Trame d`Artista - Soprintendenza BSAE Abruzzo

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Trame d`Artista - Soprintendenza BSAE Abruzzo
Trame d’Artista
L’Arazzeria pennese
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Trame d’artista. L’arazzeria pennese
Pescara, Museo Casa Natale di Gabriele d’Annunzio
12 luglio 2011 - 6 settembre 2011
Mostra a cura di Maria Taboga
Hanno collaborato:
Luisa De Tommaso, Rita Maria Molisani, Maria Cristina Semproni,
Lucia Ciccarini, Sandro Terzini, Anna Maria Francavilla,
Claudio Gioacchino, Filomena Zulli, Michele Catinella
e Maria Assunta Volpone della Soprintendenza BSAE, sede di Pescara
Aurelio Ciotti, Piero Cocco, Mauro De Angelis,
Maria Di Paolantonio, Graziella Mucciante,
Sofia Cucchiella Vittorini, Marta Vittorini della Soprintendenza
BSAE, sede de L’Aquila
Un particolare ringraziamento a Lucio Marcotullio, Federica Coen,
Mario Costantini, Nicola Tonelli, Giuliana Gioacchini Di Nicola
Quaderno della mostra
Testi di Maria Taboga
Fotografia Gino Di Paolo
Progetto Grafico SPAZIODIPAOLO.IT
Un sincero grazie va ad Antonio Bianchini e Francesco Pesci,
rispettivamente Presidente e Amministratore delegato
della Brioni Roman Style S.p.A.
Il quaderno è stato realizzato con il contributo unico
della Brioni Roman Style S.p.A.
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L’Abruzzo, assieme alla Sardegna, un’ altra regione a me
molto cara, è ancora oggi un’isola felice, nella misura
in cui si attesta come incubatrice di impulsi creativi
mai disgiunti dalla qualità manifatturiera, frutto di una
sapienza artigianale che affonda nella notte dei tempi.
Sono molteplici i settori delle cosiddette arti applicate,
o decorative che dir si voglia, frequentati dai maestri
abruzzesi con picchi d’indiscusso rilievo artistico e
tecnico. Basti ricordare l’esperienza delle raffinate
‘turchine’ realizzate a Castelli a partire dal 1574 per il
Cardinale Alessandro Farnese, primissima esperienza
dell’applicazione dell’oro zecchino sul vasellame in
maiolica, i sontuosi manufatti istoriati di Carlo Antonio
Grue o le straordinarie oreficerie elaborate, tra Medioevo
e Rinascimento a Sulmona e a L’Aquila, da una schiera
di abilissimi maestri capeggiati dal più celebre Nicola da
Guardiagrele.
Anche la filiera del tessile restituisce uno spaccato
degno della massima considerazione, nonostante il
logorio cui sono sottoposti materiali spesso fragili e la
loro limitata fortuna collezionistica penalizzino la ricerca,
poco incoraggiata dall’esiguità delle testimonianze
disponibili ai fini di una adeguata ricostruzione storica.
Fortunatamente danno sostegno all’intero comparto
alcune perle che in tempi abbastanza recenti hanno
riannodato i fili di un illustre passato, dimostrando di
coniugare i valori trasmessi da un’accurata progettazione
‘creativa’ con la cura di tutte le fasi della realizzazione,
governata da una manualità d’eccellenza.
Mi riferisco naturalmente all’Arazzeria pennese e alla
Brioni, ovvero la felice esperienza qui autorevolmente
narrata da Maria Taboga e l’azienda leader che ha accettato
di sostenere un nuovo progetto di valorizzazione di cui
questa piccola mostra a Casa d’Annunzio rappresenta
solo l’avvio.
Lucia Arbace
Soprintendente per i Beni Storici Artistici
ed Etnoantropologici dell’Abruzzo
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ella dimora romana del raffinato protagonista
de Il Piacere, Andrea Sperelli, l’atmosfera
decadente del romanzo prende forza dalla
puntuale narrazione di stupefacenti interni, ricchissimi
di oggetti. La luce pallida del sole entrava in una delle
stanze “diffondendosi su l’arazzo della Vergine col
Bambino Gesù e Stefano Sperelli, su l’antico arazzo che
Giusto … portò di Fiandra nel 1508”. Proseguendo, si
descrivono minutamente “un piccolo arazzo fiammingo,
finissimo, intessuto d’oro di Cipro, raffigurante una
Annunciazione” che copriva la testa del letto e ancora
“altri arazzi, con le armi gentilizie di casa Sperelli
nell’ornato (che) coprivano le pareti, limitati alla parte
superiore e alla parte inferiore da strisce in guisa di fregi
su cui erano ricamate istorie della vita di Maria Vergine e
gesta di martiri, apostoli e profeti”.
Riproporre oggi una esposizione di arazzi
contemporanei negli spazi della casa di D’Annunzio è
quindi, innanzitutto, un omaggio all’amore del Vate per
quest’arte applicata, testimoniato anche dal frammento di
un antico panno con “Lot e le figlie” esposto al Vittoriale
a Gardone, sua residenza dal 1921 fino alla morte nel
1938, oltre che dalla descrizione di arazzi in vari passi
del suo più noto romanzo, pubblicato nel 1889.
da affiancare ad altre esperienze produttive nazionali
quale quelle di Scassa ad Asti e degli Eroli a Roma,
ad una manifattura in funzione dal 1936 al 1961 nel
centro lombardo di Esino Lario (Como), e alla breve e
poco nota esperienza dell’officina fiorentina nata grazie
al mecenatismo del conte Nicola Marcelli, in attività
solamente alla metà degli anni ’10.
Il centro abruzzese è stato attivo con continuità dal
1965 al 1991 in una sua prima sede “storica”; nel 1992 è
stato ospitato nell’ambito della cooperativa COGECSTRE,
presso il Laboratorio Oasi in pieno centro a Penne,
espressamente per terminare alcuni arazzi su modello di
Afro. Si segnala poi una breve ripresa dell’attività nel 1997,
attestata dal panno di Mario Costantini che qui si espone.
Oggi il centro non è più operativo, ma si
segnalano alcuni tentativi alquanto recenti, purtroppo
falliti, di riprendere l’attività, fra tutti il progetto di un
panno su disegno dell’artista di origini pescaresi Pietro
Cascella del quale rimangono testimonianze fotografiche
nei documenti dell’arazzeria.
La selezione di arazzi contemporanei, proposti
nella mostra, intende valorizzare la produzione abruzzese.
Tutti gli esemplari sono stati tessuti dalla manifattura
di Penne, un laboratorio di eccellenza nella regione e
uno dei rari opifici operanti nel secolo scorso in Italia,
Pietro Cascella
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La
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manifattura è nata nel 1963 con il nome di
“Arazzeria Pennese” recuperando l’esperienza
e il patrimonio consolidato di conoscenze
e tecnica maturato nella sezione di tessitura del locale
Istituto Statale d’arte Mario dei Fiori, presso il quale
insegnavano i due fondatori, Fernando Di Nicola e Nicola
Tonelli. Il primo, recentemente scomparso, è stato anche
il presidente e direttore artistico del consorzio mentre il
secondo si occupava specificamente degli aspetti logistici
e organizzativi, quali la messa a telaio degli orditi, la
scelta dei materiali all’ingrosso, la pratica della tessitura,
la campionatura con l’approntamento delle “mazzette”,
cioè delle nuances coloristiche richieste dai modelli; la
manifattura infatti non aveva un proprio reparto di tintoria
e le tonalità erano ottenute unendo più fili e dosandoli
nelle combinazioni per rendere fedelmente le campiture
vibranti e simili al modello dipinto.
Nel momento della massima espansione l’attività
ha potuto contare su cinque tessitrici stabili, scelte
fra le migliori ex allieve della scuola, che lavoravano
sempre in coppia, su telai a basso liccio, cioè orizzontali
disegnati e realizzati su progetto dei fondatori. Questa
modalità di lavorazione, consentendo di adoperare
entrambe le mani, permette di procedere con maggiore
rapidità rispetto al telaio ad alto liccio. I cartoni - delle
dimensioni dell’arazzo finito - erano elaborati tramite un
ingrandimento fotografico sulla base dei bozzetti forniti
dagli artisti; posti sotto l’ordito dell’arazzo da realizzare
non erano, come da tradizione, tagliati a strisce ma
venivano arrotolati su un subbio ulteriore del telaio man
mano che si tesseva, rimanendo perciò integri.
Le opere licenziate nel tempo dall’arazzeria
pennese sono conservate in collezioni private, presso
fondazioni e raccolte di istituti di credito e anche in
edifici pubblici; nel corso degli anni hanno ricevuto
apprezzamenti e premi in Italia e all’estero per la loro
alta e raffinata qualità.
E’ allo studio un progetto di mappatura e
documentazione, almeno fotografica, di tutti gli arazzi
eseguiti all’interno dell’arazzeria, che culminerà nella
pubblicazione di un catalogo ragionato.
Nella sale espositive a piano terra della Casa
natale di Gabriele D’Annunzio, in Corso Manthonè,
viene esposta una dozzina di pannelli tessili progettati da
artisti diversi e tessuti dalla nostra manifattura: si tratta
di un nucleo non molto ampio ma differenziato di opere
che vuole dare un’idea delle varie ispirazioni, proposte
ed esperienze confluite nelle ricerche dell’arazzeria
contemporanea.
Gli arazzi in mostra non esauriscono il ventaglio
degli artisti che hanno fornito modelli per la manifattura
pennese, tra i quali segnaliamo i nomi davvero notevoli
di Enrico Accatino (una sua opera “Arazzo absidale”
di cm 300x700 è stata distrutta in un incendio nel
1987, nella chiesa di San Luigi Gonzaga a Roma),
Marcello Avenali, Afro Basaldella, Diana Baylon,
Alexander Calder, Giuseppe Capogrossi, Le Corbusier
(pseudonimo di Charles-Edouard Jeanneret-Gris),
Antonio Paradiso.
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La mostra
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Il
percorso espositivo accoglie nella prima sala
tre arazzi emblematici dell’attività dell’arazzeria,
molto diversi per gusto e taglio, i quali aprono
e chiudono la parabola della produzione. Si devono
peraltro a maestri che hanno collaborato, a vario titolo e
con modalità e tempi diversi, con i laboratori di Penne.
Il tentativo di riannodare il filo con la tradizione emerge
in un insolito pannello figurativo dal titolo “La caccia
al cinghiale” (cm 106x250 circa) di Nicola Tonelli
(Foto 1). L’andamento orizzontale sottolinea l’aspetto
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narrativo dell’opera, giocata sulla simmetria rispetto al
trofeo venatorio. L’opera, per il suo soggetto, si rifà a
una gloriosa tradizione che attraversa tutta l’arte secolare
dei panni istoriati dal XV al XVIII secolo (“Cacce
del Devonshire”, “Cacce di Massimiliano”, “Cacce”
fiorentine da cartoni dello Stradano, “Cacce” da cartoni
di Rubens e Snyders, “Cacce di Luigi XV”) e suscita
una profonda riflessione su cosa sia potuta diventare
l’arazzeria, sulle diversità anche delle dimensioni delle
opere prodotte rispetto al passato, sulla sua attualità…
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1_Nicola Tonelli_“La caccia al cinghiale”_cm 106x250
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el tutto diverso è l’approccio evidenziato da
un’opera di Primo Conti, “Giochi sulla verticale”
volgarmente detto “Arlecchino”, del 1979 (Foto 2);
una figura disarticolata e decontestualizzata, spersa nella
sua fragilità lineare contro uno sfondo anonimo, che
sottolinea l’inconsistenza del personaggio, metafora
della condizione umana.
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2_Primo Conti_1979
“Giochi sulla verticale” (volgarmente detto “Arlecchino”)_cm 232x132
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icino a loro una piccola opera del 1998, ultimo
arazzo tessuto dalla manifattura, su disegno di
Mario Costantini, artista pennese che in una fase
della sua ricca vita artistica si è interessato ai grafismi
dei segni: il titolo “Tra il geometrico e l’organico”
(cm 150x100) fa riferimento a una linea materializzata
e solidificata, esaltata dal contrasto con il fondo chiaro
(Foto 3); l’arazzo può risultare quasi freddo e bloccato,
specie se confrontato con altre opere, come il “grido”
di Brindisi nell’ultima sala, ma l’esposizione congiunta
vuole evidenziare le varie potenzialità del linguaggio
tessile, nel quale convivono assimilazioni e contrasti.
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3_Mario Costantini_1998
“Tra il geometrico e l’organico” _cm 150x100
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ella seconda sala si è scelto di esporre alcuni
arazzi copiati da prototipi di Giacomo Balla,
il celebre pittore futurista. Si tratta di ben
quattro rispetto ai sei panni che furono realizzati dalla
manifattura di Penne dal 1971 al 1975, per volontà di
Elica e Luce, figlie dell’artista, che a tal fine misero a
disposizione alcuni modelli paterni. Nell’iniziativa
ebbe un ruolo fondamentale l’azienda di arredamento
pescarese Coen&Pieroni che ancora possiede alcune
opere e le fece pubblicare nel 1975, in un catalogo a cura
di Enrico Crispolti. I pannelli sono stati inizialmente
pensati per essere realizzati in dieci copie per soggetto
e come manufatti esplicitamente creati dall’arazzeria
pennese su invenzioni del maestro attraverso “un
processo di interpretazione che tende volutamente ad
una fedeltà di lettura del modello; [sottoposto] tuttavia
[ad] una interpretazione e una reinvenzione, giacché
l’oggetto prodotto è evidentemente qualcosa proprio in
senso materiologico, diverso dal modello stesso”.
Gli arazzi erano importanti elementi dell’ambientazione
futurista, oggetti artistici d’arredamento che Balla
aveva utilizzato nella sua carriera per lo meno dal 1925,
producendo dipinti eseguiti su tela ad arazzo che, esposti
in una sua mostra a Parigi, incontrarono un grande
successo.
“Linea-forza del pugno di B o c c i o n i ”
(cm 176x110) (Foto 4) è un arazzo a soli quattro colori,
derivato da un modello originale di Balla che riprende,
con uno schema grafico-strutturale totalmente astratto,
il particolare di una scultura realizzata nel 1915 dove un
giovane sferra un pugno al “passatismo barbuto”. Nelle
successive elaborazioni i grafismi si fanno struttura e ne
esaltano il dinamismo, pur nella dimensione decorativa
dell’arazzo che comunque, già dal titolo, rimanda
all’estetica futurista e ne prende spunto; in basso a
sinistra è “firmato” “FUTURBALLA”. L’esito finale è di
grande equilibrio e coerenza stilistica, pur nella estrema
semplificazione (dallo stesso modello è stato tratto anche
un francobollo, nel 2003).
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4_Giacomo Balla
“Linea-forza del pugno di Boccioni” _cm 110x176
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li altri tre panni di Balla, anche se con diverse
caratteristiche, sono più figurativi, ma connotati
da un deciso decorativismo.
L’elegante pannello “I Cipressi di Coturniano”
(cm 231x156) (Foto 5) fa riferimento ad un paesino vicino
a Siena dove l’artista aveva soggiornato. Tecnicamente si
impone all’attenzione per la sua finezza: le dimensioni e
l’accentuato valore decorativo sono memori di scelte estetiche
ancora legate all’art decò così come la gamma cromatica,
insolita, che per alcuni stilemi, ne fanno un’opera quasi
simbolista. L’arazzo, da un modello originale dell’artista,
è stato realizzato con ventitré nuances coloristiche, in
lana ritorta, e testimonia dell’attenzione di Balla verso
il soggetto dei cipressi, documentato già dai primi anni
Venti. Nella parte centrale si realizza una “compenetrazione
iridescente”, un vero e proprio studio sulla luce e sui suoi
effetti che interessarono l’artista negli anni del suo pieno
impegno futurista, dal 1912 al 1914. Sintetizzato in uno
schema geometrico a triangoli colorati che si compenetrano,
l’effetto della luce fra gli alberi si coglie nella parte superiore
e sfuma invece nel controluce dei tronchi, per diventare
piatta superficie scandita solo dal nervoso segno grafico che
movimenta e separa i due colori acidi sul primo piano, un
vero “tappeto di foglie”. In basso al centro, sulla bordura,
l’opera è firmata “BALLA”. La realizzazione a telaio fu
piuttosto complessa, come ancora ricordano le tessitrici le
quali, su richiesta della committenza, dovettero smontare
buona parte della zona inferiore al centro, la cui prima
realizzazione non era stata totalmente soddisfacente.
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5_Giacomo Balla
“I Cipressi di Coturniano”_cm 201x148
“
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Linee-forza di mare” (cm 148x201) (Foto 6) è tratto da
un modello originale a tempera su carta relativo
alla sola metà destra, del 1919, anno in cui, in
vacanza a Viareggio, Balla osserva a fondo il mare e i
suoi flutti; è il primo dei sei arazzi dell’artista realizzati
dalla manifattura pennese, con trama in lana ritorta, a
soli sei colori, eseguito in due redazioni. Nel 2009 è
passata in vendita da Christie’s una tempera su cartone
“Linee di forza: velmare” del 1919-25 che, senza
l’elemento centrale, è molto vicina alla composizione
del nostro pannello. E’ un arazzo solo apparentemente
figurativo, che in realtà declina la suggestione concreta
del mare e del cielo e delle correnti d’aria e d’acqua
in una immagine di puro gioco di forme regolari e
definite, linee curve, simmetriche, aperte e fluttuanti.
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6_Giacomo Balla_“Linee-forza di mare”_cm 148x201
Il
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quarto pannello, dal titolo “Terracina”
(cm177x98) (Foto 7), arazzo a 17 colori, in lana
ritorta, origina da una tempera su carta relativa
alla metà sinistra della composizione, databile all’inizio
degli anni Trenta. Il tema viene studiato dall’inizio degli
anni ’20 e, nei suoi sviluppi successivi, mostra un luogo
“reale”, di mare, però trasfigurato e reso in forma naif, in
una atmosfera quasi metafisica. Tinte squillanti vengono
accostate e armonizzate; l’artificio di guardare la natura
in ciò che essa ha di puro e di intimo, la freschezza dei
colori, il mare colto da un davanzale e scandagliato
nelle luci, negli edifici semplificati e tutti uguali che si
affacciano sulla costa, nelle vele iridescenti con sguardo
sintetico permangono anche nella traduzione tessile.
All’orizzonte, stilizzato, l’inconfondibile profilo del
promontorio del Circeo e una “infantilità” di fondo che
muove l’aria.
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7_Giacomo Balla_“Terracina”_cm 98x177
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ccanto agli arazzi desunti dai modelli di
Giacomo Balla è un omaggio a Fernando Di
Nicola (1933-2007) che questi panni volle
mettere in produzione a Penne, catturandone lo spirito.
Il maestro ha creato il modello di “Volo” (cm 147x99)
(Foto 8) come una piccola composizione ancora futurista
negli esiti, ma nata dalla sintesi fra una gestualità libera e
un rigoroso equilibrio: è oggi proprietà della Maison Brioni
- come un altro Brindisi, “La famiglia”, un’opera di Diana
Baylon, “Motivo astratto”, e un panno di Mario Costantini
- che normalmente la espone nella propria sede di Penne.
Il Volo è un’opera costruita su linee che si dilatano e si
amplificano come i cerchi di un sasso lanciato nell’acqua o
appunto, come uno stormo di uccelli scomposto e ricomposto
in volo. Si intona bene, nell’economia della mostra, con i
panni di Balla dei quali, palesemente, risente l’eco.
La terza sala della mostra è interamente dedicata
ad Afro Basaldella, e alle sue magistrali creazioni.
E’ esposto in mostra il primo arazzo tessuto dalla
manifattura come “prova” per l’affidamento di due grandi
panni commissionati dalla Biblioteca Nazionale Centrale di
Roma a tutt’oggi visibili nelle sale, quel “Senza titolo” del
1968 (Foto 9) che è diventato l’icona/simbolo dell’arazzeria
stessa. Si tratta di un’opera “tradotta” in arazzo da un
dipinto dell’artista, il quale, appassionato sperimentatore,
affermava che “se una cosa funziona, allora funziona con
qualsiasi tecnica”. La composizione, ancora molto gestuale
e “immediata”, è tradotta sapientemente dalle arazziere
e, rispetto alle opere successive (fatta eccezione per
“I cipressi” di Balla che presenta le stesse caratteristiche
tecniche) è tessuta con una orditura più fine che consente
una resa dettagliatissima dei segni e, soprattutto, dei
sottilissimi passaggi coloristici.
8_Fernando Di Nicola_“Volo”_cm 199x47
9_Afro Basaldella_1968_“Senza Titolo” Particolare
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9_Afro Basaldella_1968_“Senza Titolo”_cm 150x220
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i prosegue con altre due opere da Afro del 1973
e del 1975 tratte direttamente da suoi dipinti,
dal linguaggio forte, astratto, poco gestuale, con
titoli suggestivi ed evocativi della realtà: “La chiave”
(cm 209x170), a 14 colori (Foto 10) e “La forcola” (lo
scalmo a forcella delle imbarcazioni, tipiche nelle valli da
pesca di Veneto e Friuli Venezia Giulia, nelle quali si rema
in piedi) cm 182x224, arazzo a dieci colori (Foto 11): qui
le geometrie chiuse e compatte, le ampie, piatte superfici
si accordano in un grande equilibrio e si armonizzano in
una scalatura morbida di marroni bruciati, gialli carichi,
rossi intensi dove il colore è anche forma.
10_Afro Basaldella_“La chiave”_cm 170x209
11_Afro Basaldella_“La forcola”_cm 182x224
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li arazzi sono esposti accanto a un pannello
“espressionista” con chiari intenti informali
degli anni ‘70 “Figura” (cm 150x100 circa)
(Foto 12), giocato su una minima gamma di nuances ma
di grande impatto visivo, coloristico ed emotivo, tratto
da Remo Brindisi, pittore verista del Novecento Italiano,
che ha frequentato la Scuola d’Arte di Penne, dove il
padre Giuseppe insegnava scultura in legno: diversi
arazzi sono stati realizzati dalla manifattura sulla base di
suoi modelli.
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12_Remo Brindisi_“Figura”_cm 150x100
A corredo della mostra sono esposte, accanto a
materiale documentario, le immagini di opere eseguite
dall’arazzeria da dipinti di Alexander Calder, Giuseppe
Capogrossi (di proprietà della BNL di Pescara), Diana
Baylon e Le Corbusier. Inoltre viene proiettato un
estratto del video-documentario “Fili d’arte. Visita
all’arazzeria pennese” girato dalla RAI nel 1982 su Penne
e la manifattura, il quale mostra dal vivo la quotidianità
dell’attività nei momenti più salienti.
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“Soggetti, dimensioni e materiali
sono cambiati nei secoli, ma l’antica
tecnica della tessitura ad arazzo che
intreccia orditi e trame è sempre la
stessa…. “
Scorcio Arazzeria pennese
Note sull’attività del laboratorio
Le notizie che seguono sono state raccolte direttamente dai
ricordi delle tessitrici e costituiscono una testimonianza
e un piccolo omaggio a quanti hanno materialmente
eseguito gli arazzi.
Dal punto di vista tecnico, fatta eccezione per “Senza titolo”
del 1968 e “I cipressi” - di intreccio molto più fine - tutti gli
altri panni presentano una matericità accentuata, sottolineata
dalla naturale cannellatura data dagli orditi, in numero di 4/5
per centimetro.
La trama, sempre in lana, ha il compito di rendere gli effetti
cromatici voluti dagli artisti. E vi riesce benissimo, grazie
all’abilità delle tessitrici guidate spesso, oltre che dai tecnici,
dagli stessi pittori. E’ ancora vivo il ricordo di come Capogrossi
e Afro in particolare fossero molto presenti, interessati e
coinvolti nelle varie fasi della traduzione tessile.
La signora Elvira Ridolfi lavorava sempre con Giuditta
Tartaglia, moglie di Nicola Tonelli, la tessitrice che
rappresenta l’elemento di continuità di tutta l’attività della
manifattura; ne “I cipressi” con la coppia Ridolfi/Tartaglia
ebbe a lavorare, al centro, per un periodo limitato, anche
Lina D’Addazio. Hanno operato per anni anche le cugine
Anna e Maria di Martino, la seconda coppia storica, del
gruppo pennese.
Una caratteristica organizzativa era che tutti lavoravano
alla pari, senza gerarchie. Nel 1991 rimane la sola signora
Giuditta; le nuove ragazze erano reclutate a scuola; “Il volo”,
ad esempio è stato tessuto dalla signora Lolita, nuora di
Fernando Di Nicola, insieme ad altre due ragazze.
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Nessuna parte di questo quaderno può essere riprodotta o trasmessa
in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico
o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti.
Tutti i diritti riservati.
Finito di stampare nel mese di luglio 2011
da Poligrafica Mancini