italia
XI sec.
1010 IVORRA (Sangue) Spagna
XIII sec.
1171 FERRARA (Sangue) Italia
XIII sec.
RIMINI e BOURGES (Conversioni) Italia e Francia
1228 ALATRI (Carne) Italia
1230 FIRENZE (Sangue) Italia
1232 CARAVACA (Apparizione) Spagna
1239 DAROCA (Sangue) Spagna
1247 SANTAREM (Sangue) Portogallo
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1254 DOUAI (Apparizione) Francia
1263 BOLSENA-ORVIETO (Corporale insanguinato dallo spezzare dell'Ostia
Conscarata) Italia
1273 e 1280 LANCIANO-OFFIDA (Carne) Italia
1290 PARIGI (Les Billettes) (Sangue) Francia
1294 GRUARO-VALVASSONE (Sangue) Italia
1297 Gerone (San Daniele) (Carne) Spagna
verso 1300 ANINON (Carne e sangue) Spagna
verso 1300 EL CEBRERO (Carne e sangue) Spagna
XIV secolo
1317 HERKENRODE (Carne) Belgio
1330 SIENA-CASCIA (Carne e sangue) Italia
1330 WALLDURN (Sangue) Germania
1331 BLANOT (Sangue) Francia
1345 AMSTERDAM (preservazione miracolosa) Olanda
1345 o 1346 BAWOL (ricupero miracoloso) Polonia
1348 ALBORAYA (ricupero miracoloso) Spagna
1356 MACERATA (Sangue) Italia
1370 CIMBALLA (Sangue) Spagna
1380 BOXTEL (Sangue) Olanda
XV secolo
1405 BOIS-SEIGNEUR-ISAAC (Sangue) Belgio
1412 POEDERLEE (ricupero miracoloso) Belgio
1412 BAGNO di ROMAGNA (Sangue) Italia
1433 A VIGNON (ricupero miracoloso) Francia
1447 ETTISWIL (ricupero miracoloso) Svizzera
1453 TORINO (ricupero miracoloso) Italia
1461 LA ROCHELLE (guarigione) Francia
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XVI secolo
1533 MARSEILLE EN BEAUVAISIS (ricupero miracoloso) Francia
1533-1536 PONFERRADA (ricupero miracoloso) Spagna
1536 TRANS EN PR OVENCE (preservazione miracolosa) Francia
1560 MORROVALLE (preservazione miracolosa) Italia
1592 GORCUM-ESCORIAL (Sangue) Olanda
XVII secolo
1601 LA VIL VENA (preservazione miracolosa) Spagna
1608 FAVERNEY (preservazione miracolosa) Francia
1630 CANOSIO (torrente fermato) Italia
1631 DRONERO (incendio fermato) Italia
1668 LES ULMES (apparizione) Francia
1670 MIRADOUX (incendio fermato) Francia
1686 SINT DENIJS - WESTREM (ricupero miracoloso) Belgio
XVIII secolo
1710 TARTANEDO (Sangue) Spagna
1725 PARIGI (guarigione) Francia
1730 SIENA (conservazione miracolosa) Italia
1732 SCALA (apparizione) Italia
1772 PATIERNO (ricupero miracoloso) Italia Ragguaglio di un portentoso
miracolo appartenente al SS. Sacramento dell'altare
(esame del miracolo di Patierno da parte di S. Alfonso M. de' Liguori)
1793 PEZILLA LA RIVIERE (conservazione miracolosa) Francia
XIX secolo
1822 BORDEAUX (apparizione) Francia
1828 HARTMANNSWILLER (apparizione) Francia
XX secolo
1905 SAINT-ANDRE' DE LA REUNION (apparizione) Francia
LOURDES (guarigioni) Francia
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1918 LA COURNEUVE (preservazione miracolosa) Francia
anni '50 BUI-CHU (castigo di un profanatore) Viet-Nam
1974 CASTELNAU DE GUERS (apparizione) Francia
1978 LA VELINE DEVANT BRUYERES (preservazione miracolosa) Francia
N.B. Sui 61 prodigi qui elencati, 20 hanno avuto luogo in Francia, 18 in Italia, 11 in
Spagna, 4 in Belgio, 3 in Olanda, l in Svizzera, 1 in Portogallo, 1 in Germama, 1 in
Polonia, 1 in Vietnam-nord.In tutto il mondo e fino ad oggi i miracoli noti sono in
tutto circa 132 ( i dati si riferiscono ai fenomeni noti e riconosciuti fino al 2010).
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I Santi devoti dell’Eucaristia
SAN TOMMASO D’AQUINO(1224-1274)
S.Tommaso d'Aquino diceva: “È necessario conoscere per amare.
Sant'Agostino diceva invece: "bisogna amare per conoscere". Chi aveva
ragione? Certamente entrambi, la verità può avere volti diversi, pur
essendo sempre una, e l'amore ne compone sempre le diversità.I quattro
volumi della “Summa teologica “ sono l'opera più importante di San
Tommaso d’Aquino.Quest’opera straordinaria tuttavia, resta appena un
abbozzo alla domanda di tutta la sua vita: chi è, che cosa è Dio? L’autore
ha cessato di scrivere tre mesi prima di morire, con il cuore e lo spirito
ricolmi di Colui che è stato l’oggetto di tutti i suoi desideri: “Quello che
ho scritto mi sembra tutto paglia a confronto di quello che ho visto e che
mi è stato rivelato”, disse a chi gli domandava perché avesse deciso di non
scrivere più. Nella piccola cittadina di Aquino, il castello di Rocca-Secca si
erge imponente di fronte alla celebre abbazia di Montecassino. È là che
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nel 1224, la contessa Teodora, dà alla luce il suo ottavo figlio, Tommaso. Il
conte Landolfo già pensa e gioisce del destino che prevede per questo suo
figlioletto, perché ha già deciso, che farà di lui l’abate di Montecassino.
Fin dalla sua infanzia Tommaso si distingue per la bontà di cuore e per la
sua intelligenza. Se piange, gli danno un libro, lui si calma e dimostra
piacere nello sfogliarlo. All’età di cinque anni, come molti nobili della sua
epoca, è inviato alla scuola di Montecassino.Fa rapidi progressi e dimostra
virtù superiori alla sua età. Posato riflessivo, passa lunghi momenti in
Cappella. Fugge i divertimenti futili e rumorosi. Studia con impegno e si
vede sempre con un libro in mano. A sei anni, un giorno, è seduto alla sua
scrivania tutto immerso nel silenzio. Il suo maestro gli si avvicina,
Tommaso alza gli occhi verso il religioso e l’interroga: “Ditemi, chi è Dio?”
Dopo qualche anno, l’abate avendo notato la sua santità precoce e l’ardore
per lo studio, consiglia il conte di inviarlo all’Università di Napoli.
Tommaso passa alcuni mesi in famiglia e così ciascuno può ammirare le sue
squisite qualità di cuore. Si teme per la sua innocenza, per la vita
gaudente della gran città, della quale all’epoca si diceva: Napoli è un
paradiso, ma abitato da demoni. Tommaso arriva a Napoli nel 1237. Ha
tredici anni, la sua intelligenza lascia i professori stupefatti: fornisce
prova di profondità di giudizio, di una perspicacia e penetrazione
veramente sbalorditiva e ripete le lezioni con più chiarezza dei
professori. A diciassette anni viene a conoscere l’Ordine dei Frati
predicatori, fondati da San Domenico nel 1215. Tommaso segue
assiduamente gli insegnamenti tenuti nella chiesa di sant’Arcangelo. Dopo
tre anni di discernimento riceve l’abito domenicano a vent’anni. Questo
fatto getta la famiglia d’Aquino e i suoi parenti nella costernazione: il
figlio di una così illustre casata diventare un semplice religioso! Giovanni il
teutonico, maestro dello Ordine, dovendo recarsi in Lombardia, porta con
se Tommaso, al fine di sottrarlo alla collera della famiglia. Due dei suoi
fratelli (il padre era morto l’anno prima), lo raggiungono, lo catturano e lo
trascinano al castello di Rocca-Secca. Per più di un anno Tommaso subisce
una dura prigionia e deve subire gli assalti della persuasione materna:
promesse, minacce, maltrattamenti. Nulla scalfisce la convinzione e la
fedeltà del giovane novizio: alla sua causa guadagna le sorelle, incaricate
di convincerlo. I suoi fratelli tentano di spogliarlo dell’abito ma lui stringe
con pugno di ferro i lembi della sua veste. Fanno entrare nella sua stanza
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una prostituta e Tommaso afferra dal caminetto un tizzone e lo rotea
davanti al viso della sciagurata che, spaventata, fugge. Tommaso in
ginocchio con lo stesso tizzone, che ha messo in fuga la prostituta,
traccia sul muro una gran croce e chiede al Signore la grazia della purezza
dell’anima e del corpo. Cade in estasi e vede scendere dal cielo due angeli,
i quali gli cingono i fianchi con una cintura bianca, intessuta con un’arte di
estrema finezza. La indosserà per tutta la vita avendo cura di nasconderla
agli occhi altrui. Questa cintura meravigliosa è conservata fino ad oggi,
nella chiesa di San Domenico di Chieri.Questa resistenza inflessibile che
mai ha perso di mansuetudine rispetto e dolcezza, vince finalmente la
contessa Teodora.Tommaso incomincia gli studi teologici a Parigi. Il suo
maestro è Alberto il Grande, domenicano. Nel convento di San Giacomo,
Tommaso conduce una vita ordinata e dedita alla preghiera. Parla poco,
studia molto, prega senza sosta. Maestro Alberto confessa di esserne
deluso: avevano tanto vantato l’intelligenza del giovane che egli si
attendeva di meglio: in occasione di una lezione particolarmente ardua, un
allievo che pensa Tommaso in difficoltà, si offre di spiegargli la lezione,
ma si imbroglia, si confonde. Tommaso allora umilmente offre il suo aiuto
e gli chiarisce il passaggio oscuro con una lucidità così perfetta che il
giovane ammirato corre a raccontarlo a maestro Alberto. Costui
sottomette lo studente ad un esame pubblico e gli propone quattro
argomenti da confutare. Tommaso lo fa con tanta chiarezza e facilità, da
lasciare Alberto il Grande e gli altri allievi stupefatti.Tommaso incomincia
ad insegnare a trent’anni. Consacrato sacerdote si distinguerà sempre per
la sua devozione e amore alla santa Eucaristia. Tutta la sua vita è
consacrata ad esortare, stimolare, spiegare, combattere le eresie. Porta
avanti i suoi corsi, le predicazioni, scrive libri e con il comporre una Messa
al Santissimo Sacramento, nonché il magnifico Pange Lingua, canta il
mistero sublime dell’Eucaristia. Lavora dettando a due o tre segretari al
medesimo tempo. Passa in chiesa gran parte della notte e rientra in cella
poco prima dell’alba affinché nessuno si accorga che non ha dormito. Non
manca mai alla recita dell’Ufficio delle ore, pur avendo avuto la dispensa
per causa della mole del suo lavoro e delle numerose visite che deve
ricevere. Il suo pensiero non si allontana mai dal pensare a Dio. Suole dire:
“la vera felicità consiste nella contemplazione di Dio”. Dice in una sua
preghiera: “Gesù, è solo da Te che io attendo la conoscenza della verità
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che devo insegnare agli altri”. Quando non riesce ad afferrare un
concetto, o a chiarire qualche punto difficile della dottrina, lascia tutto,
scende in cappella, apre il tabernacolo, vi infila la testa e rimane così fino
a quando non riceve luce. Celebrando l’Eucaristia, lacrime continuano a
scendergli lungo le guance. Più volte lo hanno veduto sollevato da terra, e
a volte va in estasi. A tavola, sovente nemmeno si accorge di quello che
sta mangiando: un giorno servono a tavola delle olive talmente salate che
nessuno riesce a mangiarle. Tommaso raccolto in Dio, termina la sua
porzione, senza accorgersi di nulla. Un altro giorno, invitato assieme al suo
priore alla tavola del santo re Luigi, tutto ad un tratto da un grido e batte
un pugno sulla tavola: “Ah! Infine ho trovato l’argomento per confutare i
Manichei!” Il Priore pieno di confusione lo tira per la manica. Umilmente
Tommaso si scusa, ma il Re pieno d’ammirazione, fa chiamare il segretario
perché possa scrivere subito l’intuizione avuta. Il 6 dicembre 1273, a 49
anni, durante un’estasi, vede il Cristo: “Bene hai scritto di Me, Tommaso,
che cosa vuoi in ricompensa? – Solo Te, Signore!” Risponde il
santo.Affascinato dalle verità eterne che ha contemplato, cessa di
scrivere è prega affinché la fine della sua vita segua subito al terminare
del suo scrivere. Un giorno, secondo l’usanza vigente nei conventi, faceva
la lettura a tavola. Il correttore gli fa notare l’errore di pronuncia di una
frase. Subito Tommaso si corregge secondo il suggerimento del
correttore. Dopo il pasto, un monaco lo avvicina e gli esprime il suo
malcontento: “Voi avete sbagliato a pronunciare la frase, come vi è stato
suggerito perché il correttore si è sbagliato, non voi.” Subito Tommaso
replica: “La pronuncia non ha alcuna importanza, l’importante è essere
umile e obbediente” Un monaco straniero che doveva recarsi in città
ricevette il permesso di farsi accompagnare dal primo monaco che avesse
incontrato. Vede Tommaso e gli dice di seguirlo. Tommaso soffriva di
molti dolori alle gambe, perciò avanzava lentamente prendendosi così i
rimbrotti del monaco. In città la gente rimase sconcertata nell’assistere
alla scena e fanno conoscere al tale, chi era quello che stava al suo fianco
seguendolo come un garzoncello. L’infelice si scusò del suo errore,
ricevendo l’insegnamento del santo Dottore sulla perfezione
dell’obbedienza: “L’uomo si sottomette all’uomo per amore di Dio, come
Dio ha obbedito all’uomo per amore dell’uomo”. Per quanto occupato in
cose importanti, era sempre presente agli atti della comunità. Diceva che
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bisognava attendere subito al suono della campana che chiamava. Un
giorno era riuscito a chiarire un punto difficile del lavoro che stava
scrivendo. La campana suona chiamando i monaci alla preghiera; Tommaso
immediatamente si alza dallo scrittoio, senza neppure terminare la parola
che stava scrivendo, e si dirige alla cappella. Al riprendere il lavoro trova
la parola scritta a caratteri d’oro. Così il Signore volle premiare
l’obbedienza umile di Tommaso. Tommaso, per le sue origini nobiliari, per
le sue doti eccezionali con cui era stato arricchito da Dio, nonché per
l’illuminazione divina di cui beneficiava, avrebbe potuto inorgoglirsi, ma in
realtà nessuno era più umile e mite di lui. Un giovane, trasportato dall’ira,
lo rimprovera e gli dice che non era così sapiente come lo reputavano.
Tommaso risponde dolcemente: “È proprio vero, ragazzo mio, ecco perché
non smetto mai di studiare”. All’udire parlare di orgoglio o di amor
proprio, Tommaso si traccia una croce sul cuore. Nelle sue preghiere
chiede solamente due cose: che la sua dottrina piaccia a Dio, e di poter
vivere e morire da semplice religioso. Era così caritatevole che non
pensava male di nessuno, mai! Quando scopriva qualche mancanza nel
prossimo, piangeva le loro manchevolezze come se le avesse commesse lui
stesso, non si adirava mai e mai rimproverava. Contestava solamente
quando era necessario per ragioni di zelo o per la verità.; se gli altri
sbagliavano, gemeva in segreto, pregava, piangeva davanti al crocefisso.
Invitava il colpevole a riconoscere il suo errore con una tranquillità
d’animo e una così grande moderazione di linguaggio, che calmava gli animi
più agitati e destava l’ammirazione di quanti lo ascoltavano. Eppure, un
grafologo, studiando la sua scrittura, è rimasto sorpreso nello scoprire
che Tommaso avrebbe avuto un temperamento violento.Invece con la
grazia di Dio era tutto dolcezza. Dice di lui Bartolomeo di Capua: “L’anima
di Fra’ Tommaso era il radioso tabernacolo dello Spirito Santo, perché sul
suo viso si vedeva sempre splendere la gioia e la dolcezza” . Un
contemporaneo così si esprimeva a suo riguardo: “Quello che insegnava
con la bocca, lo compiva con le opere, non avrebbe mai osato insegnare
quello che Dio non gli avesse concesso di praticare.” Chiamato da Papa
Gregorio X a partecipare al Concilio di Lione, durante il viaggio si ammala.
Arrivato in Sicilia, si fa portare al convento cistercense di Fossa Nova:
“Ecco il luogo del mio riposo”! Esclama. La sua ultima confessione sembra
quella di un bambino. Il 7 marzo 1274 attorniato di domenicani e
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cistercensi, riceve l’estrema unzione, predica per un’ultima volta sul
cantico dei cantici, poi la voce diventa un soffio. Mormora il Credo poi
dice mormorando: “Affido tutto al giudizio della Chiesa”, dopo queste
parole, entra in agonia. All’alba, serenamente, lontano dagli onori effimeri
di questo mondo raggiunse nella gloria il suo Signore, che in vita tanto
aveva amato e servito. San Tommaso d'Aquino ha scritto numerose
preghiere eucaristiche, con le quali esprimeva il suo amore per Gesù
Eucaristia, tra cui vari inni per il Corpus Domini: il”Pange Lingua”, le cui
ultime due strofe (Tantum Ergo Sacramentum), sono utilizzate durante la
benedizione eucaristica e la sequenza del Corpus Domini, il “Sacris
solemniis”, le cui ultime due strofe costituiscono il “Panis Angelicus”, il
“Lauda Sion Salvatorem” e l'inno “Adoro te devote” per l'adorazione
eucaristica. Certamente può essere annoverato tra i Santi più eminenti,
devoti dell'Eucaristia, che ha ricevuto un'infusione di sapienza teologica
da Dio,che ha trasferito con umiltà e spirito di servizio alla Chiesa:
questo gli ha valso il titolo di Dottore Angelico.
TERESA NEUMANN (1898-1962)
Il 1° settembre 1939 scoppiava la seconda guerra mondiale. Affinché non
mancasse nulla ai soldati tedeschi, fu razionato il cibo ai civili con una
tessera che stabiliva la quantità di cibo spettante a ciascuno. Ad una sola
cittadina fu ritirata immediatamente la tessera annonaria. Costei non
beveva, né mangiava alcunché. In compenso le fu data una doppia razione
di sapone, perché ogni settimana doveva far lavare le lenzuola e la
biancheria inzuppata di sangue. Questa cittadina tedesca era Teresa
Neumann, di Konnerareuth, in Alta Baviera e viveva una vicenda
straordinaria, che avrebbe continuato a destare per anni, l’interesse di
scienziati, medici, teologi, umili e grandi credenti o miscredenti. Teresa
era nata nel 1898, figlia di un povero sarto e di una contadina. Venne
educata dai suoi con una seria formazione cristiana.La sua giornata
iniziava all’alba con la preghiera; poi il lavoro nei campi e in casa. La
domenica, la Messa festiva e la Comunione. Era una buona compagna, una
cara amica verso tutti, pur nella sua riservatezza di ragazza. A vent’anni,
un giorno correndo in soccorso di alcuni vicini cui stava bruciando la
cascina, per compiere rapidamente un gesto di generosità e di coraggio,
non controllò bene il terreno dove stava per mettere il piede. Cadde e si
procurò una lesione alla spina dorsale. Rimase, prima paralizzata alle
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gambe, poi, in seguito, per un’altra caduta, diventò totalmente cieca.
Intanto il padre era stato chiamato alle armi, durante la prima guerra
mondiale, per combattere contro i francesi. Tornando le aveva portato
dalla Francia l’immaginetta di una giovane carmelitana la cui storia iniziava
a diffondersi in tutta Europa: una certa Teresa del Bambin Gesù, del
monastero di Lisieux. Teresa Neumann iniziò a pregarla intensamente. Il
29 aprile 1923, il giorno in cui Papa Pio XI beatificava la piccola suora
francese, Teresa Neumann, stesa nel suo letto, riacquistò di colpo la
vista. Due anni dopo, il 17 maggio 1925, mentre il Papa dichiarava santa la
carmelitana di Lisieux, Teresa Neumann guariva dalla paralisi e riprendeva
a camminare liberamente. Poteva ricominciare, con grande gioia la sua vita
di contadina, lodando e benedicendo Dio. Così, la sua vita, ancor più di
prima divenne un sì incondizionato a Dio. Un anno dopo, nel 1926, durante
la settimana santa, la giovane contadina di 28 anni scopriva nelle sue
membra, mani, piedi, costato e persino sul capo, i segni della Passione di
Cristo: le stigmate dolorose e sanguinanti, terribile e prezioso documento
della predilezione di Dio per certe anime che chiama ad essere, anche
nella carne, simili al Figlio suo. Teresa, ben lungi dal desiderare il
fenomeno, neppure lo conosceva, ma per 26 anni lo porterà nel suo corpo,
sino alla morte. Da allora, dalla notte di ogni giovedì, entrava
letteralmente nei racconti evangelici della Passione. Era come se vivesse
in tempo reale quei momenti e accompagnasse Gesù sino alla morte nel
primo pomeriggio del venerdì, sanguinando copiosamente dalle ferite e
versando sangue anche dagli occhi. La Passione di Gesù riviveva nelle
membra straziate di Teresa Neumann. I suoi studi erano stati appena
quelli elementari e conosceva solo il dialetto della sua regione e un po’ il
tedesco. Eppure ripeteva ad alta voce i lunghi dialoghi che sentiva dentro
di sé in aramaico, greco e latino. Diversi specialisti di queste lingue
antiche sedevano al suo capezzale sempre più sbalorditi dall’esattezza dei
suoi discorsi. Alle 15 del venerdì cadeva in un sonno profondo, da cui si
risvegliava felice, con le ferite richiuse, il corpo fresco, rivivendo nella
sua carne, il mattino della domenica, il momento della Risurrezione di
Cristo.
Nel suo cuore di donna, conquistato totalmente dall’amore infinito e
crocifiggente di Dio, diventava sempre più una realtà unica con Gesù; la
configurazione a Cristo, a partire dalla propria volontà, è la santità vera.
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Teresa Neumann, al di là dei fenomeni straordinari che viveva, cercava
questa santità: essere come Gesù, diventare Gesù, accanto a Maria che la
sosteneva.Sin da quando era guarita dalla cecità e dalla paralisi, Teresa
sentiva sempre meno il desiderio di nutrirsi. Da quando ebbe le stigmate,
per 36 anni, fino alla sua morte, non mangiò né bevve alcunché: soltanto
ogni mattina, alle sei, riceveva Gesù Eucaristia. Molti, giustamente, la
pensavano una simulatrice. Tutto fu tentato per smascherarla, ma sempre
i medici, invitati per controllarla, arrivavano scettici e se ne partivano
convertiti. La Diocesi di Ratisbona, cui Teresa apparteneva, organizzò una
commissione severissima che, a turno, per settimane intere, non la perse
di vista neppure un istante, né di giorno, né di notte, senza mai lasciarla
sola.
Altre commissioni, diverse da quella ecclesiastica, interamente formate
da persone non credenti giunsero alla medesima conclusione: Teresa
Neumann si nutriva di sola Eucaristia, rifiutando sempre d’istinto, quando
per provarla, le offrivano un’ostia non consacrata. Ella voleva Gesù solo,
viveva per Lui e di Lui, realizzando alla lettera il discorso del Divin
Maestro proclamato nella sinagoga di Cafarnao: «Chi mangia di me, vivrà
per me» (Gv 6,57).Il suo parroco, constatato con sicurezza il fenomeno
che durava da anni, affermò: «In Teresa si compì alla lettera la parola di
Gesù: La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda; così come:
Non di solo pane vive l’uomo. Quasi che il Cristo volesse mostrare che
nutrirsi misticamente di Lui basta anche alla vita fisica».Ed è proprio per
questo fenomeno straordinario che il Reich di Hitler non diede, o meglio,
ritirò a Teresa la tessera del vitto, benché già molto razionato, perché a
lei bastava quell’Ostia che le portava ogni mattina il sacerdote. Così anche
la burocrazia nazista rendeva testimonianza ad una meraviglia
strabiliante. Era la meraviglia della follia della Croce, che si realizzava in
Teresa, ma quella follia l’aveva anche dotata di uno stupendo equilibrio
psichico.Al di fuori dei giorni della Passione e Risurrezione, Teresa
Neumann conduceva una vita normalissima: lavorava in giardino e talvolta
anche nei campi, si muoveva nei dintorni, riceveva, consolava, sosteneva i
pellegrini che venivano a farle visita, rispondeva di persona ad
innumerevoli lettere e qualcuno diceva che nella sua casa si operassero
anche miracoli. Teresa e la sua famiglia erano decisamente antinazisti, ma
Hitler non la molestò mai, perché temeva quella donna che, attraverso le
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sue visioni, gli annunciava il giorno dell’ira e la sua catastrofe finale.
Hitler infatti era soggiogato da tutto ciò che non era spiegabile
razionalmente. Una piccola umile donna, segnata dalle piaghe del Cristo,
che faceva tremare Hitler e le sue famigerate SS. Teresa si spense nel
1962, a 64 anni. Migliaia e migliaia di persone hanno sollecitato presso la
Diocesi di Ratisbona l’inizio del processo di beatificazione. Non si contano
più le grazie a lei attribuite, decine sono i miracoli che sarebbero stati
fatti per sua intercessione da Dio. Teresa Neumann è stata il segno vivo
della presenza del Cristo vivo nella storia. Poiché la fede è l’incontro con il
Vivente, credibile, palpabile, operante, anche per mezzo dei Santi. Santa
Teresa Newman è la Santa della semplicità e dell'amore eucaristico: Lei
viveva solo dell'Eucaristia, dimostrando la veridicità delle parole di Gesù
("La mia carne è veramente cibo, il mio sangue è veramente bevanda"), e
l'Eucaristia viveva in Lei. Visse sempre in comunione con Gesù e Maria che
le apparivano regolarmente, narrando a Lei tanti episodi della vita privata
e pubblica del Signore e della Santa Famiglia.Molti sono, nel corso della
storia della Chiesa, i Santi che hanno testimoniato e vissuto la loro
speciale devozione all’Eucaristia: sarebbe lungo ed inidoneo, rispetto allo
scopo del mio lavoro, enunciarli tutti.Mi sono allora limitato a ricordare
due soli casi particolarmente emblematici.
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La Madonna e l’Eucaristia
(Dall’Enciclica di San Giovanni Paolo II: “ Ecclesia de eucaristia” )
“Se vogliamo riscoprire in tutta la sua ricchezza il rapporto intimo che
lega Chiesa ed eucaristia, non possiamo dimenticare Maria, madre e
modello della Chiesa. Nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae,
additando la Vergine santissima come maestra nella contemplazione del
volto di Cristo, ho inserito tra i misteri della luce anche l'istituzione
dell'eucaristia. In effetti, Maria ci può guidare verso questo santissimo
sacramento, perché ha con esso una relazione profonda.A prima vista, il
Vangelo tace su questo tema. Nel racconto dell'istituzione, la sera del
giovedì santo, non si parla di Maria. Si sa invece che ella era presente tra
gli apostoli, «concordi nella pre ghiera» (At 1,14), nella prima comunità
radunata dopo l'Ascensione in attesa della Pentecoste. Questa sua
presenza non poté certo mancare nelle celebrazioni eucaristiche tra i
fedeli della prima generazione cristiana, assidui «nella frazione del pane»
(At 2,42).Ma al di là della sua partecipazione al convito eucaristico, il
rapporto di Maria con l'eucaristia si può indirettamente delineare a
partire dal suo atteggiamento interiore. Maria è donna «eucaristica» con
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l'intera sua vita. La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è
chiamata a imitarla anche nel suo rapporto con questo mistero
santissimo.Mysterium fidei! Se l'eucaristia è mistero di fede, che supera
tanto il nostro intelletto da obbligarci al più puro abbandono alla parola di
Dio, nessuno come Maria può esserci di sostegno e di guida in simile
atteggiamento. Il nostro ripetere il gesto di Cristo nell'Ultima Cena in
adempimento del suo mandato: «Fate questo in memoria di me!» diventa al
tempo stesso accoglimento dell'invito di Maria a obbedirgli senza
esitazione: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Con la premura materna
testimoniata alle nozze di Cana, Maria sembra dirci: «Non abbiate
tentennamenti, fidatevi della parola di mio figlio. Egli, che fu capace di
cambiare l'acqua in vino, è ugualmente capace di fare del pane e del vino il
suo corpo e il suo sangue, consegnando in questo mistero ai credenti la
memoria viva della sua Pasqua, per farsi in tal modo "pane di vita"».In
certo senso, Maria ha esercitato la sua fede eucaristica prima ancora che
l'eucaristia fosse istituita, per il fatto stesso di aver offerto il suo
grembo verginale per l'incarnazione del Verbo di Dio. L'eucaristia, mentre
rinvia alla passione e alla risurrezione, si pone al tempo stesso in
continuità con l'incarnazione. Maria concepì nell'annunciazione il figlio
divino nella verità anche fisica del corpo e del sangue, anticipando in sé
ciò che in qualche misura si realizza sacramentalmente in ogni credente
che riceve, nel segno del pane e del vino, il corpo e il sangue del
Signore.C'è pertanto un'analogia profonda tra il fiat pronunciato da Maria
alle parole dell'angelo, e l'amen che ogni fedele pronuncia quando riceve il
corpo del Signore. A Maria fu chiesto di credere che colui che ella
concepiva «per opera dello Spirito Santo» era il «figlio di Dio» (cf. Le
1,30-35). In continuità con la fede della Vergine, nel mistero eucaristico
ci viene chiesto di credere che quello stesso Gesù, tiglio di Dio e figlio di
Maria, si rende presente con l'intero suo essere umano-divino nei segni
del pane e del vino.«Beata colei che ha creduto» (Le 1,45): Maria ha
anticipato, nel mistero dell'incarnazione, anche la fede eucaristica della
Chiesa. Quando, nella visitazione, porta in grembo il Verbo fatto carne,
ella si fa, in qualche modo, «tabernacolo» - il primo «tabernacolo» della
storia-dove il figlio di Dio, ancora invisibile agli occhi degli uomini, si
concede all'adorazione di Elisabetta, quasi «irradiando» la sua luce
attraverso gli occhi e la voce di Maria. E lo sguardo rapito di Maria, nel
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contemplare il volto di Cristo appena nato e nello stringerlo tra le sue
braccia, non è forse l'inarrivabile modello di amore a cui deve ispirarsi
ogni nostra comunione eucaristica?Maria fece sua, con tutta la vita
accanto a Cristo, e non soltanto sul Calvario, la dimensione sacrificale
dell'eucaristia. Quando portò il bimbo Gesù al tempio di Gerusalemme
«per offrirlo al Signore» (Le 2,22), si sentì annunciare dal vecchio
Simeone che quel bambino sarebbe stato «segno di contraddizione» e che
una «spada» avrebbe trapassato anche l'anima di lei (cf. Le 2,34-35). Era
preannunciato così il dramma del figlio crocifisso e in qualche modo veniva
prefigurato lo «Stabat Mater» della Vergine ai piedi della croce.
Preparandosi giorno per giorno al Calvario, Maria vive una sorta di
eucaristia anticipata», si direbbe una «comunione spirituale» di desiderio
e di offerta, che avrà il suo compimento nell'unione col figlio nella
passione, e si esprimerà poi, nel periodo post-pasquale, nella sua
partecipazione alla celebrazione eucaristica, presieduta dagli apostoli,
quale « memoriale» della passione.Come immaginare i sentimenti di Maria,
nell'ascoltare dalla bocca di Pietro, Giovanni, Giacomo e degli altri apostoli
le parole dell'ultima cena: «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Le
22,19)? Quel corpo dato in sacrificio e ripresentato nei segni
sacramentali era lo stesso corpo concepito nel suo grembo! Ricevere
l'eucaristia doveva significare per Maria quasi un ri-accogliere in grembo
quel cuore che aveva battuto all'unisono col suo e un rivivere ciò che
aveva sperimentato in prima persona sotto la croce.«Fate questo in
memoria di me» (Le 22, 19). Nel «memoriale» del Calvario è presente
tutto ciò che Cristo ha compiuto nella sua passione e nella sua morte.
Pertanto non manca ciò che Cristo ha compiuto anche verso la Madre a
nostro favore. A lei infatti consegna il discepolo prediletto e, in lui,
consegna ciascuno di noi: «Ecco tuo figlio!». Ugualmente dice anche a
ciascuno di noi: «Ecco tua madre!» (cf. Gv 19,26-27).
Vivere nell'eucaristia il memoriale della morte di Cristo implica anche
ricevere continuamente questo dono. Significa prendere con noi sull'esempio di Giovanni - colei che ogni volta ci viene donata come madre.
Significa assumere al tempo stesso l'impegno di conformarci a Cristo,
mettendoci alla scuola della Madre e lasciandoci accompagnare da lei.
Maria è presente, con la Chiesa e come madre della Chiesa, in ciascuna
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delle nostre celebrazioni eucaristiche. Se Chiesa ed eucaristia sono un
binomio inscindibile, altrettanto occorre dire del binomio Maria ed
eucaristia. Anche per questo il ricordo di Maria nella celebrazione
eucaristica è unanime, sin dall'antichità, nelle Chiese dell'Oriente e
dell'Occidente.Nell'eucaristia la Chiesa si unisce pienamente a Cristo e al
suo sacrificio, facendo suo lo spirito di Maria. È verità che si può
approfondire rileggendo il «Magnificat» in prospettiva eucaristica.
L'eucaristia, infatti, come il cantico di Maria, è innanzitutto lode e
rendimento di grazie. Quando Maria esclama «l'anima mia magnifica il
Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore», ella porta in grembo
Gesù. Loda il Padre «per» Gesù, ma lo loda anche «in» Gesù e «con» Gesù.
È precisamente questo il vero «atteggiamento eucaristico».Al tempo
stesso Maria fa memoria delle meraviglie operate da Dio nella storia della
salvezza, secondo la promessa fatta ai padri (cf. Le 1,55), annunciando la
meraviglia che tutte le supera, l'in carnazione redentrice. Nel Magnificat
è infine presente la tensione escatologica dell'eucaristia. Ogni volta che il
Figlio di Dio si ripresenta a noi nella «povertà» dei segni sacramentali,
pane e vino, è posto nel mondo il germe di quella storia nuova in cui i
potenti sono «rovesciati dai troni», e sono «innalzati gli umili» (cf. Le
1,52). Maria canta quei «cieli nuovi» e quella «terra nuova» che
nell'eucaristia trovano la loro anticipazione e in certo senso il loro
«disegno» programmatico. Se il Magnificat esprime la spiritualità di
Maria, nulla più di questa spiritualità ci aiuta a vivere il mistero
eucaristico. L'eucaristia ci è data perché la nostra vita, come quella di
Maria, sia tutta un magnificat!”
L’Eucaristia e la Vergine Maria
(Dall’esortazione Apostolica “Sacramentum Caritatis” del Santo Padre Benedetto XVI°)
“Dalla relazione tra l’Eucaristia e i singoli Sacramenti, e dal significato
escatologico dei santi Misteri, emerge nel suo insieme il profilo
dell’esistenza cristiana, chiamata ad essere in ogni istante culto
spirituale, offerta di se stessa gradita a Dio. E se è vero che noi tutti
siamo ancora in cammino verso il pieno compimento della nostra speranza,
questo non toglie che si possa già ora con gratitudine riconoscere che
quanto Dio ci ha donato trova perfetta realizzazione nella Vergine Maria,
Madre di Dio e Madre nostra: la sua Assunzione al cielo in corpo ed anima
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è per noi segno di sicura speranza, in quanto indica a noi, pellegrini nel
tempo, quella meta escatologica che il sacramento dell’Eucaristia ci fa fin
d’ora pregustare. In Maria Santissima vediamo perfettamente attuata
anche la modalità sacramentale con cui Dio raggiunge e coinvolge nella sua
iniziativa salvifica la creatura umana. Dall’Annunciazione alla Pentecoste,
Maria di Nazareth appare come al persona la cui libertà è totalmente
disponibile alla volontà di Dio. La sua Immacolata Concezione si rivela
propriamente nella docilità incondizionata alla Parola divina.La fede
obbediente è la forma che la sua vita assume in ogni istante di fronte
all’azione di Dio.Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la volontà
divina; serba nel suo cuore le parole che le vengono da Dio e componendole
come in un mosaico, impara a comprenderle più a fondo (Luca 2,19-51).
Maria è la grande Credente che, piena di fiducia, si mette nelle mani di
Dio, abbandonandosi alla sua volontà.Tale mistero si intensifica fino ad
arrivare al pieno coinvolgimento nella missione redentrice di Gesù. Come
ha affermato il Concilio Vaticano II, “la beata Vergine avanzò nella
pellegrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino
alla croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette (Giovanni
19,15) soffrendo profondamente col suo Unigenito e associandosi con
animo materno al sacrificio di Lui, amorosamente consenziente
all’immolazione della vittima da lei generata; e finalmente, dallo stesso
Gesù morente in croce fu data quale madre al discepolo con queste parole:
Donna, ecco tuo figlio”.Dall’Annunciazione fino alla Croce, Maria è colei
che accoglie la Parola fattasi carne in lei e giunta fino ad ammutolire nel
silenzio della morte.E’ lei, infine, che riceve nelle sue braccia il corpo
donato, ormai esanime, di Colui che davvero ha amato i suoi “sino alla
fine”(Giovanni 13,1). Per questo, ogni volta che nella Liturgia Eucaristica ci
accostiamo al Corpo e Sangue di Cristo, ci rivolgiamo anche a Lei che,
aderendovi pienamente, ha accolto per tutta la Chiesa il sacrificio di
Cristo.Giustamente i Padri sinodali hanno affermato che “Maria inaugura
la partecipazione della Chiesa al sacrificio del Redentore”.Ella è
l’Immacolata che accoglie incondiziona-tamente il dono di Dio e, in tal
modo, viene associata all’opera della salvezza. Maria di Nazareth, icona
della Chiesa nascente, è il modello di come ciascuno di noi è chiamato
ad accogliere il dono che Gesù fa di se stesso nell’Eucaristia”.
(fine dell’Esortazione apostolica)
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Maria ed i suoi messaggi sull’Eucaristia
Nei Messaggi che la Madonna ci ha dato in tutti questi anni a Medjugorie,
ma anche in altri luoghi dove appare, non fa che ripetere a più non posso
che non è possibile vivere la propria conversione a Dio senza l’Eucaristia.
Gli appelli della Madonna sono accorati, come di una buona Madre che
vuole orientare al meglio la vita dei propri figli, conoscendo ciò che è bene
per loro e cercando di evitare loro il male. Maria ci parla di Gesù, persona
vera e viva, presente nel SSmo Sacramento, fonte di vero amore,
espressione viva e palpitante dell’Amore di Dio per gli uomini. Ci parla
dell’amore di Gesù per noi e ci chiede di ricambiarlo. La pedagogia di
Maria è semplice e disarmante e non lascia spazio ad interpretazioni: è
ASSOLUTAMENTE in linea con il Vangelo, nel quale Gesù ci parla senza
mezzi termini (“senza di me non potete far nulla”), (“ io sono la vite e voi i
tralci”), ( “ Chi mangia di me vivrà per me”). Maria ci invita a conoscere
Gesù attraverso la lettura e la meditazione quotidiana della parola, ci
chiede di purificarci attraverso atti penitenziali come il digiuno, di
alimentarci della grazia divina attraverso la preghiera del cuore e la
recita quotidiana del santo rosario, e di attingere alla misericordia divina
attraverso il sacramento della riconciliazione. Ma al centro della sua
pedagogia c’è l’incontro frequente e se possibile quotidiano con Gesù
Eucaristico, nella comunione eucaristica, ma anche nella adorazione
quotidiana del SS.mo Sacramento, e non certo come rito o pedaggio per la
salvezza personale, ma soprattutto come necessità vitale per l’anima, alla
stessa stregua del respiro per il corpo.La Madonna non fa che ripetere di
andare alla fonte dell’amore, con amore; di amare l’Eucaristia, di
desiderarla perché è per noi, con un amore di desiderio, consapevoli che
senza questo amore non si progredisce nelle vie della carità, della
giustizia, non si avanza nella direzione dell’eternità che ci attende per la
vita senza fine.La Madonna ci dice di non avere paura di Gesù, perché è
nostro amico e ci ama, ci chiede di parlargli davanti al tabernacolo come
ad una persona viva realmente presente, anche se nascosta ai nostri sensi
materiali.Maria ci invita anche a consolare Gesù Eucaristico di tutti gli
oltraggi e le indifferenze di cui è fatto oggetto nel mondo con le
adorazioni riparatrici.Nei suoi messaggi spesso ci ripete e ci esorta
instancabilmente : “Dite a Gesù Eucaristia che lo amate, ripeteteglielo
spesso, Egli ama sentirselo dire”. Nella esortazione di Maria, alla
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consolazione del cuore eucaristico di Gesù, non c’è solo l’intento dell’
invito all’amore, anche di gratitudine e di ringraziamento, verso il
Creatore e Redentore, ma c’è anche, in buona misura, una finalità
riparatoria per tutti i peccati di ingratitudine e gli oltraggi e le
indifferenze dell’umanità, che i fedeli devono opportunamente riparare,
anche per collaborare, con il Redentore e con Maria stessa, che è
chiaramente corredentrice, ALLA SALVEZZA del mondo e dell’umanità
tutta. Infine la Madonna, che ha una chiara conoscenza della verità,
immersa come è nel circuito trinitario di luce e di pienezza, sa cosa è il
vero bene dei suoi figli, ed in che cosa consiste la vera felicità: Lei sa
bene che la felicità è la comunione con Dio e che l’uomo la cerca nelle cose
sbagliate, allontanandosi da Dio stesso. Nella Sua pedagogia c’è anche il
tema della felicità degli uomini, e Lei lo affronta con dolcezza materna
(“Io voglio che siate felici”), ma anche con fermezza e decisione (“Solo
Dio può farvi felici”), senza tentennamenti né cedimenti, sulla via della
verità. Lei sa che dopo la morte fisica l’anima si separa dal corpo e sarà
immediatamente giudicata da Dio: ed allora non ci saranno mezze misure,
né ricorsi, né appelli, né raccomandazioni, né tergiversazioni! La sentenza
sarà una ed una sola per gli uomini: la felicità eterna con Dio, o la
disperazione eterna senza di Lui. Forte di questa consapevolezza la
Madonna, come una buona madre, interessata al destino dei suoi figli, non
usa mezze misure nell’affermare la verità che è una sola: senza Gesù non
possiamo fare nulla, salvo sperimentare il fallimento della nostra vita
(“Senza mio Figlio non potete far nulla”) ed ancora, in altri passaggi, la
verità estrema ed ultima, quasi un ultimatum (“Decidetevi per Dio”), ma
condito sempre dalla sua straordinaria dolcezza materna (“Non temete io
sono sempre con voi e non vi abbandono”).
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Conoscere, amare, vivere l’eucaristia e promuovere la
devozione eucaristica.
Alla luce di quanto abbiamo sino ad ora appreso e meditato sul mistero
eucaristico possiamo certamente affermare che esso si chiude
inesorabilmente ad un approccio intellettuale e di mera ricerca teologica,
per aprirsi alla comprensione delle anime semplici, che si accostano al
mistero della presenza divina, nel Santissimo Sacramento, con fiducia, con
amore e per amore: costoro hanno accesso alle meraviglie del Sacramento
dell’Amore Divino e riescono a gustare le dolcezze del Signore.
Questo avviene perché le anime semplici non indagano, si fidano delle
parole del Maestro e lo cercano nella Santa Eucaristia perché così Gesù ci
ha insegnato: cercano il Maestro, la Sua compagnia, la Sua forza, e non
altro; e, gustatane la soavità, non possono fare a meno, quotidianamente o
comunque frequentemente, di riceverlo con quell’amore e quel desiderio
che arricchiscono l’anima e le fanno pregustare le delizie dell’amore
divino. L’Eucaristia è una scuola silenziosa di amore, che piega e mitiga le
asprezze dell’anima ; essa è una vera medicina discreta ed efficace che
senza clamore risana e guarisce le ferite dell’anima: ma, a differenza
delle medicine, che sono amare, poco gradevoli, e che comunque, al
massimo, ripristinano lo stato di salute corporale, Essa ci comunica una
grande dolcezza frammista a pace, ci riconcilia con il mondo e ci dona la
vera vita, non un momentaneo stato di benessere o il recupero di una
salute compromessa. La Gioia che l’Eucaristia ci dona è il frutto
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dell’immersione dell’anima, anche se solo per pochi istanti, nel circuito di
Amore Trinitario, nel quale il Signore Gesù ci conduce, assieme a Lui, nella
comunione della nostra persona alla Sua Sublime Persona Divina, e
costituisce il pegno, l’anticipazione e la pregustazione delle future
beatitudini celesti, alle quali le nostre anime sono chiamate alla fine della
vita terrena. Il compito di noi tutti non può essere altro che di
approfondire la conoscenza delle virtù dell’Eucaristia, per amarla più
intensamente, ma anche per promuovere l’amore, la devozione e
l’adorazione eucaristica presso tutti i fedeli, e per vivere e testimoniare
l’eucaristia, cioè per vivere in modo eucaristico (cioè vivere per
l’Eucaristia). Per scoprire qualcosa delle ricchezze sterminate racchiuse
nel mistero eucaristico, è necessario che ci applichiamo in un costante
esercizio meditativo della mente, del cuore, della volontà.
Occorre una meditazione attenta e ordinata sull’Eucaristia, fatta su libri
che ci portino alla scoperta e all’approfondimento personale di questo
mistero d’amore (semplice, ma ricco, è il volumetto di S. Alfonso M. de’
Liguori, Visite al SS. Sacramento e a Maria SS.; preziosi i due volumetti
di S. Pietro Giuliano Eymard, La Presenza Reale, La S. Comunione).
Andiamo soprattutto alla scuola di S. Pietro Giuliano Eymard, che fu
impareggiabile apostolo dell’Eucaristia. Portare tutti all’Eucaristia fu la
sua vocazione e missione. Quando fondò la Congregazione dei Sacerdoti
del SS. Sacramento, egli offrì la sua vita per il Regno Eucaristico di Gesù
e scrisse allora le ardenti parole: “Eccovi, o caro Gesù, la mia vita: eccomi
pronto a mangiare pietre, a morire abbandonato, pur di riuscire a
innalzarvi un trono, a darvi una famiglia di amici, un popolo di adoratori”.
Se conoscessimo il dono di Dio che è Amore, e che donandoci Se stesso ci
dona tutto l’Amore! “L’Eucaristia - dice S. Bernardo - è l’amore che
supera tutti gli amori nel cielo e sulla terra”. E S.Tommaso ha scritto:
“L’Eucaristia è il Sacramento dell’amore, significa amore, produce amore”.
Un giorno un emiro arabo, Abd-el-Kader, girando per le vie di Marsiglia in
compagnia di un ufficiale francese, si incontrò con un Sacerdote che
portava il S. Viatico a un moribondo. L’ufficiale francese si fermo’, si
scoprì il capo e piegò il ginocchio. L’amico gli chiese la ragione di quel
saluto. “Adoro il mio Dio che il Sacerdote sta portando a un ammalato”,
rispose il bravo ufficiale. “Come mai - reagì l’emiro - potete voi credere
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che Dio, così grande, si faccia tanto piccolo, e consenta di andare anche
nelle soffitte dei poveri? Noi maomettani abbiamo un’idea ben più alta di
Dio”. “È perchè voi - replicò l’ufficiale - avete soltanto un’idea della
grandezza di Dio; ma non conoscete il suo amore”.
Proprio così. "L’Eucaristia - esclama S. Pietro G. Eymard - è la suprema
manifestazione dell’amore di Gesù: dopo di essa non c’è più che il cielo”.
Eppure, quanti di noi cristiani ignoriamo ancora la portata immensa
dell’Amore contenuto nell’Eucaristia!
Se ogni cristiano deve amare Gesù Cristo (“Chi non ama il Signore Gesù sia
maledetto”: 1 Cor. 16, 22), l’amore verso l’Eucaristia dovrebbe essere
spontaneo e sempre vivo in tutti. Ma anche l’amore esige l’esercizio.
Bisogna esercitare il cuore a desiderare il vero Bene, a bramare “l’Autore
della vita” (Att. 3, 15).
La S. Comunione rappresenta il vertice di questo esercizio d’amore che si
consuma nell’unione fra il cuore della creatura e Gesù. S. Gemma Galgani
poteva esclamare a riguardo: “Non posso più reggere a pensare che Gesù
nella prodigiosa espansione del suo amore, si fa sentire e si manifesta
all’ultima sua creatura con tutti gli splendori del suo cuore”. E che dire
degli “esercizi” del cuore di Santa Gemma che desiderava essere una
“tenda d’amore” in cui tenere sempre Gesù con sé? Che bramava avere “un
posticino nel ciborio” per poter stare sempre con Gesù? Che chiedeva di
poter diventare “la sfera delle fiamme di amore” di Gesù?
Quando S. Teresa del Bambino Gesù era già ammalata gravemente, si
trascinava con grande sforzo in Chiesa per ricevere Gesù. Una mattina,
dopo la S. Comunione, fu trovata nella sua cella, esausta, sfinita. Una delle
suore le fece osservare di non doversi sforzare tanto. La Santa rispose:
“Oh, che cosa sono queste sofferenze di fronte a una Comunione?” E il
suo dolce lamento per non poter fare la Comunione quotidiana (non
permessa ai suoi tempi) si risolse nell’invocazione ardente a Gesù:
“Restate in me come nel Tabernacolo, non allontanatevi mai dalla vostra
piccola ostia”.
Quando S. Margherita Maria Alacoque lasciò il mondo e si consacrò a Dio
nel monastero, fece un voto particolare e lo scrisse con il suo sangue:
“Tutto per l’Eucaristia: nulla per me”. Inutile tentar di descrivere l’amore
struggente della Santa per l’Eucaristia. Quando non poteva comunicarsi,
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usciva in accenti d’affetto bruciante come questi: “Ho un tale desiderio
della S. Comunione, che, se fosse necessario camminare a piedi nudi sopra
una strada di fuoco per giungervi, lo farei con indicibile gioia”.
S. Caterina da Siena diceva spesso al suo Confessore: “Padre, ho fame:
per l’amore di Dio date a questa anima il suo nutrimento, Gesù
Eucaristico”; oppure, confidava: “Quando non posso ricevere il Signore,
vado in Chiesa, ed ivi Lo guardo... Lo guardo ancora...: e questo mi sazia”.
La volontà deve esercitarsi nel tradurre in vita le divine lezioni
dell’Eucaristia. A che servirebbe scoprire il valore infinito dell’Eucaristia
(con la meditazione) per cercare di amarla (con la S. Comunione), se poi
non ci si applica a viverla?
L’Eucaristia è lezione di amore indicibile, di immolazione totale, di umiltà e
nascondimento senza pari, di pazienza e dedizione illimitate. Cosa
facciamo noi? Dobbiamo pur realizzare qualcosa ! Possibile che Gesù ci ha
amato e ci ama “fino all’eccesso” (Giov. 13, 1), e noi restiamo indifferenti e
inerti? Se ci sentiamo deboli e fragili, ricorriamo a Lui, diciamolo a Lui e
cerchiamo da Lui senza indugi l’aiuto e il sostegno, perché è proprio Lui
che ha detto: “Senza di Me non potete far nulla” (Giov. 15, 5). Ma
innanzitutto andiamo da Lui! “Venite a Me... e lo vi ristorerò” (Matt. 11,
28). Andiamo a visitarlo spesso, entrando in Chiesa ogni volta che
possiamo e sostando un po’ di tempo presso il Tabernacolo, vicini a Lui col
cuore e col corpo. Erano ansia costante dei Santi la “Visita” a Gesù
Eucaristico, l’ora di Adorazione eucaristica, le Comunioni Spirituali, le
Giaculatorie, gli atti di amore a gettito spontaneo e vivace. Quanto bene
ne ricevevano e quanto ne trasmettevano! Un giorno, a Torino, un amico
chiese a Pier Giorgio Frassati, suo compagno di università: “Andiamo a
prendere un aperitivo”. Pier Giorgio colse a volo l’occasione, e rispose
indicando all’amico la vicina Chiesa di S. Domenico: “Ma sì andiamo a
prenderlo in quel... bar”. Entrarono in Chiesa e pregarono per un po’ di
tempo presso il Tabernacolo; poi, avvicinandosi alla cassetta delle
offerte, Pier Giorgio disse: “Ecco l’aperitivo...”. E dalle tasche dei due
giovani uscì l’elemosina per i poveri.
Pensando all’Eucaristia, S. Giovanni Crisostomo chiese una volta durante la
predica: “Come potremmo fare noi dei nostri corpi un’ostia?”. E rispose lui
stesso: “I vostri occhi non guardino nulla di cattivo, e avrete offerto un
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sacrificio; la vostra lingua non preferisca parole sconvenienti, e avrete
fatto un’offerta; la vostra mano non commetta peccato, e avrete
compiuto un olocausto”.
Pensiamo agli occhi di S. Coletta, sempre bassi e raccolti in soave
modestia; perché? “I miei occhi li ho riempiti di Gesù che ho fissato
all’elevazione dell’Ostia nella S. Messa, e non voglio sovrapporGli
nessun’altra immagine”.
Pensiamo al riserbo e all’edificazione dei Santi nel parlare, usando
esattamente la lingua consacrata dal contatto con il Corpo di Gesù.
Pensiamo alle opere buone che le anime innamorate dell’Eucaristia hanno
compiuto, perché Gesù comunicava loro i suoi stessi sentimenti di amore a
tutti i fratelli, specialmente ai più bisognosi.
Non potremmo anche noi esercitare così la nostra volontà? Impariamo dai
Santi, e cerchiamo di imitarli.
Con l’esercizio della volontà si acquistano le virtù e si progredisce nelle vie
della conversione a Dio secondo i comandamenti divini. Con l’esercizio della
volontà compiamo le opere di carità e di giustizia gradite a Dio e
testimoniamo realmente in modo concreto ed inoppugnabile la nostra Fede
nel Vangelo e nel Signore Nostro Gesù Cristo, ed onoriamo la Santissima
Eucaristia che ci plasma e ci trasforma, ma attende da noi una prova di
fedeltà e di amore vero, non parolaio, attraverso le nostre opere, le sole
che confermano la nostra fede rendendola viva ed operante. Se vogliamo
un argomento decisivo e convincente per promuovere negli altri l’amore e
la devozione verso il Santissimo Sacramento, o tutti noi che ci accostiamo
ad Esso spesso, dicendo di amarlo, possiamo solo suggerire il migliore, il
più efficace degli argomenti: Amiamo, solo e soltanto amiamo, come il
Signore ci ha insegnato ad amare. Con la testimonianza di vita nell’amore
convinceremo, stupiremo, ammaestreremo, convertiremo molte persone:
se noi dimoreremo nell’amore l’Eucaristia dimorerà in noi, ed in noi sarà la
luce per illuminare le genti, la luce ci precederà, saremo il sale della terra,
e la giustizia ci camminerà davanti.
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CONCLUSIONI
Abbiamo provato in queste pagine a contemplare il Mistero
Eucaristico e lo abbiamo fatto in nove incontri comunitari, nel
corso dei quali era vibrante e percepibile l’amorosa devozione
alla Santa Eucaristia. Non si può dire che non ci fosse curiosità
nel desiderio di approfondire il Mistero, ma quella curiosità era
santa e benedetta, perché rispettosa e finalizzata a conoscere
meglio, per amare di più e meglio, e per desiderare di più, e con
maggiore devozione, il nostro quotidiano incontro con il Signore.
Abbiamo approfondito, credo, bene la missione della riparazione
eucaristica, così come abbiamo, in modo esteso e chiaro,
spiegato la necessità e l’importanza della adorazione eucaristica,
personale e comunitaria.
Abbiamo infine insistito molto sulla necessità di vivere
l’Eucaristia e di diventare tutti quanti anime eucaristiche,
compiendo lo sforzo di dare compimento alla comunione
eucaristica con il Signore, che comincia consumando l’Eucaristia
nella Santa Messa, ma continua nell’adempimento della nostra
missione quotidiana nella società, nella famiglia, nella comunità,
tra gli amici ed i nemici, e nel posto di lavoro.
Il mio augurio è che questo lavoro, uno tra i tanti, sicuramente
tra i più modesti ed insignificanti nella vasta letteratura
cattolica sull’argomento, ma certamente realizzato con grande
amore e dedizione a Gesù Eucaristico e con spirito di servizio
verso tutti coloro che lo leggeranno, possa essere veramente
utile, e possa servire a trarre, dalle nostre profondità spirituali,
le migliori energie da donare al Signore all’insegna della nostra
più totale dedizione.
Gioacchino Ventimiglia
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