13 marzo 2016 - Piccole Suore della Sacra Famiglia
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13 marzo 2016 - Piccole Suore della Sacra Famiglia
D’ORA IN POI QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C - GIOVANNI 8,1-11 In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Questo brano del Vangelo di Giovanni è ambientato nell’ultima settimana di vita di Gesù. Egli sa di essere perseguitato, sa che la sua presenza è scomoda, sa che lo vogliono incriminare e condannare. Va a dormire con i discepoli al monte degli Ulivi e il mattino si reca al Tempio a predicare. Proprio davanti al Tempio è ambientato l’incontro con l’adultera. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Gli scribi e i farisei cercano di compromettere Gesù e utilizzano una donna sorpresa nella sua debolezza, in adulterio. La loro applicazione delle norme è funzionale a subdoli secondi fini. La legge prevedeva la morte per il peccato di adulterio (poteva essere assolto una sola volta in vita, secondo alcuni, ma poi il colpevole doveva essere cancellato con la morte dalla comunità ebraica, per non contaminarla (cfr. Dt 22,21.24). La donna ha tradito il marito, ma nel contempo Israele ha tradito il suo Dio cambiando lo spirito della Legge e l’adulterio era visto come simbolo del tradimento. Sicuramente anche la donna conosce la Legge e sa che per il male commesso le spetta la morte. Come di regola, viene posta nel mezzo, da sola, nel cerchio, isolata, in modo che i suoi accusatori possano inveire su di lei. Con questa donna vogliono mettere in trappola Gesù. “Noi siamo a posto, siamo osservanti della Legge, questa donna no!”. Per coglierla sul fatto significa che l’hanno pedinata e spiata (non si parla del maschio che ha peccato con lei….) così da avere uno strumento per condannare questo Rabbì scomodo, del quale avevano già deciso la morte. Se Gesù avesse difeso la donna sarebbe stato condannato in quanto non osservante della legge. Se avesse detto di applicare la legge così com’era, l’avrebbero accusato di non essere coerente con il suo insegnamento circa il perdono e la misericordia e si sarebbe messo contro l'autorità romana che rivendicava a sé le sentenze capitali. Gesù si trova pertanto in una situazione difficile da cui esce vittorioso ponendo scribi e farisei di fronte alle loro responsabilità e alla loro coscienza. Tra le due alternative, trova la terza strada: quella del perdono, quella più umana. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Cala il silenzio in questa situazione incresciosa. Gesù si china e si pone all’altezza della donna, elimina la distanza che c’è fra Lui e lei. Gesù riflette. Non guarda gli accusatori, non guarda la donna. Gesù si mette a scrivere per terra: è l’unica volta in cui il Vangelo dice che Gesù scriveva. Cosa scrive per terra Gesù? Forse il nome dei presenti? Forse i loro peccati? Forse una sentenza? Forse non vuole semplicemente incrociare i loro sguardi minacciosi e accusatori? Forse si piega per fare scudo con il suo corpo alla donna? Forse scrive sulla terra la Legge che Israele ha infranto, la stessa legge che Mosè aveva scritto sulle tavole di pietra? Perché scriva per terra, il Vangelo non lo dice. Quello che importa è che Gesù salva se stesso e la donna colpevole rimbalzando sugli accusatori la loro stessa cattiveria. Non nasconde la colpevolezza della donna, non occulta le sue responsabilità, ma le offre la possibilità di rialzarsi e di cambiare vita. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Gli accusatori insistono: la cattiveria non cede il passo alla misericordia. Eppure fra loro ci sarà stato sicuramente qualcuno della sua famiglia: un padre, un marito, un fratello… Nessuna pietà, nessuno si arrischia di difenderla. Chi fosse stato testimone di un adulterio aveva diritto di scagliare la pietra, ma notare che i testimoni dovevano essere più di due. Gesù scrive per terra e poi proclama: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». I presenti non possono scagliare la prima pietra in quanto riconoscono di essere colpevoli di fronte alla loro coscienza di colpe occulte o palesi, di questo o di altro genere. Solo una persona completamente pura potrebbe accusare giustamente un’adultera, ma chi è completamente senza colpa? Chi è completamente puro? Chi non ha messo in atto comportamenti peccaminosi potrebbe anche solo averli progettati... Soltanto Gesù avrebbe potuto scagliare la prima pietra, Lui il Puro per eccellenza, ma Lui è venuto per salvare, non per condannare. È venuto per cercare chi è perduto e riportarlo al Padre. Chi sono i primi ad andarsene? Proprio i più anziani, forse perché più saggi, forse perché più consapevoli delle proprie responsabilità, forse per timore che il Signore rivelasse quanto avevano occultato nel profondo del loro intimo nel corso della vita. Gesù salva anche gli accusatori dall’omicidio che stavano per fare e, soprattutto, li salva nell’intimo facendo scoprire il loro peccato. Anche per loro può iniziare un cammino di conversione e di ritorno a Dio. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. L’accusata rimane sola. La si può immaginare prostrata a terra, a faccia coperta. Non distingueva sicuramente i suoi accusatori, non li avrà visti in faccia, ma avrà sicuramente sentito i loro passi allontanarsi. La donna non fugge via, rimane lì in mezzo. Gesù rimane solo con lei e le dona il perdono. Come dice S. Agostino: “Rimangono la miseria e la Misericordia”. La Misericordia si china sulla miseria e la distrugge: Dio innalza la creatura fragile e peccatrice al suo livello perché la comunione con l’uomo è la più grande gioia di Dio. La stessa grazia riceviamo anche noi quando ci accostiamo al sacramento della riconciliazione. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Gesù smette di scrivere e si alza. Rompe il silenzio, la guarda negli occhi senza giudizio, senza condanna. La chiama “donna”, così come chiamerà “Donna” sua Madre sotto la croce. La chiama “Donna” e con questo termine le restituisce tutta la dignità perduta. “Dove sono?”. Fa questa domanda, quasi con ironia, per rendere più consapevole la sua interlocutrice del pericolo scampato. La perdona e con il perdono le dona la forza per non peccare più. L’adultera è salvata due volte: dalla lapidazione e dalla sua debolezza. La Libertà l’ha liberata. Gesù ammonisce: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». Gesù insegna alle folle una grande novità: non c’è potere più grande che quello di perdonare. Dio giudica con indulgenza perché è più grande di qualsiasi peccato e di qualsiasi limite umano. Non si spaventa di fronte alla debolezza, ma rigenera il peccatore fino a farlo sentire nuova creatura. La sua onnipotenza si manifesta nel dare la vita. Egli che si è contratto nell’Incarnazione, si fa piccolo per venire in noi nell’Eucaristia, si annienta sulla croce e vince: vince con l’amore. L’amore è la più grande vittoria sul male e sul peccato. Dio non ci fa i processi, ci ama sempre, ci ama e basta. Diceva Giovanni Paolo II, "al di fuori della misericordia di Dio, non c'è nessun'altra fonte di speranza per gli esseri umani". Soltanto nella misericordia di Dio troviamo la sorgente della nostra pace. Grande deve essere la nostra commozione per il perdono che ci è donato continuamente, grazie al sacrificio di Cristo. Cristo è morto per noi peccatori (Rm 5, 8), mandato dal Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati. Non soltanto dei nostri, ma anche del mondo intero (1Gv 2,2). Dio condanna la realtà del peccato, prende le distanze dal male, ma usa amore e misericordia nei confronti di chi ne è vittima e lo commette. È tale il suo immedesimarsi nella sofferenza dell’uomo che lo redime dal profondo e lo salva. La donna è chiamata ad uscire dal sepolcro della sua debolezza, a guardare oltre la colpa commessa. Noi non siamo il nostro peccato. Noi siamo figli che cadono, ma si rialzano grazie alla fiducia nel Padre che sempre ci perdona. Se ci dovesse capitare di cadere in basso come l’adultera, abbiamo il coraggio di alzare lo sguardo umido di pianto verso gli occhi misericordiosi di Colui che ha dato la vita per noi. Noi come cristiani, come Chiesa, siamo chiamati, non a condannare, come gli scribi e i farisei, ma a condividere il tormento, l’angoscia, il dolore di chi è in una situazione drammatica da cui crede di non venire più fuori. Siamo chiamati a fare come Cristo: chinarsi sull’altro per risollevarlo. Una persona non è per sempre il suo sbaglio. Una persona è un capolavoro di Dio. Crediamolo sempre, anche quando tutto sembra finito. E ricordiamo che, se gli uomini non hanno misericordia, noi abbiamo sempre la possibilità di ricorrere alla fonte perenne di un’acqua che zampilla, che purifica, che salva. “D’ora in poi” tutto può essere diverso se crediamo nel Dio il cui nome è Misericordia. Suor Emanuela Biasiolo