autunno inverno a 37

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autunno inverno a 37
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MODA
autunno
a
37gradi
Dal sito «Archivi della moda del Novecento», moda.san.beniculturali.it/
nella calda estate fiorentina si indossano abiti per l’inverno
Roberto Mascagni
L’ingresso, da piazza
Ognissanti, al prestigioso
“The St. Regis Florence
Hotel”
T
rascorsi appena cinque mesi
dal successo della prima sfilata di Alta Moda Italiana,
presentata a Firenze da Giovanni
Battista Giorgini dal 12 al 14 febbraio 1951, l’ingegnoso organizzatore
della manifestazione può constatarne l’aumentato consenso dalla
presenza di circa trecento compratori, inviati dalle più importanti ditte
americane per assistere alla seconda
sfilata. Fra questi, i più rilevanti nomi
americani del settore moda-confezioni: Altman, Lord and Taylor, Macy,
Gimbel, Magnin, Blass, Graham.
I loro nomi, familiari soltanto a Parigi
dove si recano due volte all’anno
per gli acquisti stagionali di Alta
Moda, dal 1951 cominciano a esserlo anche in Italia.
Il nuovo appuntamento è fissato
in un’ampia sala dell’allora Grand
Hôtel (l’odierno The St. Regis Florence Hotel), in piazza Ognissanti:
nei giorni giovedì 19, venerdì 20 e
sabato 21 luglio.
Il programma annuncia l’adesione di dieci atelier: quelli romani di
Antonelli, Carosa, Fabiani, Fontana,
Schubert, Visconti; il torinese Favro;
i milanesi Marucelli, Noberasco,
Vanna, Veneziani, e la partecipazione di cinque boutique (Sportswear
and Boutique): da Milano Veneziani
Sport, Mirsa, Avolio; da Firenze e
Capri: Original Emilio Sportwear; da
Roma Simonetta Visconti; da Capri
la baronessa Gallotti (La Tessitrice
dell’Isola). Clarette Gallotti vive e
lavora a Capri; firma così i suoi abiti
e le sue coloratissime stoffe tessute
a mano. (La cosiddetta moda-boutique rappresenterà il concreto vantaggio del Made in Italy, a cominciare dalla prima sfilata di febbraio con
il “quartetto” di creatori compo-
sto da Emilio Pucci, Giorgio Avolio,
Franco Bertoli e Clarette Gallotti,
invitati a Firenze dal preveggente
Giorgini).
Nonostante il caldo canicolare che
avvolge e assopisce Firenze, nell’artistico salone del Grand Hôtel (l’aria
condizionata ancora non esisteva)
le indossatrici mostrano con disinvoltura i modelli per il prossimo
autunno-inverno: mantelli foderati
di pelliccia, stole di visone, abbigliamenti per le sciatrici, impermeabili,
maglioni.
E che dire della nostra maglieria?
I modelli di Mirsa (Olga di Gresy)
hanno sbalordito: «Non abbiamo
mai visto una varietà di golf così
chic e ricchi di motivi», si sente commentare.
Il numero degli esemplari realizzati
da ciascuna sartoria (50/60) è indicativo del successo dell’appuntamento fiorentino. Si raggiunge così
la presentazione di 700 modelli di
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esclusiva creazione italiana, ai quali
si addizionano alcune numerose e
pregevoli collezioni di modelli sportivi.
L’entusiasmo dei compratori è testimomiato dal volume degli affari
conclusi. Un’importante Casa, che
presenta una magnifica collezione
sportiva per l’inverno (costumi da
sci, ecc.), realizza da sola, nel primo
giorno, un fatturato di cinque milioni
(di allora…); un’altra Casa vende l’intera collezione.
Nel numeroso gruppo dei giornalisti, spiccano due temute autorità:
Bettina Ballard direttrice di “Vogue
America“ e Carmel Snow che dirige
“Harper’s Bazaar“. (In una sua corrispondenza, pubblicata il 27 agosto nel “Chicago Herald-American“,
Carmel Snow scriverà: «L’Italia ha
sempre prodotto buoni accessori
e quest’anno i suoi artigiani hanno
superato se stessi»).
Significativa è la partecipazione dei
nostri tessili: non solo per il notevole importo delle vendite, ma per
l’avvicinamento dell’industria tessile
a quella sartoriale, che è la formula vincente della moda francese.
Questa regola trova un equivalente
riscontro nella presenza, all’appuntamento fiorentino, delle industrie
tessili italiane – le cui migliori produzioni sono state utilizzate dai nostri
sarti per i loro modelli – e dei “carnettisti”.
Spiega Cristina Giorgetti, storica
dell’abbigliamento: «Il ruolo dei carnettisti fu essenziale perché rappresentavano assieme ai grossisti il
“trait d’union“ tra aziende tessili di
rilievo, tipo Piacenza, e gli atelier,
legame spiegato da Claudio Ruggero nel saggio del terzo volume dedicato al Piemonte e alla Liguria L’oro
d’Italia. Storie di aziende centenarie
e famigliari.
«Il mestiere di carnettista aveva due
aspetti, il possedere appunto dei
carnet con i campioni di tessuto di
una o più aziende da proporre agli
atelier, oppure, con carnet maggiormente complessi ove al tessuto
di una o più aziende si abbinavano
figurini di moda a uso di sartorie
minori o di negozi di tessuti».
L’Italia degli atelier rispose quindi
prontamente all’inedito e improvviso consenso internazionale, e figure
professionali diversificate e specialistiche rivelarono subito la capacità
di sostenere ruoli che sarebbero
divenuti la base della filiera produttivo-commerciale del Made in Italy.
«La moda degli anni Cinquanta –
spiega Cristina Giorgetti – è un’espressione della voglia di lusso: rasi
pesanti, velluti, broccati, ricami di
perle e applicazioni. Le linee dei primi anni di questa dècade presentano una notevole attinenza a quelle
francesi, in particolare quelle di Dior,
ancora pienamente in auge dopo il
successo del New look. Il busto della
donna appare florido, la vita sottile,
la gonna si allarga con godés e con
i tagli a un quarto, mezzo, intero e
doppia ruota».
Cristina Giorgetti continua: «La linea
femminile si basa per i primi cinque
anni di questo decennio essenzialmente sul New look di Dior; ma già
nel 1952 si vedono comparire, diffuse specialmente da Veneziani e
Marucelli, le linee Impero, dal taglio
sotto il seno, proposte in seguito in
America anche da Claire McCardell.
Solo verso il 1955 le linee cominciano ad assottigliarsi, la figura della
donna si fa più sinuosa, si impone il
piccolo tailleur, quello che si porta
generalmente senza camicia, composto da una giacca corta con gonna dritta, capo destinato a diventare
un classico».
L’uomo, invece, in questo panorama
passa quasi inosservato. Nonostante l’avvento di nuovi talenti, come
Brioni, resiste un’eleganza di stile
inglese per taglio, colori e tipologìe
abbigliamentarie: doppiopetto, un
petto, tight per cerimonia e pomeriggio ufficiale, smocking per l’elegante informale e frac, o marsina,
per la serata ufficiale.
I progressi nel settore telefonico furono enormi: dalle prime centrali manuali (dove il collegamento fra gli utenti era svolto dalle telefoniste), alla posa dei cavi telefonici sottomarini, gradualmente perfezionati, ai ponti radio; da questi, alle telecomunicazioni: tutto in
rapida progressione.
Nonostante l’esperienza delle telefoniste, alle quali, con toni ansiosi, ci si rivolgeva (“Signorina, vorrei parlare con New York”), i tempi di attesa erano lunghi. «Per parlare con
Milano – ricordava Giovanni Battista Giorgini – bisognava aspettare mezz’ora, dopo aver
chiamato il centralino e aver prenotato la comunicazione. Non dico poi di quando avevamo la necessità di telefonare a New York o a San Francisco. Tutto era dunque molto più
lento rispetto a oggi, e ancora mi meraviglio di come sia stato possibile, per noi, organizzare le sfilate coi mezzi di allora».
Si era negli anni Cinquanta, lontani sì, ma non remoti. (Intanto gli americani progettavano l’invio del primo uomo sulla Luna). Nella fotografia, del 1958, vediamo uno stuolo
di telefoniste, ciascuna impegnata febbrilmente davanti alla propria “consolle”. Sono le
operatrici della storica Compagnia telefonica TE.TI. (Telefonica Tirrena), fondata nel 1924.
La società era attiva in Liguria, Toscana, Lazio, Sardegna e nel circondario di Orvieto.
Acquistata nel 1958 dall’I.R.I, la Telefonica Tirrena confluì poi nella gestione della STET e
nel 1964 fu incorporata dalla nuova SIP.
(Fotografia gentilmente concessa dall’Archivio Storico New Press Photo - 1958 - Firenze
- www.newpressphoto.it)
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70 ANNI FA, LA RICOSTRUZIONE
Per la Città della Moda, la Seconda guerra
mondiale termina l’11 agosto 1944, quando
l’insurrezione popolare e il fronte delle truppe alleate liberano Firenze dalle armate naziste, in ritirata per attestarsi e resistere lungo
la cosiddetta Linea Gotica che divideva l’Italia in due sulla dorsale appenninica: dalla Lunigiana fino alle Marche, a nord di Ancona.
Per Firenze cominciano, lenti ma costanti, gli
anni della ricostruzione. Tutti i ponti sull’Arno, lungo il fiume fino a Pisa, sono stati fatti
esplodere dai tedeschi. Fra lutti e infinite miserie si torna a vivere: basta cominciare. Si
dà inizio alla riedificazione degli stabilimenti
industriali bombardati, si ripristinano le linee
ferroviarie distrutte. Incalcolabili i danni alle
abitazioni, solo negli anni successivi sostituite da nuove costruzioni. In questa cruda
realtà, tuttavia, non ci si dispera.
Dopo aver pagato pesantemente le sue
responsabilità, l’Italia vuole presentarsi al
mondo con un volto nuovo. Alla riabilitazione contribuiscono anche la nostra cinematografia con Roma città aperta (1945),
Paisà e Sciuscià (premiato con l’Oscar come
miglior film straniero) entrambi del 1946, e
la prima sfilata di Alta Moda finalmente Italiana, presentata a Firenze nel febbraio 1951
da Giovanni Battista Giorgini, un audace e
ingegnoso fortemarmino, che da quell’anno
in poi farà esportare ovunque nel mondo un
sorprendente Italian Style.
Vi contribuisce anche la musica, con larghe
schiarite, perché dal 29 al 31 gennaio 1951
ha debuttato il Festival di Sanremo, presentato da Nunzio Filogamo. Vince Grazie dei
fiori cantata da Nilla Pizzi, che si impone
come “regina” della canzone italiana dell’epoca. Il successo del Festival è immediato e
inaspettato.
Il dramma subìto da Firenze è confermato
da questa fotografia del trecentesco Ponte
Vecchio, l’unico risparmiato dalla furia nazista, a costo, però, della distruzione di gran
parte degli edifici medievali adiacenti i due
ingressi al ponte.
L’immagine è del 1958. Sono perciò trascorsi
14 anni dai drammatici avvenimenti che ferirono la città, ma il ricordo è ancora testimoniato dai drammatici “vuoti” rimasti dopo la
rimozione delle macerie. Infatti sull’ingresso
meridionale del Ponte Vecchio sussistono
ancora le scheletriche rovine di un antico
edificio e sulla sponda opposta dell’Arno,
nel lungarno Acciaiuoli, sono stati ricostruiti
solo due edifici.
Il transito di alcune automobili sulle due opposte direttrici di marcia è il simbolo della
continuità tra il prima e il dopo: a Firenze, in
Toscana e nell’Italia tutta.
(Fotografia gentilmente concessa dall’Archivio Storico New Press Photo - 1958 - Firenze
- www.newpressphoto.it)