Introduzione in italiano
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Introduzione in italiano
Introduzione INTERPRETAZIONI E «USI» POLITICI DEL MACHIAVELLI Paolo Carta e Xavier Tabet Il libro che si propone ai lettori, in una edizione franco-italiana, è il risultato di una collaborazione e di un dialogo tra studiosi italiani e francesi, sulle letture che sono state fatte dell’opera di Machiavelli nel XIX e nel XX secolo. Frutto di due incontri che hanno avuto luogo nel giugno del 2003 presso l’ENS-LSH de Lyon e nel giugno del 2004 all’Université Paris 8, organizzati in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Trento, questo volume intende contribuire a continuare il lavoro di Giuliano Procacci (Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna)1. Partendo dalla premessa secondo cui la storia della fortuna di Machiavelli si svolge in modo parallelo a quella del processo di formazione e sviluppo della modernità politica, «di cui essa rappresenta una delle componenti, che è tutt’altro che secondaria», Procacci ha voluto dare la misura dell’apporto del pensiero machiavelliano nel «patrimonio» della cultura moderna, la misura della sua influenza, ma ancora di più della sua «incidenza», dal XVI secolo fino alla prima metà del XIX. Il suo studio si chiude con le letture di Mundt, Quinet e Ferrari, quelle dell’epoca della «primavera dei popoli», e con la celebrazione in Italia del IV Centenario machiavelliano (1869), durante il Risorgimento, quando Francesco De Sanctis presentava il Segretario fiorentino come il profeta appassionato e precursore dell’unità italiana. Il volume raccoglie, solo in parte, i contributi dedicati ad alcuni tra i principali «usi politici» del pensiero di Machiavelli tra il XIX e XX secolo, senza ovviamente pretendere una impossibile esaustività. Gli autori hanno dunque tentato di identificare le interpretazioni storicamente più rilevanti e gli atteggiamenti etici e politici fondamentali (espliciti, ma talvolta anche impliciti) che sono stati assunti nei suoi riguardi. Dopo il 1789, in effetti, le letture di 1 G. PROCACCI, Machiavelli nella cultura europea dell’età moderna, Roma-Bari, 1995, edizione rivista e aggiornata degli Studi sulla fortuna di Machiavelli, Roma, 1965. 2 INTRODUZIONE Machiavelli avevano perso quel loro riferimento unitario costituito dagli stati di antico regime. A partire da Machiavelli, contro di lui o con lui, si erano poste, essenzialmente, le questioni dei limiti del potere dei principi, della definizione degli ambiti propri della morale, della politica e del diritto, della conformità delle azioni dei governanti con i precetti della religione. Come mostra nel suo contributo Bernard Gainot, dopo la Rivoluzione francese e i cambiamenti che essa determina rispetto alle interpretazioni «repubblicane» dell’epoca dei Lumi, le letture di Machiavelli sono diventate sempre meno delle giustificazioni, elaborate a partire dalla critica o dalla adesione alle sue idee. Tali letture non si legarono più agli stati di antico regime e al loro governo, ma al problema della Nazione, di cui bisognava ritrovare le origini prossime o lontane e definire il destino. La domanda che allora si pose fu principalmente questa: cos’è la Nazione, come costruirla, come saldare Stato e Nazione? E le risposte non potevano che essere determinate da intenzioni specificamente politiche, nel significato nuovo che il termine ha acquisito dopo la Rivoluzione. In Germania, come mostra Jean-Michel Buée, a partire da Hegel e da Fichte si sviluppa una linea di lettura che si prolungherà all’epoca di Bismarck, fino a Treitschke e Nietzsche, e che interpreterà Machiavelli come teorico della volontà di potenza, indispensabile alla costruzione dello Stato e all’affermazione della Nazione; i testi di Ernesto De Cristofaro e di Maurizio Cau sono entrambi dedicati alle letture tedesche di Machiavelli tra la fine dell’800 e il periodo compreso tra le due guerre. Anche in Italia, nell’800 il problema verterà sui modi di fondare uno Stato-nazione moderno. Il testo di Xavier Tabet sulle interpretazioni risorgimentali di Machiavelli presenta lo spettro delle letture giacobine, patriottiche e repubblicane, da Cuoco e Foscolo fino a Mazzini, Cattaneo, Ferrari, e l’Unità del Paese. In questo frangente storico il pensiero del Fiorentino fu fondamentale per l’elaborazione delle dottrine giuspubblicistiche italiane, nell’intreccio di politica, diritto e storiografia come mostra Diego Quaglioni ripercorrendo la cultura giuridica italiana tra Otto e Novecento. Nelle pagine di Pasquale Stanislao Mancini si affacciano dunque quei nodi irrisolti con i quali, nel nome di Machiavelli, la riflessione politica e storiografica italiana del primo ’900 dovette fare i conti. È possibile affermare dunque che Machiavelli nell’800 sia stato letto e utilizzato, particolarmente in paesi come la Germania e l’Italia, che erano in ritardo di una «rivoluzione»; ma il suo pensiero fu anche nella INTERPRETAZIONI E «USI» POLITICI DEL MACHIAVELLI 3 Francia dell’800 fatto oggetto di un nutrito dibattito, in particolare nell’ambito della cultura repubblicana, espressa da Quinet e Ferrari e qui evocata da Georges Navet. Si è voluto dunque esporre come, dall’inizio dell’800, esistano delle letture «nazionali», dal profilo talvolta ben delineato e talvolta piuttosto frammentato, letture legate ai partiti o alle organizzazioni politiche, prodotte da gruppi o da scuole di pensiero, elaborate in uno stesso paese o in diversi paesi. Mescolando prospettiva nazionale e prospettiva storica in questa genealogia degli usi politici di Machiavelli, si è insistito sull’identificazione dei «momenti», nei quali il suo pensiero ha avuto una particolare attualità. Essa è generalmente viva nei periodi di forte tensione politica; lo fu in Italia durante gli anni della «esportazione» della Rivoluzione francese, quelli del Triennio rivoluzionario, lo fu nel 1848 – come testimonia l’opera di Giuseppe Ferrari, Machiavel juge des révolutions de notre temps (1849) – e lo fu anche tra le due guerre. Se la seconda guerra mondiale costituisce indubbiamente un momento di rottura essenziale nelle letture di Machiavelli, è pur sempre vero che esistono dall’inizio del XX secolo fino a oggi, delle tradizioni interpretative nazionali e politiche. Le letture tedesche (da Meinecke a Schmitt a Ritter), si differenziano dalle interpretazioni repubblicane anglo-americane (di Gilbert, Pocock e Skinner), esposte da Marie Gaille-Nikodimov, o dalle letture liberali e umaniste francesi (da Renaudet ad Aron e Maritain), evocate da Gerald Sfez o ancora dalle letture inscritte nella tradizione sovietica, presentate da Paolo Carta. È certo anche che l’epoca tra le due guerre ha rappresentato un vero e proprio «momento machiavelliano», in cui il pensiero del Segretario fiorentino come teorico dei mutamenti e dell’instabilità politica – e dei «mezzi» necessari per pervenire all’instaurazione di un «ordine» – è stato di grande attualità. In Italia, dopo la svolta del 1925 e l’instaurazione dello Stato fascista, la rilettura di tipo totalitario del pensiero del Fiorentino, esposta da Xavier Tabet e da Gennaro Maria Barbuto, matura man mano che si costruisce la dottrina dello Stato «nuovo», quello Stato «etico», del quale l’autore del Principe era allora considerato uno dei primi profeti. Durante gli anni ’30, quando il regime italiano accentuerà il suo carattere militare e imperialista, avvicinandosi alla Germania nazista, Machiavelli non sarà più considerato come un precursore dello Stato fascista; riletto allora in 4 INTRODUZIONE un’ottica treitschkiana, egli diventerà soprattutto un pensatore della «forza» e della «missione di potenza» dello Stato. La riscrittura totalitaria di Machiavelli è stata ovviamente criticata in Italia sin dagli anni ’20 dagli intellettuali antifascisti liberali e socialisti; d’altra parte, durante quegli anni, il pensiero di Machiavelli è stato anche fondamentale nell’elaborazione della dottrina gramsciana del «Partito-Stato». Queste due tradizioni dell’antifascismo italiano costituiscono l’oggetto del testo di Antonio Bechelloni. Come è stato notato, tra gli altri, da Eugenio Garin, negli anni ’20 e ’30 studiare Machiavelli non significava analizzare un momento qualsiasi della cultura italiana; significava bensì prendere posizione su tutte le questioni fondamentali della politica e della storia d’Italia. Che queste letture siano ancora oggi accettate come «scientifiche», o che siano testi appartenenti a una letteratura cosiddetta «minore», si trattava pur sempre di posizioni essenzialmente politiche. Machiavelli, la cui ombra aleggiava spesso perfino in testi che non parlavano esplicitamente di lui, era allora l’oggetto di un «impegno», che obbligava necessariamente a compiere una scelta di campo; egli rappresentava non tanto un enigma quanto piuttosto uno spartiacque, una sorta di frontiera. In seguito, dopo la fine della seconda guerra mondiale, molti sono stati coloro che hanno denunciato lo stretto legame tra la concezione machiavelliana dello Stato e la politica di potenza delle «tirannie moderne». Oggi, la querelle del machiavellismo, come la chiamava Raymond Aron nel 1943, non si è ancora chiusa. Alcuni hanno soprattutto evidenziato, nel dopoguerra, i pericoli che il suo pensiero contiene rispetto ai fondamenti della filosofia politica classica (Leo Strauss), mentre altri invece hanno ritenuto che la voce di Machiavelli ci parla sempre, dalla sua inclassificabile «solitudine» nel pensiero occidentale, con quella «strana familiarità» che Louis Althusser continuava ancora a percepire negli anni ’70. Così ogni generazione ha potuto leggere Machiavelli alla luce degli eventi di cui è stata testimone: la nascita dello Stato moderno, le guerre di religione, la rivoluzione inglese, la rivoluzione americana, la nascita del costituzionalismo, la rivoluzione francese e la prima formulazione dei diritti dell’uomo, i movimenti di liberazione nazionale, i nazionalismi e i totalitarismi. Che ne è di Machiavelli oggi? La questione dell’«attualità» del suo pensiero è in realtà una questione duplice: se questo pensiero ha potuto produrre un «effetto» sul XX secolo, qual è inversamente l’effetto che la storia del ’900 produce INTERPRETAZIONI E «USI» POLITICI DEL MACHIAVELLI 5 necessariamente sulla nostra lettura di Machiavelli? Un pensiero così legato alla guerra come verità dei rapporti tra gli Stati, possiede ancora oggi una sua efficacia? Queste sono alcune delle domande e delle prospettive che sono state prese in considerazione durante i nostri incontri e che percorrono l’insieme dei testi del presente volume: questioni e prospettive che sono inseparabili da ciò che Claude Lefort ha chiamato le travail de l’oeuvre: Machiavel (1972). La raccolta che si presenta, dunque, non può e non vuole essere né sistematica, né esaustiva. Al suo interno non si troveranno documenti inediti o rari, che avrebbero potuto nutrire la querelle del machiavellismo, o scoprire qualche autore sconosciuto o dimenticato che si sarebbe interessato a Machiavelli. Il volume, che rispecchia lo spirito delle giornate di studio, è concepito piuttosto come un luogo nel quale si incontrano una pluralità di prospettive, in parte divergenti a seconda del paese di origine o della formazione scientifica degli autori dei singoli contributi. Tuttavia, malgrado la necessaria diversità degli approcci, nei singoli saggi del volume si scopre la medesima volontà di esporre non solo le diverse letture del pensiero di Machiavelli, ma anche le loro origini storiche e politiche. Bisogna tuttavia riconoscere che vi sono nel volume alcune assenze. Per citarne solo una, tra le più evidenti, il lettore non troverà tra queste pagine un panorama delle principali letture scientifiche e accademiche, che tanto hanno contribuito dal 1945 in poi alla conoscenza storica e filologica del Machiavelli. Si tratta di un campo di studi assai ampio, ancora aperto, che richiederebbe una ricerca che va oltre i limiti delle due giornate di studio di cui si raccolgono gli atti. A questo riguardo bisogna ancora una volta precisare che il volume non è concepito come ciò che comunemente si indica con l’espressione storia della «fortuna» di un autore2. Il lettore non vi troverà una storia della critica di Machiavelli, ma piuttosto, come si è già detto, una prima e provvisoria ricostruzione degli usi politici che sono stati fatti del suo pensiero. In seno alla critica machiavelliana si può dire comunque che sia oggi predominante una lettura in chiave repubblicana. Tali studi non 2 Per una bibliografia della critica machiavelliana si rimanda tra gli altri a C. F. GOFFIS, Niccolò Machiavelli, in W. BINNI (a cura di), I classici italiani nella storia della critica, I, Firenze, 1954; F. FIDO, Machiavelli, Palermo, 1965; S. BERTELLI, P. INNOCENTI, Bibliografia machiavelliana, Verona, 1979; E. CUTINELLI RENDINA, Introduzione a Machiavelli, Roma-Bari, 2003. 6 INTRODUZIONE hanno del tutto perso ogni dimensione politica e Machiavelli rimane un autore col quale non è facile mantenere la serenità, che richiedono le ricerche scientifiche. Tuttavia, si è voluta tracciare soprattutto la storia delle molteplici letture, talvolta poco scientifiche, ma molto «efficaci» storicamente, che del pensiero machiavelliano sono state proposte. Concretamente, fare questa storia non consiste nel ritrovare l’archivio delle cose dette, ma piuttosto nell’aprire l’arena delle battaglie svolte attorno a Machiavelli; ed è nella dimensione eminentemente politica di queste battaglie, che ci sembra necessario discutere di questa genealogia. Machiavelli è qui considerato innanzitutto come un prisma, una «misura» che permette di leggere e situare il dibattito politico delle diverse epoche. In tal modo, tracciare le diverse interpretazioni di Machiavelli nell’800 e ’900 è necessariamente anche un modo per realizzare una cartografia del pensiero politico europeo, poiché non vi è praticamente alcuno tra i grandi autori classici del pensiero politico, che in un determinato momento della propria vita non si sia confrontato con la sua opera. Ciò che si è tentato di comprendere è il modo in cui l’autore del Principe e dei Discorsi è stato letto, ciò che si è letto della sua opera, ma anche ciò che è stato tralasciato, di quali controversie è stato fatto oggetto e quali sono state le manipolazioni e le falsificazioni del suo pensiero: ecco quel che chiamiamo la «storia degli usi». Il pensiero di Machiavelli è un pensiero «interminabile», perché permette di pensare la storia del tempo presente, ma anche perché, reciprocamente, questa storia sembra continuamente portare alla sua riattualizzazione3. Esso è interminabile perché si apre sul campo illimitato delle azioni umane, e perché non cessa di essere riattualizzato, ogni volta che una circostanza o un insieme di circostanze ne forniscono l’«occasione» o più spesso ancora la «necessità». L’opera di Machiavelli è un’«opera aperta», nel senso che è nella sua natura generare un commento infinito; non ha mai cessato di essere interrogata, rimessa in questione, e ci sembra che questa interrogazione infinita sia consustanziale al pensiero del Fiorentino. Questo pensiero deve ovviamente essere compreso prima di tutto facendo riferimento all’epoca in cui si situava, ma la strada verso Machiavelli passa anche dalla letteratura su Machiavelli. Del resto, un 3 A. FONTANA, X. TABET, Machiavel après Machiavel. Note pour un travail à faire, in Langues et écritures de la république et de la guerre. Etudes sur Machiavel sous la direction de A. Fontana, J.-L. Fournel, X. Tabet, J.-C. Zancarini, Genova, 2004, p. 487497. INTERPRETAZIONI E «USI» POLITICI DEL MACHIAVELLI 7 «grande autore» si definisce sempre dagli usi interminabili che si possono fare della sua opera. Questi molteplici usi mettono necessariamente in luce le contraddizioni, le discontinuità e le rotture, se non talvolta le incoerenze, che si ritrovano spesso nei «classici», nei quali non bisognerebbe limitarsi a ricercare solo coerenza e linearità; e sono anche queste riattualizzazioni e riutilizzazioni che illustrano la vitalità di un’opera e fanno tutta la sua ricchezza, cioè, in ultima istanza, la sua resistenza ad ogni interpretazione monolitica e totalizzante. I curatori desiderano ringraziare il Dipartimento di Scienze Giuridiche e la commissione di lettura composta dai professori Fulvio Zuelli, Luca Nogler e dal dottor Christian Zendri, per aver propiziato la pubblicazione del volume nella collana; i professori Jean-Louis Fournel e Jean-Claude Zancarini che hanno creduto nel lavoro, sostenendolo e inserendolo nel progetto di ricerca «Triangle: action, discours, pensée politique et économique - UMR 5206» (ENS-LSH Lyon); il professor Alessandro Fontana per la sua lettura e gli indispensabili consigli; la dottoressa Valentina Lucatti, che ha curato l’allestimento editoriale del volume per il Dipartimento; la signora Carla Boninsegna, che insieme a lei ha garantito un prezioso sostegno durante tutte le fasi di preparazione, e il dottor Vincenzo Contri della CEDAM, per l’infinita pazienza e cortesia con cui ha esaudito ogni nostra richiesta.