Il Flash Trading Il mondo scopre la potenza dei FLASH TRADING

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Il Flash Trading Il mondo scopre la potenza dei FLASH TRADING
Il Flash Trading
Il mondo scopre la potenza dei FLASH TRADING
Maggio è il mese che tipicamente suggerisce agli investitori di liquidare le proprie posizioni sul mercato
azionario, rimanendo fedeli al vecchio adagio del “Sell in May and go away…” .
Le difficoltà della Grecia nel rispettare i propri impegni con il mercato obbligazionario non sono più
trascurabili e nonostante nei mesi precedenti si fosse più volte detto tutto ed il contrario di tutto, appare
ormai chiaro che senza un salvataggio congiunto di UE e FMI il default dello Stato Ellenico sarà inevitabile.
Ed infatti i rendimenti richiesti per il collocamento delle nuove emissioni salgono costantemente da tempo,
ma proprio con i primi mesi di maggio, l’ascesa diventa violenta e nuovi massimi assoluti per le scadenze
entro i 24 mesi vengono testati e superati quotidianamente.
In un clima tanto convulso si comincia a temere che il rischio non sia solo Greco e così l’acronimo coniato
qualche mese prima dal proverbiale humor anglosassone (PIGS , cioè Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna),
torna a farsi largo nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
5 Paesi e 5 rischi sovrani che gli operatori decidono di non voler più acquistare o meglio che pretendono di
acquistare a rendimenti ben superiori rispetto a quanto erano disposto a fare solo pochi mesi prima.
Il 6 Maggio i mercati dimostrano sin dalle prime battute che non sarà una giornata normale.
Tokio chiude con una perdita del 3.23%, mentre in Europa i principali listini aprono in flessione di oltre due
punti percentuali.
L’euro, da tempo sotto pressione apre sotto la soglia di 1,28 contro usd, segnando nuovi minimi dall’aprile
2009, quando il mondo intero stava cominciando a risollevarsi dalla bufera dei mutui sub-prime.
L’oro scambia a 1200 usd l’oncia eguagliando il record storico toccato solo una volta in precedenza a cavallo
dei mesi di novembre e dicembre 2009, mentre BUND e TNote scambiano entrambi sui
massimi,
evidenziano una ricerca spasmodica di tutti gli investitori di porti sicuri dove parcheggiare il denaro in attesa
che giunga una tempesta simile se non peggiore, a quella vissuta tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009..
In un clima così concitato e con un tempismo che ha creato più di qualche sospetto, l’agenzia di rating
Moody’s decide di comunicare al mercato che il settore bancario di Grecia, Spagna, Portogallo ed Irlanda
non è diverso da quello di Italia e Gran Bretagna e che il rischio contagio a questi due Paesi è tutt’altro che
lontano dal realizzarsi.
E’ il panico, gli operatori si accaniscono pervicacemente contro i titoli di debito degli Stati ritenuti a rischio,
facendo crollare i prezzi dei Bonds e comportando un aumento impressionante dei rendimenti, al punto che
verso le 14H, Bankitalia è costretta ad emettere un comunicato ufficiale nel quale dichiara che il Sistema
Bancario Italiano è tra i più solidi d’Europa e che non vi è alcun motivo di temere che sia quest’ultimo che il
debito Governativo Nazionale, possano rappresentare un rischio di insolvenza per gli investitori.
Parole che purtroppo cadono nel vuoto e le vendite proseguono minacciose su tutti i mercati.
Anche New York accusa il colpo.
I futures preannunciano un’apertura in lettera che si concretizza alle 15.30h con i principali listini di NY in
linea con le flessioni registrate nel Vecchio Continente.
La situazione rimane stabile per buona parte della seduta, quando alle 20.46h l’indice Dow-Jones
improvvisamente viene colpito da una raffica di vendite, arrivando a registrare una perdita di quasi 1000
punti (-9.18%) in soli 5 minuti, salvo poi riuscire a recuperare nei minuti immediatamente successivi più della
metà del terreno perso.
In sostanza tra le 20.46 e le 20.55, l’indice DJ Industrial ha registrato un’oscillazione complessiva di oltre
1300 punti, evidenziando una volatilità intraday spaventosa e mai registrata in precedenza, neanche nel
lontano 1998 ai tempi del fallimento del Fondo LTCM o rispetto al più recente settembre 2008, quando a
fallire fu Lehman Brothers.
Cos’era successo?
L’indice fu rivolto immediatamente rivolte verso un operatore di Citibank, ritenuto colpevole di aver
commesso un errore di battitura.
Digitando “b” al posto di “m”, avrebbe infatti immesso un ordine di vendita sul mercato 100 volte più grande
di quanto desiderato e così, invece che vendere 30 Milioni di usd…sarebbero stati immessi ordini per 30
miliardi di usd.
Un elemento che, sempre stando alle notizie che in maniera frammentata sono state confermate e poi
smentite più volte, avrebbe portato l’indice al di sotto di livelli grafici rotti i quali i sistemi di trading automatici
erano impostati per operare quello che tecnicamente viene chiamato “Stop&Reverse”, operat6ività tipica dei
sistemi Trend Follower che comporta la chiusura della posizione originaria e la coincidente apertura di
un’altra posizione di segno opposto.
Il 6 maggio quindi, il mondo ha fatto ufficialmente la conoscenza con gli HFT, acronimo che sta per High
Frequency Trading, o meglio ha saggiato con mano l’effetto dirompente che questi strumenti possono avere.
I sistemi di trading ad alta frequenza, noti agli addetti ai lavori dai primi anni novanta, hanno guadagnato
rispetto e stima tra gli operatori istituzionali che ne hanno saputo apprezzare l’efficacia finanziaria e
‘incredibile capacità di redditività che .. ignorando completamente i rischi potenziali che via via andavano
aumentando tanto più le sofisticazioni di questi strumenti e i volumi trattati, diventavano maggiori.
Ma cosa sono nel dettaglio gli HFT.
Gli HFT sono trading system ad alta frequenza, vale a dire programmi (o meglio algoritmi) che vengono
processati su megacomputer appositamente costruiti ed in grado di eseguire miliardi di calcoli al minuto che
si trasformano in una capacità esecutiva attualmente in grado di produrre ordini ogni 3 millisecondi.
Quindi non c’è alcun operatore dietro le scelte operative di queste macchine, ma semplicemente un
sistemista o un matematico che una volta definito l’algoritmo, lascia che sia la macchina ad analizzare,
selezionare ed infine eseguire gli ordini sul mercato, sulla base delle istruzioni precedentemente impartite.
Per meglio rendere l’idea di quanto grande sia la quantità di operazioni che questi sistemi sono in grado di
generare, basti pensare che un essere umano, per un semplice click sul mouse, necessita mediamente dai 9
ai 12 millisecondi, mentre nello stesso tempo, un HFT ha già eseguito 4 operazioni!!!!
L’efficienza potenziale è quindi evidente, tanto da aver generato nel 2009 oltre il 70% dei volumi complessivi
che mediamente vengono scambiati durante una giornata di borsa.
Le tipologie di algoritmo sono tra le più svariata ed ai più neanche immaginabili.
Esistono algoritmi capaci di processare prezzi, oscillatori ed indicatori, volatilità implicita o storica; i software
più sofisticati arrivano a fiutare la psicologia delle masse di investitori tradizionali o le logiche delle altre
macchine, nel tentativo di anticiparle o condizionarle a proprio favore.
Molti di questi seguono il meccanismo del NBBO, vale a dire il National Best Bid or Offer, ossia la migliore
offerta disponibile per un soggetto che non è un market maker.
E’ partendo da questo principio che agiscono gli algoritmo predatore, tra i sistemi più sofisticati e di difficile
gestione nel caso in cui le cose non vadano come atteso. Quando la macchina individua che un altro
algoritmo sta immettendo una serie di ordini di acquisto può rapidamente inserirsi e immettere ordini di
acquisto a prezzi sempre più alti (quindi facendo salire la quotazione), per poi vendere allo scoperto (ossia
vendere azioni che non si possiedono in attesa che il prezzo crolli per riacquistarle a un prezzo più basso).
Per questo genere di strumenti la parola d’ordine è liquidità.
Inizialmente la maggior parte degli algoritmi furono sviluppati per gli acquirenti al fine di ridurre i costi di
transazione, ma recentemente questi sistemi sono stati messi al servizio del “High frequency trading” attività
tipicamente assunta dagli Investitori Istituzionali (Banche, Fondi Pensione, Hedge Fund…), molti dei quali
assumono il ruolo di Market Maker.
La diffusione di questi strumenti ha permesso quindi di migliorare in termini assoluti i ritorni dal trading
operativo dei principali Players Finanziari, ma hanno anche aumentato la liquidità disponibile sui mercati che
in condizioni normali permette di ottimizzare l’efficienza delle esecuzioni dei prezzi, riducendo lo spread tra
domanda ed offerta.
Ma ad ottenere immediati vantaggi sono state anche le Società proprietarie dei mercati su cui avvengono
quotidianamente le negoziazioni. Le borse infatti riescono a guadagnare in diversi modi. Il primo è la
commissione che incassano da chiunque provvede a sottrarre liquidità alla borsa, ossia qualunque soggetto
recepisca un’offerta di acquisto o di vendita in quella piazza. Inoltre, esse vendono l’informazione relativa
alle azioni scambiate e al loro prezzo di riferimento. Di conseguenza, più rapida è la variazione del prezzo
delle azioni e più diventa importante averne l’informazione. C’è anche da dire che le borse provvedono a
cedere la possibilità di stare fisicamente nella borsa stessa in cambio di un corrispettivo, quando si tratta di
una persona fisica o di un affitto quando si tratta del server di un determinato istituto finanziario.
Questo aspetto che può in apparenza sembrare marginale, ha invece un ruolo determinante quando l’ordine
di grandezza temporale è di millisecondi.
A dimostrazione di quanto appena scritto la vicenda tutta Italiana che ha visto contrapporsi la Holding Borsa
Italiana - London Stock Exchange (LSE) agli Algorithmic Traders di Italiani.
La fusione delle due piazze borsistiche ha comportato la necessità di uniformare le procedure di
negoziazione, meccanismo perseguibile solo se entrambi i mercati avessero operato sulla stessa
piattaforma.
E’ così successo che tutti i mercati italiani siano stati progressivamente spostati su TradeElect, la piattaforma
di Trading utilizzata da Londra e Johannesburg, creando non pochi problemi ai fruitori di HFT italiani.
L’impulso elettrico impiegando un certo lasso di tempo per coprire lo spazio che separa l’Italia da Londra
(parliamo di frazioni di millisecondi), ha cominciato a comportare un ritardo di esecuzione dei sistemi
nazionali rispetto a quelli Londinesi, penalizzando oggettivamente i nostri operatori che hanno chiesto
all’LSE la possibilità di affittare dei locali all’interno la struttura di Londra per installare i propri server e
colmare in questo modo il gap temporale che si sono trovati ad affrontare improvvisamente.
LE CONSEGUENZE
Il primo effetto di questa nevrotica operatività sul filo del millisecondo è un esponenziale incremento della
volatilità che a sua volta è motivo di una sostanziale crescita del valore delle informazioni che una Borsa
vende e, inoltre, fa salire il prezzo delle opzioni cosa che, a sua volta, comporta il fatto che tutti gli operatori
soliti ad utilizzare questi strumenti ai fini di copertura, debbano pagare un prezzo più alto per assicurarsi
l’equilibrio delle proprie posizioni.
E’ per questo motivo che il furto della “scatola nera” delle macchine di Goldmann Sachs ad opera di uno dei
principali creatori di questa intelligenza artificiale, ha avuto un’eco tanto grande.
Capire cosa governa le scelte di quello che viene considerato il sistema di trading più grande ed efficiente al
mondo ha un’importanza vitale per i concorrenti di Goldmann.
Basti pensare che nel 2009 secondo alcune indiscrezioni, questa macchina è stata in grado di generare
profitti per oltre 10 miliardi di dollari, denaro che nel primo trimestre del 2010 ha subito un calo di oltre 20
punti percentuali, si pensa proprio a causa della violazione di questi codici.
Ma questo è solo uno degli aspetti distorsivi della normale negoziazione che l’utilizzo estremo di questi
strumenti è in grado di generare.
Un altro esempio può essere fatto narrando quanto accadde un giorno di tre anni fa alla Borsa di NEW
York.
Poco dopo l’ora di pranzo sui mercati cominciarono a registrarsi strani fenomeni, legati ad improvvisi
inserimenti monstre di ordini che tendevano a scomparire dopo pochi istanti.
La quantità di ordini inseriti era tale che il traffico in entrata da parte di migliaia di altre società che
abitualmente operavano sui mercati US, subì un brusco rallentamento arrivando a bloccare l’operatività di
alcuni di questi.
Nonostante la gravità dell‘accaduto, la notizia venne pubblicata solo qualche mese fa, quando il comitato
disciplinare della Borsa Statunitense, ha multato Credit Suisse per non aver saputo monitorare con la dovuta
accuratezza un algoritmo sviluppato e gestito dalla propria divisione Proprietary Trading, cioè l’ufficio che ha
il compito di speculare sui mercati finanziari di tutto il mondo utilizzando il denaro di proprietà della Banca.
Questo è solo un esempio di quello che un mal funzionamento di alcuni di questi algoritmi potrebbe
provocare sui mercati internazionali.
Ma se nel caso appena descritto l’effetto distorsivo non era stato ricercato, vi sono dall’altra parte una lunga
serie di fenomeni che proprio a causa del diffondersi di questo nuovo modo di negoziare sui mercati, ha
modificato irrimediabilmente la natura di alcune quotazioni.
In primo luogo e come già detto la volatilità intraday.
Da quando questi strumenti hanno il predominio nelle negoziazioni complessive, la volatilità intraday è
aumentata moltissimo raggiungendo picchi che hanno superato di dieci volte la media a cui ci si era abituati
negli ultimi 20 anni di mercato, quelli cioè che hanno abbandonato la borse delle “Grida” ed hanno
cominciato ad affidarsi a piattaforme elettroniche.
Inoltre se il settore ormai è dominato da una manciata di operatori in possesso di questa tecnologia, non è a
rischio l’integrità dei mercati, che per molto tempo hanno visto coabitare categorie di trader di diverso
genere?
Di fronte alla crescita del trading ad alta frequenza, la Sec ha lanciato una revisione generale delle strutture
di mercato, denunciando come l’elevata velocità e l’enorme traffico di messaggi dei sistemi di trading
automatizzato mettono a rischio l’integrità delle operazioni di compravendita .La Federal Reserve Bank di
Chicago, che fa parte del sistema delle Banche centrali Usa, in uno studio pubblicato di recente ha
considerato che l’ambiente di trading ad alta frequenza ha le potenzialità di generare errori e perdite in ritmi
e proporzioni di gran lunga superiori a quelli di una sala contrattazioni o di un trading condotto attraverso
monitor. «Errori nel trading algoritmico si sono già verificati, ma è ancora poco rispetto a quello che potrebbe
succedere».
I timori si concentrano soprattutto sull’esplosione quantitativa del traffico di messaggi – segnali elettronici che
contengono ordini d’acquisto e di vendita – e di dati, generato sui mercati non solo da trader ad alta
frequenza ma anche da altri operatori come i gestori patrimoniali e le banche, anch’essi grandi utilizzatori di
algoritmi.
Cosa fare dunque per cercare di difendersi da quella che molti operatori considerano la prossima vera bolla
finanziaria pronta ad esplodere?
Prima di tutto è necessario che le autorità in testa comprendano realmente quanto grave potrebbe essere
per il funzionamento non di un solo mercato, ma dell’intero sistema finanziario mondiale, un’eventuale crash
di sistema di uno o più di questi mostri informatici.
In secondo luogo, costringere gli operatori in HFT ad una mission di trasparenza, esattamente com’è stato
fatto per gli stress test delle principali Banche US ed Europee, impedendo la disdicevole abitudine di molti di
questi operatori, di inserire ordini nascosti nei books, elemento che più di ogni altro è in grado di
condizionare le oscillazioni dei prezzi delle attività finanziarie oggetto di trading.
Oltre a questo porre un limite alla frequenza di ordini per secondo, questo impedirebbe che un’eccessiva
estremizzazione dei potenziali eseguiti per unità di tempo, possa spingere gli ingegneri a commettere errori
le cui conseguenze sono difficili da prevedere.
In conclusione, che il futuro sia sempre più legato al mondo dell’automatismo (sia esso meccanico o
elettronico) è un’evidenza incontrovertibile.
Ma il rischio che la frenetica rincorsa al “profitto ad ogni costo”, possa trascinare tutto il sistema in una crisi
ben più grave di quella da cui stiamo ancora cercando di risollevarci è un rischio tangibile che le autorità non
possono assolutamente permettersi di ignorare.
Raffaele Paolone
Go-Spa consulting Srl