Vilfredo Pareto Corso di economia politica 1896-1897

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Vilfredo Pareto Corso di economia politica 1896-1897
Economia
Vilfredo Pareto
Corso di economia politica
1896-1897
PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO
Vilfredo Pareto è il più noto economista italiano, e la sua opera esercita ancora oggi una
grande influenza in diversi campi delle scienze sociali. Nell’imponente Corso d’economia
politica, oltre millecento pagine fittamente annotate, Pareto entra nel vivo della realtà
sociale con vaste incursioni nella sociologia e nella storia che mettono in mostra una vasta
erudizione. Successivamente criticherà questo proprio lavoro, ritenendolo troppo
impregnato di giudizi politici e di valore, e una decina d’anni dopo scriverà il più asettico
e “scientifico” Manuale di economia politica. In realtà proprio il forte coinvolgimento
dell’autore nelle passioni civili e politiche del suo tempo rende affascinante la lettura del
Cours. L’analisi distaccata dello scienziato è mischiata con le polemiche contro le
malefatte delle classi politiche, le manipolazioni della moneta, il protezionismo, i
monopoli, le spogliazioni legalizzate. Pareto credeva ancora di poter convertire gli uomini
del suo tempo appellandosi alla scienza e alla ragione: una speranza che lo abbandonerà
con il passare degli anni, quando il suo atteggiamento verso le vicende del mondo si farà
sempre più cinico e disincantato.
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PUNTI CHIAVE

Le azioni degli uomini presentano delle uniformità che costituiscono delle leggi
naturali

L’economia è una disciplina scientifica analoga alla meccanica razionale

L’ofelimità è la capacità delle cose di soddisfare un bisogno, legittimo o meno,
dell’uomo

Le leggi della domanda e dell’offerta portano a un equilibrio generale del sistema
economico

L’oro e l’argento sono moneta vera, la carta-moneta forzosa è moneta falsa

I governi causano molti danni alterando il valore della moneta

La libera concorrenza è sempre superiore al monopolio

Il commercio trasforma i beni nel tempo e nello spazio, ed è essenziale quanto la
produzione

Il protezionismo provoca sempre distruzione di ricchezze

Le curve delle ripartizioni dei redditi mostrano dappertutto e in ogni tempo un
andamento analogo

In tutti gli Stati c’è una classe dominante che spoglia la classe dominata
RIASSUNTO
L’equilibrio economico generale
Il Corso di economia politica è diviso in due tomi di proporzioni molto diverse. Il primo,
uscito nel 1896, riguarda i “Principi di politica economica pura”; il secondo, uscito l’anno
dopo, si intitola “Economia applicata”, ed è dieci volte più esteso del primo. È diviso a sua
volta in tre libri: il primo dedicato ai capitali, il secondo al funzionamento dell’organismo
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economico, il terzo alla ripartizione e al consumo della ricchezza. Il primo libro
presenta dunque le basi teoriche da applicare nel ben più corposo secondo libro.
L’economia, spiega Pareto, è una disciplina scientifica perché le azioni umane presentano
delle uniformità che devono considerarsi leggi di natura. Se si considerano gli uomini come
delle molecole spinte dalla ricerca della “ofelimità” (l’utilità individuale intesa in senso
soggettivo), si può edificare una scienza analoga alla meccanica razionale. In un sistema di
mercato i prezzi di ogni singolo bene sono collegati a quelli di qualunque altro bene
nell’intera economia, e il cambiamento di uno di questi prezzi influenza tutti gli altri. Un
sistema può dirsi in equilibrio, spiega Pareto, se il mutamento di una condizione del
sistema implica altri mutamenti che provocheranno un’azione esattamente opposta.
La teoria dell’equilibrio generale, analizzata per la prima volta dal predecessore di Pareto
alla cattedra di economia a Losanna, Leon Walras, spiega dunque il modo in cui
un’economia decentralizzata, composta da numerosi agenti indipendenti che agiscono
secondo il loro interesse, può realizzare un equilibrio su tutti i mercati, pur in assenza di
un organismo pianificatore centrale. Anche l’aumento o la diminuzione della popolazione
di un paese dipende da un equilibrio spontaneo legato alle variazioni delle condizioni
economiche complessive. Per questa ragione tutte le numerose leggi che, dall’impero
romano a oggi, hanno cercato di far crescere la popolazione non sono mai riuscite ad
aumentare il numero dei matrimoni e quello dei figli.
Moneta vera e moneta falsa
Tra i popoli civili l’oro o l’argento sono diventati moneta in seguito a una specie di
selezione naturale. Solo questa, per Pareto, è moneta vera. Tutto ciò che non è moneta
vera è moneta fiduciaria, come le banconote convertibili in oro, oppure moneta falsa, la
moneta cartacea a corso forzoso. La moneta fiduciaria è stata creata dall’iniziativa privata
per economizzare la circolazione metallica, ed è altrettanto sicura della moneta vera se
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può essere cambiata in qualsiasi momento con l’oro. Talvolta la moneta viene
alterata materialmente in maniera fraudolenta dai falsari privati. Questa forma di
falsificazione, tuttavia, non ha mai assunto un’importanza molto considerevole, e ai nostri
giorni la sua rilevanza è assolutamente insignificante. Immensamente più gravi sono le
falsificazioni “legalizzate” operate dai governi. Un tempo i governi falsificavano la moneta
alterandone il conio (ad esempio, l’economista Francesco Ferrara calcolò che in pochi anni
il governo di Carlo Emanuele II di Savoia riuscì, attraverso la coniazione delle monete, a
frodare i suoi sudditi di 24.000 chili d’argento); oggi vi riescono più facilmente attraverso
l’emissione di moneta falsa, cioè di carta-moneta a corso forzoso.
Purtroppo la storia delle monete buone è alquanto breve, mentre quella delle alterazioni
è molto più lunga. In genere i popoli più dediti al commercio, come gli abitanti di Atene,
Venezia, Firenze e delle città libere tedesche nel Medioevo, hanno meglio compreso il
vantaggio che si può ricavare astenendosi da pratiche disoneste di falsificazione delle
monete. Ai giorni nostri, ricorda Pareto, il governo svizzero ha dato un notevole esempio
di saggezza astenendosi dal coniar moneta, e l’Inghilterra fornisce uno degli esempi
migliori d’un buon sistema monetario. È in gran parte perché l’Inghilterra paga sempre in
moneta buona che Londra è diventata con buon profitto la piazza di liquidazione dei
mercati internazionali.
Purtroppo la tentazione di falsificare la moneta pare irresistibile. La maggior parte dei
governi abusa del diritto di monetazione e, così facendo, infligge alle popolazioni dei
grandi mali. Le vicende di John Law e degli assegnati francesi durante la Rivoluzione, scrive
Pareto, non furono altro che vaste frodi perpetrate dai governi per spogliare i propri
creditori. Ma chi trae vantaggio dall’emissione di moneta falsa da parte del governo?
Innanzitutto il governo stesso, che riesce in pratica a tassare di nascosto i lavoratori, dato
che i loro salari impiegano del tempo a seguire l’aumento dei prezzi. Per la stessa ragione
guadagnano anche quegli imprenditori che continuano a pagare ai propri dipendenti un
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salario fisso. Una terza categoria di avvantaggiati sono i debitori, che possono
ripagare i propri debiti con moneta svalutata.
Quali sono invece i mali che risultano dall’emissione di moneta falsa? Innanzitutto si
verifica, come si è visto, un danno per i lavoratori e per i creditori. Non meno importante
però è l’insicurezza che ne risulta per tutte le transazioni economiche, dato che un
creditore non sa più quanto riceverà in futuro, e deve quindi esigere un forte premio di
assicurazione. L’eccesso di carta-moneta provoca infine delle gravi perturbazioni
dell’ordine economico, amplificando le fluttuazioni del ciclo economico.
In definitiva, l’emissione di moneta falsa produce due specie di effetti: il primo è il
trasferimento della ricchezza da certe persone a certe altre; il secondo, che accompagna
necessariamente il primo, si traduce in una perdita secca di ricchezza, cioè in una
distruzione di beni economici. La facilità con la quale le persone preposte alla
“produzione” della moneta abusano della autorità loro affidata, se non sono impedite
dalla concorrenza, spinge Pareto ad appoggiare la proposta di Herbert Spencer, Gustave
de Molinari e Francesco Ferrara di lasciare il compito della monetazione alla libera
concorrenza. Non è un caso che nel grande commercio internazionale, dove il valore della
moneta non è imposto da un governo, gli affari si trattano in oro e si regolano sulla piazza
che ha la moneta migliore, Londra. Dove vige la concorrenza, conclude Pareto, la moneta
buona scaccia la cattiva.
La concorrenza e i monopoli
L’economia politica dimostra irrefutabilmente che, dal punto di vista del consumatore, la
libera concorrenza è di gran lunga superiore al monopolio legale. I socialisti sostengono
però che la libera concorrenza porta a sprechi e fallimenti, e che andrebbe pertanto
sostituita da una direzione economica unificata della società. In realtà, spiega
l’economista di Losanna, sono proprio le prove e gli errori della concorrenza che generano
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il progresso. Non esiste nessun criterio per valutare a priori il valore di
un’invenzione. Non si può dunque evitare la spesa di prove sfortunate se non si rinuncia,
nello stesso tempo, ai vantaggi che procurano le prove fortunate, cioè al progresso.
In verità enormi sprechi si verificano nel settore statale proprio a causa della mancanza di
concorrenza. I governi moderni sperperano somme considerevoli aumentando
costantemente il numero dei funzionari, i quali vengono spesso assunti grazie a
favoritismi, secondo considerazioni del tutto estranee al lavoro che devono svolgere.
Questi inconvenienti si trovano in tutti i paesi e in tutti i regimi. Si tratta di un male che, in
una certa misura, è una conseguenza necessaria della natura umana. Ma è chiaro che si
otterrà il massimo di utilità se si tenterà di circoscrivere gli effetti di questo male e non già
di aumentarli. Sono minori là dove, come in Inghilterra, il governo non interviene
nell’economia; son tanto più gravi quanto più fiorenti sono il protezionismo e il socialismo
di Stato.
L’autore del Cours riporta diversi casi di superiorità dei servizi privati in concorrenza
rispetto a quelli in monopolio pubblico o privato. Il servizio del trasporto pubblico a
Londra, lasciato alla libera concorrenza, è migliore che a Parigi, dove vige il monopolio di
un’unica compagnia ed è spesso difficile trovar posto negli omnibus. Anche le ferrovie
inglesi in concorrenza funzionano molto meglio di quelle francesi, tanto che i viaggiatori
in Inghilterra sono il triplo di quelli della Francia. In Italia le compagnie private del gas che
agiscono in libera concorrenza, come a Torino, lo fanno pagare meno della metà rispetto
ad altre città dove il servizio è gestito da un’unica compagnia. Un altro caso interessante
è quello dell’emissione monetaria, che in Scozia e negli Stati Uniti è lasciato alle banche
private in concorrenza tra loro (free-banking).
Pareto arriva a ipotizzare la superiorità della concorrenza anche in una funzione
tradizionalmente monopolizzata dallo Stato come la protezione dal crimine: «Questo
monopolio è soggetto alla legge generale, per cui, in tale regime, si pagano abbastanza
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cari prodotti di qualità inferiore. L’imperfezione, talora veramente straordinaria, della
polizia giudiziaria fa sì che restino ignoti gli autori di un gran numero di delitti e di crimini.
Negli Stati Uniti l’industria privata si sostituisce in parte al monopolio del governo ed
esistono agenzie private di polizia a cui rivolgersi quando si vogliono scoprire gli autori di
un crimine» (p. 704).
Libero commercio contro protezionismo
Il commercio trasforma i beni economici nello spazio e nel tempo, li suddivide e li
distribuisce ai diversi consumatori. Poiché qualsiasi merce per essere consumata deve
essere messa alla nostra portata, il commercio non è che una delle fasi di trasformazione
dei beni economici, non meno essenziale di quella in cui gli oggetti subiscono
modificazioni materiali, chiamata “produzione”. Solo i pregiudizi sociali dettati da
ignoranza o incomprensione possono far ritenere la produzione materiale dei beni più
degna e più importante della loro trasformazione nello spazio e nel tempo. Attraverso la
contrattazione e la speculazione, il commercio contribuisce inoltre alla determinazione
dell’equilibrio economico.
A livello internazionale il commercio è un mezzo indiretto di produzione. In un dato paese
si può produrre una merce direttamente, oppure indirettamente producendo un’altra
merce che si dà poi in cambio della prima. In Inghilterra, osserva l’autore del Cours, il vino
si fabbrica estraendo il carbone dalla terra. Ad ogni paese conviene dedicarsi alle
produzioni che sono per esso più vantaggiose e abbandonare quelle che lo sono meno. È
dunque assurdo dire che le importazioni dall’estero impediscono lo sviluppo della
produzione nazionale. In verità si limitano a spostarla, stimolando le produzioni più
convenienti e riducendo quelle che lo sono meno. Per questa ragione le misure
protezioniste che restringono le importazioni portano sempre a una distruzione della
ricchezza. Questa conclusione cui era giunta l’economia classica, scrive Pareto, è stata
interamente confermata dalle nuove teorie e dai dati in nostro possesso.
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Il commercio internazionale ha ricevuto infatti una grande spinta intorno al 1850, in
seguito all’abolizione delle tariffe protettive sul grano in Inghilterra nel 1846 e ai trattati
di commercio del 1860 in Francia. A tali misure liberali, scrive Pareto, l’Inghilterra e la
Francia vanno debitrici della loro mirabile prosperità nella seconda metà di questo secolo.
Grazie alla sua fedeltà ai principi dell’economia liberale l’Inghilterra continua a veder
aumentare la sua prosperità, mentre la Francia rischia di comprometterla con un ritorno
sulle orme protezionistiche. Anche in Italia le disposizioni liberali del trattato di
commercio del 1881 con la Francia fecero aumentare le esportazioni ed il totale del
commercio estero; quando nel 1887 il trattato non venne rinnovato l’effetto che ne seguì
fu esattamente l’inverso di quello precedentemente osservato.
In definitiva il protezionismo, che Pareto chiama “il socialismo dei capitalisti”, è una forma
di spogliazione esercitata da gruppi ristretti di produttori ai danni del pubblico. Anche il
socialismo mira ad adoperare, a favore dei lavoratori, lo stesso sistema protettivo che da
tempo immemorabile è stato adoperato a vantaggio dei proprietari fondiari e degli
imprenditori.
La costante disuguaglianza dei redditi
È divenuta celebre l’analisi empirica di Pareto sulla distribuzione sociale dei redditi. I dati
statistici raccolti dall’economista rivelano infatti un dato singolare: la curva di ripartizione
dei redditi varia poco, sia nello spazio che nel tempo, per tutti i popoli da cui è possibile
ottenere dati attendibili. Alto o basso che sia, il reddito totale si distribuisce sempre alla
stessa maniera fra i membri della collettività. A questa conclusione si giunge
immancabilmente indagando le statistiche di regimi economici tra loro diversissimi come
quelli dell’Inghilterra, dell’Irlanda, della Germania, delle città italiane e del regime
comunistico instaurato in Perù dai gesuiti.
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Da questi dati Pareto trae due importanti deduzioni: 1) questa ripartizione dei
redditi non può essere un effetto del caso; 2) per far aumentare il livello del reddito
minimo o diminuire la disuguaglianza dei redditi occorre che la ricchezza aumenti più
velocemente della popolazione. Il problema del miglioramento delle condizioni delle classi
povere è quindi anzitutto un problema di produzione della ricchezza. Dipende cioè dalla
crescita economica complessiva della società, non dalla redistribuzione statale. I vantaggi
che i poveri ottengono dalla tassazione della ricchezza dei ricchi, scrive Pareto, sono
insignificanti. Il socialismo di Stato è eminentemente utile agli uomini politici, ma i suoi
effetti economici si risolvono in uno sperpero di ricchezza ed in tal modo peggiorano, in
luogo di migliorare, le condizioni del popolo.
Comunque, un gran numero di osservazioni rivela che in generale il benessere della
popolazione è aumentato nei paesi civili. Questo è avvenuto perché «grazie alle scoperte
che sono state fatte nell’ambito delle scienze, delle arti, e dell’industria, la ricchezza ha
subito un aumento che è stato più considerevole e più rapido della distruzione operata
con la protezione doganale, i furti degli uomini politici e il socialismo di Stato» (p. 1002).
La fisiologia sociale della spogliazione
Il triste fenomeno della spogliazione, cioè la lotta che intraprendono certi individui per
appropriarsi con la forza della ricchezza prodotta da altri, è stata poco analizzata dagli
studiosi ma è il grande fatto che domina la storia dell’umanità. Tutti gli uomini infatti
cercano d’impossessarsi del governo per farne una macchina con cui spogliare gli altri. Da
questo punto di vista poco importa che la classe dominante sia un’oligarchia o una
plutocrazia o una democrazia. Si può dire soltanto che quanto più questa classe è
numerosa, tanto più intensi sono i mali che risultano dalla sua dominazione, perché una
classe numerosa consuma una quantità di ricchezza maggiore di quella che consuma una
classe più circoscritta.
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Purtroppo la spogliazione legale è estremamente difficile da contrastare, e procede
spesso indisturbata anche a causa dell’ignoranza o dell’ignavia degli spogliati. Una
proposta di legge che, in paese di trenta milioni di abitanti, assegni un milione di franchi a
trenta persone, difficilmente troverà resistenza tra i contribuenti, perché la perdita di un
euro è poco significativa. Al contrario coloro che sperano di guadagnare un milione non
avranno riposo giorno e notte, e assolderanno i migliori scrittori per perorare la loro causa.
Se trovano un pretesto più o meno plausibile, si può essere sicuri che la legge di spesa
passerà senza eccessivi ostacoli.
Quello che limita la spogliazione, spiega Pareto, è di rado la resistenza degli spogliati: sono
piuttosto le perdite ch’essa infligge a tutto il paese e che ricadono in parte sugli spogliatori:
«In tal modo costoro possono finire col perdere più di quanto guadagnano
dall’operazione. Allora se ne astengono, se sono abbastanza intelligenti da avvertir bene
le conseguenze ch’essa avrà. Ma, se manca loro questo buon senso, il paese marcerà
sempre più verso la rovina, come lo si è osservato per certe repubbliche dell’America del
Sud, per il Portogallo, per la Grecia moderna, ecc.» (p. 1070). La spogliazione, conclude
Pareto, è sempre esistita nelle società umane; si può sperare di ridurla in maniera
considerevole, ma non è sicuro che si possa mai riuscire a farla scomparire del tutto.
CITAZIONI RILEVANTI
Lo Stato per i socialisti.
«Se si leggono attentamente i loro scritti, ci si avvede però che, più o meno esplicitamente,
ammettono una certa entità metafisica che chiamano “Stato”, che possiede tutto il
potere, tutta la scienza, tutta la virtù. I socialisti del popolo sembrano distinguere
nettamente tale entità dagli uomini che la rappresentano, ché tanto vilipendono questi
ultimi quanto adorano la prima. Non hanno mai spiegato, del resto, come la semplice
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abolizione del diritto privato di proprietà possa bastare a rendere i futuri uomini di
Stato eminentemente superiori a quelli che oggi essi coprono di improperi» (p. 689-690).
Una profezia sul socialismo
«Se perverranno ad impadronirsi della macchina che fa le leggi, e se non muteranno il loro
modo attuale di considerare le cose, i socialisti instaureranno un regime che sarà il più
dispotico di tutti quelli che la storia ci fa conoscere» (p. 787).
L’insuccesso del socialismo di Stato romano.
«Lo Stato romano credeva di doversi soprattutto occupare di approvvigionare di alimenti
il popolo … Il tentativo fatto allora di organizzare la produzione e l’insuccesso completo a
cui tale tentativo approdò sono esempi che meritano tuttora di essere meditati. Non si
raggiunse il fine a cui si mirava, ma se ne conseguirono altri a cui non si mirava affatto.
Con gli oneri che vennero loro imposti, si rovinarono le province, i membri delle
corporazioni furono soggetti ad una dura servitù e, ciò nonostante, a Roma non si
evitarono affatto le carestie» (p. 797).
La spogliazione democratica
«Parecchi autori confondono due questioni assolutamente diverse: quella dell’esistenza
d’una classe dominante e quella del modo con cui se ne reclutano i membri. A questi
autori pare che, quando la classe dominata ha il diritto di scegliere secondo un certo modo
di elezione i suoi padroni, non ha più nulla da desiderare e deve reputarsi perfettamente
felice e fortunata. Non passa loro in mente che sarebbe forse più utile evitare qualsiasi
spogliazione anziché limitarsi a determinare a profitto di chi la spogliazione dovrà essere
esercitata» (p. 1073).
L’eccesso di funzionari statali consuma la ricchezza di un paese.
«Il reclutamento di una classe numerosa di funzionari diminuisce ulteriormente in
parecchi paesi il numero degli individui “scelti” che si occupano della produzione della
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ricchezza. Per il paese si ha veramente lucrum cessans e damnum emergens. Una
delle cause principali della ricchezza dell’Inghilterra e della Svizzera sta nel fatto che,
quanto meno fino ad ora, la classe degli uomini politici e quella dei funzionari sono ivi assai
limitate ed in tal modo non distolgono dalla produzione della ricchezza la maggior parte
delle forze vive del paese. Cause opposte operano nel senso di aumentare la miseria in
Spagna e in Italia» (p. 1077).
L’errore dei marxisti.
«Poiché le classi ricche hanno molto spesso spogliato le classi povere si è voluto
concluderne che il possesso dei capitali mobiliari e dei capitali fondiari costituisce la
“causa” della spogliazione e che solo il collettivismo potrebbe recar rimedio ai mali della
società. In simili ragionamenti vi è un errore radicale … Sta nell’attribuire al “capitale” o
alla “ricchezza” (risparmio) degli effetti, a cui tali cose sono estranee. Non è già il semplice
possesso del risparmio che pone certi uomini in grado di spogliarne altri; è l’uso ch’essi
fanno di tale risparmio, valendosene, ad esempio, per rendersi amici i poteri pubblici, in
luogo di trasformarle in “capitale” nel senso economico della espressione. Ben lungi dal
discorrere dell’“oppressione del capitale”, si deve quindi riconoscere che è precisamente
quando non si trasforma in capitale che il risparmio può essere usato in modo nocivo per
la società» (p. 1078-79).
La funzione sociale della libera concorrenza
«Solo la pressione della libera concorrenza costringe gli imprenditori ad assolvere la loro
funzione sociale. Gli imprenditori fanno però tutti gli sforzi possibili per sottrarsi a questa
pressione. Aborriscono le misure socialiste quando sono reclamate dagli operai, ma, a loro
volta, non hanno alcun ritegno di richiedere a proprio favore misure del tutto simili» (p.
1095).
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L’AUTORE
Vilfredo Pareto (1848-1923) nasce a il 15 luglio Parigi da padre italiano, ingegnere, e da
madre a francese. Negli anni ’50 si trasferisce a Genova. Anch’egli si laurea in ingegneria
e esercita questa professione per alcuni anni. Si appassiona di economia dopo aver fatto
la conoscenza con il maggior economista italiano di quegli anni, Maffeo Pantaleoni. Nel
1894 succede al famoso economista e matematico Leon Walras nella cattedra di
economia all’università di Losanna. Pienamente coinvolto nelle battaglie liberoscambiste
e contro il malgoverno politico, scrive numerosissimi articoli caustici e brillanti su giornali
e riviste. Il suo Corso di economia politica (1897) e il suo Manuale di economia politica
(1906) lo innalzano tra i primi economisti dell’epoca. Successivamente i suoi interessi si
spostano alla sociologia e allo studio delle azioni irrazionali e non logiche dell’uomo.
Pubblica anche Sistemi socialisti (1902), una critica comparata al socialismo in ogni sua
forma, e l’importante Trattato di sociologia generale (1916). Negli ultimi anni della sua
vita si farà sempre più cinico e disilluso. Non crede più nei lumi della ragione possano
migliorare i comportamenti spesso irrazionali e dominati dalla passione dell’uomo. Muore
il 19 agosto del 1923 a Ginevra, dopo aver dato il proprio sostegno all’avvento del
fascismo.
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NOTA BIBLIOGRAFICA
Vilfredo Pareto, Corso di economia politica, Il Sole-24 Ore, Milano, 2010, a cura di
Giuseppe Palomba, nota biografica e nota bibliografica a cura di Giovanni Busino, p. 1117,
ristampa dell’edizione Utet, Torino, 1975.
Titolo originale: Cours d’économie politique
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