Namaste!

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Namaste!
Cari Sostenitori
Namaste!
Benvenuti al nostro primo numero di “Balbalika”, il mensile on line che vi informa sul
nostro lavoro a sostegno dell’infanzia abbandonata in Nepal.
Diamo inizio al nostro appuntamento periodico attraverso cui vi informeremo, vi
aggiorneremo e vi coinvolgeremo in una realtà apparentemente così remota, eppure
vicina. Vicina, si. Perché “vicini” e ovunque uguali sono i diritti dei bambini, perché
“vicini” e comunque importanti sono i sogni di ognuno di loro.
Queste pagine saranno dedicate prevalentemente alla presentazione del paese, la sua
gente, la condizione di abbandono in cui si trovano molti bambini e il nostro impegno a
favore delle loro voci, troppo spesso inespresse e inascoltate.
Rinviando alla prossima edizione per approfondimenti e articoli, saremo noi volontarie a
introdurvi in questo mondo.
In questo numero troverete:
 Una breve introduzione al Nepal, che vi permetterà di conoscere maggiormente la
realtà di questo piccolo paese: Una terra di mezzo.
 L’abbandono in Nepal: Cause e conseguenze.
 La mission di Amici di Bambini e gli istituti in cui operiamo.
Newsletter di aggiornamento sui progetti di Amici dei Bambini in Nepal n. 01 – aprile 2007
Il Nepal: Una terra di mezzo
Il regno del Nepal con capitale Kathmandu è un paese fatto di religioni, differenti culture e
tradizioni
antiche
perfettamente
integrate in una civiltà che si sta via via
modernizzando, seppur con evidenti
limiti, soprattutto economici e sociali.
Il territorio si estende su di un’area
approssimativa di 141.000 km2 ed ha
una popolazione di circa 27,680,000
persone che parlano la lingua ufficiale
del Nepal, il Nepali, ma dove l’inglese
ha trovato larga diffusione.
Il Nepal è una terra il cui scenario è incantevole all’occhio attento di tutti coloro che desiderano
godere delle sue ricchezze o effettuare escursioni a piedi attraverso uno dei suoi incantevoli
percorsi. Un lembo di terra che racchiude in sé le bellezze architettoniche dei templi induisti, le
affascinanti meraviglie di una giungla popolata da tigri, rinoceronti e, dal lato opposto, i lunghi
sentieri che si estendono a ridosso delle imponenti cime dell’Hymalaya, tra cui quella più alta
del mondo: l’Everest.
La cultura del Nepal è interessante, antica, profondamente imperniata dal credo religioso.
L’indù è la religione nazionale, ma numerose sono le altre minoranze religiose, quali quella
buddista e quella musulmana. Tanti sono i giorni dedicati alle divinità religiose, ognuna delle
quali rappresenta un aspetto particolare della vita, riveste un ruolo specifico e possiede un
significato univoco. Le cerimonie di venerazione sono molteplici: i cruenti sacrifici di animali,
l’esplosione dei colori per celebrare la vittoria del bene sul male, lo spargimento di fiori e frutta
tra le vie della città e nei villaggi, i canti, le preghiere, i rintocchi delle campane il cui suono si
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diffonde tra le strade e le case vicine, quando le prime luci del mattino giungono a riscaldare
l’aria e i vespri annunciano l’arrivo della sera.
Grandi ricorrenze nazionali sono il festival del Dasain, che cade solitamente nel mese di ottobre
e quello del Tihar, nel mese di novembre, festività che vedono gli animali quali protagonisti
principali.
Particolarmente ricco dal punto di vista paesaggistico, scenico e culturale, il Regno del Nepal
esercita un forte richiamo sul mondo occidentale. Molti, dopo aver goduto delle bellezze del
Regno del Nepal ed aver in qualche modo amato la gentilezza e l’ospitalità della sua gente, la
ricchezza delle tradizioni e la straordinaria diversità etnica ivi esistenti, tornano a visitarlo di
nuovo, per apprezzarne maggiormente la complessità naturale e culturale!
Una curiosità, che non appare tuttavia stonata se contestualizzata nella realtà nepalese e che
non stupisce tutti coloro che conoscono o solo riescono ad immaginare questa lontana terra, è
che tra i mezzi di trasporto più diffusi, soprattutto se si esce dalla valle di Kathmandu, sono la
bicicletta e i piedi che madre natura ci ha donato. In molte aree nepalesi sono infatti la sola
soluzione possibile per raggiungere località che in alcuni casi distano addirittura un mese di
cammino!
L’abbandono in Nepal: cause e conseguenze
Il Nepal, comunque, è molto più di questi bellissimi paesaggi.
E’ semplicità di vita, diversità, volti segnati dal tempo, sorrisi spontanei e incondizionati.
E’ anche povertà, sofferenza, duro lavoro per riuscire a sfamare la bocca dei propri figli e la
propria.
E’ violenza tra le sconosciute vie di pietra e polvere; è miseria tra le case di fango e paglia; è
abbandono tra gli ospedali, nelle strade; è l’ “urlo silenzioso” di numerose donne ripudiate che,
con i propri figli, si ritrovano prede di un destino difficile da affrontare, difficile da cambiare.
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Questo è il Nepal: un groviglio di emozioni, realtà, contraddizioni e problemi che non lasciano
indifferenti e per i quali, da tempo ormai, numerose organizzazioni nazionali ed internazionali si
sentono chiamate a rispondere.
Basta uno sguardo più attento e pochi mesi vissuti in questo paese per accorgersi di quanto
comuni siano certe realtà e di quanto condivise siano certe condizioni…
Kumar, 4 anni, si aggira per le stanze di un istituto dalle condizioni fatiscenti. Corre scalzo in
cortile, gioca con un pezzo di plastica trovato in qualche dove e si ferma lì, a ridosso dello scolo
della fogna i cui miasmi si mischiano all’odore di cibo proveniente dall’adiacente cucina…
Sujita, 7 anni, mastica con voracità una manciata di riso presa con la mano da una ciotola di
metallo. La ciotola colma, il riso bollente. Sono le cinque di sera e lei, come tutti gli altri bambini
lì attorno, è seduta per terra a consumare il suo cibo giornaliero che nulla ha di diverso rispetto
a quello consumato a pranzo, così come il giorno prima.
Fuori da questa mura Ram, 15 anni, mangia il suo Dal Bhat in un locale alla periferia di
Katmandu. E’ in piedi dalle 4 del mattino, e per ore è stato seduto davanti a un telaio per fare
tappeti. “Ho iniziato quando avevo 8 anni – racconta –, lavoro 18 ore per circa 15 rupie al giorno
(meno di 20 centesimi di euro)”. Lui, suo fratello di 14 anni, la sua sorellina di 7 anni e il loro
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padre sono tutti impiegati in una fabbrica di tappeti, dentro un anonimo edificio di mattoni rossi.
Lavorano schiena contro schiena uomini, bambini e donne con neonati tra le braccia che, come
equilibriste, annodano e curano il piccolo allo stesso tempo. Qualcuna allatta mentre annoda.
Un neonato che ha già poppato guarda fuori dalla culla appesa al soffitto.
Queste istantanee rendono bene la realtà di molti dei bambini del Nepal. Una dura realtà che si
allontana dal misticismo degli anni 60-70 e dal flusso turistico, attirato dalle maestose cime
Himalayane.
Basta guardarsi attorno per accorgersene. Ovunque ci sono bambini lasciati soli a vagare per le
strade, vestiti con pochi stracci addosso, in cerca di qualche rupia per comprarsi qualcosa da
mangiare. Bambini che si alzano quando le prima luci dell’alba illuminano le strade per iniziare
l’ennesima giornata di lavoro che terminerà solo al tramonto, quando le strade saranno buie e il
loro stomaco potrà riempirsi di poche manciate di riso e lenticchie prima di andare ad adagiarsi
su vecchie tavole in legno adibite a letti. Bambini lasciati a loro stessi e a volte vittime di traffici
disumani. Bambini abbandonati da una mamma che non riesce a prendersene cura, da genitori
che credono che l’unico modo per permettere loro di avere una vita diversa sia destinarli ad
abbienti o ad istituti della capitale, ove però condurranno un’esistenza di stenti, solitudine e
frustrazione prima che qualcuno potrà interessarsi di loro.
In un paese in cui più della metà della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, si può
ben immaginare che infinite sono le “ragioni” dell’abbandono. A volte dettate da problemi
economici, altre da ignoranza ed egoismo, troppo spesso dalla convinzione che questa sia la
via
migliore-
l’unica-
da
seguire
per
regalare
ai
propri
figli
un
destino
diverso.
Come conseguenza di tutto ciò, il Nepal è stato testimone di una crescita smisurata ed
inarrestabile di orfanotrofi, organizzazioni, istituti nati con l’obiettivo di offrire assistenza a tutti
questi figli abbandonati, ridotti a “fantasmi della società”.
Niente più di un numero, solo un numero tra migliaia di volti tristi, occhi disillusi, sguardi in cerca
di altri sguardi che si posino su di loro, mani in cerca di altre mani che le tengano, braccia in
cerca di altre braccia che le sostengano.
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In Nepal non esistono strutture pubbliche che si facciano carico dell’assistenza e del
mantenimento dei minori e non esiste una politica che preveda finanziamenti o aiuti economici,
per cui essenziale è l’attività di organizzazioni locali e internazionali che intervengano a
sostegno dell’infanzia.
A giocare un ruolo fondamentale nel perpetuarsi e moltiplicarsi della condizione di abbandono
in Nepal è la cultura, il credo religioso, la prassi ormai consolidata che difficilmente si apre ad
accettare altri principi considerati invece etici dal resto del mondo.
Avere un bambino è forse uno dei sogni più importanti di qualsiasi essere umano: dare la vita e
continuare a vivere, anche dopo la morte, attraverso i propri figli.
Il fatto- comune- di non poter avere figli o anche solo il nobile desiderio di dare una famiglia ad
un bambino abbandonato trova risposta, in molti paesi del mondo, nella decisione di adottare, di
offrire cioè ad un bambino abbandonato la possibilità di crescere nel calore e nell’affetto di una
famiglia e, a se stessi, la possibilità di sentirsi genitori.
In Nepal, per quanto difficilmente identificabili, esistono sicuramente coppie desiderose di
adottare. Tuttavia il credo religioso e la prassi di una società profondamente imperniata e
condizionata dai principi induisti, rendono quest’ azione- che altrove appare giusta e naturalequalcosa di sbagliato e poco accettabile. Nella cultura locale è importante avere figli propri, in
particolare figli maschi.
La sterilità di molte coppie (definite Aputro, cioè privi di figli), spesso è oggetto di biasimo da
parte della comunità locale, è vista come conseguenza di un Karma negativo, risultato cioè di
una serie di comportamenti passati contrari alla morale condivisa dalla comunità. Il non poter
avere figli è dunque una sorta di punizione per una cattiva condotta.
Accanto a questo, vengono condizionati la considerazione ed il giudizio di un figlio adottato e
non biologico, etichettato e relegato allo status di impuro. Questa impurità rende inadatti alla
cura dei propri genitori, una volta raggiunta una certa età, e allo svolgimento dei rituali religiosi
che scandiscono la vita di ciascun nepalese ed aiutano a preservarsi il paradiso.
In un simile contesto, è facile comprendere il motivo per cui ci sia molta riluttanza nell’adottare
in Nepal. I pochi che decidono di farlo e che credono sia importante rispondere al problema
dell’abbandono in questo paese, si nascondono poi dalla società per evitare lo stigma negativo
che ne conseguirebbe.
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Tutto quanto descritto contribuisce a perpetuare ed aggravare lo stato di abbandono in cui
innumerevoli bambini si ritrovano a vivere, senza volerlo, senza poter- da soli-cambiare il
proprio destino.
La società con i suoi pregiudizi ed i suoi credi, con le sue arretratezze e la sua carenza di
responsabilità sociale trasforma l’innocenza di un bambino in un difetto ed è contro questo che
noi vogliamo lottare. Il lavoro di Amici dei Bambini comincia proprio da qui: dal restituire
un’infanzia a tutti i bambini abbandonati negli istituti e dimenticati dalla società. Restituire loro la
capacità di sognare ed il diritto di vivere e conoscere l’affetto ed il calore che solo una famiglia
può dare.
La mission di Amici dei Bambini: gli istituti in cui operiamo
Amici dei Bambini opera da circa un anno nella realtà nepalese per affrontare l’emergenza
dell’abbandono e dare una risposta concreta alla sofferenza e alla rassegnazione tacitamente
espresse dagli sguardi e dai timidi sorrisi di centinaia di bambini.
Le nostre attività sono iniziate nella capitale, Kathmandu, dove si concentrano la maggior parte
degli istituti, ove si manifesta palese la profondità ed il radicamento del problema
dell’abbandono.
Ad oggi operiamo per i bambini accolti nei seguenti tre istituti:
Children Welfare Home, un istituto che ospita un alto numero di bambini che vivono al
limite delle condizioni umanamente accettabili;
Buddhist Child Home,
di dimensioni più ridotte rispetto al primo, ma i cui bambini si
trovano nelle stesse condizioni di necessità;
Children Welfare Home
Il nostro intervento presso il Children Welfare Home è iniziato circa un anno fa. L’istituto, sito
nella municipalità di Lalitpur, anche chiamata Patan, dista circa una decina di chilometri dal
centro di Kathmandu. La struttura è nata nel 1995 come centro di accoglienza di minori che non
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potevano essere mantenuti dalla propria famiglia di origine e che venivano quindi affidati a
questa struttura affinché potessero seguire al scuola e ricevere supporto materiale.
Successivamente il CWH si è allargato fino ad inglobare un altro edificio che accoglie bambini
segnalati dalla polizia locale come orfani, bambini abbandonati alla nascita agli angoli delle
affollate strade di Patan, o nei migliori dei casi, lasciati direttamente in ospedale dopo essere
venuti alla luce in un mondo per loro piuttosto crudele.
Il numero totale dei bambini è di 50 circa nel centro più vecchio di Mabhawan; 25 in quello di
Thutepani.
Le condizioni dell’edificio più vecchio sono disastrate. La struttura,che in realtà avrebbe una
capienza piuttosto limitata, accoglie un numero di bambini decisamente maggiore, con un
impatto sulle condizioni di vita, veramente molto forte e limitante. A ragione, è nostro intento
trovare un’altra sistemazione per tutti i bambini ivi ospitati. Una sistemazione che preveda lo
smistamento dei minori in diversi edifici in modo da essere meno affollati e maggiormente
seguiti. In questo modo si creerebbe un ambiente di gran lunga più vicino all’idea di “famiglia”
che vorremmo poter far conoscere a tutti questi bambini.
Il loro stato di solitudine e di abbandono, nonché il degrado della struttura entro cui per molto
tempo hanno vissuto, è stato, per noi, motivo di preoccupazione e punto di partenza per un
coinvolgimento sempre maggiore che ci ha portati fin qui, fino ad oggi.
Nell’istituto di Thutepani, il più nuovo dei due, siamo impegnati da sei mesi circa con un
intervento medico-sanitario che prevede la visita periodica in istituto di un medico,
l’approvvigionamento di medicinali ed il continuo monitoraggio della condizione di salute di tutti i
bambini ospitati nei due edifici che costituiscono il CWH.
I bambini, che sempre hanno sofferto di malattie della pelle, infezioni, malesseri legati alle
scarse condizioni igieniche e alla mancanza di cure idonee, cominciano a mostrare segni di
miglioramento grazie al nostro medico e alla continua attenzione. Difficile credere o immaginare
che si possa improvvisamente cambiare lo stile di vita e la mentalità di tutti coloro che,
quotidianamente, circondano i bambini. Ma, passo dopo passo, speriamo di riuscire a
trasmettere loro l’importanza che hanno l’igiene e la costanza per la salute dei piccoli.
Su entrambi gli edifici del CWH, è in corso anche l’intervento di una operatrice sociale che
seguirà i bambini, li accompagnerà giornalmente nelle loro richieste e nelle necessità, cercando
di instaurare- col tempo- un rapporto di fiducia e affetto reciproco che permetta loro di fidarsi e
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affidarsi a lei. Obiettivo di questo intervento è infatti quello di far sentire ai bambini che c’è
qualcuno che si sta preoccupando e occupando di loro e che, in caso di bisogno, ci sarà per
loro. Abbiamo bisogno di “conoscere” i bambini, capire la loro storia personale ed essere loro
vicini. Accanto a tutto questo spetta alla operatrice sociale anche occuparsi dell’educazione
delle caremothers presenti in istituto. Una campagna di sensibilizzazione al tema dell’igiene e
della salute e piccole, ma costanti dimostrazioni pratiche serviranno a cambiare le condizioni di
vita dei bambini e porranno la basi per un futuro, più stabile, miglioramento.
Buddhist Child Home
Il Buddhist Child Home si trova nel distretto di Jorpati, poco distante dal centro di Kathmandu.
Nato per volontà di una donna che alla giovane età di 20 anni decise di prendere in carico ed
accudire un bambino lasciato abbandonato per le vie del quartiere, l’edifico ospita oggi 45
bambini. Di dimensioni più ridotte rispetto al primo istituto e apparentemente più curato, il
Buddhist Child Home necessita comunque, nella stessa misura, di interventi di recupero e
supporto dei bambini abbandonati. Di nuovo, nostro obiettivo è quello di migliorare le condizioni
di vita dei minori ivi residenti, donando loro l’opportunità di dedicarsi ad attività ludo-ricreative,
socializzare, sentire la presenza di qualcuno che è e sarà lì per loro e, in caso di necessità,
avere sostegno psicologico.
Su entrambi gli istituti menzionati, un progetto è in attesa di approvazione, per l’ulteriore
miglioramento della struttura e delle condizioni dei bambini. Oltre all’intervento- già in corso- di
un operatore sociale, il progetto prevede l’accompagnamento psicologico dei bambini; la
costruzione di una ludoteca per i più piccoli ed una libreria per i più grandi, ove tutti possano
giocare o leggere, disegnare, dare sfogo alle proprie passioni, socializzare e così formare
gradualmente la propria personalità. Si tratta della realizzazione- in una parola- di un ambiente
più consono ad una crescita sana ed equilibrata per i bambini vittime di abbandono, desiderosi
e bisognosi di trascorrere le proprie giornate circondati da attenzioni e da affetto.
Un luogo più sano, caloroso, accogliente...familiare è quello che vogliamo costruire per i
bambini, in tutti gli istituti ove operiamo.
Tante le cose che vorremmo fare, innumerevoli le idee e indescrivibile il desiderio che abbiamo
di aiutare i ‘nostri’ piccoli a vivere un’infanzia degna di tale nome, una vita che permetta loro di
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sentirsi importanti e di credere che ci sarà spazio per loro, per la realizzazione dei loro sogni e il
rispetto dei loro diritti.
Dizionario:
Namaste:
E’ la parola usata dai nepalesi per salutare. Deriva dalla parola sanscrita “Namas” e significa
letteralmente “Mi inchino a te”. Il saluto è accompagnato da un gesto simbolico che vede le mani
congiungersi ed innalzarsi a livello della fronte, in segno di reverenza.
Karma
Il Karma è un concetto fondamentale nella cultura induista. Secondo la teoria del Karma, tutto ciò che
pensiamo, diciamo e facciamo lascia una traccia nel nostro destino attuale, cioè legato alla nostra vita
terrena, e futuro, riferito al periodo successivo la morte.
Se ci comportiamo nel modo "giusto" creiamo un karma positivo, viceversa il nostro Karma sarà negativo.
È una sorta di legge del contrappasso, per cui durante la nostra esistenza terrena incontriamo una seriedi
ostacoli ed affrontiamo altrettante prove che permettono di evolverci spiritualmente, sia in positivo che in
negativo.
La redazione di “Amici dei Bambini” in Nepal:
Alessandra Tomirotti e Floriana Di Napoli (volontarie espatriate di Amici dei Bambini)
Pramod Khakurel (collaboratore locale di Amici dei Bambini)
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