temperatura e irradiamento

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temperatura e irradiamento
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APPUNTI DI EDUCAZIONE FISICA
ESCURSIONI IN MONTAGNA
EQUIPAGGIAMENTO E ATTREZZATURE
L’ abbigliamento adatto per un’escursione in montagna deve seguire il concetto della
cipolla: tanti strati che si possono sfogliare. Questo principio, detto tecnicamente
multistrato o layering, prevede una serie di capi in materiale sintetico che portano l’
umidità della pelle verso l’ esterno, ma al contempo trattengono il calore. Si cerca di
impedire fenomeni di “conduzione”,” evaporazione”, ”radiazione” che causano la
perdita di calore. Inoltre questi materiali non permettono il formarsi di batteri,
risultando quindi più igienici nelle escursioni prolungate nel tempo.
Oggi varie ditte hanno elaborato nuovi materiali con queste caratteristiche,
generalmente denominati “pile”(polipropilene, capilene, meraklon, transtex.)
Nel layering si indossano quattro strati :
- maglietta
- maglione leggero
- maglione pesante in pile
- giacca impermeabile, possibilmente in Goretex
Per quanto riguarda i pantaloni, sono da preferire i calzoni di cotone ai blue-jens. In
caso di freddo, pioggia o di forte vento, possono essere utili una calzamaglia, i
soprapantaloni impermeabili ed un ampia mantellina impermeabile.
Se è possibile preferire un abbigliamento con colori vistosi come il rosso e l’arancione,
maggiormente visibili in caso di ricerca da parte dei soccorsi.
Buone scarpe sono fondamentali per la riuscita di un trekking: devono essere comode
e collaudate per evitare vesciche ai piedi e tendiniti. Anche se quasi tutti i percorsi
sono affrontabili con le normali scarpe da ginnastica, la loro leggerezza può avere un
riscontro negativo nella libertà lasciata alla caviglia. Su pendii ancora innevati all’inizio
della stagione estiva o su morena si possono incontrare difficoltà, meglio quindi avere
un paio di scarpe da trekking. Gli scarponi da montagna sono utili solo per i trekking
in alta quota con diverse giornate su nevaio.
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NOZIONI DI ALIMENTAZIONE
Nella pratica sportiva non si può separare l’allenamento fisico dalla preparazione
dietetica.
I componenti base dell’alimentazione sono sei : carboidrati, proteine, grassi, vitamine,
sali minerali e acqua.
I glucidi o carboidrati rappresentano un combustibile scelto e una sorgente di
energia rapida. Sono da preferire ai grassi nella lotta contro il freddo, perché di una
ingestione e digestione più facili . I carboidrati sono presenti in zucchero, miele, pasta,
pane, riso, cereali, patate, biscotti. Il glucosio è l’alimento energetico per eccellenza,
quasi ideale, perché necessita di poco sforzo da parte dell’organismo per venire
bruciato.
Le proteine animali e vegetali o protidi hanno un ruolo protettore e riparatore dei
tessuti: esse saranno aumentate in periodo di allenamento, ma non devono essere
consumate in quantità eccessiva al momento dell’escursione. Inoltre offrono scarso
contributo alla lotta contro il freddo. Le proteine animali, più facilmente digeribili, sono
presenti nella carne, nel pesce, nelle uova, nel latte e latticini; quelle vegetali nei
legumi, nei cereali,ecc.
I grassi animali e vegetali, o lipidi, provengono sia direttamente dall’alimentazione
che dalla sintesi dei carboidrati. I grassi immagazzinati costituiscono una sorgente
considerevole di energia chimica : la vera riserva energetica del corpo umano, e
rappresentano anche un elemento calorifico di primaria importanza, indispensabile per
la resistenza al freddo. I cibi che forniscono grassi di origine animale sono il burro, i
latticini, il lardo, mentre forniscono grassi di origine vegetale la margarina, l’olio
d’oliva o di altri semi .
Le vitamine sono sostanze organiche necessarie per la crescita ed il mantenimento in
buona salute dell’organismo. Anche se l’attività sportiva richiede una produzione di
energia maggiore della norma, in generale le vitamine assunte con una dieta
equilibrata e variata sono più che sufficienti. Importanti comunque sono le vitamine
idrosolubili come la C, fondamentale durante lo sforzo fisico, la B, importante per i
carboidrati, la B6, che favorisce e migliora il metabolismo muscolare, la B12,che
agisce sul sistema nervoso e come fattore antitossico.
I sali minerali regolano le funzioni nervose, circolatorie e digestive. Sono importanti
sostanze costituenti il corpo umano e possono essere fissati nei tessuti come avviene
per il calcio nelle ossa, oppure rimanere liberi nei liquidi endo ed intracellulari.
Durante l’attività sportiva aumenta la perdita di ferro (a causa di microtraumi
muscolari e tramite la sudorazione), vengono consumati in quantità maggiore anche
cromo, zinco, rame. I sali sono presenti soprattutto nell’acqua, nelle verdure , nella
frutta, nel latte.
Razione idrica: L’acqua fornisce un ambiente idoneo allo svolgimento delle varie
attività della cellula. La carenza di acqua porta l’organismo a gravi squilibri e anche
alla morte in tempi più brevi che nel digiuno. Questo indica la necessità di un apporto
idrico molto alto, che deve essere coperto per metà dall’acqua contenuta negli
alimenti e per metà dalle varie bevande.
I bisogni energetici quindi sono differenti prima, durante e dopo l’escursione .
1. Razione di allenamento: durante i giorni che precedono l’escursione si dovrebbe
rispettare un regime sostanzioso che fornisca da 3.000 a 3.500 calorie,
rappresentate da:
15-20 % proteine
25-30 % grassi
50-55 % carboidrati
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I pasti dovranno essere consumati ad orari regolari, alcuni alimenti troppo pesanti
dovranno essere eliminati ( carni grasse, cacciagione, salumi, grassi cotti e spezie,
pasticceria, vino, liquori, bevande gassose).
2. Razione di escursione: il fabbisogno calorico può salire fino a 3.500-4.000 calorie al
giorno, a seconda del metabolismo basale dell’atleta, del tipo di escursione, della
stagione, dell’altitudine (problemi di regolazione termica ) . La razione per
l’escursione si dovrà comporre di :
10- 15%
proteine
10- 15% grassi
55- 60 % carboidrati
La frequenza e l’orario dei pasti saranno un po’ particolari, ricordando che ci vogliono
almeno tre ore fra il termine di un pasto importante ed il principio degli sforzi fisici .
Nel caso di un’escursione in giornata, occorrerebbe eliminare praticamente il pasto di
mezzogiorno e consumare al mattino una prima colazione sostanziosa e facilmente
assimilabile, soprattutto a base di zuccheri (latte , thè o caffè, cereali, biscotti,
marmellata o miele, frutta fresca ), e la sera una cena abbondante e rifocillante, che
aiuti l’organismo affaticato a riequilibrare i differenti metabolismi perturbati : occorre
compensare la perdita idrica con acqua e bicarbonato, brodo di legumi o di carne .
Fra questi due pasti l’alimentazione è costituita dai cosiddetti “viveri da cammino“,
da ingerire in modo frazionato in qualsiasi ora ; aiutano ad ottenere una migliore
resistenza al freddo e alla fatica: frutta secca o candita, cioccolato, latte condensato,
lardo.
La disidratazione dell’organismo dovrà essere compensata con un apporto di tre o
quattro litri di acqua al giorno, di cui un litro e mezzo durante il cammino. Si deve
bere spesso, ma poco alla volta. Caffè, thè, tisane sono apprezzate per il loro gusto e
la loro azione sul sistema nervoso, favoriscono anche la digestione. Opportunamente
zuccherate, possono avere anche un valore nutritivo aggiuntivo. I brodi salati di carne
o di legumi sono tonificanti, lottano contro la disidratazione e valorizzano certe
vitamine. Il latte è un vero alimento, contiene acqua, proteine, grassi, zucchero, calcio
e vitamine. I succhi di frutta forniscono carboidrati, vitamine e sali minerali.
Durante uno sforzo fisico prolungato, come nel caso di un’escursione in quota,
possono essere utili integratori energetici, liquidi o in tavolette, a base di carboidrati di
pronta utilizzazione, vitamine e sali minerali ( ad es. Gatorade, Enervitene, ecc.)
E’ opportuno sottolineare che l’effetto degli alcolici in montagna, contrariamente
alle credenze popolari, è senz’altro dannoso. L’alcool esercita un’azione depressiva sul
sistema nervoso centrale. Le risposte muscolari sono imprecise, meno misurate,
spesso esagerate, l’intensità dei riflessi condizionati è ridotta. Il rendimento del
lavoro, specie dal punto di vista qualitativo, è fortemente diminuito. Inoltre le
bevande alcoliche non dissetano e sono inutili ed ingannatrici nella lotta contro il
freddo, in quanto creano una pericolosa vasodilatazione.
FISIOPATOLOGIA
La montagna può influire sulla salute dell’uomo attraverso tre fattori principali:
l’altitudine, l’irradiamento e la temperatura.
ALTITUDINE
L’altitudine può danneggiare l’organismo perché provoca com’è noto, la rarefazione di
ossigeno, che in genere comincia ad avvertirsi oltre i 3.000 metri di quota.
L’organismo risponde a questa ipossia ( scarsità di ossigeno ) con due fenomeni
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principali: il primo immediato e cioè la polipnea (aumento della frequenza del respiro)
mentre il secondo richiede maggior tempo ed è la poliglobulia (aumento del numero
dei globuli rossi ). Infatti
gli abitanti di regioni a grande altezza presentano
policitemia , aumento della mioglobina ed ipertrofia cardiaca.
L’altitudine con il diminuire della pressione atmosferica provoca un aumento della
pressione arteriosa dell’organismo.
Mal di montagna: è causato da una scarsa tolleranza all’ipossia. Colpisce in genere
dopo qualche ora di permanenza in alta quota, soprattutto se si trascorre la notte in
quota. La gravità del quadro è variabile : la sintomatologia più lieve si manifesta con
inappetenza, nausea, mal di testa, senso di stordimento, vertigini, stanchezza
eccessiva, insonnia. I sintomi sono relativamente frequenti e di intensità variabile,
colpiscono circa il 30% delle persone a 3500m. ed il 50% a 4500m. Il quadro grave è
legato allo sviluppo di edema polmonare e/o cerebrale; l’edema polmonare è dovuto
al passaggio di acqua negli alveoli che normalmente contengono aria e causa grave
insufficienza respiratoria. I sintomi sono rappresentati da difficoltà della respirazione,
tachicardia, tosse, respiro rumoroso (rantolo), senso di oppressione toracica.
Nell’edema cerebrale (rigonfiamento dell’encefalo) si ha mal di testa resistente agli
analgesici, vomito, difficoltà a camminare, progressivo torpore fino al coma.
Importante è la prevenzione : sopra i 3000 m. salire molto lentamente; se si usano
impianti di risalita, programmare una notte a quota intermedia; non assumere
sonniferi o alcolici; bere liquidi, almeno 1,5 lt. al giorno, e alimentarsi regolarmente.
Unica cura è il riposo completo dell’infortunato, provvedendo a trasportarlo a quota
più bassa ( anche solo 500 m. ) , tenendolo ben coperto.
TEMPERATURA E IRRADIAMENTO
I danni dovuti all’irradiamento solare e al calore possono avere sia un effetto
localizzato (colpo di sole con ustioni o bruciature, congiuntivite o oftalmia delle
nevi),sia un effetto generale (colpo di calore , insolazione ).
Il colpo di sole va dal semplice arrossamento alle dermatiti gravi, accompagnate da
fenomeni generali, febbre e brividi. E’ molto importante la prevenzione in quanto le
cure ( ghiaccio o neve in testa, ombra, aspirina ) sono poco soddisfacenti: in primo
luogo la protezione naturale con una pigmentazione ottenuta progressivamente ad
alta quota, creme - schermo, copricapo adeguato e protezione per le labbra.
L’altezza e il riverbero sulla neve e sul ghiaccio favoriscono l’insorgere della cheratocongiuntivite o oftalmia delle nevi che, se trascurata, lascia conseguenze a carico
della vista. I sintomi sono rappresentati da pruriti, dolore locale che poi si irradia
all’orbita, mal di testa, capogiri, lacrimazione e fotofobia. Spesso questi incidenti si
verificano nonostante gli occhiali : ciò dipende sia dal fatto che le lenti non assicurano
una protezione sufficiente, sia dall’irradiamento laterale che è troppo spesso
trascurato. Anche qui è importantissima la prevenzione : occhiali con un filtro efficace
e che garantiscano anche una protezione laterale, al limite occhiali improvvisati con
cartone forato. La cura consiste nella messa a riposo dell’occhio, fasciatura occlusiva,
aspirina, collirio, pomate oftalmiche.
Il colpo di calore è dovuto ad uno squilibrio della regolazione termica , ad un
accumulo esagerato di calore derivante dalla combinazione di vari fattori : il tempo
caldo e umido, uno sforzo fisico in pieno mezzogiorno, l’evaporazione insufficiente per
errore di equipaggiamento.
L’insolazione comporta nelle stesse circostanze un fattore di congestione meningea o
cerebrale per l’azione del sole o del calore sulla testa.
La forma leggera è annunciata da malessere generale, vertigini, nausea, stanchezza;
si arriva poi alla disidratazione, ai disturbi circolatori fino allo stato di choc con sincope
blu .La prevenzione consiste in un equipaggiamento adeguato, sufficientemente
aerato, protezione del capo, idratazione sufficiente. Le cure consistono nel porre
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l’infortunato all’ombra e al riposo, nel favorire un raffreddamento progressivo e
prudente e nella reidratazione.
Anche i danni dovuti al freddo possono avere sia un effetto generale ( crioplessia,
assideramento ) che un effetto localizzato (congelamenti delle estremità).
L’assideramento o crioplessia consiste in un raffreddamento globale dell’organismo
che può portare alla morte. I primi sintomi sono pallore, stato di abbandono fisico e
morale. Dopo un periodo di lotta (brividi, dolori alla nuca ) arriva la fase di sfinimento:
stanchezza estrema, intorpidimento progressivo, abbandono di ogni tentativo di
reazione, indifferenza, obnubilazione che annuncia il coma. La temperatura corporea
cade intorno ai 30°:questo stato conduce alla morte.
La cura comporta essenzialmente il riscaldamento dell’assiderato : occorre portarlo al
riparo dalle intemperie , ma non subito in ambiente riscaldato, denudarlo e frizionare
energicamente con coperte ed indumenti di lana (meglio se già riscaldati) su tutto il
corpo, praticare eventualmente la respirazione artificiale, dare analettici e caffè, mai
assolutamente alcolici. La rianimazione non può avvenire se non in ospedale: occorre
quindi provvedere al più presto all’evacuazione dell’infortunato.
I congelamenti sono lesioni localizzate con sede soprattutto nelle estremità ( mani,
piedi, viso ). Possono colpire qualunque punto del corpo, ma essenzialmente le zone
scoperte, cioè esposte al freddo. Le cause sono collegate all’ambiente ( temperatura,
vento, umidità, altitudine, costrizioni inopportune ) e all’organismo individuale (
stanchezza, stato fisico, alimentazione insufficiente, precedenti congelamenti, ma
soprattutto disidratazione ). Qualsiasi diminuzione del volume della massa sanguigna
o dei liquidi circolanti aggrava notevolmente il rischio di congelamento.Ad alta quota
non soltanto la dispersione idrica è notevole ( sforzo,traspirazione, polipnea, grado
igrometrico debole, alimenti concentrati ), ma inoltre le condizioni generali, fatica e
scomodità, frenano il recupero idrico.
Al primo stadio si nota pallore della zona esposta per vasocostrizione, che produce
perdita della sensibilità al dolore. A questo punto un semplice e graduale
riscaldamento ristabilisce la circolazione.
Al secondo stadio i capillari si dilatano, sia per l’effetto paralizzante del freddo che
per il riflesso assonico, e compaiono cianosi ed eventualmente eritema.
Al terzo stadio, quando la temperatura scende
al di sotto del punto di
congelamento, si ha lesione grave e necrosi del tessuto, per la formazione
intracellulare di cristalli di ghiaccio, che rompono e stracciano la membrana delle
cellule con la loro azione meccanica. Da qui la gravità dei guasti e la loro frequente
irreversibilità.
La prevenzione è legata all’equipaggiamento (evitare costrizioni inopportune),
all’allenamento ( la stanchezza fisica è un fattore predisponente ),all’organizzazione e
soprattutto ad una corretta idratazione : congela prima l’alpinista assetato in quanto
qualsiasi diminuzione della massa sanguigna o dei liquidi circolanti aggrava
notevolmente il rischio di congelamento.
Le cure comprendono:
• L’eliminazione dell’esposizione al freddo con qualsiasi mezzo,evitando al
massimo lo sforzo fisico degli arti colpiti
• Reidratazione d’urgenza ed eventuale cura dello choc
• Riscaldamento lento e graduale
• Infine e soprattutto ossigenoterapia iperbarica, rimedio importantissimo contro i
danni provocati dall’anossiemia dei tessuti.
Principio fondamentale è quindi quello di evacuare in tutta fretta un infortunato colpito
da congelamento verso un ospedale attrezzato. E’ importante evitare frizioni
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energiche che possono provocare lesioni cutanee, fasciature compressive, un
riscaldamento brutale e la somministrazione di alcool.
TRAUMATOLOGIA
In montagna le cause determinanti degli incidenti giocano un ruolo importante nella
natura e nell’evoluzione delle lesioni. L’intervento di altri fattori eziologici viene a
complicare i problemi : la fatica, il freddo, le intemperie ( vento,neve, ghiaccio, nebbia
), l’altitudine ( la maggior o minor assuefazione alla stessa), possono aggravare molto
rapidamente l’ evoluzione delle lesioni più semplici.
Inoltre l’intervento di determinati fattori esterni dà alle lesioni caratteri di gravità e
molteplicità particolarmente spiccati: le valanghe, le cadute ad esempio in un
crepaccio aumentano gli effetti di uno choc, di fratture o di contusioni multiple.
Qualsiasi trauma di una certa entità può provocare il cosiddetto choc traumatico,
che si manifesta con pallore diffuso (dovuto a circolazione periferica diminuita ),
accelerazione del polso e forte diminuzione della pressione arteriosa ( a causa della
diminuzione della massa sanguigna e all’aumento del letto vasale ), nausea, vomito,
svenimento ed infine coma.
Se l’infortunato è cosciente occorre farlo riposare con la testa leggermente più bassa
del tronco ed i piedi un po’ rialzati, coprirlo con maglioni, giacche o coperte; è
opportuno tenerlo immobile il più possibile, in quanto movendo la parte traumatizzata
si favorisce l’entrata in circolo delle tossine formatesi a livello del tessuto danneggiato
e si provoca dolore, aggravando così lo choc.
Le principali lesioni ed incidenti che in questa sede vengono esaminati sono i seguenti:
1.Contusioni 2.Distorsioni 3.Lacerazioni tendinee e muscolari (strappi) 4.Lussazioni
5.Fratture 6.Emorragie 7.Folgorazioni 8.Morsi di vipera 9.Punture di insetti
1. Contusioni
Sono lesioni prodotte da un colpo o una compressione, senza lacerazione della
cute. Si può avere una semplice rottura dei capillari con versamento
sanguigno(ecchimosi o livido ) oppure una lesione più grave con ematoma.
L’impotenza è leggera:si può applicare ghiaccio, che limiterà la tumefazione e
consentirà una ripresa funzionale parziale.
2. Distorsioni
Consistono nell’allontanamento temporaneo dei capi articolari con stiramento dei
tendini e dei legamenti. Sono dovute a movimenti extrafisiologici e violenti o a
traumi. Le distorsioni possono essere di tre gradi:1) leggera o semplice senza
rottura dei legamenti 2) grave con rottura parziale 3) complicata, con rottura
completa dei legamenti. Il dolore al momento del trauma è vivo, talora con
svenimento; dopo qualche istante interviene una diminuzione del dolore che
permette il movimento ; dopo qualche ora il versamento di liquido sinoviale si
diffonde nell’articolazione ed il movimento è di nuovo molto doloroso .Occorre
applicare del ghiaccio, anche sintetico, un bendaggio elastico non troppo stretto,
sistemando l’arto in modo da ottenere una relativa immobilizzazione
dell’articolazione dolorante e permettere un’evacuazione facile dell’infortunato
anche con mezzi sommari .
3. Lacerazioni muscolari (stiramenti e strappi )
Sono lesioni provocate da un eccessivo allungamento delle fibre muscolari. Se la
lesione è parziale si tratta di stiramento, se si è in presenza di rotture di fibre si
tratta di strappo. Entrambi provocano forte dolore, rigidità del muscolo e nel caso
di strappo il muscolo può apparire retratto e con tumefazione.
Le precauzioni e gli interventi dei soccorritori sono gli stessi che per le distorsioni.
4. Lussazioni
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Consistono in uno spostamento reciproco e permanente degli estremi ossei di
un’articolazione con la perdita dei loro normali rapporti, per cedimento
dell’apparato di contenzione capsulo-legamentoso. Sono piuttosto dolorose,
l’articolazione appare completamente deformata ed immobile, l’arto assume una
posizione anormale. Molte lussazioni nei primi momenti si riducono con facilità, ma
ciò nonostante è assolutamente sconsigliato ai soccorritori di intraprendere
qualsiasi manovra.
5. Fratture
Consistono nella rottura parziale ( infrazione ) o completa di un osso . Possono
avvenire per torsione, trazione, pressione, flessione . Si dicono esposte se la
superficie della pelle presenta lacerazioni in seguito alla fuoriuscita dell’osso. Il
dolore è localizzato e molto acuto, la zona interessata presenta tumefazione,
deformità evidente, impotenza funzionale. La constatazione di una frattura
comporta, soprattutto per gli arti inferiori, gesti immediati : occorre allungare il
ferito, sciogliere i lacci delle calzature senza toglierle, per evitare una costrizione
che possa causare congelamento dell’arto. Occorre evitare, anche con mezzi di
fortuna, lo sballottamento dell’estremità fratturata : gli arti inferiori si possono
fissare insieme con bende di fortuna, utilizzando l’arto sano come stecca; l’arto
superiore infortunato si può fissare al collo, spillando la manica alla camicia. In
caso di sospetta frattura del rachide occorre evitare ogni tentativo maldestro di
muovere il ferito, non spostarlo se non si dispone di una barella rigida ed attendere
il soccorso. Qualsiasi sia il tipo di frattura si deve iniziare immediatamente la lotta
contro il freddo, togliendo se necessario gli indumenti bagnati, coprendo il ferito,
isolandolo il più possibile dalla neve e dal vento. Sono utili bevande calde, proibiti
invece gli alcolici.
6. Emorragie
Consistono in una fuoriuscita di sangue.Possono essere esterne,quando il sangue
esce da una ferita, ed interne, se il sangue si versa in una cavità chiusa del corpo
(pleura, peritoneo, spazi meningei ,ecc.), forme queste assai gravi e pericolose per
la iniziale difficoltà ad individuarle. Nelle emorragie esterne, se il sangue che
fuoriesce è rosso vivo e zampilla si tratta di un’emorragia arteriosa, se è più scuro
e non esce a getto è un’emorragia venosa. In ogni caso abbiamo una diminuzione
della pressione arteriosa che produce vasocostrizione, secrezione di adrenalina,
contrazione della milza con immissione in circolo del sangue ivi depositato ed
aumento della gettata cardiaca. Compare una sensazione di sete intensa e si
ingerisce del liquido che viene subito assorbito. Occorre comprimere la ferita con
materiale sterile. Se si è sicuri che si tratti di emorragia arteriosa si pone una
benda a pressione a monte della ferita , vale a dire tra il cuore e la ferita stessa.
Se al contrario si tratta di emorragia venosa la benda si deve porre al di sotto della
ferita, cioè tra la ferita e le estremità. Quando la lesione interessa una grossa
arteria (aorta, femorale, ecc,. ) l’emorragia può essere molto grave e provocare
choc ed anche la morte. Si deve ricordare che la legatura dell’arto con il laccio
spesso è nociva e pericolosa, può compromettere la vitalità dell’arto stesso.
7. Folgorazioni
Si tratta di traumi causati dalle scariche elettriche, non infrequenti in montagna.Se
di grado lieve si limitano a provocare ustioni nelle parti colpite, se sono violente
possono provocare choc, se non la morte istantanea. Banale ma importante
ricordare di non cercare rifugio durante temporali sotto gli alberi, specie se isolati,
o pareti verticali bagnate, e liberarsi di tutti gli oggetti metallici. E’ opportuno
portarsi a ridosso di zone rocciose distanti almeno un metro da pareti verticali,
assumere una posizione accovacciata con i piedi uniti; il corpo deve essere a
contatto con il terreno in un punto solo ed è importante cercare di ripararsi dalla
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pioggia con teli impermeabili, perché il corpo asciutto è meno raggiungibile dalle
scariche.
Le cure consistono nel rianimare l’infortunato con la respirazione artificiale ;
tenerlo al caldo e somministrare analettici per bocca.
8. Morsi di vipera
Occorre precisare che, essendo il veleno un bene prezioso per la vipera stessa,
raramente ne viene iniettata una quantità notevole: parte dei morsi sono secchi,
cioè non velenosi, altri sono a basso dosaggio di veleno,altri sono molto superficiali
con minima inoculazione. La pericolosità del dosaggio ricevuto
è relativa
soprattutto al peso corporeo, all’età, alle condizioni di salute, alla minore o
maggiore vascolarizzazione della sede colpita. In ogni caso immancabile è lo choc,
spesso accompagnato da sintomi quali pallore, nausea, svenimento. I sintomi locali
sono dolore, tumefazione dura e dolente rosso bluastro con ecchimosi e perdita
siero – ematica, che si estende nel giro di qualche ora a tutto l’arto. Possono
insorgere fino alle 24 ore successive sintomi generali più o meno marcati: nausea,
vomito, cefalea, sonnolenza, ipotensione, disturbi del ritmo cardiaco,
manifestazioni emorragiche.
La prima misura anti–vipera è evitare di farsi mordere, indossando scarponcini alti
e calze pesanti, facendosi strada con un bastone ed evitando di mettere le mani tra
i rovi. Le misure di pronto soccorso consistono in acqua ossigenata per disinfettare
il morso, tensoplast, ( bende elastiche utilizzate per le normali distorsioni) per
fasciare la zona della ferita,
procedendo man mano verso l’alto (ad es. dalla
caviglia al ginocchio).L’arto bendato va poi immobilizzato. Lo scopo del bendaggio
è quello di esercitare una calibrata compressione
in modo da rallentare il
passaggio del veleno nel sangue senza compromettere la circolazione.Non
incidere la ferita, non spremere, non applicare lacci, non usare il siero
antivipera .L’infortunato deve essere tranquillizzato ed avviato al Pronto
Soccorso, dove se necessario sarà somministrato il siero .
9. Punture di insetti
La mortalità provocata da choc anafilattico dovuto a morsicatura di insetti supera
quella dei morsi di serpente. Gli insetti più comuni sono:
i calabroni , più presenti alla fine dell’estate e più temibili : il loro veleno può
portare alla paralisi dell’arto colpito
le vespe: più frequenti in primavera
le api:più frequenti nei mesi estivi.
Le punture di questi insetti provocano gonfiore, prurito e dolore. Se le punture
sono multiple possono talvolta provocare nausea, diarrea e vomito. Nelle persone
allergiche le reazioni possono essere molto violente e si manifestano con orticaria,
prurito, edema. Segni più gravi sono asma, cianosi, perdita di coscienza. I
sintomi iniziano 10 – 20 minuti dopo la puntura e talvolta anche più tardi.
Occorre rimuovere delicatamente l’ aculeo con delle pinzette e somministrare
antidolorifici ed antistaminici. In caso di soggetto allergico, è opportuno
raggiungere al più presto l’ospedale.
MATERIALE DI PRONTO SOCCORSO
Una dotazione molto semplice in una scatola di plastica semirigida permetterà di far
fronte alla maggior parte di incidenti lievi : bende in tensoplast ( una alta cm.7 e
lunga m. 6 per gli arti superiori, una alta cm.10 e lunga m.10 per gli arti inferiori ),
una confezione di garze sterili, cotone emostatico, cerotti, disinfettante, analettici (
Coramina, ecc. ), antistaminici, aspirina, collirio, crema solare ad alta protezione,
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eventualmente stecche gonfiabili, mantello da bivacco o coperta spaziale ( con
pellicola di poliestere alluminizzato).
Importante una radio ricetrasmittente o un telefono cellulare ( anche se in montagna
non sempre funziona ). Durante la stagione invernale, con pericolo valanghe, è
opportuno munirsi anche di apparecchio ARVA.
L’ ARVA (che prende il nome dall’espressione francese Appareil de Recherche de
Victimes d’ Avalanches ) è un cercapersone predisposto per emettere o ricevere un
segnale radio e oggi viene considerato indispensabile per escursioni in neve fresca o
nello sci alpinismo.
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