Comprensione incarnata - In-Mind

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Comprensione incarnata - In-Mind
Comprensione incarnata: Alla riscoperta del
corpo dalle scienze cognitive alla psicoterapia
In-Mind Italia
V 1–6
http://it.in-mind.org
ISSN 2240-2454
Laura Galbusera e Thomas Fuchs
Università di Heidelberg. Germania
Keywords
Approcci incarnati e enattivi, intersoggettività, co-costruzione del significato, psicoterapia
Verso una comprensione incarnata ed
enattiva della mente
Nella vita quotidiana siamo abituati a descrivere le
nostre azioni con espressioni come “io taglio una
fetta di pane” oppure “io ti stringo la mano.” Secondo il senso comune, dunque, la comprensione delle
azioni quotidiane implica la presenza di un soggetto “io,” seguito da un verbo che esprime un’azione.
Diamo generalmente per scontato il fatto che noi
siamo l’”io” e che agiamo sull’ambiente circostante.
Tuttavia, che cos’è questo “io”? É il nostro sé, la
nostra mente? Cosa intendiamo con questi termini
astratti e dove possiamo trovare ciò che è “mente”
nel processo del nostro agire?
Come Gregory Bateson notò nel 1972, se guardiamo un uomo cieco con il suo bastone, sarebbe
problematico cercare di stabilire dove il suo “io” inizia e dove finisce, nel processo di percezione e comprensione della realtà circostante. Possiamo porre un
confine tra il cervello dell’uomo e il suo corpo? O tra
il suo corpo e il bastone che usa per percepire lo spazio circostante? O persino tra il bastone e la realtà
circostante? Gregory Bateson, considerando questi
come confini senza senso, radicò il concetto di mente in un sistema più esteso: “Si può dire che la ‘mente’ è immanente in quei circuiti cerebrali che sono
interamente contenuti nel cervello; oppure che la
mente è immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel sistema: cervello più corpo; oppure,
infine, che la mente è immanente nel più vasto sistema: uomo più ambiente” (Bateson, 1972, p. 306).
Nonostante il concetto di mente incarnata sia
illuminante, Bateson era in anticipo sul suo tempo. Il senso comune è ancora oggi basato sulla divisione cartesiana tra un concetto astratto di
mente, relegato in una qualche dimensione inef-
Fig. 1. Dance (Henri Matisse, 1910): La comprensione può
essere vista come una danza dinamica e partecipativa.
fabile dentro di noi, e il mondo materiale, che
comprende il nostro corpo e la realtà esterna.
Lo sviluppo delle scienze cognitive – che hanno l’obiettivo di comprendere la mente e i meccanismi della cognizione – rimase bloccato sin dagli
anni ‘50 nel classico problema della divisione cartesiana tra mente e corpo (si veda il glossario). La
distanza epistemologica (si veda il glossario) tra
mente e materia, radicata nel nostro modello occidentale di scienza, influenzò il programma di ricerca scientifico delle scienze cognitive sin dagli
esordi, minando già alla base i suoi risultati potenziali. Soltanto negli ultimi decenni si è verificato un
cambiamento verso un approccio alla cognizione
più incarnato e contestualizzato: Questo nuovo paradigma sta lentamente rimpiazzando la tradizionaCorrispondenza:
Laura Galbusera
M.Sc. Clinic for General Psychiatry
University of Heidelberg,Voss- Strasse 4, DE-69115
Heidelberg, Germany
E-mail: [email protected]
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le visione astratta e mentalistica della cognizione.
L’approccio cognitivista:
Rappresentare la realtà esterna e le
menti degli altri nella nostra testa
La prima metafora della mente proposta dalla
tradizione cognitivista fu la metafora del computer. Paragonando la mente a un computer, il funzionamento dei processi mentali consisteva dunque
nell’elaborazione di simboli interni che rappresentano il mondo esterno. Ciò che era considerato come
mentale apparteneva al software, l’hardware non era
nemmeno preso in considerazione: L’azione computazionale della mente era disconnessa dal corpo.
Inoltre, questi processi cognitivi computazionali venivano considerati inaccessibili alla consapevolezza personale e radicalmente separati da coscienza
e significato. Il cognitivismo, quindi, non solo fallì
nel risolvere il classico problema della divisione tra
mente e corpo ma creò una nuova divisione tra esperienza soggettiva e processi cognitivi, che venivano
descritti come computazionali e inconsci; questa
nuova separazione viene chiamata “divisione mentemente.” Il modo in cui esperiamo soggettivamente
la realtà era dunque irrilevante per la comprensione
mentale di questa stessa realtà (Thompson, 2007).
Nelle scienze cognitive, il problema della cognizione sociale (si veda il glossario) ebbe origine dal
presupposto che le menti degli altri sono inaccessibili e che quindi abbiamo bisogno di particolari capacità cognitive per riuscire a inferire, rappresentare
e comprendere lo stato mentale del nostro prossimo.
Le due principali teorie sulla cognizione sociale, la
teoria della teoria della mente (TT) e la teoria della
simulazione (TS), sono basate su questi presupposti.
Secondo queste teorie, per riuscire a comprendere lo
stato mentale di un’altra persona, abbiamo bisogno
di applicare delle credenze basate sul senso comune riguardanti il comportamento altrui o abbiamo
bisogno di simulare nella nostra mente lo stato mentale dell’altro, come se fossimo nella sua situazione. I processi di astrazione e inferenza degli stati
mentali altrui sono considerati le modalità primarie
con cui comprendiamo il nostro prossimo. Questo
significa che abbiamo dunque sempre bisogno di
creare una rappresentazione interna dello stato mentale dell’altro per poterlo capire (Gallagher, 2008).
Volendo spiegare i processi basilari della cognizione sociale facendo riferimento a tali elevate abilità cognitive, non soltanto li si colloca in una mente
cartesiana disincarnata, ma li si decontestualizza e
separa dall’ambiente circostante. Di conseguenza,
gli esseri umani sono considerati come osservatori distaccati, che cercano di comprendere il mondo
Galbusera & Fuchs.
circostante e i loro simili da un punto di vista esterno, da una posizione in terza persona che osserva.
Gli approcci incarnati ed enattivi
alla cognizione: Mettendo in atto un
mondo di significati
Soltanto verso gli inizi degli anni ’90, Varela, Thompson e Rosch (1991) proposero un’alternativa alla dominante tradizione cognitivista: un
approccio incarnato ed enattivo alla cognizione
(si veda il glossario). Vent’anni dopo il concetto
batesoniano di mente incarnata, la consapevolezza che i nostri cervelli sono incarnati e che i nostri corpi sono immersi nel mondo circostante, si
è diffusa gradualmente nell’ambito della psicologia e delle scienze cognitive. Questo ha avuto delle implicazioni importanti anche per la cognizione
sociale, come vedremo nel paragrafo successivo.
In opposizione alla tradizionale visione della cognizione basata sulle rappresentazioni mentali, gli
approcci incarnati ed enattivi considerano elemento
fondante per la cognizione l’accoppiamento sensomotorio tra organismo e ambiente. Secondo una prospettiva enattiva, non percepiamo la realtà in modo
passivo ma attraverso la nostra continua attività corporea (tastando una superficie con le mani, esaminando un oggetto con lo sguardo ecc.). Già nell’atto
percettivo gli oggetti si presentano come elementi
che offrono possibilità di interazione con il nostro
corpo. A seconda dei nostri bisogni e della nostra
condizione affettiva, gli oggetti circostanti possono
sembrare attrattivi, interessanti, significativi o minacciosi, repulsivi. L’affettività è dunque la modalità
primaria con cui un organismo attribuisce significato al suo ambiente. Di conseguenza, non percepiamo il mondo da una posizione neutrale e distaccata:
ogni individuo esperisce la realtà in modo diverso
e l’esperienza soggettiva ha un’influenza fondamentale sulla comprensione di questa stessa realtà. Gli
approcci enattivi alla cognizione cercarono in questo modo di integrare una considerazione incarnata
della mente e una considerazione fenomenologica
della soggettività (si veda il glossario). Non soltanto
il nostro corpo ma anche la nostra esperienza soggettiva gioca un ruolo fondamentale nel costituire
e definire i cicli di percezione, cognizione e azione
(Thompson, 2007). Il corpo e l’esperienza soggettiva, dunque, sono aspetti correlati, entrambi centrali
per la cognizione. Un elemento fondante dell’approccio enattivo consiste nel considerare l’essere
umano come un sistema dinamico auto-organizzato: I concetti di autonomia, o chiusura operazionale,
e di adattività sono alla base di quest’idea. Da un
lato, autonomia è la proprietà di un sistema che può
Il corpo nella pratica clinica
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cettivo, già possiamo cogliere il significato di quello
che percepiamo, senza bisogno di ulteriori passaggi inferenziali o interpretazioni (Gallagher, 2008).
De Jaegher e Di Paolo (2007), nonostante abbiano riconosciuto l’importanza di questo cambiamento a livello teorico, hanno criticato queste
nuove proposte sulla cognizione incarnata per essere sempre e comunque rimaste all’interno di una
cornice individualista. Seguendo la loro linea di argomentazione, se vogliamo davvero comprendere
la cognizione secondo una prospettiva enattivista,
e se dunque vogliamo considerare l’essere umano
come un sistema dinamico, non possiamo fermarci al livello dell’individuo. I due autori propongono
quindi un nuovo approccio enattivo alla cognizione sociale: Il concetto di co-costruzione partecipativa del significato (participatory sense-making).
Applicando gli attuali risultati della ricerca empirica sulla coordinazione interpersonale e sulle
azioni congiunte, descrivono come le dinamiche di
coordinazione tra due agenti sociali possono effettivamente modificare lo svolgersi di un incontro. Il
processo d’interazione stesso viene quindi descritto come processo emergente, auto-organizzato e
autonomo. De Jaegher e Di Paolo (2007) prendono
come esempio una scena di vita quotidiana per chiarificare quest’idea: quando due persone si vengono
incontro, camminando in direzione opposta in uno
stretto corridoio, devono decidere ad un certo punto se spostarsi a destra o a sinistra per continuare il
proprio cammino. Potrebbe tuttavia succedere che le
due persone si muovano simmetricamente, ritrovandosi quindi di nuovo una di fronte all’altra. A questo
punto, a causa dello spazio limitato del corridoio,
è probabile che i due si muovano ancora in modo
Una comprensione enattiva della
speculare, bloccandosi ancora una volta la strada.
cognizione sociale: Co-costruire
L’obiettivo iniziale dei due individui è di passignificati in interazione
sarsi accanto e di continuare sulla propria strada;
L’approccio incarnato alla cognizione ha messo possono tuttavia emergere involontariamente delle
in discussione il presupposto alla base delle tradi- dinamiche di coordinazione che prolungano l’intezionali teorie sulla cognizione sociale (teoria del- razione. Tale processo d’interazione prende quinla teoria della mente e teoria della simulazione), di vita propria, superando le intenzioni dei singoli
ovvero che le menti degli altri siano inaccessibili. individui. Durante questo momento d’incontro,
Non abbiamo bisogno di simulare o rappresentare può addirittura accadere che gli obiettivi dei sinciò che gli altri hanno in mente per riuscire a com- goli cambino e che decidano di continuare l’inteprenderli, possiamo infatti averne accesso attraverso razione (ad esempio, iniziando una conversazione).
Da un esempio del genere emerge in modo chiaro
modalità più corporee, primarie e dirette. Secondo
Gallagher (2008), ad esempio, il momento stesso come il processo stesso dell’interazione possa prodella percezione gioca già un ruolo importante nel durre nuove intenzioni e significati (De Jaegher &
processo di comprensione degli altri. Quando ve- Di Paolo, 2007; De Jaegher, Di Paolo, & Gallagher,
diamo una persona, entriamo immediatamente in 2010). I singoli individui non soltanto sono agenti
risonanza: “Vediamo emozioni. Non vediamo con- costituenti delle loro interazioni sociali ma allo stestorsioni facciali per poi inferire che sta provando so tempo vengono costituiti da queste tramite il progioia, dolore, noia” (Wittgenstein, 1980, citato in cesso partecipativo di co-costruzione dei significati:
Gallagher, 2008; traduzione nostra). Entro l’atto per- la comprensione sociale, dunque, avviene anche nelauto- organizzarsi e auto-costituirsi da solo. Dall’altro, per poter preservare la sua identità, un sistema
autonomo ha bisogno di regolare il suo comportamento in risposta alle perturbazioni dell’ambiente
circostante, deve saper anticipare e agire in base a
ciò che può supportare la sua auto-costituzione e
ciò che la potrebbe minacciare. Questa capacità è
chiamata comportamento adattivo o adattività (De
Jaegher & Di Paolo, 2007; De Jaegher & Froese,
2009). I sistemi autonomi e adattivi costituiscono o
mettono in atto un mondo di significati, nella loro
interazione dinamica e ricorsiva con l’ambiente.
Le strutture e i processi cognitivi emergono da interazioni senso-motorie ricorrenti che includono il
cervello, il corpo e l’ambiente. La mente è quindi
un sistema dinamico immerso nel mondo piuttosto
che essere un organo rispecchiante la realtà esterna dentro la testa (Fuchs, 2011; Thompson, 2007).
Per concludere, un agente cognitivo non può essere determinato dall’esterno come un computer, che
risponde agli input con gli output predeterminati dal
programmatore: Gli agenti cognitivi, al contrario,
costruiscono attivamente significati, liberi da determinazione esterna. Inoltre, da un punto di vista enattivo, le azioni e il movimento giocano un ruolo fondamentale nell’attività di attribuzione di significato
di ogni individuo: È infatti proprio attraverso il nostro movimento che agiamo un mondo di significati
e in questo processo costruiamo la nostra identità.
È tuttavia l’essere umano l’unico agente costituivo della sua identità? Siamo davvero gli unici capitani delle nostre anime, del nostro comportamento e delle nostre interazioni sociali?
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lo spazio tra le persone, nell’interazione che si svolge istante per istante tra due soggetti incarnati (De
Jaegher & Froese, 2009; Fuchs & De Jaegher, 2009).
Fig. 1I. Un passo di tango argentino: Un esempio di
comprensione intuitiva e corporea che si svolge istante per
istante nell’incontro tra due persone.
Le implicazioni per la psicoterapia e
per la pratica clinica
Da questa breve carrellata sullo sviluppo degli approcci incarnati ed enattivi nelle scienze
cognitive, emergono tre concetti principali che
sembrano essere di particolare interesse per la psicoterapia: incarnazione, interazione e presenza.
Innanzitutto, il concetto di incarnazione, ovvero
l’idea derivata dall’enattivismo per cui diamo un senso
alla realtà attraverso il nostro corpo e il nostro movimento, ha implicazioni importanti per la pratica clinica.
La maggior parte degli approcci psicoterapeutici, infatti, sono basati sulla comunicazione verbale. Sin dalla “cura delle parole” freudiana, esse
sono state il mezzo più potente per il trattamento
psicologico e la principale fonte di cambiamento
terapeutico. Senza voler sottovalutare questo strumento, gli approcci incarnati ed enattivi ci ricordano semplicemente che, in ogni conversazione e
incontro, comunichiamo anche con il nostro corpo
e con il nostro movimento. Le storie di vita sono
nelle nostre parole così come nella nostra carne.
Nella pratica clinica, il corpo viene considerato
in diversi tipi di terapia come strumento per avviare
il cambiamento terapeutico, come nella psicoterapia
corporea, nella terapia della danza e nel psicodramma. Ad esempio, negli approcci di psicoterapia corporea mirati al trattamento della schizofrenia (Röricht,
2000), esperienze anomale come il transitivismo
(cioè la perdita esperienziale dei confini tra se stessi e
gli altri) vengono affrontate principalmente al livello
implicito del corpo. Per metterla in parole semplici,
invece di paffrontare e elaborare verbalmente il problema dei confini personali, la terapeuta può agire.
Un intervento possibile può essere camminare verso un paziente raggiungendo il punto più vicino che
Galbusera & Fuchs.
può tollerare; l’esercizio viene ripetuto più volte, in
diverse direzioni, e ogni volta la terapeuta chiede di
essere fermata alla distanza in cui il paziente si sente
a suo agio. Attraverso questo tipo di esercizi sulla
regolazione delle distanze i pazienti possono cominciare a sentire, a livello anche e soprattutto corporeo,
che c’è un confine che non deve essere oltrepassato.
Tramite queste esperienze implicite e corporee, i pazienti iniziano a percepire i propri confini, il proprio
spazio personale e cominciano a entrare in relazione con gli altri, percependoli come esseri separati.
Il cambiamento terapeutico può essere quindi
ottenuto agendo primariamente a livello implicito
e corporeo. Secondo il principio di bidirezionalità della teoria dell’incarnazione (Niedenthal et al.,
2005), infatti, il movimento e le interazioni corporee costituiscono il livello base dei processi di
costruzione di senso e influiscono quindi retroattivamente sul livello fenomenale, emotivo e cognitivo (Koch, Morlinghaus, & Fuchs, 2007; Ritter &
Graf Low, 1996). Questo potrebbe avere importanti implicazioni in particolare in contesti terapeutici dove è impossibile o comunque non auspicabile
un intervento condotto soltanto a livello verbale (ad
esempio con pazienti molto gravi, con bambini).
Il secondo concetto emergente, ovvero quello di
interazione, si riferisce al ruolo costitutivo dei processi di interazione per la comprensione dell’altro e
per la costruzione stessa dell’identità. Nella pratica
clinica, questa idea si può già trovare in approcci
terapeutici basati sul costruzionismo sociale che si
sono principalmente sviluppati dalla tradizione di
terapia sistemica e da approcci costruttivisti (vedi
Neimeyer & Raskin, 2000; Ugazio, 1998/2012).
Secondo il costruzionismo sociale, gli esseri
umani sono non soltanto sistemi auto-organizzati
ma sono anche costituiti nel contesto delle loro relazioni sociali: La realtà è dunque costruita attraverso processi conversazionali di co-costruzione di
significato (Cronen, Johnson & Lannamann, 1982;
Gergen, 2009). In ogni interazione ci sono due livelli di costruzione di significati: in primo luogo,
quello individuale caratterizzato da una dimensione strategica, che fa riferimento agli obiettivi e alle
intenzioni che ogni partecipante porta nell’interazione. In secondo luogo, il livello interattivo della
co-costruzione dei significati che è caratterizzato
dalla contingenza e imprevedibilità dello svolgersi di un’interazione (De Koster, Devisè, Flament,
& Loots, 2004; Fruggeri, 1998; Ugazio, 1985). Di
conseguenza, la psicoterapia può essere considerata come un luogo in cui i significati vengono
co-costruiti nella conversazione e dove è proprio
l’incontro tra il terapeuta e il paziente a creare possibilità di cambiamento. La posizione del terapeuta
Il corpo nella pratica clinica
deve dunque essere più partecipativa che istruttiva.
Infine, il ruolo che lo svolgersi contingente
dell’interazione gioca sui processi di costruzione di
significati evidenzia l’importanza della dimensione
del qui e ora. Questo porta al terzo concetto, quello di presenza: “La comprensione dell’altro emerge
nell’interazione tra due soggetti istante per istante”
(Fuchs & De Jaegher, 2009, p. 476; traduzione propria). Secondo Stern (2004a), il cambiamento in psicoterapia è il risultato dell’interazione contingente
tra due individui, che non può essere pianificata o
controllata da un solo partecipante. Stern descrive
il processo della psicoterapia come un processo di
continua approssimazione, un processo di co-creazione imprevedibile che porta all’emergere di proprietà che non possono essere attribuite ai singoli
individui: “Questo processo di cambiamento è analogo a diverse situazioni interattive, come le negoziazioni, dove due o più persone stanno cercando
di arrivare ad un obiettivo, ma dove l’obiettivo non
si può conoscere precisamente sin dall’inizio. Soltanto alcuni suoi contorni sono prestabiliti. L’attuale obiettivo finale (non l’obiettivo desiderato) non si
può scoprire, deve essere creato, perché non esiste a
priori. E il processo per arrivare all’obiettivo viene
creato nel procedere verso di esso, all’interno di certi
contorni” (Stern, 2004b, p. 368; traduzione nostra).
A differenza della tradizione psicoanalitica, focalizzata principalmente sul passato, Stern (2004a)
sottolinea l’importanza della dimensione presente,
del coinvolgimento nel qui e ora, per la psicoterapia (si veda anche Stanghellini & Lysaker, 2007).
Egli inoltre sostiene che la natura del momento
presente implichi qualcosa in più di una semplice risposta tecnica: Si tratta di un’esperienza condivisa, un incontro. Ciò dunque richiede risposte
autentiche, appropriate alla situazione, invece di
risposte terapeutiche neutrali. Anche se l’imprevedibilità dei momenti presenti può provocare ansia,
il fatto di nascondersi dietro interventi tecnici standard può impedire un autentico incontro esperienziale che possa essere di beneficio (Stern, 2004a).
Un ultimo esempio di quello che intendiamo qui
per presenza è l’approccio open dialogue alle psicosi acute (OD; Seikkula & Olson, 2003), secondo cui lo svolgersi della conversazione è il cuore
del processo di trattamento (Seikkula & Trimble,
2005). L’efficacia del trattamento, infatti, non dipende dall’attuazione di interventi ben pianificati
da parte dei professionisti ma dal processo di dialogo tra i partecipanti. “Nonostante i contenuti della conversazione siano d’importanza primaria per i
membri della rete, il focus primario per i membri
del team è il modo in cui si parla dei contenuti.
Più importante di ogni regola metodologica, è es-
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serci, nel momento presente, adattando le proprie
azioni a ogni svolta nel dialogo. Ogni incontro di
trattamento è unico; tutti i temi affrontati negli incontri precedenti acquistano nuovo significato nel
momento presente” (Seikkula & Trimble, 2005, p.
467; traduzione nostra). Qui infatti la conversazione viene considerata come un processo incarnato,
supportato da un atteggiamento partecipativo (invece che istruttivo) e modulato sulla contingenza
del momento presente (Seikkula & Trimble, 2005).
Abbiamo visto come gli sviluppi più recenti
delle scienze cognitive e della filosofia della mente possono far vedere sotto una nuova luce il processo della psicoterapia. Al fine di comprendere
come questi nuovi concetti e scoperte possono arricchire e mettere in discussione la ricerca e la pratica terapeutica, è necessaria e auspicabile più collaborazione scientifica a livello interdisciplinare.
In quanto esseri umani, diamo un senso alla
realtà e alle nostre relazioni inter-agendo in esse,
con il nostro corpo. La cognizione non è solo nel
cervello e la psicoterapia non è solo nelle parole.
Glossario
Problema della divisione mente-corpo. Il problema
della divisione mente-corpo è un problema filosofico sul
modo di considerare la relazione tra mente e materia. Il
dualismo cartesiano ha creato una divisione tra la mente non-materiale e il corpo materiale, aprendo quindi la
discussione su come concepire la relazione tra mente e
materia, tra natura e coscienza.
Epistemologia. L’epistemologia è una branca della filosofia che indaga la natura della nostra conoscenza, come
possiamo riconoscere e comprendere cose e persone.
Cognizione sociale. il problema della cognizione sociale
è di spiegare come possiamo comprendere le menti degli
altri, le loro intenzioni e le loro credenze.
Approcci incarnati. La tesi della mente incarnata nasce
dal presupposto che la mente è immersa nel nostro corpo
e il corpo è immerso nell’ambiente circostante. I processi
cognitivi dunque non possono essere confinati nel cervello ma si formano in connessione e vengono influenzati dall’intero sistema corporeo.
Approcci enattivi. L’enattivismo, approccio iniziato da
Varela, Thompson e Rosch (1991), condivide i presupposti basilari dell’approccio incarnato alla cognizione, il
quale prevede che la mente non possa essere compresa
separatamente dal corpo. Inoltre, l’enattivismo utilizza il
contributo della teoria dei sistemi dinamici e della fenomenologia, cercando di integrare queste due prospettive
teoriche per comprendere la mente.
Fenomenologia. La fenomenologia è una branca della filosofia che studia la coscienza e la struttura stessa
dell’esperienza (ad es. corporeità, temporalità, spazialità,
intersoggettività etc.). Questa tradizione filosofica ebbe
inizio con il lavoro seminale di Edmund Husserl.
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Laura Galbusera, ha conseguito la
laurea magistrale in Psicologia Clinica
all’Università degli Studi di Bergamo e
attualmente lavora come ricercatrice
per il progetto internazionale Marie
Curie “TESIS: Towards an Embodied
Science of Intersubjectivity”. Laura
sta svolgendo il suo progetto di dottorato sotto la supervisione di Prof.
Thomas Fuchs alla Clinica Psichiatrica
dell’Università di Heidelberg, in Germania. Il focus della sua ricerca è sul livello implicito e
corporeo dell’intersoggettività in particolare nel caso
della schizofrenia.
Thomas Fuchs è professore al dipartimento Psichiatrico della Clinica
Universitaria di Heidelberg ed è professore di Fondamenti Filosofici della
Psichiatria all’Università di Heidelberg.
Filosofo e psichiatra, il suo lavoro di
ricerca sulla psicopatologia mantiene
sempre un impegno interdisciplinare e
si colloca nell’intersezione tra filosofia, psichiatria, antropologia, psicologia, neuroscienze e scienze cognitive.
È attivamente coinvolto in diversi progetti di ricerca
come “The Brain as an organ of interrelations – Interdisciplinary perspectives on the development of socially
induced capacities”, “TESIS”, “Neuroscience and concepts of personhood”.