Sommario - studio peruzzi
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Sommario - studio peruzzi
LAVORO A TEMPO DETERMINATO Sommario 1. Premessa 2. Apposizione del termine 3. Divieti di apposizione del termine 4. Limiti quantitativi 5. Esclusioni e discipline specifiche 6. Proroga del termine 7. Prosecuzione del rapporto dopo la scadenza 8. Rinnovo del contratto 9. Trattamento economico, normativo e previdenziale 10. Criteri di computo 11. Formazione ed informazione 12. Diritto di precedenza 13. Disciplina transitoria 14. Estinzione del rapporto 1. Premessa Il contratto di lavoro a tempo determinato dà luogo ad un rapporto di lavoro che si caratterizza per la preventiva determinazione della sua durata, estinguendosi automaticamente allo scadere del termine inizialmente fissato. Il D.Lgs. n. 368 del 6 settembre 2001, in attuazione della direttiva comunitaria 1999/70/CE del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, ha riformato interamente la disciplina dell'apposizione del termine al contratto di lavoro, abrogando la precedente normativa in materia (legge 18 aprile 1962, n. 230, l'art. 8-bis del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, l'art. 23 della L. n. 56 del 28 febbraio 1987), nonchè tutte le disposizioni di legge comunque incompatibili e non espressamente richiamate nel decreto legislativo. Non trattandosi di un contratto volto a favorire la continuità dell'occupazione, il legislatore del 1962, aveva affermato il principio in base al quale il rapporto di lavoro a termine era vietato, tranne nei casi tassativi indicati dalla legge e dai contratti collettivi. Con il decreto legislativo n. 368, in vigore dal 24 ottobre 2001, cambia nettamente l'impostazione: il contratto a tempo determinato è di regola ammesso, salvo nei casi in cui è espressamente vietato. Pertanto, viene liberalizzato l'uso del contratto a termine che, in tal modo, non costituisce più un fatto eccezionale rispetto all'ordinaria assunzione con contratto a tempo indeterminato e sono solo previsti limiti quantitativi la cui individuazione è affidata ai contratti collettivi. La legge n. 247/2007, di approvazione del Protocollo sul Welfare del 23 luglio 2007, è intervenuta, modificando in parte il D.Lgs. n. 368/2001, per regolare l'utilizzo del contratto a termine, stabilendo, da una parte, che il contratto di lavoro subordinato è stipulato "di regola" a tempo indeterminato e, dall'altra, nell'ipotesi di successione di contratti a termine, un limite massimo di durata (36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi) oltre il quale il contratto si considera a tempo indeterminato. Successivamente è intervenuta la legge n. 92 del 28 giugno 2012 (c.d. Riforma del mercato del lavoro, in vigore dal 18 luglio 2012) la quale, sostituendo la formulazione adottata dalla legge n. 247/2007, ha affermato che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la "forma comune" di rapporto di lavoro (c.d. contratto dominante, art. 1, comma 01, D.Lgs. n. 368/2001, così come modificato dall'art. 1, comma 9, L. n. 92/2012) e ha apportato delle profonde modifiche alla disciplina del contratto a termine. Ulteriori modificazioni alla disciplina del contratto a termine sono state apportate dal D.L. 28 giugno 2013, n. 76 (c.d. "Pacchetto Lavoro"), che è intervenuto sul D.Lgs. n. 368/2001, anche mediante interventi sulla L. n. 92/2012, in particolare con riguardo agli intervalli temporali tra un contratto a tempo determinato ed il successivo, al contratto a termine c.d. "acausale", all'obbligo per il datore di lavoro di comunicare la prosecuzione "di fatto" del rapporto oltre il termine inizialmente fissato. Inoltre il D.M. 5 ottobre 2012 ha previsto incentivi a favore dei datori di lavoro che, entro il 31 marzo 2013, hanno stabilizzato rapporti di lavoro e/o instaurato rapporti di lavoro a tempo determinato (per quanto concerne la domanda di ammissione a tali incentivi si rinvia alla nota Agevolazioni per l'assunzione di particolari categorie di lavoratori). Semplificazioni ulteriori alla disciplina del contratto a tempo determinato sono state, inoltre, adottate con il D.L. 20 marzo 2014, n. 34, (in vigore dal 21 marzo 2014), che ha eliminato la causale giustificatrice - c.d. "causalone" - per l'instaurazione di rapporti a termine di durata fino a tre anni, purchè tali rapporti non superino il limite percentuale stabilito. Con specifico riferimento al settore dei beni culturali, l'art. 8 del D.L. n. 83/2014 (c.d. Decreto cultura), al fine di favorire l'occupazione presso gli istituti e i luoghi della cultura dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ha introdotto la possibilità per gli stessi di assumere con contratti di lavoro a tempo determinato, anche in deroga all'art. 9, comma 28, del D.L. 78/2010, professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali, di età non superiore a quaranta anni, individuati mediante apposita procedura selettiva. Nel settore marittimo, per i contratti di arruolamento a tempo determinato e "a viaggio" previsti dagli artt. 325 e 326 del R.D. n. 327/1942 (codice della navigazione) trova applicazione la disciplina sul contratto a termine del codice della navigazione, trattandosi di disciplina speciale per il settore (ML interpello n. 24/2014). 2. Apposizione del termine Secondo l'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, come modificato dall'art. 1, comma 1, D.L. n. 34/2014, è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe, concluso fra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ai sensi del comma 4 dell'art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003. A seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 34/2014, pertanto, è consentita l'apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato, anche nell'ambito di una somministrazione a tempo determinato, senza alcun obbligo di indicare le ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo purchè il singolo rapporto, comprensivo di proroghe, non superi i 36 mesi. La sussistenza di ragioni giustificatrici continua, tuttavia, a sortire alcuni effetti, ad esempio, in caso di contratti stipulati per ragioni di carattere sostitutivo o di stagionalità. In tali ipotesi, ai soli fini di trasparenza, il Ministero del lavoro ritiene opportuno che i datori di lavori continuino a far risultare nell'atto scritto la ragione che ha portato alla stipula del contratto a termine (ML circ. n. 18/2014). Fatti salvi i limiti quantitativi stabiliti dalla contrattazione collettiva ai sensi dell'art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 368/2001, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato (v. infra). Prima delle modifiche introdotte dal D.L. n. 34/2014, era consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro. Le ragioni giustificatrici dovevano sussistere al momento della stipula del contratto e dovevano essere oggettive e verificabili; esse erano rimesse all'apprezzamento del datore di lavoro, il quale aveva l'onere di provarne l'esistenza (ML circ. n. 42/2002). Qualora la specifica causale di assunzione a termine dedotta nel contratto non fosse stata riconducibile alla previsione dell'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, già in vigore, il contratto doveva considerarsi a tempo indeterminato dalla data dell'assunzione. Il D.L. n. 34/2014, ha abrogato l'art. 1, comma 1-bis del D.Lgs. n. 368/2001, introdotto dall'art. 1, comma 9, lett. b), L. n. 92/2012, come sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. a) del D.L. n. 76/2013, in base al quale il requisito della causale non era richiesto nell'ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi comprensiva di eventuale proroga, concluso fra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, sia nella forma del contratto a tempo determinato, sia nel caso di prima missione di un lavoratore nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato ex art. 20, comma 4, D.Lgs. n. 276/2003; nonché in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, demandando, quindi, alla contrattazione collettiva, anche di secondo livello, la possibilità di individuare le ipotesi in cui era possibile stipulare contratti a termine c.d. "acausali", per i quali non era richiesta l'indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, generalmente richieste per tale tipologia contrattuale. Secondo le modifiche introdotte dall'art. 1, comma 1, D.L. n. 34/2014 all'art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001, l'apposizione del termine al contratto di lavoro è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto. In tale atto deve risultare espressamente il diritto di precedenza di cui ai commi 4-quater e 4-quinquies dell'art. 5, D.Lgs. n. 368/2001. Precedentemente a tali modifiche, invece, per la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato era richiesta la forma scritta sia per l'indicazione del termine che per quella delle ragioni che ne legittimavano l'apposizione (fatta salva l'ipotesi del contratto c.d. acausale di cui alla L. n. 92/2012 e al D.L. n. 76/2013). In base alla disciplina come modificata dal citato D.L. n. 34/2014, viene confermato che in caso contrario, in mancanza di un atto scritto, l'apposizione del termine è priva di effetti ed il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dalla data di assunzione. Con riferimento al termine, non è necessario che l'apposizione sia oggetto di un'apposita previsione contrattuale, potendo comunque desumersi indirettamente dall'analisi del contratto (ML circ. n. 42/2002). In ogni caso le ragioni giustificatrici del termine non erano e non sono richieste nelle seguenti ipotesi: - nel settore del trasporto aereo e nei servizi aeroportuali (art. 2, D.Lgs. n. 368/2001); - nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, per l'esecuzione di speciali servizi non superiori a tre giorni (art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001); - di dirigenti, ammesse con un limite di durata massimo di cinque anni e senza obbligo di forma scritta (art. 10, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001); - di lavoratori in mobilità; - di disabili ex art. 11 della L. 12 marzo 1999, n. 68. Ai sensi del comma 3 dell'art. 1, D.Lgs. n. 368/2001, il datore di lavoro deve consegnare al lavoratore una copia dell'atto scritto entro cinque giorni lavorativi dall'inizio della prestazione. L'eventuale inadempimento di tale obbligo, estrinseco ai requisiti del contratto, non è idoneo ad incidere sulla sua validità (ML circ. n. 42/2002). La scrittura non è necessaria quando la durata del rapporto di lavoro, puramente occasionale, non sia superiore a 12 giorni di calendario (art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001), nonchè per le assunzioni di dirigenti (v. infra). Durata del contratto Come anticipato, la durata massima del contratto a termine, comprensiva di eventuali proroghe, è pari a 36 mesi. L'originaria formulazione del D.Lgs. n. 368/2001 non prevedeva invece limiti temporali massimi, salvo nel caso di proroga ed in alcune particolari fattispecie come ad esempio, per il lavoro a giornata nei settori del turismo e dei pubblici esercizi (tre giorni, art. 10, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001); per il lavoro occasionale (dodici giorni non prorogabili in coerenza con la condizione di occasionalità,art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001); per le assunzioni nel settore aeroportuale, (quattro e sei mesi, art. 2, D.Lgs. n. 368/2001); per i lavoratori anziani in possesso dei requisiti di pensionamento (due anni, ripetibili, art. 10, comma 6, D.Lgs. n. 368/2001); per i contratti dei dirigenti (cinque anni, art. 10, comma 4, D.Lgs n. 368/2001). Oltre a quanto previsto dall'art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001, a decorrere dal 1º gennaio 2008 nell'ipotesi di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, la durata complessiva dei rapporti a tempo determinato, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, non può superare i 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi e indipendentemente dai periodi di interruzione che intercorrono tra un contratto e l'altro (art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001). Tale limitazione è stata mantenuta dall'art. 1, comma 9 della legge n. 92/2012 (c.d. Riforma del mercato del lavoro), ma è stato anche previsto che ai fini del suddetto computo del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a 36 mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi dell'art. 20 del D.Lgs. n. 276/2003, inerente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. Nel settore del turismo sono esonerati dal rispetto dei predetti limiti di durata massima (36 mesi cumulativi) i contratti a tempo determinato posti in essere tra le stesse parti per lo svolgimento di mansioni equivalenti (ML circ. n. 34/2010). 3. Divieti di apposizione del termine Mentre la normativa precedente indicava specificamente le ipotesi di legittima apposizione del termine, il D.Lgs. n. 368/2001, a fronte della generalizzata ammissibilità del termine stesso, elenca tassativamente i casi nei quali è vietata la stipulazione del contratto a termine. Pertanto, ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. n. 368/2001, è vietato assumere con contratto a termine nei seguenti casi: a) per la sostituzione di lavoratori in sciopero; b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, per far svolgere le stesse mansioni cui erano adibiti lavoratori licenziati con procedura di licenziamento collettivo ex artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991 nei sei mesi precedenti, nella stessa unità produttiva. Questo divieto non si applica se il contratto a termine è concluso per sostituire lavoratori assenti, o in mobilità ai sensi dell'art. 8, comma 2, L. n. 223/1991, o, infine, se ha una durata iniziale non superiore a tre mesi; c) per far svolgere le stesse mansioni di lavoratori sospesi o a orario ridotto, con diritto al trattamento di integrazione salariale. Tale divieto non si applica alle imprese non destinatarie della CIGS che abbiano stipulato contratti di solidarietà ai sensi dell'art. 5, comma 5 del D.L. n. 148/1993 (art. 3-bis, D.L. 11 giugno 2002, n. 108); d) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi. Nei casi suesposti l'apposizione del termine si deve ritenere nulla e pertanto, secondo l'interpretazione più probabile, il contratto si deve ritenere a tempo indeterminato. 4. Limiti quantitativi Limite legale Il legislatore ha introdotto dei limiti di carattere quantitativo alla stipula dei contratti a tempo determinato. In particolare, il numero complessivo di contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell'anno di assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato (art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001). Dalla verifica della base occupazionale devono essere esclusi i rapporti di natura autonoma o di lavoro accessorio, i lavoratori parasubordinati e gli associati in partecipazione. Inoltre, non vanno computati i lavoratori a chiamata a tempo indeterminato privi di indennità di disponibilità (per coloro per i quali è prevista l'indennità il computo avviene secondo la disciplina di cui all'art. 39 del D.Lgs. n. 276/2003). Vanno, invece, conteggiati i lavoratori part-time secondo la disciplina di cui all'art. 6 del D.Lgs. n. 61/2000, i dirigenti a tempo indeterminato e gli apprendisti che, però, non devono essere computati, se assunti a tempo determinato nelle specifiche ipotesi di cui all'art. 4, comma 5 e all'art. 3, comma 2-quater, del D.Lgs. n. 167/2011. La verifica concernente il numero dei lavoratori a tempo indeterminato deve essere effettuata in relazione al totale dei lavoratori complessivamente in forza, a prescindere dall'unità produttiva dove gli stessi sono occupati, ferma restando la possibilità di destinare i Iavoratori a tempo determinato presso una o soltanto alcune unità produttive facenti capo al medesimo datore di lavoro. Se la percentuale del 20% determina un numero decimale, il datore di lavoro può effettuare un arrotondamento all'unità superiore qualora il decimale sia uguale o superiore a 0,5 (per esempio, una percentuale di contratti a termine stipulabili pari a 2,50 equivale a 3 contratti). In relazione a tale interpretazione, il Ministero del lavoro ritiene che la sanzione per il superamento del limite massimo dei contratti a termine non possa trovare applicazione qualora il datore di lavoro, prima della pubblicazione della circolare n. 18/2014, abbia proceduto all'assunzione di un numero di lavoratori a termine sulla base di un arrotondamento comunque in eccesso (ML circ. n. 18/2014). Inoltre, il numero complessivo dei contratti a tempo determinato stipulati da ciascun datore di lavoro non costituisce un limite fisso annuale, ma rappresenta, invece, una proporzione, tra Iavoratori stabili e a termine, di modo che allo scadere di un contratto è possibile stipularne un altro semprechè si rispetti la percentuale massima di lavoratori a tempo determinato pari al 20%. Per una corretta applicazione dei limiti di carattere quantitativo, il datore di lavoro che abbia iniziato la propria attività durante l'anno deve considerare i lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento dell'assunzione del primo lavoratore a termine (ML nota n. 14974/2014). Ulteriori contratti a tempo determinato possono essere stipulati solo in forza di specifiche disposizioni. In particolare, l'art. 10, comma 7, D.Lgs. n. 368/2001, esclude da ogni limitazione quantitativa i contratti a tempo determinato conclusi: - nella fase di avvio di nuove attività per i periodi che saranno definiti dai contratti collettivi nazionali di lavoro anche in misura non uniforme con riferimento ad aree geografiche e/o comparti merceologici; - per ragioni di carattere sostitutivo. A differenza di quanto precedentemente indicato nell'art. 1, comma 2, lett. b), L. n. 230/1962, l'esenzione è riferita a qualsiasi ipotesi di assunzione a termine per sostituzione, non essendo più limitato tale tipo di contratto ai soli casi di sostituzione di lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto; - per ragioni di stagionalità, ivi comprese le attività già previste nell'elenco allegato al D.P.R. n. 1525/1963 e di seguito riportate: 1) sgusciatura delle mandorle; 2) scuotitura, raccolta e sgranatura delle pigne; 3) raccolta e conservazione dei prodotti sottobosco (funghi, tartufi, fragole, lamponi, mirtilli, ecc.); 4) raccolta e spremitura delle olive; 5) produzione del vino comune (raccolta, trasporto, pigiatura dell'uva, torchiatura delle vinacce, cottura del mosto, travasamento del vino); 6) monda e trapianto, taglio e raccolta del riso; 7) motoaratura, mietitura, trebbiatura meccanica dei cereali e pressatura dei foraggi; 8) lavorazione del falasco; 9) lavorazione del sommacco; 10) maciullazione e stigliatura della canapa; 11) allevamento dei bachi, cernita, ammasso e stufatura dei bozzoli; 12) ammasso, sgranatura, legatura, macerazione e stesa, all'aperto, del lino; 13) taglio delle erbe palustri, diserbo dei canali, riordinamento scoline delle opere consortili di bonifica; 14) raccolta, infilzatura ed essiccamento della foglia del tabacco allo stato verde; 15) cernita e condizionamento in colli della foglia di tabacco allo stato secco; 16) taglio dei boschi, per il personale addetto all'abbattimento per legname da opera, alle operazioni per la preparazione della legna da ardere, alle operazioni di carbonizzazione, nonchè alle relative operazioni di trasporto; 17) diradamento, raccolta e trasporto delle barbabietole da zucchero; 18) scorzatura del sughero; 19) salatura e marinatura del pesce; 20) pesca e lavorazione del tonno; 21) lavorazione delle sardine sott'olio (per le aziende che esercitano solo tale attività); 22) lavorazione delle carni suine; 23) produzione di formaggi in caseifici che lavorano esclusivamente latte ovino; 24) lavorazione industriale di frutta, ortaggi e legumi per la fabbricazione di prodotti conservati e di bevande (limitatamente al personale assunto nel periodo di lavorazione del prodotto fresco), nonchè fabbricazione dei relativi contenitori; 25) produzione di liquirizia; 26) estrazione dell'olio dalle sanse e sua raffinazione; 27) estrazione dell'olio dal vinacciolo e sua raffinazione; 28) estrazione dell'alcool dalle vinacce e dalle mele; 29) fabbricazione del ghiaccio (durante il periodo estivo); 30) estrazione di essenze da erbe e frutti allo stato fresco; 31) splumatura della tiffa; 32) sgranellatura del cotone; 33) lavatura della paglia per cappelli; 34) trattura della seta; 35) estrazione del tannino; 36) fabbricazione e confezionamento di specialità dolciarie nei periodi precedenti le festività del Natale e della Pasqua; 37) cave di alta montagna; 38) montaggio, messa a punto e collaudo di esercizio di impianti per zuccherifici, per fabbriche di conserve alimentari e per attività limitate a campagne stagionali; 39) fabbricazione dei laterizi con lavorazione a mano o mista a mano e a macchina nelle quali si faccia uso di essiccatoi all'aperto; 40) cernita e insaccamento delle castagne; 41) sgusciatura ed insaccamento delle nocciole; 42) raccolta, cernita, spedizione di prodotti ortofrutticoli freschi e fabbricazione dei relativi imballaggi; 43) raccolta, cernita, confezione e spedizione di uve da tavola e da esportazione; 44) lavaggio e imballaggio della lana; 45) fiere ed esposizioni; 46) lavori preparatori della campagna salifera (sfangamento canali, ripristino arginature, mungitura e cilindratura casette salanti, sistemazione aie di stagionatura), salinazione (movimento di acque, raccolta del sale); 47) spalatura della neve; 48) attività svolte in colonie montane, marine e curative e attività esercitate dalle aziende turistiche che abbiano, nell'anno solare, un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o a centoventi giorni non continuativi; 49) preparazione e produzione di spettacoli per il personale non menzionato nella lettera e) dell'art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230, addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita; 50) attività del personale addetto alle arene cinematografiche estive; 51) attività del personale assunto direttamente per corsi di insegnamento professionale di breve durata e soltanto per lo svolgimento di detti corsi; 52) conduzione delle caldaie per il riscaldamento dei fabbricati; - per specifici spettacoli ovvero specifici programmi radiofonici o televisivi (ipotesi già prevista nell'art. 1, comma 2, lett. e), L. n. 230/1962); - con lavoratori di età superiore ai 55 anni. Sono, altresì, esenti da limitazioni quantitative: - i contratti a termine stipulati ai sensi dell'art. 28 del D.L. n. 179/2012 da parte di una startup innovativa; - Ie altre fattispecie di esclusione indicate dall'art. 10 del D.Lgs. n. 368/2001. Non concorrono al superamento dei limiti quantitativi Ie assunzioni di disabili con contratto a tempo determinato ai sensi dell'art. 11 della L. n. 68/1999 e Ie acquisizioni di personale a termine nelle ipotesi di trasferimenti d'azienda o di rami di azienda (ML circ. n. 18/2014). Con riferimento alla derogabilità ai limiti di carattere quantitativo alla stipula di contratti a termine da parte della contrattazione di prossimità, a norma dell'art. 8 del D.L. n. 138/2011, il Ministero del lavoro ha chiarito che l'intervento della contrattazione di prossimità, non può comunque rimuovere del tutto i limiti quantitativi previsti dalla legge o dalla contrattazione nazionale ma esclusivamente prevederne una diversa modulazione (ML interpello n. 30/2014). Limite contrattuale L'art. 1, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001 fa salve le diverse previsioni della contrattazione collettiva introdotte ai sensi dell'art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 368/2001. Ciò significa che le parti sociali possono legittimamente derogare, ad esempio, al limite percentuale del 20% (aumentandolo o diminuendolo) o alla scelta del legislatore di fotografare la realtà aziendale al 1º gennaio dell'anno di assunzione del lavoratore a termine. Può, pertanto, ritenersi legittimo che i contratti collettivi scelgano di tener conto dei lavoratori a tempo indeterminato non come quelli in forza ad una certa data ma come quelli mediamente occupati in un determinato arco temporale (ML circ. n. 18/2014). In base all'art. 2-bis, comma 2, del D.L. n. 34/2014, in sede di prima applicazione del nuovo limite percentuale, conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro. Non è, quindi, necessario, da parte della contrattazione collettiva, l'introduzione di nuove clausole limitatrici, giacchè continuano a trovare applicazione quelle già esistenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014, ferma restando la possibilità che in un secondo momento la stessa contrattazione decida di indicarne di nuove. Istituti pubblici ed enti privati di ricerca Secondo il comma 5-bis dell'art. 10 del D.Lgs. n. 368/2001, il limite percentuale del 20% non si applica ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati tra istituti pubblici di ricerca ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere in via esclusiva attività di ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. I contratti di lavoro a tempo determinato che abbiano ad oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica possono avere durata pari a quella del progetto di ricerca al quale si riferiscono. Tale disposizione deroga, pertanto, sia al limite quantitativo dei contratti a tempo determinato, sia al limite di 36 mesi di durata massima del singolo contratto. Sanzioni In base all'art. 5, comma 4-septies, D.Lgs. n. 368/2001 - introdotto in sede di conversione del D.L. n. 34/2014 (e pertanto a far data dal 20 maggio 2014) - in caso di violazione del limite percentuale di cui all'art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 - ossia del limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell'anno di assunzione o del diverso limite introdotto dalla contrattazione collettiva ai sensi dell'art. 10, comma 7, del decreto - per ciascun lavoratore si applica la sanzione amministrativa: - pari al 20% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non sia superiore a uno; - pari al 50% della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale sia superiore a uno. La sanzione amministrativa trova applicazione sia nel caso di violazione del limite legale del 20% sia nel caso di violazione del diverso limite previsto dalla contrattazione collettiva (ML circ. n. 18/2014). L'importo sanzionatorio è calcolato in base ad una percentuale della retribuzione spettante ai lavoratori assunti in violazione del limite e cioè gli ultimi assunti in ordine di tempo. La retribuzione da prendere in considerazione è la retribuzione lorda mensile riportata nel singolo contratto di lavoro, desumibile anche attraverso una divisione della retribuzione annuale per il numero di mensilità spettanti. Qualora nel contratto individuale non sia esplicitamente riportata la retribuzione lorda mensile o annuale, occorre, invece, rifarsi alla retribuzione tabellare prevista nel contratto collettivo applicato o applicabile. Ogni periodo pari a 30 giorni di occupazione deve essere considerato come mese intero e, solo se i giorni residui sono più di 15, deve essere conteggiato un ulteriore mese. Per periodi di occupazione inferiore ai 16 giorni, la sanzione non può trovare applicazione in quanto il moltiplicatore sarebbe pari a zero. Peraltro, ai fini del calcolo del periodo di occupazione, non è necessario tener conto di eventuali sospensioni del rapporto, ad esempio, per malattia, maternità, infortunio o part-time verticale; ciò che conta è la data di instaurazione del rapporto e la data in cui è stata accertata l'esistenza dello sforamento. La sanzione amministrativa, pur non ammissibile a diffida, attesa l'insanabilità della violazione legata al superamento di un limite alle assunzioni a tempo determinato ormai realizzato, è soggetta alle riduzioni di cui all'art. 16 della L. n. 689/1981. Il Ministero del lavoro con circolare n. 18/2014 ritiene ancora efficaci le clausole contrattuali che impongono limiti complessivi alla stipula di contratti a termine e alla utilizzazione di lavoratori somministrati; in tal caso, ai fini della individuazione del regime sanzionatorio applicabile, il personale ispettivo deve verificare se il superamento dei limiti sia avvenuto in ragione del ricorso a contratti a tempo determinato o alla somministrazione di lavoro; nel primo caso è applicabile la sanzione di cui all'art. 5, comma 4-septies, del D.Lgs. n. 368/2001, nel secondo caso quella di cui all'art. 18, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003. In base all'art. 2-bis, comma 3, D.L. n. 34/2014 il datore di lavoro che, alla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014 (ossia dal 21 marzo 2014), abbia in corso rapporti di lavoro a termine che comportino il superamento del limite percentuale è tenuto a rientrare nel predetto limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell'azienda disponga un limite percentuale o un termine più favorevole. In caso contrario, il datore di lavoro, successivamente a tale data, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel limite percentuale. La sanzione non è, invece, applicabile, operando esclusivamente il divieto di assunzione a partire dal 2015, qualora tali datori di lavoro si limitino a prorogare i contratti già in essere. 5. Esclusioni e discipline specifiche Non sono soggetti all'applicazione del D.Lgs. n. 368/2001 in quanto hanno già una loro disciplina specifica e in quanto preordinati al conseguimento della formazione e all'inserimento al lavoro (ML circ. n. 42/2002): - i rapporti di apprendistato, nonchè le tipologie contrattuali legate a fenomeni di formazione attraverso il lavoro (es. tirocini), che pur caratterizzate dall'apposizione di un termine, non costituiscono rapporti di lavoro subordinato; - ferme restando le disposizioni di cui agli artt. 6 e 8, i rapporti instaurati con lavoratori in mobilità ex art. 8, comma 2, L. n. 223/1991 (art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 368/2001, comprensivo della lett. c-ter), introdotta dall'art. 7, comma 1, D.L. n. 76/2013, convertito dalla L. n. 99/2013; ML circ. n. 35/2013). Sono inoltre, esclusi i rapporti instaurati con le aziende che esercitano il commercio di esportazione, importazione ed ingrosso di prodotti ortofrutticoli (art. 10, comma 5, D.Lgs. n. 368/2001). Nei confronti delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963 nonché di quelle individuate dagli avvisi comuni e dai c.c.n.l., non trova applicazione il limite complessivo di durata del contratto fissato a 36 mesi (art. 5, comma 4-ter, D.Lgs. n. 368/2001), né il regime degli intervalli tra due contratti a tempo determinato (art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001). Il Ministero del lavoro ha ritenuto che rientra nel sistema di deroghe alla durata massima, secondo un'accezione più ampia di attività stagionale, l'attività di ristorazione in occasione di cerimonie nuziali, limitatamente al periodo compreso tra aprile ed ottobre di ogni anno (ML nota n. 13011/2012). Con specifico riferimento al settore dello spettacolo, il Ministero del lavoro chiarisce che la deroga di cui all'art. 5, comma 3, del D.Lgs. n. 368/2001 in materia di intervalli trova applicazione con riferimento alla attività prestata da tutto il personale addetto ai singoli spettacoli o serie di spettacoli consecutivi di durata prestabilita, sia questo personale artistico, tecnico, impiegatizio o operaio (ML interpello n. 6/2014). In caso di somministrazione a tempo determinato, il rapporto di lavoro a termine tra l'Agenzia di somministrazione ed il lavoratore non è soggetto ai limiti di cui all'art. 5, commi 3 e ss., del D.Lgs. n. 368/2001 (art. 22, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003). Lavoro in agricoltura Sono esclusi dalla disciplina del D.Lgs. n. 368, i rapporti di lavoro tra datori di lavoro agricoli e operai a tempo determinato, come definiti dall'art. 12, comma 2, D.Lgs. n. 375/1993 (art. 10, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001). Con il D.Lgs n. 368/2001 viene ribadito il principio già contenuto nella L. n. 230/1962 e incisivamente riaffermato dalla Cassazione (sent. Cass. S.U. n. 265 del 13 gennaio 1997), la quale, oltre a chiarire circa la non assoggettabilità dei rapporti a termine in agricoltura all'area applicativa della generale disciplina di cui alla legge n. 230/1962, ha ammesso senza alcuna limitazione il lavoro stagionale agricolo (ML circ. n. 42/2002). Il comma 2-ter dell'art. 9-bis del D.L. n. 510/1996 (introdotto dall'art. 18 del D.L. n. 5/2012, convertito con modificazioni nella L. n. 35/2012) dispone che in caso di assunzione contestuale di due o più operai agricoli a tempo determinato da parte del medesimo datore di lavoro, l'obbligo di cui al comma 2 dell'art. 9-bis del D.L. n. 510/1996 è assolto mediante un'unica comunicazione contenente le generalità del datore di lavoro e dei lavoratori, le date di inizio e di cessazione della prestazione, le giornate di lavoro presunte e l'inquadramento contrattuale. Lavori nei settori del turismo e dei pubblici esercizi Nei settori del turismo e dei pubblici esercizi è ammessa l'assunzione diretta di manodopera per l'esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni (c.d. lavori "extra" e "di surroga"), determinata dai contratti collettivi stipulati con i sindacati locali o nazionali aderenti alle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale (ML circ. n. 34/2010). L'art. 18 del D.L. n. 5/2012 (convertito con modificazioni nella L. n. 35/2012), modificando l'art. 10, comma 3 del D.Lgs. n. 368/2001, dispone che la comunicazione dell'assunzione deve essere effettuata al Centro per l'impiego entro il giorno antecedente l'instaurazione del rapporto di lavoro (in precedenza andava effettuata entro 5 giorni dell'assunzione). Di conseguenza, in virtù di una integrazione dell'art. 9-bis, comma 2 del D.L. n. 510/1996, anche i lavoratori extra sono soggetti agli obblighi comunicazionali generalmente previsti per i settori del turismo e dei pubblici esercizi, rispetto ai quali è data la possibilità di effettuare una comunicazione, pur sempre preventiva, dei soli dati essenziali del lavoratore e del datore di lavoro, da completare entro i successivi tre giorni dall'instaurazione del rapporto di lavoro (ML nota n. 2369/2012). Nei settori del turismo e dei pubblici esercizi rientrano tra le aziende ammesse alla comunicazione di cui all'art. 4, comma 2, L. n. 183/2010, anche quelle che non rientrano nella classificazione ATECO 2007 ma comunque svolgono attività proprie del settore turismo e pubblici esercizi, applicando i relativi contratti collettivi, restando invece esclusi dall'ambito operativo della comunicazione semplificata quei rapporti di lavoro che, pur regolati dai contratti collettivi del turismo e dei pubblici esercizi, non siano evidentemente riconducibili alle attività proprie del settore (ML nota n. 4269/2012). Dirigenti In deroga al limite massimo di durata di 36 mesi stabilito dall'art. 5, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 368/2001 è consentita - in base all'art. 10, comma 4 del D.Lgs. n. 368/2001 - l'assunzione a termine di dirigenti per una durata non superiore a 5 anni. Detto limite è invalicabile per cui soltanto in tale ambito è ammessa la proroga ove il contratto iniziale sia stato stipulato per un periodo inferiore al predetto parametro temporale (ML nota n. 5/27731/2001). Il dirigente può comunque recedere con preavviso dal contratto ex art. 2118 cod. civ., a decorrere dal compimento di un triennio dalla data dell'assunzione. Tale facoltà di recesso prima della scadenza del termine pattuito è prevista soltanto a favore del dirigente e non del datore di lavoro. I rapporti in esame sono esclusi dal campo di applicazione del D.Lgs. n. 368, salvo per quanto riguarda le previsione degli articoli 6 (principio di non discriminazione) e 8 (criteri di computo), pertanto per la stipula del contratto non è necessaria la forma scritta (ML circ. n. 42/2002). Trasporto aereo e servizi aeroportuali Ai sensi dell'art. 2, D.Lgs. n. 368/2001 e di quanto già previsto dalla normativa precedente, è consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto, senza doverne specificare le motivazioni quando l'assunzione venga effettuata da aziende di trasporto aereo o da aziende esercenti i servizi aeroportuali ed abbia luogo per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile ed ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per i periodi diversamente distribuiti, e in percentuale non superiore al 15% dell'organico aziendale che, al 1º gennaio dell'anno a cui le assunzioni si riferiscono, risulti complessivamente adibito ai servizi sopra indicati. Negli aeroporti minori detta percentuale può essere aumentata da parte delle aziende esercenti i servizi aeroportuali, previa autorizzazione della Direzione provinciale del lavoro, su istanza documentata delle aziende stesse. In ogni caso, le organizzazioni sindacali provinciali di categoria devono ricevere comunicazione delle richieste di assunzione formulate dalle aziende. Personale artistico e tecnico delle fondazioni musicali Ai sensi dell'art. 11, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001, al personale artistico e tecnico delle fondazioni di produzione musicale di cui al D.Lgs. 29 giugno 1996, n. 367, non si applicano le norme in materia di proroga e di rinnovo del contratto (articoli 4 e 5 del D.Lgs. n. 368/2001). 6. Proroga del termine Ai sensi dell'art. 4, D.Lgs. n. 368/2001, come riformulato dall'art. 1, comma 1, D.L. n. 34/2014, il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In questi casi le proroghe sono ammesse, fino ad un massimo di cinque volte, nell'arco dei complessivi 36 mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Il nuovo istituto della proroga trova applicazione ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 34/2014, ossia dal 21 marzo 2014. I rapporti costituiti precedentemente a tale data erano e sono, quindi soggetti, al previgente regime, secondo il quale il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 3 anni. In questi casi, la proroga è ammessa una sola volta. In forza della iniziale formulazione del D.L. n. 34/2014, le proroghe erano ammesse sino ad 8 volte e, quindi, è corretto l'operato di quei datori di lavoro che, durante il periodo 21 marzo-19 maggio 2014 (la legge di conversione, con modifiche, del D.L. n. 34/2014 è entrata in vigore il 20 maggio 2014), abbiano effettuato sino ad un massimo di 8 proroghe (ML circ. n. 18/2014). Secondo la pregressa disciplina era necessario indicare le ragioni giustificatrici della proroga, le quali tuttavia potevano essere anche diverse da quelle che avevano determinato la iniziale stipulazione del contratto a termine (ML circ. n. 42/2002). Con riferimento alla possibile proroga del contratto a termine "acausale", la proroga poteva riguardare anche contratti sottoscritti, ma non ancora scaduti, prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 76/2013 e rispetto agli stessi trovavano applicazione le disposizioni di cui all'art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001 ad eccezione del requisito relativo alla "esistenza delle ragioni che giustificano l'eventuale proroga" (ML circ. n. 35/2013). Con l'intervento abrogativo operato dal D.L. n. 34/2014 non è evidentemente più necessario, da parte del datore di lavoro, comprovare l'esistenza delle ragioni che giustificavano l'eventuale prolungamento del termine. Ai sensi dell'art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001, per i soli giudizi in corso al 21 agosto 2008, in caso di violazione delle disposizioni in materia di apposizione e/o di proroga del termine, il datore di lavoro era tenuto unicamente ad indennizzare il lavoratore con un'indennità che va da un minimo di 2,5 ad un massimo di sei mensilità. Sul punto, tuttavia, la Corte Costituzionale con sentenza n. 214/2009, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma per il contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Il Ministero del lavoro con circolare n. 18/2014 spiega la differenza fra proroghe e rinnovi contrattuali.In particolare, si ha la proroga di un contratto nel caso in cui, prima della scadenza del termine, lo stesso venga prorogato ad altra data. Si ha, invece, rinnovo quando l'iniziale contratto a termine raggiunga la scadenza originariamente prevista (o successivamente prorogata) e le parti vogliano procedere alla sottoscrizione di un ulteriore contratto. 7. Prosecuzione del rapporto dopo la scadenza L'art. 5, comma 1, del D.Lgs n. 368/2001 prevede, nel caso in cui il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, un periodo di tolleranza durante il quale il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto, pari al 20% fino al decimo giorno successivo ed al 40% per ciascun giorno ulteriore (ML circ. n. 42/2002). Se, però, il rapporto di lavoro, anche nel caso di primo contratto a termine "acausale" instaurato ai sensi dell'art. 1, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001 continua oltre il trentesimo giorno (prima del 18 luglio 2012, data di entrata in vigore della L. n. 92/2012, era il ventesimo giorno) in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi (prima del 18 luglio 2012 era il trentesimo), il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini (art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001, come modificato dall'art. 1, comma 9, lett. e), legge n. 92/2012 e dall'art. 7, comma 1, lett. c), n. 1, D.L. n. 76/2013; ML circ. n. 35/2013). A seguito dell'abrogazione dell'art. 5, comma 2-bis del D.Lgs. n. 368/2001, ad opera dell'art. 7, comma 1, lett. b), n. 2 del D.L. n. 76/2013, a decorrere dal 28 giugno 2013, data di entrata in vigore del D.L. citato, viene meno l'obbligo per il datore di lavoro di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente, la prosecuzione "di fatto" del rapporto di lavoro oltre la scadenza inizialmente fissata nonché la durata di tale prosecuzione. Resta, invece, salvo il diverso obbligo di cui all'art. 4-bis, comma 5, del D.Lgs. n. 181/2000 sanzionabile ai sensi dell'art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 276/2003 - relativo alla comunicazione, entro 5 giorni, della "proroga del termine inizialmente fissato" o della "trasformazione da tempo determinato a tempo indeterminato" (ML circ. n. 35/2013). A decorrere dal 1º gennaio 2008, è prevista un'ulteriore ipotesi in presenza della quale il contratto si considera a tempo indeterminato, cioè qualora il rapporto di lavoro a termine fra lo stesso lavoratore e datore di lavoro prosegua oltre il periodo complessivo indicato all'art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001, ossia 36 mesi, comprensivo di proroghe e rinnovi, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. 8. Rinnovo del contratto Fermo restando il limite complessivo di durata di 36 mesi, ai sensi dell'art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001, come sostituito dall'art. 7, comma 1, lett. c), n. 3 del D.L. n. 76/2013, è data al datore di lavoro la possibilità di assumere un lavoratore che già sia stato alle sue dipendenze in forza di uno o più contratti a tempo determinato, purchè tra i due contratti a termine (quello scaduto e quello successivo) sia rispettato l'intervallo di tempo di 10 o di 20 giorni, rispettivamente se il contratto a termine scaduto ha avuto una durata fino a sei mesi o superiore. Vengono in tal modo ripristinate, a decorrere dal 28 giugno 2013 (data di entrata in vigore del D.L. n. 76/2013), le pause obbligatorie di 10 o 20 giorni tra un contratto a termine ed il successivo, anteriori alla L. n. 92/2012, che le aveva, invece, estese a 60 e 90 giorni rispettivamente in caso di durata del contratto inferiore o superiore a 6 mesi. Per quanto riguarda l'efficacia degli accordi collettivi anche aziendali che, in vigore la L. n. 92/2012, avevano ridotto la durata degli intervalli a 20 e 30 giorni, il Ministero del lavoro precisa che detti accordi vanno necessariamente contestualizzati nel quadro normativo previgente e, pertanto, tale regolamentazione contrattuale, allora di miglior favore, appare oggi superata. Per quanto concerne, invece, gli accordi collettivi stipulati a decorrere dall'entrata in vigore del D.L. n. 76/2013, il Ministero ritiene che questi ultimi possano validamente prevedere una riduzione o addirittura un azzeramento dei predetti intervalli di 10 e 20 giorni nelle ipotesi definite dalla disciplina pattizia con effetti normativi nei confronti di tutti i soggetti rientranti nel campo di applicazione dei citati accordi (ML nota n. 5426/2013). Qualora il lavoratore venga riassunto a termine prima di tale intervallo temporale di 10 o 20 giorni, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato. Tali disposizioni non trovano tuttavia applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali di cui al comma 4-ter dell'art. 5, D.Lgs. n. 368/2001 e definite dal D.P.R. n. 1525/1963, nonché in relazione alle ipotesi individuate dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Diversamente dall'ipotesi della stipula di due contratti distinti, qualora si tratti di due assunzioni a termine successive, intendendosi per tali quelle effettuate senza che tra di esse vi sia alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto (art. 5, comma 4, D.Lgs. n. 368/2001; v. anche ML circ. n. 153/1997 e lett. circ. n. 5/25139/1998; ML circ. n. 42/2002). Il comma 4 bis dell'art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001, introdotto dall'art. 1, comma 40, della legge n. 247/2007 stabilisce che qualora, a causa di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti, il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivi di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l'altro, il rapporto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza del predetto termine. L'applicazione di tale limite richiede la presenza di due requisiti: l'identità delle parti del rapporto di lavoro e l'equivalenza delle mansioni. L'equivalenza, chiarisce il Ministero del lavoro, non deve essere intesa in termini di mera corrispondenza del livello di inquadramento contrattuale tra le mansioni svolte precedentemente e quelle contemplate nel nuovo contratto, ma occorre verificare i contenuti concreti delle attività espletate. In particolare, l'equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l'arricchimento del patrimonio professionale acquisito dal lavoratore nella pregressa fase del rapporto. Inoltre, il potere di individuare la nozione di equivalenza è riconosciuto anche alla contrattazione collettiva attraverso le c.d. clausole di fungibilità, volte a consentire un impiego più flessibile del lavoratore, almeno per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dall'art. 2103, comma 2, cod. civ. (ML circ. n. 13/2008). Nel caso di raggiungimento del limite di 36 mesi, poi, non si determina l'automatismo dell'immediata conversione ma il rapporto si può protrarre per ulteriori 30 giorni, ai sensi dell'art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 368/2001, come modificato dall'art. 1, comma 9 della legge n. 92/2012. Un ulteriore e successivo contratto a termine può essere stipulato per una sola volta presso la D.P.L. (ora D.T.L. ex D.P.R. n. 144/2011) competente per territorio, con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative cui il lavoratore sia iscritto o abbia conferito mandato. La durata di tale contratto è stabilita con avvisi comuni dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative. Con l'accordo interconfederale del 10 aprile 2008 è stato fissato in 8 mesi il limite massimo dell'ulteriore contratto a termine. In caso di mancato rispetto della procedura il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato. L'intervento della Direzione territoriale del lavoro è finalizzato esclusivamente alla verifica della completezza e della correttezza formale del contenuto del contratto a tempo determinato e la genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge (ML circ. n. 13/2008). 9. Trattamento economico, normativo e previdenziale Ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs. n. 368/2001, al lavoratore assunto a termine si applica il principio di non discriminazione rispetto ai lavoratori assunti a tempo indeterminato. Pertanto, al prestatore di lavoro a tempo determinato spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità, il trattamento di fine rapporto ed ogni altro trattamento in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, semprechè non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine. Qualora il datore di lavoro sia inadempiente agli obblighi di cui sopra, è punito, ex art. 12, D.Lgs. n. 368/2001, con la sanzione amministrativa da € 25,82 a € 154,94; se peraltro, l'inadempienza si riferisce a più di cinque lavoratori, si applica la sanzione amministrativa da € 154,94 a € 1.032,91. Per ogni rapporto di lavoro subordinato diverso da quello a tempo indeterminato (quindi, tra questi, quello a termine) la legge n. 92/2012 (art. 2, commi 25 e 28) definisce le modalità di contribuzione per il finanziamento del nuovo sistema di indennità ASPI (assicurazione sociale per l'impiego), in sostituzione delle aliquote oggi a carico dei datori di lavoro per gli strumenti di sostegno del reddito che verranno sostituiti a regime. In particolare, si dispone, con effetto sui periodi contributivi maturati a decorrere dal 1º gennaio 2013, l'applicazione di un contributo addizionale (a carico del datore di lavoro), per ogni rapporto di lavoro subordinato diverso da quello a tempo indeterminato, pari all'1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Il contributo addizionale non si applica: a) ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti. L'INPS precisa che per l'operatività dell'esenzione è sempre necessario che i datori di lavoro comunichino la particolare tipologia assuntiva. Pertanto, i datori di lavoro nel flusso UniEmens devono valorizzare l'elemento «Qualifica3» con il previsto codice A (INPS mess. n. 4152/2014); b) ai lavoratori assunti a termine per lo svolgimento delle attività stagionali di cui al D.P.R. n. 1525/1963 nonché, per i periodi contributivi maturati dal 1º gennaio 2013 al 31 dicembre 2015, di quelle definite dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati entro il 31 dicembre 2011 dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative. Pertanto, le imprese che svolgono un'attività a carattere stagionale, così individuata da contratti collettivi o avvisi comuni formalizzati entro la fine del 2011, sono esonerate dal versamento del contributo in questione in relazione al personale a tempo determinato (ML interpello n. 42/2012); c) agli apprendisti; d) ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Il contributo addizionale è restituito, successivamente al decorso del periodo di prova, al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato. La restituzione avviene anche qualora il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine. In tale ultimo caso, la restituzione avviene detraendo dalle mensilità spettanti un numero di mensilità ragguagliato al periodo trascorso dalla cessazione del precedente rapporto di lavoro a termine (art. 2, comma 30, legge n. 92/2012, come modificato dall'art. 1, comma 135, legge n. 147/2013; vd. anche INPS circ. n. 15/2014). La restituzione può trovare applicazione anche nelle ipotesi in cui l'assunzione successiva avvenga con contratto di apprendistato (INPS mess. n. 4152/2014); Periodo di prova La pattuizione di un periodo di prova è compatibile con il rapporto di lavoro a tempo determinato. 10. Criteri di computo In precedenza l'art. 8 del D.Lgs. n. 368/2001 prevedeva che ai fini di cui all'art. 35 della L. n. 300/1970 (campo di applicazione dei diritti sindacali), i lavoratori con contratto a tempo determinato fossero computabili ove il contratto avesse durata superiore a nove mesi. In sostanza, il datore di lavoro se il contratto a tempo determinato aveva una durata che superava i nove mesi, doveva computare il lavoratore fra i dipendenti al fine di stabilire la dimensione numerica dell'unità produttiva per quel che riguarda l'esercizio dell'attività sindacale di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori. L'art. 12, comma 1 della legge n. 97/2013 (c.d. legge europea 2013), in vigore dal 4 settembre 2013, sostituisce l'art. 8 del D.Lgs. n. 368/2001, prevedendo che i limiti prescritti dallo Statuto dei lavoratori per il computo dei dipendenti si basano sul numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell'effettiva durata dei loro rapporti di lavoro. Di conseguenza, dalla esclusione sulla base della durata del contratto, si passa al criterio del conteggio dei lavoratori pro-rata prendendo in considerazione la effettiva durata della prestazione lavorativa nell'arco di un biennio. Per la corretta determinazione della base di computo, occorre effettuare la somma di tutti i periodi di rapporto di lavoro a tempo determinato, svolti a favore del datore di lavoro nell'ultimo biennio e successivamente dividere il totale per 24 mesi. Il risultato permette, infatti, di determinare il numero medio mensile dei lavoratori subordinati impiegati nell'arco di 24 mesi (ML interpello n. 30/2013). Ai sensi dell'art. 12, comma 3 della legge europea 2013, in sede di prima applicazione il computo dei lavoratori in base alle nuove disposizioni è effettuato alla data del 31 dicembre 2013, con riferimento al biennio antecedente a tale data. 11. Formazione ed informazione In attuazione di precetti previsti nella direttiva 1999/70/CE sono state introdotte nella disciplina del lavoro a tempo determinato due nuove previsioni relative ai lavoratori a termine: a) Formazione (art. 7, D.Lgs. n. 368/2001). Il lavoratore a tempo determinato deve ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, allo scopo di prevenire i rischi connessi all'esecuzione del lavoro. I contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi possono prevedere modalità e strumenti diretti ad agevolare l'accesso dei lavoratori a termine ad opportunità di formazione adeguata dirette ad aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale; b) Informazione (art. 9, D.Lgs. n. 368/2001). E' demandato ai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, il compito di definire le modalità per informare i lavoratori a tempo determinato circa i posti che si rendessero disponibili nell'impresa, in modo da garantire loro le stesse possibilità di ottenere posti duraturi che hanno gli altri lavoratori. I medesimi contratti collettivi devono anche definire le modalità e i contenuti delle informazioni da rendere alle rappresentanze dei lavoratori in merito al lavoro a tempo determinato nelle aziende. 12. Diritto di precedenza In base all'art. 5, comma 4-quater e ss., del D.Lgs. n. 368/2001, il lavoratore che abbia prestato, presso la stessa azienda con uno o più contratti a termine, la propria attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dall'azienda medesima entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già svolte in esecuzione dei rapporti a termine. Secondo quanto previsto dal D.L. n. 34/2014, per le lavoratrici il congedo di maternità di cui all'art. 16, comma 1, del D.Lgs. n. 151/2001 (c.d. astensione obbligatoria), intervenuto nell'esecuzione di un contratto a termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza. Alle medesime lavoratrici è altresì riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine. Anche il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza con riferimento a nuove assunzioni a termine effettuate dallo stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali. I diritti di precedenza sopra descritti devono essere espressamente richiamati nell'atto scritto di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 368/2001 (v. anche ML circ. n. 18/2014). In ogni caso, il diritto di precedenza è condizionato alla dichiarazione espressa del lavoratore di volersi avvalere di tale diritto, da effettuarsi rispettivamente entro sei mesi e tre mesi e, in ogni caso, a pena di decadenza, entro un anno dalla data di cessazione del rapporto. Il diritto di precedenza trova applicazione con riferimento alle mansioni già espletate e non, come per il computo del periodo massimo di 36 mesi, con riferimento a mansioni equivalenti. Inoltre, ferma restando l'identità di mansioni, nell'ambito delle attività stagionali, il diritto di precedenza trova applicazione qualora il medesimo datore di lavoro ponga in essere la medesima attività stagionale (ML circ. n. 13/2008). 13. Disciplina transitoria Il D.L. n. 34/2014, all'art. 2-bis (introdotto in sede di conversione), ha previsto una disciplina transitoria, stabilendo che le modifiche introdotte dallo stesso decreto si applicano ai rapporti di lavoro costituiti a decorrere dalla sua entrata in vigore, tuttavia, sono salvi gli effetti già prodotti nelle more della conversione. Inoltre, il medesimo articolo ha disposto che, in sede di prima applicazione del limite percentuale di cui al novellato art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 - ossia del limite di contratti a termine pari al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1º gennaio dell'anno di assunzione, fatto salvo il diverso limite introdotto dalla contrattazione collettiva ai sensi dell'art. 10, comma 7, del D.Lgs. n. 368/2001 - conservano efficacia, ove diversi, i limiti percentuali già stabiliti dai vigenti contratti collettivi nazionali di lavoro. Il datore di lavoro che alla data di entrata in vigore del decreto-legge (quindi, alla data del 21 marzo 2014) abbia in corso rapporti di lavoro a termine che comportino il superamento del limite percentuale del 20% è tenuto a rientrare nel predetto limite entro il 31 dicembre 2014, salvo che un contratto collettivo applicabile nell'azienda disponga un limite percentuale o un termine più favorevole. In caso contrario, il datore di lavoro, successivamente a tale data, non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quando non rientri nel suddetto limite percentuale. 14. Estinzione del rapporto Scadenza del termine Il rapporto di lavoro a tempo determinato si estingue con lo scadere del termine previsto, senza che sia necessaria al riguardo alcuna particolare manifestazione di volontà delle parti. La cessazione del rapporto deve essere comunicata al Centro per l'impiego entro i cinque giorni successivi solo se avviene in data diversa da quella comunicata all'atto dell'assunzione (v. art. 6, comma 3, D.Lgs. n. 297/2002 e per un maggior approfondimento l'argomento Collocamento). Lo scadere del termine dà luogo alla cessazione del rapporto anche se intervenga nel periodo di conservazione del posto per gravidanza, puerperio (art. 54, comma 3, lett. c), D.Lgs. n. 151/2001) e - si deve ritenere - per malattia, infortunio e servizio di leva, salva l'ipotesi di richiamo alle armi per la quale la legge stabilisce espressamente la sospensione della decorrenza del termine (art. 29, comma 2, legge 10 giugno 1940, n. 653). Risoluzione prima del termine Il rapporto di lavoro a termine può cessare prima della scadenza del termine per comune volontà delle parti oppure per recesso per giusta causa. Licenziamento Inizialmente l'art. 32, commi 3 e 4, L. n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro) ha stabilito che l'art. 6, L. n. 604/1966, relativo alle modalità e ai termini di impugnazione dei licenziamenti individuali, si applica, tra l'altro: - ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto; - all'azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4, D.Lgs. n. 368/2001, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo; - ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli artt. 1, 2 e 4, D.Lgs. n. 368/2001, in corso di esecuzione al 24 novembre 2010, con decorrenza dalla scadenza del termine; - ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al D.Lgs. n. 368/2001 e già conclusi alla data del 24 novembre 2010, con decorrenza dalla medesima data del 24 novembre 2010. In sede di prima applicazione, le disposizioni di cui all'art. 6, comma 1, della L. n. 604/1966, così come modificato dall'art. 32, comma 1, della L. n. 183/2010, relative al termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento, hanno acquistato efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011 (art. 32, comma 1-bis, L. n. 183/2010). Successivamente, la legge n. 92/2012 (art. 1, commi 11-13) ha parzialmente modificato la disciplina introdotta dal c.d. Collegato lavoro, prevedendo che l'art. 6, L. n. 604/1966, si applica ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli artt. 1, 2 e 4, D.Lgs. n. 368/2001 (è stato eliminato il riferimento alle questioni relative alla "legittimità" del termine). Inoltre, sono stati ampliati i termini per l'impugnazione (anche stragiudiziale) e per il successivo ricorso giudiziale (o per la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato), nel contenzioso relativo alla nullità del termine apposto al contratto di lavoro. Il primo termine è elevato da 60 a 120 giorni (decorrenti dalla cessazione del contratto), mentre il secondo termine è ridotto da 270 a 180 giorni (decorrenti dalla precedente impugnazione). I nuovi termini si applicano con riferimento alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1º gennaio 2013. Prima di allora restano quindi vigenti i termini fissati dal Collegato lavoro. Il comma 5 dell'art. 32, L. n. 183/2010 ha previsto che nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8, L. n. 604/1966. Tale previsione trova applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della stessa L. n. 183/2010, ossia al 24 novembre 2010. Riguardo agli aspetti di natura contributiva, si ritiene che l'indennità in questione sia esclusa dalla base imponibile ai fini contributivi (INPS circ. n. 40/2011). A causa dei contrasti giurisprudenziali sorti sul criterio adottato dall'art. 32, comma 5 del Collegato lavoro per la quantificazione del risarcimento del danno subìto dal lavoratore nelle ipotesi di conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato, la legge n. 92/2012 (art. 1, comma 13) ne ha fornito un'interpretazione autentica (avente, quindi, effetto retroattivo) chiarendo che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subìto dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. Nel caso di licenziamento per giusta causa ai sensi dell'art. 2119 cod. civ., al prestatore di lavoro spettano - oltre al trattamento di fine rapporto - soltanto i ratei di ferie e delle voci di retribuzione differita (mensilità aggiuntive, premi di produzione) che abbia già maturato. Dimissioni In caso di dimissioni del lavoratore nel corso del contratto a termine, deve ritenersi che questi possa: - essere chiamato al risarcimento dei danni patiti dal datore di lavoro, laddove le dimissioni non siano assistite da giusta causa; - pretendere il risarcimento dei danni da parte del datore di lavoro laddove siano state determinate da giusta causa.