IRC e dialogo ecumenico e interreligioso nella scuola dell

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IRC e dialogo ecumenico e interreligioso nella scuola dell
IDENTITÀ DELL’IRC
IRC e dialogo ecumenico
e interreligioso
nella scuola dell’autonomia
Da un convegno
di IdR: stimoli
per la riflessione
e il confronto
a cura di
Antonio Bollin
proposta formativa per gli IdR. È sufficiente in
proposito un sintetico richiamo.
• È sotto gli occhi di tutti la pluralità delle religioni e movimenti religiosi, pluralità che si riverbera nella scuola (la scuola è lo specchio
della società); e di questo fatto non possiamo
non tenere conto.
• È in discussione in Parlamento un disegno
di legge sulla libertà religiosa.
• Gli orientamenti nazionali in vista dell’elaborazione dei nuovi «programmi» per l’IRC –
frutto della nota sperimentazione biennale –
sono decisamente aperti alla prospettiva del
dialogo ecumenico e interreligioso.
La riflessione che si vuole qui favorire ha come finalità una più precisa conoscenza della
situazione in cui viene a trovarsi l’IRC e l’individuazione a grandi linee delle prospettive
(più o meno immediate) per tale insegnamento (che deve comunque conservare la
sua specificità disciplinare, appunto come
IRC, nella scuola di tutti). Il taglio del discorso
è plurimo: sono annotazioni che vanno dal
teologico al pedagogico-didattico e al giuridico-legislativo.
Presentazione
Perché questo tema
e con quali finalità
Di recente l’Ufficio diocesano per l’IRC della diocesi di Vicenza ha organizzato un convegno per gli IdR sul tema: IRC e dialogo
ecumenico e interreligioso nella scuola
dell’autonomia. Dei contributi presentati al
convegno viene qui fatta una selezione in vista
di un’utilizzazione anche in altri contesti.
Accogliamo volentieri questi materiali sulla Rivista, oltre che per il loro valore in sé, anche
perché sono la testimonianza di un impegno
locale aperto a un’ampia condivisione, fino al
livello nazionale. Si contribuisce così al confronto che appare sempre più necessario e urgente in questo tempo impegnativo di passaggio verso un vasto e profondo rinnovamento dell’IRC, nella scuola che cambia sulla
linea dell’attuale Riforma. E in proposito il
coinvolgimento degli IdR è fondamentale, in
modo particolare per quanto concerne il discorso metodologico.
■
In concreto vengono qui proposti i seguenti contributi:
1. La scuola dell’autonomia e l’IRC (Diego
Peron).
2. L’IRC e il dialogo ecumenico e interreligioso: situazione, problemi e prospettive (Giuseppe Dal Ferro).
3. L’IRC a scuola secondo la legislazione vigente (Alessandro Toniolo).
4. Alcuni impegni concreti (Davide Viadarin e
Manuel Zorzo).
PIETRO DAMU
■
Questo dossier di materiali vuole essere
uno stimolo per la riflessione personale e per
il confronto in vista appunto del rinnovamento
dell’IRC. Nel presentarlo ci rifacciamo brevemente a quanto il Direttore dell’Ufficio diocesano per l’IRC – prof. ANTONIO BOLLIN – ha
detto nell’introdurre il convegno.
• Anzitutto c’è da chiedersi quali motivazioni
reggano la scelta del tema in questione (IRC
e dialogo ecumenico e interreligioso) come
■
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SET. 4
1
LA SCUOLA DELL’AUTONOMIA E L’IRC
Prospettive interculturali e interreligiose dell’IRC nella scuola oggi
DIEGO PERON
la vita, con le sue gioie e con i suoi dolori e
ciò che può «valere» per sempre.
A questo problema il programma chiede di rivolgere un’attenzione specifica nel primo
biennio delle superiori quando gli alunni, se
«coltivati» ed educati a riflettere su se stessi e
a guardarsi intorno, a «sentire» e a «pensare»,
avvertono particolarmente l’esigenza di prendere coscienza di sé ...
1.1. Il contributo formativo
dell’IRC
I programmi di RC – in particolare quelli
della «secondaria» su cui abbiamo maggior
dimestichezza ed esperienza diretta – precisano che questo insegnamento «concorre a
promuovere, insieme alle altre discipline, il
pieno sviluppo della personalità degli alunni e
contribuisce ad un più alto livello di conoscenze e di capacità critiche, proprio in questo
grado di scuola» e che esso è chiamato ad
offrire agli alunni «contenuti e strumenti specifici per una lettura della realtà storico culturale in cui essi vivono» e per la conquista
della «conoscenza della cultura religiosa».
Essi pertanto, anche se indirettamente, sensibilizzano la capacità di lettura della realtà
multiculturale tipica della nostra epoca, in cui
sono presenti anche nel nostro Paese uomini
appartenenti ad altre religioni e che si confrontano con «vari sistemi di significato».
Al conseguimento di questa capacità di lettura è correlata la possibilità di comprendere e
di rispettare «le diverse posizioni che le persone assumono in materia etica e religiosa» e
di confrontarle con il cattolicesimo e quindi di
aprirsi al dialogo interreligioso.
■
Nell’adolescenza gli interrogativi di ordine
esistenziale sono spesso ricorrenti e inquietanti e forte è l’esigenza di autorientarsi, di attrezzarsi per effettuare scelte autonome, indispensabili per progettare la propria vita, anche
in prospettiva religiosa e per acquisire consapevolezza della propria identità personale.
«L’IRC, rimanendo fedele al quadro delle finalità della scuola, dovrà misurarsi con tali
problemi: non solo avrà il compito di entrare
in dialogo con le varie concezioni di natura filosofica e antropologica, ma dovrà evidenziare tutto il potenziale formativo implicito
nella visione cristiana; non solo sarà impegnato sul piano della ricerca teorica, ma dovrà
saper individuare percorsi educativi concreti
per la promozione di una mentalità che sappia
coniugare insieme le esigenze della propria libertà individuale, della solidale responsabilità
e della verità ultima del senso della vita».
■
In tale prospettiva assume un significato
particolare la riflessione sul «problema religioso», che costituisce il primo nucleo indicato dal programma di RC, la cui proposta si
pone come un invito a riflettere sul bisogno di
tutti gli uomini di collocare la loro esistenza e
il loro essere nella storia in un orizzonte di
senso, di trovare una risposta a quelle domande che ognuno si pone per andare oltre il
«contingente», oltre la «dimensione storica»,
per conoscersi e per conoscere le ragioni del■
1.2. In risposta alle nuove sfide
■ Per collocarsi in questa linea, non dimenticando che «la religione s’impone perché
fonte di cultura: proprio dove questa nella
sua matrice più qualificante è ricerca di senso», l’IRC è chiamato a potenziare il suo carattere «culturale» ed a favorire quelle espe-
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esige comunque dei presupposti tra i quali ricordiamo la necessità di «non assolutizzare le
nostre certezze, di non ritenersi migliori degli
altri», di superare i pregiudizi e gli stereotipi
relativi alle altre religioni.
rienze formative che aiutano l’adolescente a
saper «scegliere», mirando quindi a consolidare la sua identità religiosa.
■ Una delle sfide del futuro sarà infatti «il
rapporto che l’IRC saprà costruire con il tema
della confessionalità, dell’ecumenismo e del
dialogo interreligioso. Il dibattito, al contrario
di quanto si sosteneva agli inizi degli anni
’80, non è sui termini generali della religiosità
umana, della sua interpretazione, del suo rispetto, ma riguarda oggi le religioni.
■ Alla promozione di questa capacità guarda
con attenzione il Programma di RC della secondaria e opportunamente, a questo proposito, nella Nota pastorale CEI «Insegnare religione cattolica oggi» del 1991, si ricorda
che «nell’edificazione dell’Europa assume
grande valore il cammino ecumenico» e che
«una forte domanda e insieme un richiamo
vengono al continente europeo dall’immigrazione di genti di altri continenti, bisognose di
accoglienza e di solidarietà, ma anche portatrici di valori culturali e spirituali che l’insegnamento della religione non può trascurare,
sia per l’universalità del fatto cristiano, sia
per i concreti problemi di convivenza che si
pongono». La scuola dell’autonomia, ben inserita nel territorio, domanda di orientarsi e lavorare in tale prospettiva; lo chiede pure un
IRC aperto al dialogo interculturale e interreligioso.
■ Il problema è ormai quello di una educazione religiosa a dimensione mondiale. Occorre saper pensare alla confessionalità non
come un tabù ed un ostacolo, ma come una risorsa ed una ricchezza. Per questo la proposta
educativa deve essere dialettica: cercare il
dialogo interreligioso e insieme aiutare a radicarsi nella propria tradizione religiosa».
1.3. La via del dialogo
Il conseguimento della capacità di instaurare
il dialogo è legato a diverse condizioni ed
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L’IRC E IL DIALOGO ECUMENICO E INTERRELIGIOSO
Situazione, problemi e prospettive
GIUSEPPE DAL FERRO
credenza diversa dalla propria perché errore
da ripudiare.
Oggi convivono credenti di religioni diverse.
I fenomeni di immigrazione, i viaggi per turismo, la comunicazione mondiale hanno allargato la conoscenza circa le fedi diverse,
messo in crisi alcuni credenti e attenuata, se
non cancellata, la funzione sociale delle religioni, che una volta erano fonti di significati
per la vita sociale.
Un contesto
profondamente cambiato
■ L’apertura delle frontiere e la globalizzazione dei mercati hanno portato anche la convivenza fra religioni diverse. Non esistono
più popoli che nascono, vivono e muoiono in
ambienti omogenei e chiusi, che accettano la
religione del luogo e che rifiutano le forme di
■
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L’esperienza della multiculturalità è pre-
cesso di omogeneizzazione sia della religione
che dell’etica, così da tendere ad un’unica
forma religiosa, sintesi delle religioni esistenti. È una prospettiva sincretista, che esercita un immenso fascino nel capitalismo, che
potrebbe mutuare da questa nuova unica religione una maschera di umanità e di filantropia.
sente in tutte le società, che hanno visto venir
meno la tradizionale omogeneità degli stili
di vita e dei comportamenti religiosi. Ci si
chiede se le religioni, data la loro universalità,
finiscano per favorire la contrapposizione delle culture e di conseguenza siano causa di
conflittualità o di integrazione.
La possibilità di intolleranza religiosa è
particolarmente forte là dove una religione si
presenta come portatrice di una verità assoluta e universale, per cui la propria realizzazione comporta la scomparsa delle altre religioni.
Le religioni invece possono diventare anima
del mondo, contributo alla crescita umana e
dei popoli, difesa dei diritti umani e della pace, nella misura in cui sviluppano un dialogo
interreligioso, non inteso fondamentalmente
come ricerca di punti comuni, ma come stimolo reciproco a recuperare tutte le dimensioni umane all’interno delle rispettive fedi,
confrontandosi sulla vocazione integrale dell’uomo, sull’apertura al trascendente, sulla
necessaria solidarietà del genere umano.
Quale può essere allora la prospettiva di una
società multiculturale e multireligiosa?
■
Le correnti New Age, le quali vedono nell’èra dell’Acquario la grande pacificazione
delle religioni, sposano questo orientamento.
Esse dichiarano superate le religioni storiche,
colpevoli di aver diviso l’umanità e favorito le
guerre, e parlano di una spiritualità come sviluppo della coscienza, così da arrivare all’esperienza del tutto, all’immersione ed identificazione con il cosmo. Dio non sarebbe altro
che questo traguardo.
■
2.1.2. Tribalismo religioso
■ Il modello opposto giudica ingannevole la
globalizzazione e sottolinea il valore della religione in ordine alla identità dei popoli, teorizzando la contrapposizione fra religioni,
protese alla espansione globale nella conquista del mondo. Il tribalismo porta i credenti a
credere e a vivere senza criticità e, minacciato, diventa aggressivo. Sono tali i fondamentalismi religiosi che riescono a fanatizzare i
credenti al punto da sacralizzare le ostilità e le
guerre.
2.1. RIDEFINIZIONE
DELL’UNIVERSALITÀ
■ Le religioni fanno parte delle culture. Paul
Tillich sostiene che esse sono la sostanza delle culture, mentre queste ultime sarebbero la
forma delle religioni. Dal punto di vista sociologico gli studiosi vedono nella globalizzazione due modelli di integrazione, i quali
però sono in contrasto con ciò che qualsiasi
religione vuole essere.
2.1.3. È possibile
una convivenza pacifica
e arricchente?
2.1.1. Religione standardizzata
■ Fra i due modelli è possibile individuare
una convivenza pacifica, anzi arricchente, delle religioni?
Mentre l’omologazione delle religioni rinnega le religioni stesse, che sono per alcuni
■ Sarebbe in atto un ripensamento delle religioni sulla direzione planetaria, cioè un pro-
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aspetti degli assoluti non negoziabili, il tribalismo ribadisce la loro prospettiva universale
o fa di esse uno strumento di potere.
verità e una universalità che è «oltre». Si tratta di far proprio un concetto «inclusivo» di
universalità, per cui si scopre che il proprio
universo religioso non è estraneo a quello altrui; anzi da quest’ultimo è sollecitato ad allargare il proprio orizzonte. In questo senso,
più una religione va in profondità nella ricerca della propria verità, più è spinta ad andare
oltre se stessa, riconoscendo così, anche se
sempre dall’interno del proprio orizzonte, la
verità delle altre religioni. Ciò non è sincretismo, ma apertura, per cui il proprio particolare
diventa luogo simbolico dell’universale presente nelle varie religioni. Le religioni poi, in
quanto realtà umana, obbediscono a situazioni particolari, così da innervare la vita concreta, senza pretendere che tali inculturazioni
siano definitive.
■ In che senso le religioni, nell’attuale momento storico, possono sostenere invece il
convenire dei popoli, delle nazioni e delle
culture? Possono, ci chiediamo, assicurare la
dinamica particolare-universale, consentendo al mondo di unirsi senza barbarie?
Il pensiero illuminista aveva trovato nella tolleranza una risposta al problema, con una radicale relativizzazione delle religioni fondate
su rivelazioni particolari, in base all’unico
criterio universale della razionalità, valore
umano ritenuto valido per tutti gli uomini. Le
religioni storiche non erano quindi che un
pregevole mezzo per la gente semplice, ma
dovevano essere ricondotte all’unica religione
dell’umanità, rappresentata dall’istanza razionale etica.
L’ultimo secolo ha dimostrato la non percorribilità di tale proposta, sia per i limiti emersi nelle pretese universalistiche della filosofia
e delle scienze, sia per l’irriducibilità delle
differenze che non si lasciano omologare dall’imperialismo ideologico della ragione. La
convivenza umana richiede inoltre dai singoli un impegno attivo, che solo le religioni storiche sono in grado di fornire in modo universale ed incondizionato. Si impone pertanto, ai fini di una convivenza pacifica, una ridefinizione da parte delle religioni della propria universalità.
Si profila di conseguenza un necessario
confronto fra le religioni per una continua loro purificazione e per una sempre maggiore
presa di coscienza della propria universalità.
■
2.2. IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO
■ Dialogo significa apertura reciproca senza
costrizioni. Questa nuova categoria, caricatasi purtroppo di molti significati, anche spuri, ha avuto piena cittadinanza a partire dal
Concilio Vaticano II.
Paolo VI, nell’enciclica Ecclesiam suam
(1964) tracciò di questa scelta le linee maestre
durante lo svolgimento del Concilio, affermando che il concetto di dialogo andava depurato dai possibili equivoci: debolezza, irenismo, sincretismo. Egli disse che non era
una moda del tempo, perché «nasceva dall’alto», cioè dal modo con il quale Dio aveva
agito con l’umanità. Per questo egli affermò:
«La Chiesa deve venire a dialogo col mondo
in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola;
la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio».
■ Per il singolo credente l’universalità della
propria religione è un fatto irrinunciabile, appartenendo l’assolutezza della scelta all’essenza stessa della fede. Si deve tuttavia osservare che l’annuncio della verità del proprio
Dio, non può avvenire se non nel confronto
con altre immagini del divino e con altre pretese di verità e di salvezza. Si determina così
la doppia prospettiva, sopra indicata, della
possibile chiusura nel proprio orizzonte particolare (integralismo) o della relativizzazione del proprio credo (sincretismo). Il superamento può avvenire solo se ciascuno è capace di andare oltre la semplice universalizzazione del proprio particolare, per trovare una
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Dialogo quindi è confronto, aiuto reciproco ad
essere credenti ciascuno nella propria religione; dialogo è aiuto a purificarci dagli elementi spuri che non c’entrano con la religione; dialogo è cammino verso l’Assoluto che ci
trascende, è spiritualità.
e la verità si impongono da sole a chi ad esse
si apre sinceramente.
– In terzo luogo dev’essere sempre tenuta
presente l’azione dello Spirito Santo, in tutte
le culture e le religioni. Il cristiano è attento
quindi ai percorsi dello Spirito, che dà a tutti
la possibilità di venire a contatto con Dio, nel
modo che solo Dio conosce.
■ Ma questo è possibile? Nella dichiarazione
conciliare Nostra aetate si afferma che i cristiani devono dialogare con i seguaci delle
altre religioni, affinché, «rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali
che si trovano in essi» (n. 1). Jacob Neusner
precisa che il dialogo significa allargare il
proprio orizzonte fino a comprendere l’orizzonte altrui.
Quali possono essere i presupposti concreti
per un rapporto dialogico e quali le forme di
dialogo fra le religioni?
Le diversità, è bene precisarlo, creano nel primo impatto conflittualità. Esse vengono a
scombinare le nostre sicurezze e possono
creare conflitti. Questi tuttavia non sono solo
distruttivi, ma possono diventare strumento
di crescita umana.
Come è possibile superare la conflittualità e
trasformare le difficoltà in opportunità positive?
2.2.2. Forme concrete
di dialogo
■ Ci chiediamo come sia possibile dialogare.
C’è un dialogo della preghiera e un dialogo
degli esperti. Più importante di questi è il dialogo della vita, nel quale ci si sforza di interpretare la storia e la quotidianità, non materialisticamente ma sulla base del significato
che esse hanno. Su questo piano è possibile un
confronto dialogico fra fedi diverse, molto
arricchente: pensiamo a come credenti di fedi diverse possano parlare delle vittime della
guerra o interpretare il dolore dell’uomo, attingendo dalle rispettive religioni la spiegazione.
■ Affinché questo dialogo si attui è però necessaria una viva coscienza della propria storicità, la capacità di ragionare in termini antropologici e non politici e di estendere la nostra analisi alla globalità delle persone e dei
popoli.
Aver coscienza della storicità significa non
imprigionare Dio nei nostri schemi e sentirsi
sempre alla ricerca della verità. Noi non viviamo già nella gloria e dobbiamo camminare ricercando continuamente la verità. Da ciò
deriva la convinzione profonda che abbiamo
sempre da imparare.
Le religioni non possono poi identificarsi con
le alternative politiche, perché non appartengono all’egemonia e al potere, essendo proposte di salvezza rivolte alle vittime e a chi le
opprime.
Esse non agiscono infine in forme giustizialistiche ma di conversione e mirano alla salvezza globale, cioè di tutti e di tutto. Su que-
2.2.1. Presupposti del dialogo
Il dialogo presuppone una lunga educazione.
– In primo luogo richiede che si riconosca all’interlocutore lo «statuto teologico», cioè
che si consideri il credente di altra fede ricercatore di Dio e della verità come noi, cioè in
buona fede.
– In secondo luogo è indispensabile evitare lo
spirito proselitista, cioè la tentazione di voler
conquistare l’altro con ogni mezzo. Per il cristiano è Dio che si comunica nell’universo,
nella storia e nella coscienza di ogni uomo,
pur avvalendosi della nostra testimonianza;
quindi è indispensabile credere che la parola
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sta base Hans Küng ha proposto ripetutamente l’elaborazione di un’etica universale
delle religioni sui grandi problemi della sopravvivenza.
2.3. IRC IN UNA SOCIETÀ
PLURALISTICA
locare il fatto religioso nel contesto umanizzante, sia per il singolo che per la società. E si
dovrà guidare a cogliere le istanze di valenza
religiosa presenti in realtà come la stanchezza di vivere e il desiderio di ritrovare la «festa», la libertà per la morte che genera il bisogno di significato, la paura nel vivere sociale
che causa ansia…
b) Creare un’identità religiosa
dialogica-relazionale
Se il «vivere religioso» si colloca oggi in una
società pluralistica, all’insegnamento della
religione nella scuola si pongono numerosi
problemi di carattere metodologico-pedagogico e di carattere politico-istituzionale.
2.3.1. Dimensione
metodologico-pedagogica
Gli studenti che partecipano all’ora di religione si trovano a vivere in un contesto socioculturale pluralistico, dove molte sono le appartenenze religiose e dove forse prevale l’indifferenza. Sembra pertanto di primaria importanza il perseguimento di alcuni obiettivi
riguardanti questi temi:
– l’istanza religiosa come costitutiva dell’esperienza umana,
– l’identità religiosa unita alla capacità dialogica-relazionale,
– i problemi relativi alla inculturazione.
a) Ridestare la domanda religiosa
In primo luogo va ridestata negli studenti la
domanda religiosa, come presupposto dei
problemi di senso e come recupero di umanità
in una società pervasa dalla logica tecnicoeconomica.
È noto come i giovani vivano oggi appartenenze deboli, prive di incidenza nella vita
concreta. Risulta perciò indispensabile col-
In secondo luogo l’insegnamento della religione deve preoccuparsi di creare una identità
religiosa unita a una capacità dialogica-relazionale. Le due istanze non sono in contrasto fra loro. I sociologici concordano nell’affermazione che solo chi è sicuro della propria
identità è capace di dialogare senza paura. In
caso contrario, una persona o una cultura si
chiude e si difende. Ecco perché risulta indispensabile acquisire un’identità chiara della
propria fede e quell’equilibrio che dà gioia alla fede stessa. Allora l’apertura alla fede altrui
porta a crescere nella nostra fede, e diviene un
modo arricchente di vivere. Con il dialogo si
perseguono livelli crescenti di unità della vita, tramite lo sviluppo del linguaggio simbolico, che consente un ampliamento del senso,
proprio là dove l’interpretazione letterale vede una inconciliabilità. Secondo Paul Ricoeur
l’avvicinamento di due significati, prima estranei, diventa una nuova fonte di senso, un allargamento degli orizzonti, una penetrazione
più profonda del mistero.
c) Curare l’inculturazione della fede
In terzo luogo nell’insegnamento della religione vanno affrontati i problemi relativi alla
inculturazione della fede. L’affermazione che
a scuola si fa cultura religiosa nasce dalla
convinzione che la fede, per essere vera, deve
diventare vita e tradizione culturale di un popolo. Se la fede non diventa cultura, non raggiunge l’uomo in situazione e non può trasformarsi in modo di pensare e di agire.
Nell’inculturazione c’è il rischio di perdere
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l’universalità, di irrigidirsi, di smarrire la visione globale che è tipica della religione. Il
problema si complica nel rapido cambiamento culturale in atto nella società, con il contrasto fra adulti e giovani sui modelli culturali. È importante perciò sviluppare il carattere
liberatorio della fede e individuare nuovi modelli di vita cristiana adatti ai tempi, in continuità però con quelli precedenti.
Parlando di inculturazione (tema assunto dal
Magistero dal 1975 in poi), l’enciclica Redemptoris missio, da una parte, sottolinea il
duplice processo che essa comporta, quello
dell’«adattamento» e quello della «germinazione» di forme religiose nuove, e dall’altra richiama i suoi limiti: «La compatibilità col
Vangelo e la comunione con la Chiesa universale» (n. 54).
2.3.2. Dimensione
politico-istituzionale
Non meno complessi dei problemi pedagogici sono quelli di natura politico-istituzionale.
Non sono qui in discussione le scelte fatte
dallo Stato italiano, conformi agli articoli 7 ed
8 della Costituzione. Ci chiediamo piuttosto
come si potrà configurare l’insegnamento della religione cattolica nel nostro Paese nei prossimi anni. Alcuni temi sembrano prioritari,
come la libertà religiosa, la dimensione antropologica e non politica della religione, i
modelli organizzativi istituzionali.
a) Libertà religiosa
■ La libertà religiosa è una acquisizione fondamentale di civiltà da difendere e da tradurre in forme istituzionali concrete.
Tale libertà, ritenuta fondamento dei diritti
umani, comprende il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, individualmente e in forma associata, di diffonderla, di osservarne i riti e di esercitare il culto in
privato o in pubblico.
Questa libertà non può non avere un riflesso
nella scuola: essa, che ha recepito l’insegnamento cattolico della religione, dovrà aprire
ad altri insegnamenti nel caso ci fosse a scuola un congruo numero di studenti di altra religione.
In questi anni l’originaria libertà religiosa,
sancita nel 1948, ha avuto un progressivo sviluppo con la firma di altri documenti, fra i
quali la «Dichiarazione sull’eliminazione di
ogni forma di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o il credo»
(1981) e il settimo principio dell’Atto finale di
Helsinki (1975). In questi documenti appare
chiaramente la convinzione che la cultura di
un popolo sarebbe compromessa se fosse privata degli apporti di una ispirazione religiosa
nell’arte popolare, nelle feste tradizionali, nella costruzione di monumenti, nello sviluppo
dell’insegnamento libero. Per questo i documenti non si limitano ad enunciare la libertà
religiosa delle coscienze, ma parlano del diritto di esprimere esteriormente tale libertà.
Gli Stati sono così impegnati a tre grandi
compiti:
– rispettare le convinzioni religiose dei singoli e le loro manifestazioni;
– promuovere la libertà civile e sociale in
materia religiosa;
– difendere le persone e l’ordine sociale.
Circa il terzo compito si dice che lo Stato
non deve entrare specificatamente nella materia religiosa, ma garantire che, in nome della religione, non si violino altri diritti. In ogni
caso lo Stato non può essere neutrale, essendo suo compito sostenere lo sviluppo religioso dei cittadini, senza entrare in questioni di
merito. Si può dire in definitiva che la libertà
dev’essere totale, salvo la garanzia della sicurezza pubblica, della salute e della morale.
Il Concilio Vaticano II ha fatto propria la libertà religiosa, con un documento straordinario, che radica la libertà religiosa sulla dignità stessa della persona umana. In tale dichiarazione si afferma che la verità va ricercata, ma si impone per forza propria, non per
coercizione esterna. A nulla servirebbe infatti imporre la verità, se l’atto di amore, a cui la
libertà è ordinata, non fosse un atto libero.
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Possiamo parlare di «libertà da» in funzione
della «libertà per». Nel Vaticano II, la libertà
religiosa non è concessa quindi da una concezione biblica, ma è riconosciuta alla persona in forza della sua dignità, quindi è di tutti
gli uomini. In quanto tale, quindi, va riconosciuta, rispettata, sostenuta. Il documento conciliare dice che essa è avallata dalla Parola di
Dio.
b) Dimensione antropologica
della religione
In secondo luogo va rivendicata alla religione
una dimensione antropologica e non politica.
Fra religione e Stato ci dev’essere mutua collaborazione, non confusione. Lo Stato non
può prescindere dalla responsabilità etica dei
cittadini e la religione ha bisogno di essere riconosciuta e sostenuta.
Ambedue fanno riferimento all’uomo, che vive una dimensione sociale che è politica e
religiosa, e una dimensione culturale con valori e modelli di vita implicanti le due sfere
accennate. Una sovrapposizione e una confusione fra i due piani risulterebbe deleteria.
Storicamente la violenza si è manifestata nei
periodi in cui è prevalsa una certa identificazione fra religione ed ordinamenti politici oppure fra religione e identità culturale. Le crisi storiche hanno favorito tali connubi.
Quando è prevalsa invece la separazione, si è
assistito a una politica che in qualche modo
diventava religione e a una religione che si dava forme organizzative sociali alternative allo
Stato.
Nella non ingerenza di una sfera nell’altra,
l’uomo è educato ad essere responsabile dei
suoi atti e ad esprimere giudizi secondo coscienza.
c) Modelli organizzativi
In terzo luogo ci chiediamo quali modelli organizzativi istituzionali possono essere previsti nella scuola, tenendo conto della legge
sull’autonomia.
È noto come sia in discussione nel Parlamen-
to italiano il progetto di legge 2531 sulla «Libertà di coscienza e di religione». In esso si
prevede (art. 12) la possibilità per gli alunni di
richiedere, nell’ambito delle attività didattiche
integrative, la realizzazione di iniziative riguardanti il fenomeno religioso. Tale affermazione, a mio parere, va collegata con il
«tavolo interreligioso» proposto dal movimento Iskcon, a nome delle varie religioni e
confessioni religiose cristiane. Tutto ciò, pur
non mancando di aspetti positivi per il dialogo interreligioso, può risultare equivoco in
un ambiente educativo. Avviare una presenza
indiscriminata delle religioni nella scuola con
iniziative per tutti gli alunni, pur autorizzate
dagli organi dell’autonomia scolastica, può
risultare non educativo se avulso da una riflessione globale prolungata.
In Italia si è scelto l’insegnamento della religione cattolica con facoltà di non avvalersi di
esso.
In futuro potranno esserci altri insegnamenti
paralleli, in seguito alle varie «intese» che lo
Stato firmerà nell’applicazione dell’art. 8 della Costituzione. Se tali iniziative di insegnamento dovessero essere attuate non solo con i
non avvalentisi ma con tutti, è necessario siano preparate e realizzate insieme con l’insegnante di religione della Chiesa cattolica, ed
eventualmente con quello di altre religioni
che hanno l’insegnamento religioso nella
scuola, in modo da rispettare la libertà religiosa anche della maggioranza e rendere propositiva l’iniziativa dal punto di vista educa-
2.4. VIVERE NEL PLURALISMO
tivo.
Nel concludere l’analisi fatta, ci sembra importante ritornare al pluralismo culturale e
religioso in cui siamo chiamati a vivere, fonte per alcuni di disorientamento, per altri di
crescita personale. Vivere in una società fon-
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data sui diritti umani è oggi la grande sfida
che viene fatta alle religioni: essa comporta il
vivere nel pluralismo e nella conflittualità,
con una precisa identità personale unita a
un’attitudine al dialogo. Ogni persona non
può assolutizzare la «propria verità», e insieme non può rinunciare ad essa. Tale situazione diventa stimolo continuo alla verifica, all’arricchimento, alla ricerca della verità tutta
intera (Gv 16,3).
Si può affermare che la libertà di coscienza e
di religione si salda con l’oggettività attraverso la responsabilità morale: «i diritti dell’uomo – ha detto Giovanni Paolo II –, più che
norme giuridiche, sono anzitutto dei valori.
Questi valori devono essere custoditi e coltivati nella società, altrimenti rischiano di scomparire anche dai testi di legge. Anche la dignità delle persone deve essere tutelata nei
costumi, prima di esserlo nel diritto».
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
SU TEOLOGIA E
DIALOGO INTERRELIGIOSO
1. Testi per un primo approccio
DOCUMENTI
– Ecclesiam suam (Paolo VI, 1964);
– Nostra aetate, Dignitatis humanae; Ad gentes (Concilio Vaticano II);
– Dialogo e missione (Segretariato per i non
cristiani, 1984);
– Redemptoris missio (Giovanni Paolo II,
1990);
– Dialogo ed annuncio (Consiglio pontificio
per il dialogo interreligioso e Congregazione
per l’evangelizzazione dei popoli, 1991);
– Il cristianesimo e le religioni (Commissione
teologica internazionale, 1997);
– Dominus Jesus (Congregazione per la dottrina della fede, 2000).
STUDI
– DUPUIS J., Il cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro, Queriniana, Brescia,
2001.
– DAL FERRO G., Multiculturalità: quale convivenza?, Rezzara, Vicenza, 2002.
– DAL FERRO G., Religioni, salvezza per l’umanità, Rezzara, Vicenza, 1998.
2. Libri di approfondimento
– ROSSANO P., Dialogo e annuncio cristiano.
Incontro con le grandi religioni, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1993.
– GIUDICI A., Religioni e salvezza, Torino,
1978.
– EVERS G., Storia e salvezza, EMI, Bologna,
1976.
– DUPUIS J., Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi, 1989.
– CROCIATA M. (a cura di), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline, Milano,
2001.
– KNITTER P., Nessun altro nome? Un esame
critico degli atteggiamenti cristiani verso le religioni mondiali, Queriniana, Brescia, 1991.
– HICK J.-KNITTER P. (a cura di), L’unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralista
delle religioni, Cittadella, Assisi, 1994.
– D’COSTA G. (a cura di), La teologia pluralista
delle religioni: un mito? L’unicità cristiana riesaminata, Cittadella, Assisi, 1994.
– ODASSO G., Bibbia e religioni. Prospettive bibliche per la teologia delle religioni, Urbaniana,
Roma, 1998.
– BACCARI L., La rivelazione nelle religioni,
Borla, Roma, 1996.
– WALDENFESL HH., Il fenomeno del cristianesimo. Una religione mondiale nel mondo delle
religioni?, Queriniana, Brescia, 1995.
– PANNIKKAR R., lI dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi, 1989.
– DAL FERRO G., Libertà e culture. Nuove sfide per le religioni, Messaggero, Padova, 1999.
– PEELMAN A, L’inculturazione. La chiesa e le
culture, Queriniana, Brescia, 1993.
– KNITTER P.F., Una terra molte religioni. Dialogo interreligioso e responsabilità globale,
Cittadella, Assisi, 1998.
– KÜNG H., Progetto per un’etica mondiale,
Rizzoli, Milano, 1991.
13
SET. 4
3
L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE A SCUOLA
SECONDO LA LEGISLAZIONE VIGENTE
Concordato, Intese, documenti applicativi
ALESSANDRO TONIOLO
Ormai anche in Italia sono significativamente
presenti forme religiose diverse da quella cattolica. L’insegnamento della religione cattolica (IRC) non può fare a meno di confrontarsi
con esse, sia a livello specificamente religioso come anche a livello culturale. E in questo
confronto entra, come punto di riferimento,
anche lo Stato (si pensi al Concordato, alle Intese, alla stessa scuola).
Direttamente interessati all’IRC, siamo sollecitati a chiederci: come può e deve attuarsi
tale insegnamento nel presente contesto normativo, notoriamente articolato e complesso?
Un’accurata anche se rapida riflessione sui
documenti normativi, non potrà non essere
illuminante.
In concreto prenderemo in esame:
– la normativa della Chiesa cattolica sull’IRC, – quella dello Stato nel Concordato e
documenti applicativi,
– e anche quanto viene detto sull’insegnamento religioso nelle varie Intese: informazione necessaria per un confronto.
ha tracciato vie per il dialogo ecumenico e interreligioso, pur non indicando le linee della
prospettiva ermeneutica, fondamentale per
chi deve insegnare Religione Cattolica.
Il tema di partenza, semplice ma molto sentito e avvertito, è la libertà religiosa. Non mi
soffermo su questo punto, già sviluppato nell’intervento precedente (cf Dal Ferro).
■ Propongo solo alcune indicazioni provenienti dal magistero di Giovanni Paolo II:
aperto e pluralista, egli prega nelle sinagoghe, fraternizza con popolazioni di varie religioni, convoca ad Assisi, nel segno di Francesco, gli esponenti di tutte le grandi religioni per l’invocazione unanime della pace, per la
conoscenza reciproca e la fraternità senza terrore.
■ Documenti che, a mio parere, possono interessare sono anzitutto le seguenti encicliche:
– Redemptor hominis,
– Redemptoris missio,
– Dominum et vivificantem.
Indico inoltre questi altri testi, sempre del
Papa:
– Omelia della Messa per l’inizio del Pontificato, 22 ottobre 1978. L’Osservatore Romano, 23-24 ottobre 1978, p. 2, n. 5.
– Discorso all’UNESCO, 2 giugno 1980.
L’Osservatore Romano, 5 giugno 1980, n. 12.
– Lettera Autografa di Fondazione del Pontificio Consiglio della Cultura, 20 maggio
1982, in AAS, 74 (1982) 683-688.
– Discorso al Pontificio Consiglio della Cultura, 15 gennaio 1985, in L’Osservatore Romano, 16 gennaio 1985, p. 4, n. 3.
– Esortazione Apostolica Post-Sinodale «Christifideles Laici», su vocazione e missione dei
laici nella Chiesa e nel mondo, 1988, n. 44.
■
3.1. L’IRC NELLA NORMATIVA
DELLA CHIESA CATTOLICA
Richiamiamo le principali indicazioni proposte dalla Chiesa Cattolica.
■ Già il Concilio Ecumenico Vaticano II con
i documenti
– Dignitatis humanae,
– Unitatis redintegratio,
– Nostra Aetate,
– Ad Gentes,
14
SET. 4
– Concistoro straordinario dei Cardinali a
Roma (4-6 aprile 1991). L’Osservatore Romano, 6, 8-9 aprile 1991.
– Discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 5 ottobre 1995, in L’Osservatore
Romano, 6 ottobre 1995, p. 7, n. 9.
– Discorso alla prima Assemblea plenaria
della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa. L’Osservatore Romano,
13 ottobre 1995, p. 5.
– Discorso all’udienza generale, 6 dicembre
1995. L’Osservatore Romano, 7 dicembre
1995, p. 4, n. 1.
– Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio
1997. L’Osservatore Romano, 25 gennaio
1997, p. 4.
■ Richiamiamo altri documenti ecclesiali:
– Puebla. L’evangelizzazione nel presente e
nel futuro dell’America Latina. Bologna,
EMI, 1985, nn. 385-436.
– Le Sette, sfida pastorale per la Chiesa,
Città del Vaticano 1986.
– Commissione Teologica Internazionale, Fede e inculturazione, in La Civiltà Cattolica,
140 (1989) 13326, pp. 158-177.
– Santo Domingo. Nuova evangelizzazione,
promozione umana, cultura cristiana, Leumann (Torino), Elledici, 1993, nn. 228-286.
– Sette e nuovi movimenti religiosi. Testi della Chiesa Cattolica (1986-1994), Roma, Città
Nuova, 1995.
■ In particolare richiamo l’intervento del Papa nell’udienza generale del 29 novembre
2000 sul tema «Fede, Speranza e Carità nella
prospettiva del dialogo interreligioso» a commento di Ap 7,4.9-10. Evidenzio questo passaggio: «I libri sacri delle religioni aprono
alla speranza nella misura in cui schiudono un
orizzonte di comunione divina, delineano per
la storia una meta di purificazione e di salvezza, promuovono la ricerca della verità e difendono i valori della vita, della santità e della giustizia, della pace e della libertà». Penso
infatti che una approfondita conoscenza delle
fonti sia il fondamento da cui partire, in un
processo di avvicinamento culturale alle altre
religioni.
■ In concreto, il confronto e dialogo con le
grandi tradizioni religiose mondiali aiutano
il cristiano a crescere, sotto l’azione dello
Spirito, nella comprensione della sua stessa
fede e lo spingono a viverla con una sempre
maggiore pienezza di fedeltà e di amore.
3.2. L’IRC E LO STATO ITALIANO
3.2.1. La Costituzione
■ L’altro versante o punto di riferimento è
per noi lo Stato, che attraverso il Dirigente
Scolastico ci nomina IdR con tutti i diritti e
doveri degli altri insegnanti, inserendoci a
pieno titolo nel corpo docente. A fondamento dell’azione dello Stato vi è la Costituzione, di cui richiamiamo tre articoli fondamentali:
– Art. 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. (...)».
– Art. 7: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono,
ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e
sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale».
– Art. 8: «Tutte le confessioni religiose sono
egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica
hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con
l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».
15
SET. 4
3.2.2. Il Concordato
■ I rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica sono codificati nei Patti Lateranensi
dell’11 febbraio 1929, con le modifiche approvate nell’Accordo di revisione del 18 febbraio 1984. Nell’art. 9, che direttamente interessa la scuola, al secondo comma, leggiamo:
«La Repubblica italiana riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto
che i principi del cattolicesimo fanno parte
del patrimonio storico del popolo italiano,
continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non
universitarie di ogni ordine e grado. Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro
genitori eserciteranno tale diritto su richiesta
dell’autorità scolastica, senza che la loro
scelta possa dar luogo ad alcuna forma di
discriminazione».
3.2.3. Il Protocollo addizionale
In relazione a questo articolo, il Protocollo
addizionale stabilisce.
a) L’insegnamento della religione cattolica
nelle scuole indicate al n. 2 è impartito – in
conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni –
da insegnanti che siano riconosciuti idonei
dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa
con essa, dall’autorità scolastica. Nelle scuole materne ed elementari detto insegnamento
può essere impartito dall’insegnante di classe, riconosciuto idoneo dall’autorità ecclesiastica, che sia disposto a svolgerlo.
b) Con successiva intesa tra le competenti
■
autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana verranno determinati:
1. i programmi dell’insegnamento della religione cattolica per i diversi ordini e gradi
delle scuole pubbliche;
2. le modalità di organizzazione di tale insegnamento, anche in relazione alla collocazione nel quadro degli orari delle lezioni;
3. i criteri per la scelta dei libri di testo;
4. i profili della qualificazione professionale
degli insegnanti.
Le disposizioni di tale articolo non pregiudicano il regime vigente nelle Regioni di confine nelle quali la materia è disciplinata da
norme particolari.
3.2.4. Qualche altro richiamo
pertinente al nostro tema
■ Quanto ai titoli per l’insegnamento:
«Gli istituti universitari, istituiti secondo il
diritto canonico, continueranno a dipendere
unicamente dall’autorità ecclesiastica. I titoli accademici in teologia e nelle altre discipline ecclesiastiche determinate d’accordo
tra le Parti, conferiti dalle Facoltà approvate
dalla Santa Sede, sono riconosciuti dallo Stato».
Rimane però aperto il problema del diploma
rilasciato dagli Istituti Superiori di Scienze
Religiose: esso non consente, in ambito ecclesiastico, di accedere ai gradi accademici
teologici e non è riconosciuto come laurea
breve dallo Stato: il quale, come primo titolo
accademico, riconosce, il baccalaureato in
teologia (laurea breve). Vi sono tuttavia dei
tentativi di soluzione derivanti dalla buona
volontà: ad es. l’università di Udine riconosce
gli esami dell’ISSR delle Venezie per la laurea
breve in Lettere.
16
SET. 4
3.2.5. Le Intese
con le confessioni religiose
non cattoliche
■ Abbiamo ora visto il quadro normativo per
l’applicazione dell’articolo 7 della Costituzione (1947) che riguarda esclusivamente la
Religione Cattolica.
Tale articolo dava continuità alla linea di politica ecclesiastica nata nel periodo precedente la seconda guerra mondiale.
Era dunque necessario individuare uno strumento bilaterale anche per le altre confessioni religiose. L’art. 8 assicura alle altre confessioni religiose «eguale libertà» prevedendo
delle intese per regolare i loro rapporti con lo
Stato. Questo strumento non è stato richiesto dalle minoranze religiose, ma creato in
sede di dibattito parlamentare.
Al momento dell’approvazione della Costituzione, a buona ragione si può pensare che i
costituenti avessero in mente due intese: con
gli ebrei e con i «protestanti».
■
È da ricordare che, nonostante le sollecitazioni da parte delle confessioni presenti nel
territorio italiano, rimase a lungo in vigore
la legislazione del 1929-30 sui «culti ammessi». (Regio Decreto 28 febbraio 1930, n.289
Norme per l’attuazione della L. 24 giugno
1929, n. 1159, sui culti ammessi nello Stato e
per coordinamento di essa con le altre leggi
dello Stato).
■
■ Fu negli anni ’50 che iniziarono a cadere le
norme repressive della legislazione sui «culti
ammessi»: dapprima l’obbligo di preavviso
per le funzioni in luoghi aperti al pubblico
(1957), poi (1958) la necessità di autorizzazione per l’apertura di luoghi di culto e l’obbligo della presenza di un ministro di culto
«approvato» dall’autorità per la celebrazione
di qualsiasi rito. Oggi è in discussione una
legge per l’abrogazione dell’ordinamento sui
culti ammessi. Il Consiglio dei Ministri del 1°
marzo 2002, su proposta del Presidente del
Consiglio dei Ministri, ha approvato un dise-
gno di legge recante norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi.
Il disegno di legge intende attuare compiutamente i principi costituzionali in materia di libertà religiosa e, parallelamente, abrogare la
legge n. 1153 del 1929 sull’esercizio dei culti diversi dal cattolico, che, con riferimento al
concetto di religione dello Stato contenuto
nei Patti Lateranensi, venivano allora definiti
«ammessi».
A riportare alla ribalta l’ultimo comma dell’art. 8 della Costituzione, che parla di Intese
specifiche, fu l’avvio della revisione concordataria con la Chiesa Cattolica. Le due trattative furono parallele: tanto che la firma dell’intesa con la Tavola Valdese, in rappresentanza delle chiese valdesi e metodiste, avvenne pochi giorni dopo quella del nuovo Concordato, nel febbraio 1984. Seguirono altre 5
Intese, stipulate dal 1986 al 1993. Alcune di
queste Intese sono state oggetto di successive
modifiche.
■
■ In concreto, oggi sono vigenti questi documenti normativi:
– il Concordato con la Chiesa cattolica, rivisto con l’Accordo del 18 febbraio 1984,
– le Intese con
a) la Tavola Valdese, 1984
b) l’Unione delle Comunità Ebraiche, 1987
c) le Assemblee di Dio in Italia (ADI-Culto
pentecostale), 1986
d) le Chiese Cristiane Avventiste del Settimo
Giorno, 1986
e) l’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia (UCEBI), 1993
f) la Chiesa Evangelica luterana d’Italia (CELI) 1993.
Sono in cammino altre Intese. Il 20 marzo
2000 il Presidente del Consiglio dei Ministri
ha sottoscritto due nuove Intese – primo passo verso le relative leggi di approvazione e introduzione nell’ordinamento italiano – rispettivamente con
g) la «Congregazione cristiana dei Testimoni
di Geova»,
h) la «Unione Buddhista Italiana»,
■
17
SET. 4
inaugurando con tale gesto una nuova «era»
dei rapporti del nostro Stato con Confessioni
religiose di origine diversa da quella ebraicocristiana.
Proprio in riferimento all’Intesa con la «Unione Buddhista Italiana» qualcuno ha recentemente avanzato perplessità di carattere costituzionale interrogandosi sull’applicabilità della qualifica di «Confessione religiosa» al
Buddhismo a motivo del suo rifiuto sostanziale del «teismo»... (si parla in termini giuridici), rifiuto «conosciuto» anche in ambito
giurisprudenziale italiano, visto che la Cassazione ancora nel 1997 riteneva la stessa
«Unione Buddhista Italiana» una formazione
sociale ateistica o tutt’al più di natura agnostica: perplessità e dubbi in cui la «Parte istituzionale», in questo caso lo Stato, è riuscita
ad accostare modelli ed espressioni, anche
culturali, così differenti, tutelando al contempo e la propria posizione potestativa e le peculiarità delle «controparti».
Per il rispetto che ogni Confessione religiosa
merita, a motivo della propria «individualità»
e specificità, è doveroso che lo Stato tratti le
tematiche a cui le stesse confessioni religiose
sono interessate: così i Testimoni di Geova si
sono interessati del matrimonio ad «effetti civili» e dell’attività radiofonica mentre i
Buddhisti hanno chiesto e ottenuto garanzie
per i cimiteri.
Sono in discussione le Intese con la Repubblica Italiana (v. box a p. 20), presentate da:
• Associazione Musulmani Italiani (AMI),
• Unione delle Comunità ed Organizzazioni
Islamiche in Italia (UCOI),
• Comunità Islamica in Italia (COREIS).
■
DOCUMENTAZIONE
L’insegnamento della religione nelle Intese
A proposito dell’insegnamento religioso nelle
scuole pubbliche, che cosa dicono le Intese?
Partiamo da quelle già approvate per passare
a quelle in discussione.
Passiamo alle Intese già stipulate.
Tavola valdese
10. La Repubblica italiana, allo scopo di garantire che la scuola pubblica sia centro di
promozione culturale, sociale e civile aperto all’apporto di tutte le componenti della
società, assicura alle chiese rappresentate
dalla Tavola valdese il diritto di rispondere alle eventuali richieste provenienti dagli alunni,
dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in
ordine allo studio del fatto religioso e delle
sue implicazioni. Le modalità sono concordate con gli organi previsti dall’ordinamento scolastico. Gli oneri finanziari sono a carico degli
organi ecclesiastici competenti.
Chiese cristiane avventiste
12. 1. La Repubblica italiana, nel garantire il
carattere pluralista della scuola, assicura
agli incaricati designati dall’Unione delle chiese cristiane avventiste il diritto di rispondere ad
eventuali richieste provenienti dagli alunni,
dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in
ordine allo studio del fatto religioso e delle
sue implicazioni. Tali attività si inseriscono
nell’ambito delle attività culturali previste
dall’ordinamento scolastico.
2. Gli oneri finanziari sono comunque a carico
dell’Unione.
18
SET. 4
Assemblee di Dio
9. 1. La Repubblica italiana, nel garantire il
carattere pluralistico della scuola, assicura
agli incaricati dalle chiese associate alle ADI,
designati dal Consiglio generale, il diritto di rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo studio del fatto religioso e
delle sue implicazioni. Tali attività si inseriscono nell’ambito delle attività culturali previste dall’ordinamento scolastico.
2. Gli oneri finanziari sono comunque a carico
degli organi delle ADI competenti.
Unione delle comunità
ebraiche italiane
La Repubblica italiana, nel garantire il carattere pluralista della scuola, assicura agli
incaricati designati dall’Unione o dalle Comunità il diritto di rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici in ordine allo studio dell’ebraismo. Tali attività si inseriscono
nell’ambito delle attività culturali previste
dall’ordinamento scolastico. Gli oneri finanziari sono comunque a carico dell’Unione
o delle Comunità.
Unione cristiana evangelica
battista d’Italia (UCEBI)
9. Richieste in ordine allo studio del fatto religioso.
1. La Repubblica italiana, allo scopo di garantire che la scuola pubblica sia centro di
promozione culturale, sociale e civile, aperto al contributo di tutte le componenti della società, assicura alle Chiese rappresentate
dall’UCEBI il diritto di rispondere alle richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie
e dagli organi scolastici in ordine allo studio del
fatto religioso e delle sue implicazioni, nel quadro delle attività culturali previste dall’ordinamento scolastico dello Stato.
2. L’esercizio di tale diritto avviene senza alcun
onere finanziario per lo Stato.
Chiesa evangelica luterana
d’Italia (CELI)
11. Richieste in ordine allo studio del fatto religioso.
1. La Repubblica italiana, nel garantire il carattere pluralistico della scuola, assicura
agli incaricati della CELI e delle sue Comunità
il diritto di rispondere ad eventuali richieste
provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o
dagli organi scolastici, in ordine allo studio
del fatto religioso e delle sue implicazioni, con
modalità concordate con gli organi previsti
dall’ordinamento scolastico.
2. Gli oneri finanziari sono comunque a carico
delle Comunità della CELI territorialmente
competenti.
Seguono le intese, già sottoscritte, che sono in
fase di approvazione parlamentare.
Congregazione cristiana
dei Testimoni di Geova
4. La Repubblica italiana, nel garantire il carattere pluralistico della scuola pubblica,
assicura agli incaricati designati dalla Congregazione centrale, o dalle Congregazioni o
comunità locali dei testimoni di Geova, il diritto di rispondere alle eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo studio del fatto religioso e delle sue implicazioni.
Tale attività si inserisce nell’ambito delle attività didattiche integrative determinate dalle istituzioni scolastiche nell’esercizio della loro autonomia, secondo modalità concordate dalla Congregazione centrale con
le medesime Istituzioni.
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SET. 4
BOZZE DI INTESA IN DISCUSSIONE
UCOI
Articolo 10
(Istruzione religiosa
nelle scuole)
AMI
Articolo 10
COREIS
Art. 20
(Istruzione religiosa
nelle scuole pubbliche)
Nelle scuole pubbliche di ogni
ordine e grado, l’insegnamento
è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e di religione e della pari dignità dei
cittadini senza distinzione di
religione come pure è esclusa
ogni ingerenza sull’educazione e formazione religiosa
degli alunni musulmani.
La Repubblica Italiana nel garantire la libertà di coscienza
riconosce agli alunni delle
scuole pubbliche il diritto di non
avvalersi di insegnamenti religiosi. Tale diritto è esercitato
dagli alunni o da coloro cui
compete la potestà su di essi
ai sensi delle leggi dello Stato.
Per dare reale efficacia all’attuazione di tale diritto, l’ordinamento scolastico provvede a
che l’insegnamento religioso
non abbia luogo secondo orari
e modalità che abbiano per gli
alunni effetti comunque discriminanti e che non siano previste forme d’insegnamento
religioso diffuso nello svolgimento dei programmi di altre discipline. In ogni caso
non possono essere richiesti
agli alunni pratiche religiose
o atti di culto.
(Art. 3/II: Nel fissare il diario di
prove di concorso le autorità
competenti terranno conto dell’esigenza di cui al primo comma del presente articolo. Nel
fissare il diario degli esami, le
autorità scolastiche adotteranno in ogni caso opportuni accorgimenti onde consentire ai
candidati musulmani che ne
facciano richiesta di sostenere in altro giorno le prove di
esame fissate nel giorno di venerdì. Si considerano giustificate le assenze degli alunni
musulmani dalla scuola nel
giorno di venerdì su richiesta
dei genitori o dell’alunno se
maggiorenne).
Nelle scuole pubbliche di ogni
ordine e grado, l’insegnamento
è impartito nel rispetto della libertà di coscienza e di religione, conformemente ai principi
di pari dignità dei cittadini, senza distinzione di religione. È
esclusa ogni ingerenza sull’educazione e sulla formazione
religiosa degli alunni musulmani.
Agli alunni musulmani non potrà essere in alcun modo imposta la partecipazione ad atti
di culto o a lezioni di religione
non conformi alla loro appartenenza confessionale.
Nell’ambito della flessibilità
dell’orario scolastico, gli
alunni musulmani che ne
facciano richiesta hanno diritto a partecipare, un’ora alla settimana, a lezioni di religione islamica tenute da personale docente abilitato e
designato dall’Associazione
Musulmani Italiani.
L’Associazione Musulmani
Italiani comunicherà per tempo alle competenti autorità
scolastiche la lista dei docenti di religione islamica
abilitati.
Nel fissare il diario degli esami,
le autorità scolastiche adotteranno in ogni caso opportuni
accorgimenti, onde consentire
ai candidati musulmani che ne
facciano richiesta di sostenere in un altro giorno le prove
fissate per il venerdì, ovvero in
occasione delle festività o solennità islamiche di cui all’Articolo 4.
Quanto disposto nel comma
precedente si applica inoltre alla datazione delle prove di concorso ed alle autorità competenti.
Nelle scuole pubbliche di ogni
ordine e grado, nelle quali, a
norma della Costituzione della
Repubblica, l’insegnamento è
impartito nel rispetto della libertà di coscienza e di religione e della pari dignità degli uomini, è esclusa ogni ingerenza sull’educazione e sulla formazione religiosa degli alunni
di fede islamica.
La Repubblica Italiana, nel garantire la libertà di coscienza
di tutti, riconosce agli alunni
delle scuole pubbliche il diritto
di non avvalersi di insegnamenti religiosi. Tale diritto è
esercitato su richiesta degli
alunni o di coloro cui compete
la potestà parentale ai sensi
delle leggi dello Stato.
Per dare reale efficacia a tale
diritto, l’ordinamento scolastico stabilisce che l’insegnamento religioso, previsto da
leggi dello Stato, non abbia luogo secondo orari e modalità
che abbiano per gli alunni effetti comunque discriminanti, e
che non siano previste forme
d’insegnamento religioso diffuso nello svolgimento di altre discipline. In ogni caso non possono essere richiesti agli alunni atti di culto o qualunque altra
pratica religiosa.
La Repubblica italiana, nel garantire il carattere pluralistico
della scuola pubblica, assicura
agli incaricati designati dalla
Comunità il diritto, nell’ambito
delle attività culturali previste
dall’ordinamento scolastico, di
rispondere a eventuali richieste, provenienti dagli alunni,
dalle loro famiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo
studio del fatto religioso islamico. [I relativi oneri sono a carico della Comunità].
(Art. 15/V) Nel fissare le prove
di esame o di concorso le autorità civili competenti terranno conto della esigenza di rispetto delle festività islamiche.
20
SET. 4
5. Gli oneri finanziari derivanti dall’attuazione
del comma 4, sono a carico della Congregazione centrale.
Unione buddista italiana UBI
Art. 5.1. La Repubblica italiana, nel garantire la
libertà di coscienza di tutti i cittadini e cittadine, riconosce agli alunni e alunne delle scuole pubbliche non universitarie il diritto di non
avvalersi di insegnamenti religiosi. Tale diritto
è esercitato ai sensi delle leggi dello Stato
dagli alunni, dalle alunne o da coloro cui compete la potestà su di essi.
5.2. Viene riconosciuto a persone designate
dall’U.B.I. il diritto di rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle alunne,
dalle loro famiglie o dagli organi scolastici per
contribuire allo studio del fatto religioso e delle sue implicazioni, quale attività didattica integrativa determinata dalle istituzioni scolastiche nell’esercizio della loro autonomia, secondo modalità concordate dall’U.B.I.
con le medesime istituzioni.
5.3. Gli oneri finanziari derivanti dall’attuazione del comma 2 sono posti a carico dell’U.B.I.
3.2.6. Orientamenti didattici
(SS1c5)
Alcune osservazioni
conclusive
Come calare nell’ambito didattico concreto
dell’IRC la dovuta attenzione alle altre espressioni religiose?
Indicazioni dai programmi
■ Nei programmi 1987 per l’IRC della Secondaria superiore troviamo, in proposito brevissimo accenno: gli alunni «saranno avviati
a maturare capacità di confronto tra il cattolicesimo, le altre confessioni cristiane, le altre
religioni e i vari sistemi di significato; a comprendere e a rispettare le diverse posizioni
che le persone assumono in materia etica e religiosa».
Quanto ai programmi, che sono ancora in
preparazione, abbiamo indicazioni provvisorie che sono però promessa di orientamenti
più ampi ed espliciti. Come esempio si può
vedere (nel riquadro a p. 22) una delle matrici progettuali che si riferiscono al nostro tema.
■
■ Nel proporre a scuola una confessione religiosa si deve salvaguardare la sua dignità
confessionale e, insieme, si deve rispettare
appieno l’atto libero conoscitivo dell’alunno,
in un contesto laico. Questo risultato si ottiene distinguendo, dentro la confessionalità,
tra religione e fede: la prima è sostenuta dalla teologia dei concetti, la seconda è intesa come la vivente e personale adesione del credente che compie un vero e proprio salto al di
là di ogni calcolo teorico e di ogni scommessa pratica.
Nell’affrontare il tema delle altre confessioni religiose, ritengo poco concludente il
tentativo di giustapporre scienza delle religioni e teologia attraverso formulazioni generali riguardanti le due discipline. La proposta, ad esempio, di uno studio sistematico di
storia delle religioni, con l’esposizione del
percorso diacronico delle varie forme religiose, rischia di chiudere il tutto in un esercizio
curioso ma di difficile integrazione nelle discipline teologiche.
■
21
SET. 4
SS 1C5
LE PRINCIPALI RELIGIONI NON CRISTIANE (DELL’ANTICHITÀ E DI OGGI)
La vita e le sue domande
Lo studio dei popoli antichi, ma anche la presenza sempre più numerosa oggi in Italia di credenti in
religioni diverse da quella cristiana e culturalmente lontane da essa, interpella la fede dei credenti in
Gesù.
Che valore hanno le religioni non cristiane? Quali atteggiamenti può assumere la Chiesa nei loro confronti? Come un credente in Cristo può vivere e dialogare con coloro che credono in religioni diverse
dalla sua?
Riferimenti ad altri ambiti e discipline
La religiosità umana si esprime in molte forme.
Tra esse le innumerevoli proposte che contemplano il culto a divinità diverse.
Lo studio della storia, della letteratura antica,
della geografia, permettono l’incontro con diverse proposte religiose non cristiane. Con attenzione interdisciplinare è possibile approfondirne
una in modo particolare, a titolo esemplificativo.
Non si tralasci una proporzionata presentazione
delle religioni non cristiane di antica tradizione,
oggi sempre più presenti anche in Europa (ad es.
Induismo e Buddhismo).
Contenuti specifici
Lo studio delle diverse religioni offre l’opportunità
di presentare il dialogo interreligioso, sviluppatosi
in modo ufficiale e allargato, in ambito cattolico,
a partire dal Vaticano II.
Si consideri il documento del Vaticano II Nostra
aetate, nelle parti che esprimono la posizione
della Chiesa nei confronti delle religioni non cristiane trattate (Nostra aetate 1 e 2).
Si può documentare lo sviluppo del dialogo dal
Concilio ad oggi attraverso il riferimento agli
eventi più significativi. (Ad es.: la costituzione
del «Segretariato per i non cristiani» nel 1964; il
primo incontro tra i rappresentanti di tutte le religioni ad Assisi il 27 ottobre 1986).
Sintesi fondamentale
La Chiesa riconosce nelle diverse religioni una sincera ricerca di Dio, nella quale «non raramente» è
presente «un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini».
Per questo, mentre non cessa di annunciare Cristo «via, verità e vita», la Chiesa «esorta i suoi figli affinché con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi» (Nostra aetate 2).
Proviamo allora ad avventurarci su un diverso sentiero di ricerca, caratterizzato dall’analisi di singoli paradigmi circostanziati e delimitati.
Esistono «paradigmi» (e il termine viene usato in senso kuhniano) capaci di attraversare
le varie forme religiose e che, di conseguenza,
possono risultare comuni sia al Cristianesimo
sia a qualunque altra espressione religiosa. Paradigmi che potrebbero essere presi in considerazione riguardano il concetto di salvezza, le
modalità di espressione rituale, il cammino di
iniziazione, l’interpretazione etica, la visione
dei diritti umani ecc. Al centro è da collocare
l’esperienza, ricordando che per i nostri alunni il vissuto di riferimento è la radice cristiana.
La rivoluzione copernicana sta nel porre come
asse portante non il fatto religioso ma la persona in cammino con il suo bagaglio conoscitivo, con le sue modalità di reazione psicologica, con la propria crescita spirituale.
Il metodo non può non essere fenomenologico: le scuole positivistica e strutturalista ci
porterebbero su posizioni troppo sociologizzanti.
■ Concludiamo. Questo delineato è, a parer
mio, un sentiero che rispetta la dignità del
credente, la libertà dell’adesione di fede e il
valore delle singole espressioni religiose.
Solo brevi cenni, lasciati all’approfondimento personale e al confronto.
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ALCUNI IMPEGNI CONCRETI
DAVIDE VIADARIN E MANUEL ZORZO
I mutamenti culturali tipici della società
pluralistica portano all’IRC continue sollecitazioni e impongono ripensamenti. L’IdR, più
di ogni altro insegnante, è per così dire costretto a riformulare perennemente la propria
didattica in relazione a tali mutamenti, che
hanno evidenti riflessi anche nella scuola.
In un recente incontro di IdR della Diocesi –
presente l’esperto mons. Dal Ferro – sono
emersi in proposito alcuni orientamenti di carattere pedagogico-didattico che meritano una
particolare considerazione.
■
1. Siamo chiamati a ridestare negli studenti
la domanda religiosa. È il compito più arduo
degli IdR, soprattutto nella scuola secondaria,
dove il momento evolutivo dei ragazzi coincide molto spesso con l’assunzione di un atteggiamento di generale indifferenza verso
l’esperienza religiosa e la domanda di senso.
2. Dobbiamo opporci a un impoverimento
della cultura religiosa cattolica. È fondamentale suscitare nei ragazzi il desiderio di
approfondire la propria identità culturale segnata dalla tradizione cristiano-cattolica. È
infatti la condizione necessaria per dialogare
con il «diverso» da noi.
3. Si deve guidare a conoscere le diverse fedi/religioni. E questo non solo in relazione
agli «input» dell’attualità, ma a partire dai
testi sacri, dalla storia, dalle tradizioni...
4. Si deve valorizzare la presenza a scuola di
studenti appartenenti a fedi diverse da quella cattolica. L’IdR creerà, durante la propria
attività didattica, alcuni momenti di conoscenza e di dialogo con questi ragazzi. Ciò
può favorire una maggiore disponibilità all’ascolto, alla reciproca comprensione e alla
collaborazione. E diventa urgente soprattutto
quando la «diversità» religiosa è presente nei
banchi di scuola.
5. Quanto al metodo, sembra opportuno unire alla fenomenologia delle religioni un’attenzione particolare alla teologia delle religioni. Si affronteranno problematiche di questo genere: Gesù salvatore è presente nelle
altre religioni? C’è salvezza nelle altre religioni? In esse c’è lo Spirito? Questo è fare
teologia cattolica.
6. Nel fare visite culturali a sedi o luoghi di
culto di chiese o religioni, limitarsi a quelle
che hanno stipulato Intese con lo Stato Italiano. Questa attenzione è la garanzia di un
dialogo fruttuoso e autentico con le altre religioni, senza cadere in un facile sincretismo o
«qualunquismo» religioso, irrispettoso della
propria e altrui identità.
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