Carmelo Saccà, Domenica Saccà Preziosa Nucera

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Carmelo Saccà, Domenica Saccà Preziosa Nucera
Carmelo Saccà, Domenica Saccà
Preziosa Nucera, Anna De Fazio
Mineralizzazioni in Calabria
Storia e attualità
Aracne editrice
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I edizione: gennaio 2017
Indice
5
Premessa
7
Capitolo I
Inquadramento storico delle attività minerarie
49
Capitolo II
Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
2.1. Provincia di Catanzaro, 49 – 2.2. Provincia di Cosenza, 59 – 2.3. Provincia di
Crotone, 74 – 2.4. Provincia di Reggio Calabria, 75 – 2.5. Provincia di Vibo Valentia, 93.
99
Capitolo III
Le mineralizzazioni in Calabria
107
Capitolo IV
Inquadramento geologico
4.1. Settore settentrionale, 112 – 4.1.1. Calabria: Unità della Sila, Castagna e Bagni, 112
– 4.2. Settore meridionale, 114 – 4.2.1. Calabria: Unità di Stilo, Aspromonte, Cardeto ed
Africo, 114.
119
Bibliografia
3
Premessa
L’attività estrattiva in Calabria, risalente secondo alcuni ritrovamenti archeologici
già all’età del bronzo, ha costituito una parte importante dell’economia e del
patrimonio culturale del Paese.
Tale regione ha rappresentato il punto di mediazione negli scambi tra l’Oriente
e l’area continentale. Da alcune testimonianze sembrerebbe addirittura che la
ricchezza mineraria della Calabria sia stata tale da contendere il primato alla Sicilia.
Plinio così la descrive: « per abbondanza di tutti i metalli essa, a nessuna altra terra
è inferiore ».
Una grande varietà di giacimenti, dislocati lungo l’intera regione sono stati
oggetto di coltivazione, solo in parte documentata da fonti storiche.
Il rame, il piombo, il ferro e lo stagno sono stati gli elementi base per la
metallurgia antica.
Degna di nota è sicuramente l’intensa attività di sfruttamento che ha interessato,
a partire dal Medio Evo, le miniere d’argento di Longobucco e S. Donato, nella
provincia di Cosenza.
Altra fonte di redditi per la regione è stata rappresentata dalle miniere di
salgemma, di vetriolo e di oro.
Da non trascurare l’importanza che hanno avuto i filoni di pegmatite di Parghelia (Vibo Valentia), dai quali veniva estratto il materiale per la fabbricazione
delle famose porcellane “Ginori”, e lo sfruttamento della “serpentina verde” del
Monte Reventino, di Nicastro e Platania, utilizzata in edilizia e per la costruzione
di opere difensive.
Importante in Calabria fu poi l’attività di sfruttamento esercitata da alcuni
centri abbaziali, tra cui l’Abbazia calabrese di Acquaformosa (Cosenza), dove
sono state rinvenute tracce di fornaci.
Un posto di rilievo spetta comunque ai giacimenti di ferro della Vallata dello
Stilaro, che dall’età alto medievale all’Unità d’Italia hanno costituito un’enorme
ricchezza per l’economia Calabrese, basata essenzialmente sull’arte siderurgica
e metallurgica. La limonite veniva estratta dalle miniere (circa 35) ubicate sui
monti Stella, Mammicomito, Petracca e Consolino e l’attività fusivo–estrattiva
era concentrata sul versante ionico, lungo i fiumi Assi, Stilaro e Precariti. Dopo
l’estrazione, il minerale veniva selezionato, frantumato, lavato nelle “laverie”
ed infine immesso nel forno, insieme al combustibile ed al fondente (il cui
scopo era quello di abbassare la refrattarietà del minerale), una marna calcarea,
detta “maramosca”, recuperata nei territori di Stilo, Bivongi, Pazzano, Serra e
Guardavalle.
5
6
Premessa
Il ferro ricavato veniva lavorato fino al 1770 nelle ferriere e fonderie statali
di Stilo e di Assi e successivamente nei moderni stabilimenti di Mongiana e
Ferdinandea. Il primo nucleo del complesso siderurgico di Mongiana, produttore
in Italia di semi–lavorati per l’industria metalmeccanica, fu creato nel 1768 e andò
via via a comprendere le ferriere di San Bruno, San Carlo, San Ferdinando e
Real Principe, oltre naturalmente alla fonderia. La materia prima era fornita dai
giacimenti di ferro e grafite di Pazzano e da sabbie estratte a Santa Maria del
Bosco (Serra San Bruno).
Importante anche l’impianto siderurgico di Cardinale che fornì la catena di
ferro dei primi magnifici ponti sospesi sui fiumi Garigliano e Calore, costruiti dai
Borboni rispettivamente nel 1832 e nel 1835.
Il combustibile inizialmente utilizzato nei forni fusori fu il carbone vegetale,
ricavato dagli immensi boschi delle Serre Calabre; nella prima metà dell’Ottocento
si tentò l’utilizzo del carbon fossile, che veniva estratto da alcune miniere aperte
ad Agnana Calabra, comune poco distante dalle fonderie delle Serre.
Questo libro si propone come una raccolta di informazioni storico–letterarie
sull’attività mineraria in Calabria, corredata da nuovi dati scientifici.
Vengono fornite le ubicazioni dei principali siti minerari e informazioni su
alcune mineralizzazioni esaminate.
L’obiettivo è quello di stimolare la divulgazione scientifica e conservare la
memoria di un territorio la cui attività estrattiva ha notevolmente contribuito
all’economia della Regione.
Capitolo I
Inquadramento storico delle attività minerarie
Il rame, il piombo, il ferro1 ma anche la grafite e la galena2 sono stati gli elementi
base per la metallurgia antica. Recenti ritrovamenti archeologici testimoniano
un’attività piuttosto remota, risalente all’età del bronzo, del ferro e al periodo
greco–romano3 .
Durante l’età del ferro le popolazioni indigene reperivano il metallo dalle locali
miniere per realizzare i propri utensili4 .
Una testimonianza dell’arte metallurgica in Calabria è data dal ritrovamento nella
Sibaritide di una “forgia”, una struttura a pozzetto utilizzata per la produzione di oggetti
in ferro5.
I Greci, spinti alla colonizzazione proprio dalla presenza delle ben note
miniere nell’entroterra delle Serre Calabre, approdarono in Calabria intorno
all’VIII–VII secolo a.C. e fondarono cinque colonie, tra cui Caulon nella
vallata dello Stilaro che, grazie alle sue risorse minerarie (ferro, rame, piombo,
argento, sale, ecc.), nella seconda metà del VI sec a.C., conobbe un notevole
sviluppo economico tanto da poter coniare nella propria zecca gli “Stateri
incusi” in argento6 .
L’estrazione e lavorazione dell’argento trova riscontro in alcuni toponimi come
contrada “Argentera” nei pressi di Bivongi7 e “argentina” lungo il fiume Assi8 .
Il rinvenimento di scorie di ferro in scavi archeologici condotti, in prossimità di
Monte Palazzi, presso fortificazioni greche, lascia supporre la presenza nell’area
di attività estrattiva9 .
1. F. Cuteri, Risorse minerarie ed attività metallurgica nella Sila Piccola meridionale e nella Pre–Sila del
versante Tirrenico. Prime osservazioni, in G. De Sensi Sestito, Tra l’Amato e il Savuto, Rubettino Editore, 1999,
pp. 301 e 315.
2. F. Penta, Sguardo minerario sull’Italia Meridionale, in Atti del Reale Istituto di Incoraggiamento, Napoli 1938,
pp. 9–10.
3. D. Franco, Il ferro in Calabria. Vicende storico–economiche del trascorso industriale calabrese, Kaleidon
Editrice, 2003, p. 10.
4. G. Nenci, Storia della Calabria, vol. I, Storia della Calabria antica, Roma–Reggio Calabria 1987,
Gangemi Editore, XV–674.
5. R. Peroni, A. Vanzetti, Recenti indagini protostoriche nella Sibaritide. Broglio di Trebisacce (CS), Scavi 1990–1992,
in Atti XXXII CSMG, Taranto–Sibari 1992, Taranto 1993, 144–145.
6. D. Franco, op. cit., 2003, pp. 11–12.
7. G. Raspa, Il paese di Mamma Nostra ovvero monografia di Bivongi, Bivongi 1991.
8. D. Franco, op. cit., 2003, p. 12 e nota, p. 117.
9. P. Visonà, University Of Colorado/ University Of Kentucky Excavations At Monte Palazzi, Passo
Croceferrata (Grotteria, Calabria), « The Journal of Fasti on line », 2010, p. 17.
7
8
Mineralizzazioni in Calabria
Sempre in riferimento alle attività minerarie della Calabria settentrionale, Strabone10, nel suo IV libro della Geografia, rende noto che la città cantata da Omero
sarebbe la Temesa dei Bretii (e non Tumaso di Cipro), collocabile nei pressi di San
Donato di Ninea e corrispondente forse a Malvito. In tale località fino ai tempi
dell’Autore (I sec. a.C.) erano presenti tracce di una antica miniera di rame11 .
A tal proposito Albanese Procelli12 sottolinea come
potrebbe essere significativo che la regione della costa tirrenica in cui si tende a localizzare
Temesa, nell’area intorno alle foci del Savuto, rientri già a partire dall’Età del Bronzo
finale nella sfera d’influenza di quella che sarà poi la Sibaritide e che quest’ultima sembri
assumere una sempre maggiore importanza nella produzione e diffusione delle varie
fogge metalliche nella prima età del ferro.
Uno sfruttamento più intenso delle risorse locali si ebbe poi con i romani, i quali
fondarono una colonia penale per i damnata ad metalla, da cui probabilmente ebbe
origine il paese di Pazzano. Essi avviarono un più intenso sfruttamento minerario,
emanando anche leggi minerarie. In una lettera del 525 Flavio Magno Aurelio Cassiodoro, nativo di Squillace e segretario di Teodorico e ministro di Amalasunta, descrive
il lavoro in miniera13.
Sempre Cassiodoro14 , nel suo Variarum Libri XII (IX, 3), pubblicato già nel 537
col titolo di Variae, riporta di una lettera scritta nel 527, per conto di Atalarico,
all’illustre Bergantino, Conte del patrimonio. In essa si pone in risalto la presenza
di “frutti aurei” in Italia e riferisce dell’incarico che Atalarico aveva dato al comes
patrimonii Bergantino per verificare quanto affermato da Teodoro relativamente
alla presenza di oro e argento nella Calabria settentrionale, detta anche Bruzio.
Pipino15 riporta il testo integrale tratto dal Monumenta Germaniae Historica –
Auctorum Antiquissimorum T. XII, corredato di traduzione:
Italia dives inferat nobis et aureos fructus [. . . ] Quapropter ad massam iuris nostri Rusticianam in Bruttiorum provincia constitutam magnitudinem tuam iubemus chartarium
destinare et si, ut ab artifice harum rerum Theodoro dicitur, memoratis rebus terra fecunda est, officinis sollemniter institutis montium viscera perquirantur [. . . ] Cameris enim
ingeniosa praesumptione revolutis, talpinum animal imitantes, itinera fodiunt quae nullis
ante patuerunt [. . . ] Intrant homines caligines profundas, vivunt sine superis, exulant a
sole et, dum sub terris compendia quaerunt, nonnunquam lucis gaudia derelinquunt [. . . ]
Sed quibus cautior ars, vita felicior est, intrant egentes, exeunt opulenti: sine furto divitias
10. Strabone, La Geografia. Iberia e Gallia, Libro IV.
11. G. Pipino, L’arte mineraria e l’oro della Calabria nelle “variae” di Cassiodoro Senatore (Sec. VI), L’industria
Mineraria, 1983, 1, 33–38, in G. Pipino, Oro, Miniere, Storia Miscellanea di giacimentologia e storia mineraria italiana,
2003, p. 59.
12. R.M. Albanese Procelli, Appunti sui rapporti tra la metallurgia calabra e siciliana in età protostorica, in
Aa.Vv., A sud di Velia. Ricognizioni e ricerche, 1982–1988, Napoli 1990, pp. 129.
13. D. Franco, op. cit., 2003.
14. Cassiodoro F.M.A. Senatoris, Variae, (a cura di) T. Mommsen, in M.G.H., SS AA XII, Berlino
1894, Liber IX, III, pp. 269–270.
15. G. Pipino, op. cit., 1983, pp. 56–57.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
9
rapiunt, optatis thesauris sine invidia perfruuntur et soli sunt hominum qui absque ulla
nundinatione pretia videantur adquirere. mox enim ut supernae luci fuerint restituti,
minuta quaeque graviora discernentibus aquis a genetrice terra separant ac fictilibus
recondita vasta fornace decoquunt [. . . ] Vincitur natura, dum eam meliorat industria.
tantum crescit ad pretia [. . . ] Sed cum auro tribuat splendidum ruborem, argento confert
albissimam lucem [. . . ] Proinde quicquid ad exercendam huius artis peritiam pertinere
cognoscitis, ordinatio vestra perficiat, ut et terra Bruttiorum ex se tributum quod dare
possit inveniat, quae fructibus copiosa luxuriat. decet enim ut inter tanta bona nec illa
desint quae putantur esse praecipua.
Nella lettera di Cassiodoro16 c’è il riferimento a come la bramosia spinga gli
uomini a tracciare le volte e a scavare come talpe dei percorsi ma si precisa che
solo coloro che, negli scavi, agiscono con cautela entrano poveri ed escono ricchi.
Si accenna, inoltre, al trattamento che subisce un minerale non appena è portato
fuori dalle miniere: lo si separa con l’acqua e lo si fa cuocere perché più splende più è
prezioso; la fiamma, infatti, dona all’oro uno splendido rossore e all’argento una luce
bianchissima. Tale citazione di Cassiodoro rappresenterebbe una delle più antiche
testimonianze delle attività minerarie e metallurgiche dopo la caduta di Roma17.
Secondo Cuteri18 la presenza di impianti finalizzati alla lavorazione del rame
e del bronzo era diffusa a Reggio Calabria, fra tarda Antichità e Alto Medioevo.
Nel quartiere “Lido di Reggio Calabria”, uno scavo ha portato al rinvenimento,
all’interno delle murature di un ninfeo, di numerose scorie di bronzo e dei resti
di alcune strutture produttive. Infatti, all’inizio del IV secolo d.C., venne realizzata
una fornace circolare destinata alla produzione del bronzo.
L’atelier, almeno a giudicare dallo spesso deposito rinvenuto, contenente scorie
metalliche e resti combusti, funzionò a buon ritmo fino alla metà del IV secolo.
Dopo un primo abbandono furono predisposti nuovi forni che rimasero in uso
certamente per tutto il V secolo. Sempre secondo Cuteri19 , per quanto riguarda
l’approvvigionamento delle materie prime, i dati disponibili consentono di individuare più aree di estrazione poste nel territorio prossimo alla città e di ipotizzare
l’importazione, per la presenza di un attivo porto, di minerali metalliferi dall’area
di Fiumedinisi (ME).
Nell’Alto Medioevo, così come in età protostorica, secondo Guarascio20 molti
giacimenti, oggi ritenuti non sfruttabili, sono stati oggetto di estrazione. Succes16. Cassiodoro F. M. A. Senatoris, op. cit., 1894, pp. 269–270.
17. G. Pipino, op. cit., 1983, pp. 56–57.
18. F. Cuteri, La metallurgia di Età medievale in Calabria. Nuovi dati archeologici, in G. Volpe, P. Favia (a
cura di), V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Foggia), Firenze 2009, pp. 651–655.
19. F. Cuteri, L’attività metallurgica di età normanna in Calabria. Le testimonianze archeologiche, in R.
Francovich, M. Valenti, IV Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (Siena 2006), Firenze, pp. 415–419.
20. G. Guarascio, Un contributo di dati e metodi della ricerca geomineraria in archeologia: il caso di Temesa,
in G. Maddoli (a cura di), Temesa e il suo territorio, Perugia–Trevi 1981, Taranto 1992. F. Cuteri, La
Calabria nell’Altomedioevo (VI–X secolo), in R. Francovich, G. Noyè (a cura di), La storia dell’Altomedioevo
italiano (VI–X secolo) alla luce dell’archeologia, in Atti del Convegno Internazionale (Siena 1992), Firenze 1994,
pp. 351–352. 125–142.
10
Mineralizzazioni in Calabria
sivamente, invece, nel periodo bizantino, guerre e invasioni hanno causato un
rallentamento dell’attività mineraria21 .
Fino al 1094 si hanno comunque scarse notizie dell’attività estrattiva calabrese. Alcuni documenti dello stesso anno riportano la presenza di forni nel
circondario di Stilo e di Pazzano. Da un manoscritto redatto nel 1775 dal Padre
D.B. Tromby22 , si evince inoltre che il Conte di Calabria Ruggero Guiscardo il
Normanno, nel 1094, cedette al rettore della chiesa « de Heremo » Bruno di
Colonia (Santo Brunone), proveniente dalla Certosa in Francia e fondatore
dell’ordine dei Certosini, numerosi beni, tra cui i proventi delle miniere di
ferro e dei forni esistenti nei dintorni di Stilo e Arena. Dalla concessione
erano però escluse le miniere di metalli preziosi non ricadenti nel territorio
dell’Abbazia23 .
Vari sono tuttavia i siti della regione che nel tempo sono stati oggetto di
sfruttamento, basti pensare all’“argentera di Longobucco”, alla miniera di
vetriolo di Gerace, a quella di oro e argento di Castelvetere, alle saline di
monte, alla pece prodotta a Bova, Seminara e a Santa Severina, nonché alle
miniere di ferro, soprattutto quelle di Stilo24 , il cui areale circostante è stato
sede di un’intensa attività fusivo–estrattiva che ha interessato in diversi periodi
varie località:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
g)
h)
Stilo (sede di attività già nel periodo altomedievale e bizantino);
Bivongi;
Pazzano (sede di villaggio operaio e minerario);
Fabrizia;
Mongiana (sede di villaggio operaio e metallurgico);
Ferdinandea (sede di importante fonderia borbonica);
Cardinale (sede delle Ferriere Filangieri);
Serra S. Bruno (sede della Certosa S. Stefano).
Nell’area sono state attive (sino all’Unità d’Italia) tre fabbriche d’armi, 29
ferriere (luogo dove si produceva il ferro comune) e 2 fonderie (luogo deputato
alla trasformazione di grosse quantità di minerale e alla produzione e lavorazione
della ghisa)25 .
21. D. Franco, op. cit., 2003, p. 14.
22. P.D.B. Tromby, Storia critico–cronologica–diplomatica del Patriarca S. Brunone e del suo ordine
cartusiano, Vol. II, Napoli 1775, App. II. VIII.
23. F. Porsia, Miniere e minerali, in G. Musca, Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno–svevo. Atti
delle ottave giornate normanno–sveve, Bari 1987, 1989, p. 251. B. De Stefano Manno, G. Matacena, Le
Reali ferriere ed Officine di Mongiana. Una scoperta della Archeologia Industriale: storia, condizione operaia,
tecnologie di produzione, trasformazione del territorio, architettura delle più antiche ed importanti fonderie
del regno delle Due Sicilie, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, 1979, p. 9.
24. G. Galasso, Economia e Società nella Calabria del Cinquecento, Guida Editore, 1992 (prima edizione del 1967).
25. D. Franco, op. cit., 2003, p. 9.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
11
Nell’attività di sfruttamento un ruolo degno di nota è stato quello esercitato dai
centri abbaziali di S. Giovanni in Fiore26 , Sambucina27 e della Certosa di Serra S.
Bruno.
Notizie delle ferriere e miniere attive in Calabria sono presenti soprattutto in
documenti normanno–svevi e angioini. I Normanni con Guglielmo II, nipote di
Ruggero II e Re di Sicilia (dal 1166 al 1189), incentivarono le attività estrattive. Egli,
infatti, nel 1173 riconfermò alla Certosa di San Bruno il possesso delle miniere dello
Stilaro « et libertatibus minerete aeris et ferri », concedendo centodieci contadini
e un mulino28 . Secondo un documento dei primi del duecento all’Abbazia di S.
Maria di Corazzo a Carlopoli (Catanzaro) veniva concesso il privilegio di sfruttare
le miniere di sale e ferro29 .
Lo sfruttamento minerario proseguì anche durante il periodo svevo. Alla
morte di Gugliemo II, la Calabria divenne Sveva sotto Enrico VI, a cui seguì il
figlio Federico II (Re dal 1197 al 1250), Quest’ultimo diede un notevole impulso
all’attività mineraria in Calabria, considerando le miniere patrimonio statale,
infatti, lo sfruttamento e la gestione delle ferriere e miniere era subordinato ad una
speciale autorizzazione Imperiale. Egli, per contrastare il potere dei nobili, chiese
inoltre la restituzione dei beni del Regno e applicò i principi della costituzione
quae sint regalie (emanata da Barbarossa nel 1158)30 .
Nel 1221 Federico concesse all’Abbazia florense di Santa Maria di Monte Mirteto presso Ninfa (Velletri) il diritto di estrarre sale e ferro dalle saline e miniere
calabresi e di venderlo su tutto il territorio del regno senza dover pagare tasse31 .
Nel 1224 lo stesso Federico II concesse alla Certosa di San Bruno beni e possedimenti « il corso libero delle acque per uso dei molini, battandieri, [. . . ] i siti delli
stessi, l’uso del ferro e del sale per comodo proprio »32 .
Pochissime sono però le notizie relative a questo periodo poiché Carlo d’Angiò,
nel tentativo di rimuovere ogni ricordo di Federico II e dei suoi discendenti
(Manfredi e Corradino), ordinò la totale distruzione dei registri di concessione33 .
Uno sfruttamento secolare, a partire dal Medioevo, interessò le miniere d’argento
26. Sirebene 1915 n. 10, ottobre.
27. A. Pratesi, Carte latine di Abbazie calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Roma 1958, Doc. 89,
Luglio 1208.
28. L. Cunsolo, La Storia di Stilo e del suo Regio Demanio, Roma 1965.
29. F. Pometti, Carte delle Abbazie di S. Maria di Corazzo e di S. Giuliano di Rocce Falluca in Calabria. Contributo
alla Storia degli ordini religiosi, Roma 1901, Doc. XVI, Dicembre 1225, p. 299.
30. D. Franco, Il ferro in Calabria. Vicende storico–economiche del trascorso industriale calabrese, Kaleidon
Editrice, 2003, pp. 24–25.
31. F. Porsia, Miniere e minerali, in G. Musca, Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno–svevo. Atti
delle ottave giornate normanno–sveve, Bari 1987, p. 253.
32. D. Franco, Il ferro in Calabria. Vicende storico–economiche del trascorso industriale calabrese, Kaleidon
Editrice 2003, p. 25.
33. B. De Stefano Manno, G. Matacena, Le Reali ferriere ed Officine di Mongiana. Una scoperta della
Archeologia Industriale: storia, condizione operaria, tecnologie di produzione, trasformazione del territorio, architettura delle più antiche ed importanti fonderie del regno delle Due Sicilie, Società Editrice Storia di Napoli e
della Sicilia, 1979, p. 10.
12
Mineralizzazioni in Calabria
di S. Donato, in provincia di Cosenza e di Longobucco. Notizie certe di queste
ultime si hanno solo a partire dalla fine del XII secolo. Le mineralizzazioni di
S. Donato furono oggetto di coltivazione e sembra che i monaci della zona vi
esercitassero la “pesca dell’oro”. Un po’ di oro fu anche ottenuto dai Conti di
Sangineto durante lo sfruttamento delle miniere di rame nei secoli XII e XIII34 .
Nel 1266 Carlo I d’Angiò, fratello del Re di Francia Luigi XI, sconfisse l’esercito
svevo guidato da Manfredi pertanto la Calabria passò agli angioini, i quali mantennero,
nel campo siderurgico e minerario, le leggi introdotte dai predecessori35.
Una ripresa dello sfruttamento del sottosuolo calabrese si ebbe con la rivalutazione delle miniere di Pazzano da parte di Roberto d’Angiò (1277–1343), che
succeduto al padre nel 1313, riattivò una ferriera di proprietà della Certosa36 .
In un documento della cancelleria angioina del 1274 si trova un riferimento
ad una miniera d’argento sita in località “Palanidi” in prossimità di Reggio. Nel
documento la miniera viene definita come una delle tre più importanti del Regno.
Queste tre miniere erano affidate a privati, tuttavia lo stato pretendeva un terzo
del profitto. In questo periodo era operante a Napoli una zecca nella quale veniva
coniata la nuova moneta d’argento “il Carlino”37 .
Vincenzo Padula38 riporta che la regia corte, nell’editto di Re Roberto del 1333
concernente la Sila, si riservava il diritto su una miniera di ferro. Dallo stesso
rescritto si evince, infatti, che a Pazzano, dal 1314, era in funzione una ferriera
di proprietà del convento di Serra S. Bruno; nello stesso documento si parla del
lavoro nelle gallerie del Monte Stella.
Da un rescritto ancora più remoto risulta che a Pazzano e Stilo erano attive altre
due miniere sulle quali il re si riservava diritti speciali di sfruttamento39.
Nel 1442–43 è la volta degli Aragonesi, Alfonso V, conquistato il Regno di Napoli,
riunifica tutto il sud e sale al trono con il nome di Alfonso I Re delle due Sicilie. Le
attività siderurgiche vengono incentivate, richiamando anche “tecnici” in grado
di importare nuovi metodi di lavorazione.
Avvenne probabilmente in questo periodo la ristrutturazione delle ferriere
ricordate come le “ferriere Fieramosca” (Fig. 1.1)40 .
34. G. Pipino, L’arte mineraria e l’oro della Calabria nelle “variae” di Cassiodoro Senatore (Sec. VI),
« L’industria Mineraria » 1, 1983, pp. 33–38, in G. Pipino, Oro, Miniere, Storia Miscellanea di giacimentologia e
storia mineraria italiana, 2003, p. 59.
35. D. Franco, op. cit., 2003, p. 26.
36. Ivi, p. 27.
37. G. Clemente, Archeologia mineraria nella Calabria meridionale tra Medioevo ed età Contemporanea. Dati
preliminari sulle miniere di Valanidi nei comuni di Reggio Calabria e Motta San Giovanni (RC), 2012, in F. Redi,
A. Forgione, (a cura di), Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, L’Aquila 12–15 Settembre
2012, Borgo San Lorenzo (FI), pp. 666–671.
38. L. Cunsolo, La Storia di Stilo e del suo Regio Demanio, Roma 1965.
39. B. De Stefano Manno, G. Matacena, Le Reali ferriere ed Officine di Mongiana. Una scoperta della
Archeologia Industriale: storia, condizione operaria, tecnologie di produzione, trasformazione del territorio, architettura
delle più antiche ed importanti fonderie del regno delle Due Sicilie, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia,
1979, p. 10.
40. D. Franco, op. cit., 2003, pp. 27–28.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
13
Figura 1.1. Dettagli delle “ferriere Fieramosca” (da Rubino, 2011).
Durante il dominio aragonese, nella seconda metà del Quattrocento, il concessionario delle miniere d’argento di Longobucco fu Francesco Coppola, Conte di
Sarno41 . L’attività decade dopo la seconda metà del XV secolo, in seguito alla concorrenza dei ferri triestini e toscani42 . Ad aggravare ulteriormente la situazione ci
sono i dazi imposti all’estrazione, lavorazione e commercio del ferro grezzo da
Ferdinando II d’Aragona. Quest’ultimo, succeduto al padre Alfonso II, riconquistò
il Regno nel 1496. Egli batté i francesi di Carlo VIII d’Angiò che nel 1495 avevano
invaso il Sud Italia, sconfiggendo gli spagnoli a Seminara.
Alla morte di Carlo VIII, il cugino Luigi XII tentò la riconquista del Sud Italia
ma, con il trattato di Lione del 1504, il regno passò agli spagnoli e i francesi
41. G. Pipino, op. cit., 1983, p. 60.
42. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 10
14
Mineralizzazioni in Calabria
rinunciarono definitivamente al mezzogiorno italiano43 . Il dominio spagnolo si
protrasse per circa due secoli.
Nei primi anni del XVI secolo, in Calabria erano attive sei ferriere nell’area
dello Stilaro e due nei comuni di Cortale e Palermiti44 .
I primi forni rudimentali, utilizzati per ottenere il ferro mediante il processo
di “riduzione”, erano capaci di raggiungere temperature di circa 800–900 gradi
centigradi. A seconda della tipologia costruttiva i forni erano denominati: forni “a
pozzetto”, a “suola”, a “catasta”, a “camino”, a “tino”, alla “catalana”, “a manica”
ecc.45 .
Il forno a “camino” ha segnato il passaggio tra i primi forni (a “suola” o a
“pozzetto”) ed i moderni altiforni. Esso aveva una caratteristica forma cilindrica
che si innalzava per circa 2 metri. Il materiale veniva immesso dall’alto mentre il
prodotto fuso veniva raccolto alla base. È questo il tipo di forno utilizzato anche
per la realizzazione dei famosissimi bronzi di Riace46 .
Nel XVI sec. si assistette all’evoluzione dei forni a “manica” (tipici del Medioevo, con sviluppo verticale e forma quadrangolare) che portò alla realizzazione
dei “cannecchi”, i primi prototipi di altoforno. Essi erano in grado di raggiungere
temperature di circa 1550 gradi nei quali il ferro era ottenuto per fusione47 .
Riguardo al combustibile, le ferriere e le fonderie inizialmente utilizzarono nei
forni fusori il carbone vegetale ricavato dagli immensi boschi delle Serre Calabre.
La legna veniva carbonizzata da apposite maestranze che, scelto il sito sul quale
si doveva carbonizzare (luogo posto in piano e su di un terreno compatto e non
poroso), piantavano una lunga pertica, il punto di partenza per circoscrivere il
diametro della carbonaia. La costruzione del camino consisteva nell’addossare
pezzi di legno più grandi attorniati da quelli di pezzatura più piccola. La carbonaia
assumeva così la tipica forma a cupola. Successivamente il tutto veniva ricoperto
con della terra, ad eccezione della parte terminale del camino. Su tutta la superficie
della carbonaia venivano praticati dei fori, detti sfiatatoi o fumarole, utili ad
aerare la combustione. Il capo carbonaio alimentava il fuoco dal camino e per
mezzo dei fori controllava la combustione regolandosi in base al colore del fumo
(bianco nella prima fase, giallo nella fase centrale della carbonizzazione, azzurro al
completamento della stessa), Alla completa carbonizzazione della legna, dopo 8–9
giorni di cottura, seguiva la chiusura dei fori e del camino e quindi lo spegnimento
della carbonaia, che veniva lasciata raffreddare e poi smontata48 .
Nel 1505, la miniera nota come l’“argentera di Longobucco” era concessa
dal Cattolico a Galeazzo Caracciolo, il quale, morendo nel 1517 l’ha lasciata in
eredità al figlio Marcello. Quest’ultimo, nel 1519, aveva ottenuto da Carlo V il
43.
44.
45.
46.
47.
48.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 28.
Ivi, p. 30.
Ivi, pp. 16–17.
Ivi, pp. 16–17, p. 18.
Ivi, pp. 16–17. 20.
Ivi, pp. 16–17. p. 38.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
15
riconoscimento della miniera a patto che il reddito annuo non superasse i 500
ducati d’oro; in caso contrario avrebbe dovuto pagare alla Regia Corte la somma
eccedente49 . Delle attività minerarie e metallurgiche svolte nel periodo della sua
amministrazione rimangono le annotazioni redatte da Franco Regio nel 1516, e
conservate nella Biblioteca Apostolica Vaticana50 .
Nel 1520 le miniere di ferro furono quasi del tutto abbandonate e la ferriera di
Stilo resa inattiva. Fu poi Carlo V, con decreto del 30 maggio 1523, a riavviare il
settore minerario. Il sovrano donò al suo scudiero Cesare Fieramosca, fratello di
Ettore, vincitore della famosa disfida di Barletta, la ferriera di Campoli, (Caulonia),
e successivamente quelle di Trentatarì (Fabrizia), Spatola e quella detta del “forno”
(Bivongi), dove già venivano prodotti proiettili di cannone per la Regia Corte.
Cesare però mostrò un assoluto disinteresse, nonostante Carlo gli avesse ceduto
anche la proprietà dei forni fusori (donazione dell’8 dicembre 1523) e i boschi
indispensabili al trattamento del minerale (concessione del 6 luglio 1526)51 .
Il 31 agosto del 1526 Carlo gli impose di recarsi in Calabria ma egli non vi giunse
mai, perché circa 2 mesi dopo morì, lasciando tutti i suoi averi al primogenito
maschio. L’anno successivo a causa della noncuranza del primogenito di prendere
possesso dell’eredità, il Regio Demanio requisì la ferriera di Stilo52 .
Dal 1521 al 1527 l’“argentera di Longobucco” fu presa in affitto, per 700 ducati d’oro,
da Domenico Campitelli con il privilegio che in Calabria, Basilicata e Puglia non
venisse utilizzato altro materiale di piombo o galena se non quello di detta miniera.
Nel periodo successivo fu la Regia Corte ad occuparsi della miniera ma con scarsi
risultati.
Nel 1532 la miniera tornò nelle mani dei Campitelli, in particolare fu presa in affitto
per 600 ducati d’oro all’anno da Tomaso Campitelli, figlio di Domenico. Egli però non
riuscì a pagare la somma richiesta e fu presto arrestato. A partire dal 1538 la miniera finì
nelle mani del fisco, tuttavia la produzione non subì notevoli miglioramenti53. Nello
stesso anno, il Viceré Toledo propone una valorizzazione delle ferriere di Stilo54.
Nel 1540, pur non essendo al massimo della sua produttività, l’“argentera di
Longobucco”, venne definita dalla Regia Camera della Sommaria come la migliore e
la principale miniera di argento di tutto il regno55.
Di particolare interesse si rivelano alcuni documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli, quali la Relatione — di Angelo Lauria — « di quello
bisogna fare per ponersi in ordina la argentera di Longobucco, quanto di quello
si è fatto e resta affare », datata 1558 e il « Banno et comandamento da parte de
49. G. Galasso, op. cit., 1992, p. 214.
50. G. Brasacchio, L’Argentera di Longobucco; l’Abbazia di Sant’Angelo de Frigillo e il porticciolo di Castella
in un manoscritto del Cinquecento, Cosenza 1972, Luigi Pellegrini Ed.
51. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 30–31.
52. Ivi, p. 11.
53. G. Galasso, op. cit., 1992, p. 214.
54. D. Franco, op. cit., 2003, p. 31.
55. G. Galasso, op. cit., 1992, p. 214.
16
Mineralizzazioni in Calabria
la regia Camera dela Sumaria et deli magnifici officiali dele regie Argentere di
Longobucco » del 1559. Tuttavia, nonostante i ripetuti tentativi di migliorare le
coltivazioni minerarie, raramente si riuscì ad ottenere risultati particolarmente
significativi; ciò anche a causa dell’imperizia tecnica e dei danni provocati dalle
continue frane56 .
Tra il 1562 ed il 1569 in Calabria l’attività siderurgica è fiorente. Dalla Sicilia
viene richiesta manodopera esperta per la costruzione di una ferriera a Fiumedinisi (Messina), dove era stato intrapreso lo sfruttamento di un giacimento di
limonite57 .
Gabriele Barrio di Francica58 , nel De antiquitate et situ Calabriae, descrive la
Calabria come la terra che abbonda di ricchezze minerarie, in particolare di tipo
metallifero:
oro, argento, ferro, sale fossile, marmo, alabastro, cristallo, pirite, cioè marcasite, vari tipi di
gesso, sinope, ovvero come altri dicono, minio, ocra febbrile, calcantite, bolo, allume, zolfo,
pietra dell’aquila, ematite, agata, magnete.
Anche Leandro Alberti, nel suo libro, Descrizione di tutta l’Italia ed isole pertinenti
ad essa, mette in evidenza la dovizia di minerali in Calabria:
Et ne mediterrani dalla marina lontano quattro miglia fopra un’alto Colle fé dimortra
Stillo nobile Caftello, dietro alquale à man finiftra fono le minere de’l ferro, oue fe ne caua
affai, pofcia à man deftra uerfo la Villa Pazzano, paffato il fiume, uicino alle radici de’l
mote ritrouafi la minerà del l’Argento, & di fino azzuro da paragonare coll’oltramarino
fe’l fi lauoraffe. Quiui uicino ui è la uena dell’Oro59 .
Nel 1572, “l’arrendatore” Fabrizio Grillo iniziò, per conto dei Fieramosca, a
costruire lungo il corso dello Stilaro, nei pressi di Bivongi, in località “Perrocalle
o Argalia”, un nuovo forno per realizzare palle d’artiglieria60 .
Nel Seicento le Ferriere infeudate (Campoli, Spadola, Bivongi) furono incamerate dallo Stato e sostituite dalle “Ferriere di Stilo”.
Nel 1601 i Fieramosca, ancora proprietari delle rimanenti ferriere e miniere, le
cedettero in fitto ad un certo Ravaschieri, appartenente ad una ricca famiglia di
banchieri genovesi operanti sulla piazza napoletana, che le gestì fino al 1608. Ben
presto anche quest’ultimo, non riuscendo ad ottenere l’utile preventivato, decise
di restituirle ai proprietari, i quali però si opposero alla rottura del contratto.
56. F.A. Cuteri, Paesaggi minerari in Calabria: l’Argentera di Longobucco (CS), in F. Redi, A. Forgione, (a
cura di), VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (L’Aquila, 12–15 settembre 2012), Firenze 2012, pp.
401–406.
57. D. Franco, op. cit., 2003, p. 31.
58. G.F. Barrio, De antiquitate et situ Calabriae. Libri quinque, in Delectus scriptorum rerum Neapolitanarum,
Neapoli 1753, coll. 155–156. p. 70.
59. L. Alberti, Descrizione di tutta l’Italia ed isole pertinenti ad essa, Venezia 1581, p. 193.
60. D. Franco, op. cit., 2003, p. 246.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
17
La causa tentata da Ravaschieri e la paura di rendere inoperose le ferriere
indusse il tribunale della Regia Camera ad affidare la sorveglianza dei lavori ad
un ufficiale di artiglieria e la direzione, per conto della Corte napoletana, ad un
certo capitano Castiello61 .
Nello stesso periodo Mazzella Napolitano62 afferma che la Calabria è una regione « che ne tempi non è mai stata senza metalli, ma al presente ne abonda »,
in particolare di una grande varietà di minerali. Nella cosiddetta provincia citra
si ritrovano: acciaio (terra di Martorano, Pietra Fitta), allume (Miliano), argento
(Longobucco), alabastro e “marchesita” (Rossano), oro (Cosenza, Macchia Germana), ferro (Cosenza), piombo (Macchia Germana, Pietra Fitta), zolfo (Macchia
Germana), sale (Miliano, Pietra Fitta, Rossano); nella provincia ultra si ha: alabastro
e zolfo (Reggio e Belvedere), antimonio (Taverna), acciaio e “calamita” (terra d’Agata), ferro (terra d’Agata, Belforte, Belvedere), oro (Belforte), argento (Belvedere,
Soriano e Nicastro), nitro (Reggio), allume e sale, (Belvedere), marmi “mischi”
(Nicastro), un ”cardo che fa mastice” (Crotone e Castrovillari).
Nel corso di tutto il XVII secolo l’importanza delle ferriere di Stilo crebbe enormemente come testimoniato dal memoriale indirizzato al Viceré il 27 dicembre
1618, in cui si evidenziava che al tempo del predecessore di D. Antonio Corneio,
commissario delle ferriere di Stilo, non si produceva per più di quattro mesi
all’anno e la quantità di ferro prodotto si aggirava sui 200–300 quintali, mentre al
tempo di Corneio la produzione ammontava a 1.200 quintali annui63 .
Lo stesso filosofo Tommaso Campanella ricorda i giacimenti della sua Stilo, la
più ricca zona mineraria del Regno di Napoli.
Dopo circa vent’anni i Fieramosca intuirono di aver perso il possesso ma,
nonostante le continue richieste da parte degli eredi, le ferriere rimasero nelle
mani dello Stato, fornendo utili economici e militari, soprattutto relativamente alla nuova produzione di cannoni, i quali cominciavano ad avere un ruolo
determinante nelle campagne militari64 .
Nel 1621, il governo Reale, temendo una rivendicazione da parte di Margherita
Ruffo (erede dei Fieramosca), avviò la ristrutturazione e costruzione di nuove ferriere
nelle montagne di Stilo. Nacque così, al centro del “Bosco di Stilo”, il complesso delle
“ferriere di Stilo” costituito da 8–10 ferriere (Arcà, Murata, dell’Arme, del Cannicchio
del forno, Acciarera, Mulinelle, ecc.) situate lungo il corso dei fiumi Stilaro, Ruggero e
Mulinelle che affiancarono le vecchie ferriere del Fieramosca. Durante la loro attività
tali ferriere rimasero sempre statali65.
61. B. De Stefano Manno, G. Matacena, Le Reali ferriere ed Officine di Mongiana, Una scoperta della
Archeologia Industriale: storia, condizione operaria, tecnologie di produzione, trasformazione del territorio, architettura delle più antiche ed importanti fonderie del regno delle Due Sicilie, Società Editrice Storia di Napoli e
della Sicilia, 1979, p. 12. D. Franco, op cit., 2003, pp. 31–32.
62. S. Mazzella Napolitano, Descrittione del Regno di Napoli, Napoli 1601 (rist. anast. Bologna 1970), p. 134
e seg.
63. G. Galasso, op. cit., 2003, p. 215–216.
64. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 12.
65. D. Franco, op. cit., 2003, p. 32.
18
Mineralizzazioni in Calabria
Nel corso del lungo periodo del Vicereame, le dominazioni spagnole e austriache determinarono l’indebolimento delle ferriere e solo quelle di Pazzano e Stilo
continuarono a produrre, con alterne vicende, fino al 1683, come testimoniato
da Gioacchino da Fiore nella sua Calabria Illustrata da G.B. Pacichelli66 in Il Regno di Napoli in prospettiva diviso in dodici province, dal Barrio, dal Marfiotti e da
Tommaso Campanella67 .
Il primo novembre 1700 moriva Carlo II d’Asburgo, Re di Spagna, designando
suo successore Filippo di Borbone, nipote di Luigi XIV di Borbone, che nel 1701
divenne Re di Spagna con il nome di Filippo V. La salita al trono di Spagna da parte
di un Angiò non fu gradita agli Asburgo pertanto ne seguì una sanguinosa lotta,
che si concluse con l’affidamento del Sud Italia al Viceré Medinaceli.
In questo periodo le ferriere di Stilo furono coinvolte nella produzione di
materiale bellico (cannoni, bombe, ecc.)68 .
Nel 1705 il responsabile delle ferriere di Stilo, Nicola Leca, fu sostituito da un
certo Melluso che, concesse ai minatori incentivi economici e favorì l’individuazione di una nuova miniera, incrementando così la produzione.
Nel 1707 l’Italia fu occupata dagli Asburgo, infatti, le truppe dell’imperatore d’Austria Carlo IV sconfissero quelle spagnole sul fiume Garigliano. In questo periodo
l’industria siderurgica calabrese subì un notevole impulso grazie a nuove tecniche
importate e furono aperte nuove miniere (Longobucco, San Donato e Stilo)69.
Nel Settecento, infatti, sotto il governo austriaco, ripresero dopo un periodo
di abbandono le coltivazioni delle mineralizzazioni di S. Donato a Ninea, con la
produzione di rame e mercurio ma anche di piccoli quantitativi di oro e argento70.
Ciò si evince dagli scritti di Rogliano71: « Le miniere di San Donato, e soprattutto la
ferriera erano lavorate da oltre 100 condannati ai lavori forzati sotto la sorveglianza
e la direzione di vari ufficiali austriaci comandati dal capitano Jusqual ». A Boccia,
Martelli e Fera (arrendatari delle miniere di S. Donato) venne concessa l’autorizzazione per estendere la ricerca anche nelle zone limitrofe. Il ferro veniva estratto in
contrada “Rosaneto” mentre la fonderia, costruita nel 1706, era situata in contrada
“Logge” e rimase in funzione fino al 173672.
Anche le mineralizzazioni della zona di Longobucco, che a differenza di quelle
di S. Donato erano state oggetto di una coltivazione più regolare, subirono un
notevole sviluppo. Faraglia73 definisce
L’Argentera di Longobucco nela Provintia de Calabria Citra è una Montagna di Pietra
viva che tiene vene d’Argento et Piombo Critta et Galanza sita appresso detta terra di
66.
67.
68.
69.
70.
71.
72.
73.
G. B. Pacichelli, Del Regno di Napoli in prospettiva, Napoli 1703.
R. Meli, Sulle miniere di ferro di Stilo e Pazzano in Calabria, su La Miniera Italiana 1981 VII.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 47–48.
Ibidem.
G. Pipino, op. cit., 1983, p. 59.
G. Rogliano, Quaderni per il piano di sviluppo regionale della Calabria, 1961.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 133.
N. Faraglia, Bilancio del Reame di Napoli 1591–1592, Arch. Storico Prov. Napoletane, 1, Napoli 1876, p. 254
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
19
Figura 1.2. Carta delle miniere di Longobucco (da Paillette 1842).
Longobaeco vicino la città di Rossano con grande comodità d’Aqua et legne per il suo
lavoro.74 . A capo delle miniere vi fu Khetz, un chimico molto noto. In questo periodo
l’attività mineraria subì un rilevante impulso75
Secondo quanto riportato dal Paillette76 , (Fig. 1.2) Longobucco i lavori diretti
dal capitano Henry Crull (o Cruller) cessarono nel 1733. Sembra che gli Austriaci
abbiano fatto saltare il Vallone dello Spagnolo per evitare di consegnarlo ai nemici
che avanzavano a marcia forzata.
Nel 1734 si ha il ritorno dei Borboni: Carlo di Borbone (VII come re di Napoli e
III di Spagna, dal 1816 divenne Carlo I Re delle Due Sicilie), duca di Parma e figlio
del Re di Spagna, riconquistò il Vicereame di Napoli, di Sicilia e lo Stato dei Presidii.
Nonostante avesse ereditato una nazione in fase di disfacimento, il nuovo sovrano
riuscì a far rifiorire le attività economiche e culturali, amministrando i fondi e lo Stato
in maniera brillante, anche grazie all’aiuto del primo ministro Bernardo Tanucci e di
altri esperti economici, tra cui Ferdinando Galiani e Antonio Genovesi77.
Nel 1736 il nuovo Re incaricò l’Ing. Stendardo di progettare una nuova fabbrica
d’armi da costruirsi nel “Bosco di Stilo” (Figg. 1.3 e 1.4), ricco di miniere da cui
ottenere il minerale, di alberi in grado di fornire combustibile e di acque per
azionare le macchine. Tale fabbrica non fu però mai realizzata78 .
74. D. Franco, op. cit., 2003, p. 123, note.
75. G. Pipino, op. cit., 1983.
76. A. Paillette, Etude, historique et geologique sur les gites metalliferes des Calabres et du Nord de la Sicile,
« Annales des Mines », ser. IV, t. II, 613–680, Parigi 1842, p. 663.
77. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979.
78. D. Franco, op. cit., 2003.
20
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 1.3. Pianta della fabbrica d’Armi da costruirsi nel “Bosco di Stilo”. Progetto dell’Ing.
Giuseppe Stendardo (ASN; De Stefano Manno e Matacena, 1979).
Figura 1.4. Prospetto (ASN; De Stefano Manno e Matacena, 1979).
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
21
In questo periodo, la produzione delle ghise e i sistemi di fusione al sud erano
legati al “metodo catalano”, che comportava forti sprechi di carbone vegetale
e prodotti scadenti. La ferriera era di solito dislocata al centro di un territorio
ricco di acque (forza motrice), boschi (combustibile) e miniere (materia prima).
L’assoluta mancanza di leggi di tutela che prevedessero cicli annuali di tagli
favoriva la distruzione totale dei boschi intorno alla ferriera stessa, determinando
così una distanza sempre maggiore tra forni e boschi, a ciò faceva riscontro un
aumento dei costi di trasporto. Risultava così più economico il trasferimento
delle ferriera stessa che non il mantenimento di mulattieri–trasportatori, pertanto
si diede il via alle “ferriere itineranti”. Significativa in tal senso la storia della
ferriera di Campoli, nei pressi delle miniere di Pazzano, affiancata e poi sostituita
da un nuovo stabilimento costruito lungo il fiume Assi. La ferriera di Assi diede
maggiore impulso alle limitrofe “Ferriere del Bosco del Demanio di Stilo”. Non
si hanno notizie sull’antica organizzazione ma in tempi più recenti tali ferriere
hanno costituito un sistema chiamato Ferriere del Piano della Chiesa79 .
A partire dal 1739 alcune di queste furono date in affitto a Don Giuseppe
Cavallucci; a lui seguì lo stilese Don Giuseppe Lamberti che si offrì di realizzare,
a proprie spese, una fabbrica d’armi lungo il corso del fiume Assi.
Nel 1746, fu, infatti, realizzata in Calabria la seconda fabbrica d’armi statale del
Regno, la: Regia fonderia Cannonum Civitatis Stily80 .
Lo stesso Lamberti sottoscrisse anche la clausola di fornire ogni anno 2000
“cantaia” di cannoni di piccolo calibro81 ma non riuscì a gestire bene le proprie
sorti economiche e nel 1752 fu dichiarato fallito dal Regio Fisco82 . La pessima
qualità dei cannoni fece comprendere a Carlo la necessità di ammodernare il
sistema e lo indussero a chiamare, nel 1749, due gruppi di tecnici stranieri (uno
sassone e l’altro ungherese) allo scopo di riprendere i lavori a Stilo, sondare il
sottosuolo, ricercare giacimenti più redditizi e disegnare le mappe d’ubicazione.
Il napoletano Giovanni Francesco Conty, da molti erroneamente considerato
spagnolo, fu uno dei responsabili dell’impresa. I due gruppi soggiornarono a
lungo in Calabria e svolsero numerose ricerche. Il sassone Bruno M. Schott
risiedette a Stilo e s’impegnò a dirigere l’escavo di nuovi filoni. Il consigliere
Hermann, professore dell’Accademia Mineraria di Freyberg, guidò gli ungheresi.
Alcuni dati, ricavati dalle analisi chimiche condotte dal professore Giuseppe
Vairo su campioni prelevati dalle miniere calabresi, sono pubblicati da Grimaldi83
che, per quanto riguarda Bivongi, così si esprime:
79. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979.
80. D. Franco, op. cit., 2003.
81. M. Caracosca, Memoria amministrativa ed il Budjet per il 1814. BBN, Sez. manoscritti Ms. Bibl. prov.
63/12. Cfr. pure ASP, Sez. Manoscritti F. XXIX a–6, 1814, p. 266.
82. D. Franco, op. cit., 2003, Archivio di Stato di Napoli; B. De Stefano Manno, G. Matacena, op.
cit., 1979.
83. F.G. Grimaldi, Annali del Regno di Napoli, EPOCA I, Tomo IV, Notamento distinto di tutte le miniere in
ambedue i regni di Napoli e di Sicilia, che sotto il glorioso governo di S.M. Cattolica, dall’anno 1748 sino all’anno
1756 furono lavorate, scoperte o almeno rilevate, 1781, p. 93.
22
Mineralizzazioni in Calabria
una miniera ricchissima di argento in contrada Raspa, consistente in pietra grigia, tutta
trasformata da fila di argento mafficcio, che contiene più della metà di argento per
ogni cantaio, rilevata e scoperta nell’anno 1753 [. . . ] una miniera d’argento in contrada
“Argentaria”, cha da once 14 d’argento e rotoli 30 di piombo a cantaio [. . . ] Un’altra simile
in contrada “Due Fiumare”, che da once 6 e rotoli 25 di piombo a cantaio.
Riguardo al territorio di Stilo, l’Autore afferma:
in contrada “Assi del notaro” una miniera di piombo che rende once 10 di argento a
cantaio, e sempre in contrada Assi una miniera di Antimonio che è sovrabbondante in
rendita.
Dalle notizie fornite da Grimaldi emergeva anche che le miniere esistenti in
Calabria erano 41, di cui 23 di piombo argentifero. L’argento lo si riscontrava nelle
zone di Bivongi, Stilo, Badolato, Reggio, Longobucco, ecc.84 .
Notizie sull’attività del gruppo tedesco (sassoni) emergono dalle memorie di
Carmine A. Lippi85 , mineralogista salernitano, il quale racconta di essere stato
invitato dall’Abate Massa, professore di meccanica, presso la Scuola militare della
Nunziatella, per dargli una mano nell’identificare le iscrizioni in lingua tedesca
riportate su alcuni fogli di carta che avvolgevano minerali deposti in tre casse
colme. Tali fogli contenevano la descrizione, fatta dagli ufficiali tedeschi, delle
miniere di argento, piombo e rame, con il nome del luogo, l’indicazione dei pozzi
e delle gallerie scavate, la grossezza dei filoni, ecc., insomma testimoniavano la
grande ricchezza del sottosuolo calabrese.
Lippi inoltre dà notizia dell’incontro a Napoli con il direttore delle miniere
di Offenbainen “tal Brunetter”, dai cui racconti giovanili emerse il ricordo di
Fiumedinisi in Sicilia e di Reggio in Calabria, luoghi che lui stesso aveva visitato
al seguito del padre e dove i sassoni e gli ungheresi avevano fonderie di argento
e rame. Dai racconti s’intuì anche che i lavori erano cessati improvvisamente, i
mineralogisti si erano dispersi e gli ufficiali, tranne Hermann che morì a Napoli,
erano ritornati in Germania.
Tale partenza improvvisa fu probabilmente legata alle vicende politiche di quel
periodo, caratterizzate dall’abdicazione di Carlo a favore del trono di Spagna e
dalla politica battagliera adottata da Federico di Prussia in Germania. I militari
tornarono in Germania e le ricerche dei mineralogisti furono bloccate; i sistemi
di ricerca, introspezione e scavo, usati dai gruppi stranieri, rappresentarono però
il punto di partenza per l’applicazione di specifiche metodologie scientifiche86 .
Gallerie per l’estrazione dell’argento furono scavate, da parte di operai sassoni
specializzati, lungo il corso della fiumara Valanidi87 nella zona di Reggio Calabria,
84.
85.
1798.
86.
87.
Ivi, pp. 94–95.
C.A. Lippi, Memoria relativamente alla coltura delle miniere delle Sicilie, Stamperia D’Alberti, Vienna
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 15–16.
G. Clemente, op cit., 2012, pp. 666–671.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
23
Figura 1.5. Ingresso della fonderia Arangea (da Clemente, 2012).
proprio alla confluenza dello Stroffa, Addai e Musciaddi ed in particolare in
un’area collinare, nota come “Argentiera” o miniera di San Nicola88 .
Estrazioni di argento, nonché di rame, piombo e ferro, sembra siano state
effettuate anche nella zona dell’Arangea. Il minerale prodotto era lavorato nella
fonderia reale di Calabria, vicino Reggio. Secondo Clemente89 , la fonderia (Fig.
1.5) era situata in località “Miniera” sul pendio di una collina vicina alla sponda
sinistra della Fiumara Sant’Agata. La costruzione dovrebbe risalire intorno alla
metà del secolo XVIII. Oltre alla fonderia vi era un villaggio, abitato dagli operai,
dai minatori, dai militari e dai tecnici provenienti dalla Sassonia, che in epoche più
recenti diedero vita al quartiere Arangea di Reggio. All’interno dello stabilimento
si trovava anche una chiesetta dedicata a San Giovanni Nepomuceno, Santo di
origine boema e protettore dei lavoratori dei metalli. La Chiesa rimase in uso fino
alla prima metà del XIX secolo. Paillette90 ci fornisce la descrizione della fonderia,
che era stata costruita con un “lusso tutto reale”.
Essa era costituita da due edifici congiunti, di circa 40 m per 20 e contenenti
i forni “à manche” i cui mantici erano mossi da due ruote idrauliche, vi erano
inoltre dei mulini con delle laverie. All’esterno vi erano una fucina, un deposito
per il carbone e quattro forni riuniti in coppia per l’operazione di purifica e
tritatura del minerale.
L’argento veniva estratto anche nelle zone di Bagaladi e San Lorenzo, dove
erano ubicate cinque miniere. Altre zone di scavo si trovavano in contrada Cerasino e Rosalì. In quest’ultima località, nel 1755, venne ritrovata galena entro vene di
88. A. Paillette, op. cit., 1842, p. 654.
89. G. Clemente, op. cit., 2012, pp. 666–671, p. 668.
90. A. Paillette, op. cit., 1842, p. 628.
24
Mineralizzazioni in Calabria
quarzo con andamento 10° SE e con pendenza di 20° E. L’estrazione del minerale,
ricco in argento, mediante apertura di tre gallerie, fu piuttosto breve a causa del
suo rapido esaurimento91 . Melograni92 riferisce che durante il suo soggiorno in
Sassonia per studiare mineralogia con il professore Wernrer, incontrò il capo
fonditore Giovanni Cristiano Herscher, il quale gli fece leggere i suoi appunti
relativi alla mineralizzazione di Rosali da cui emergeva che « quella galena di
piombo dette 68 rotolo di piombo netto a cantaio di minerale, e che un cantaio di
quel piombo conteneva dieci once di argento ».
Rubino93 in Le fabbriche del sud elenca il personale straniero delle miniere e della
fonderia operante alla fine del 1761, anno in cui il lavoro fu sospeso. Il personale
straniero, in genere, svolgeva funzioni di comando, per cui la manovalanza doveva
essere costituita da personale del posto.
Il lavoro non doveva essere scevro da pericoli, soprattutto nelle miniere, come
si può evincere dall’elenco delle “limosine” mensili94 :
Giovanni Marchi “cieco per lavoro nelle grote” (3 ducati),
Tre orfani di Martino Haun (9 ducati),
Il figlio del fu capo Miller (3 ducati),
Il figlio del fu capo Femich (3 ducati),
Caterina Fanda, vedova di un minatore artiere, (3 ducati),
Flavia Kestner con una figlia minore, vedova del capo minatore Kestner (3 ducati),
Elisabetta Schmider con una figlia, vedova del capo minatore Schmider (3 ducati),
Due figli del capo minatore Hjle (3 ducati).
Presso Bivogi un’intensa attività mineraria fu svolta dai fratelli Flauti, napoletani ma residenti a Bivongi. È del 1755 la testimonianza resa davanti a un notaio da
parte di alcuni minatori di Bivongi e di Pazzano sull’esistenza presso Petracca, in
territorio di Bivongi, di alcune gallerie con minerale costituito da “Cantara 1000
e più di mina di ferro” estratto a proprie spese da Aniello Flauti con l’appoggio
dell’Amministratore Generale D. Bonaventura de Marco e dei minatori che lavoravano quotidianamente. Gli stessi, inoltre, descrivono la miniera denominata
San Filippo dove Flauti, a sue spese, estrasse il minerale95 .
Intorno al 1754/55 nel polo siderurgico di Assi (dall’omonimo fiume “Assi”),
costituito da sei ferriere (Francese, Zessi, San Carlo, Ropalà, Maglietto), e nelle
già esistenti ferriere di Stilo96 , furono prodotti i tubi dell’acquedotto “Carolino”,
lungo 27 miglia97 che conduceva l’acqua alla Reggia di Caserta.
91. A. Paillette, op. cit., 1842, p. 655.
92. G. Melograni, Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze. Coll’aggiunta di tre
memorie concernenti l’origine dei volcani, la grafite di Olivadi, e le saline delle Calabrie, Napoli 1823, stamperia
Simoniana, (prima edizione), p. 107.
93. G.E. Rubino, Le fabbriche del sud Ed Giannini, Napoli 2011, p. 173.
94. Ivi, p. 174.
95. Ivi, pp. 94–95.
96. D. Franco, op cit., 2003, p. 52.
97. L. Bianchini, Storia delle finanze del regno delle due Sicilie, Palermo 1839.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
25
Il progetto fu realizzato dall’Arch. Vanvitelli che, secondo quanto riportato da
Rubino98 nell’archivio Storico per la Calabria e Lucania, così scriveva al fratello:
Ho presentato al Re questa mattina il modello del condotto che si deve fare per Caserta [. . . ] Il
quale li ha piaciuto molto [. . . ] Il diametro di questo condotto maggiore [. . . ] di palmi uno
e mezzo, misura romana. Vi sono cinque calibri, il maggiore l’ho detto e l’inferiore sarà di
mezzo palmo: tutto questo si fonderà in ferro in Calabria, in luogo nominato Stilo ove è la
vena di ferro.
Nel 1759, alla partenza di Carlo, divenuto re di Spagna (in seguito alla morte
del fratello Ferdinando VI), salì al trono all’età di soli 8 anni il figlio Ferdinando
IV (divenuto Re delle Due Sicilie con il nome di Ferdinando I). Con i Borboni la
Calabria vide una coraggiosa riorganizzazione del settore.
Nel 1768 l’Accademia di Scienze e Lettere aveva anche avviato le analisi chimiche delle miniere di molibdeno di Squillace, poi interrotte a causa della morte del
chimico Antonio Pittaro99 .
Verso il 1770, abbandonato il sito siderurgico di Stilo, nascono le nuove e moderne « Reali Ferriere ed Officine » di Mongiana volute dai Borboni secondo il
Piano di Alessandro Persico, Amministratore degli Arrendamenti della Calabria
Ulteriore Seconda, e su disegno di Giovanni Francesco Conty. Quest’ultimo, minacciando di dimettersi, convinse il Ministero a dargli la possibilità di ristrutturare
le ferriere. Presa visione delle potenzialità del territorio e delle risorse, Conty
propose l’abbandono del bosco ormai distrutto di Stilo e il trasloco alla confluenza
del Ninfo con l’Allaro, in località Cima.
La posizione strategica rispetto ai porti d’imbarco e i celeri contatti con la
capitale, tramite il porto di Pizzo, indussero il ministro ad approvare il piano di
Conty: la nuova ferriera prese il nome di Mongiana, dal torrente che scorre sulla
Piana Stagliata–Micone. Qui sorse poi l’omonimo paese, abitato dalla manovalanza
necessaria alla realizzazione di quella impresa così audace100 .
Tali ferriere svolsero nelle Serre Calabre il ruolo dell’antica ferriera cinquecentesca del Fieramosca, situata a “Trentatàri”, vicino a Fabrizia. A queste pian piano
si aggiunsero altre ferriere, la fonderia e successivamente la fabbrica d’armi.
Il progettista del complesso fu l’architetto napoletano Mario Gioffredo e il
primo direttore fu lo stesso Conty101 . La costruzione realizzata prese il nome
di “Regia Fonderia” e consisteva inizialmente in due altiforni sotto una tettoia,
a cui si affiancavano le quattro ferriere di dolcificazione (“S. Carlo, S. Bruno, S.
Ferdinando e Real Principe”), strutture in legno contenenti i fuochi d’affinazione.
98. G.E. Rubino, Le ferriere di Stilo e di Assi in Calabria ultra dal XVI al XVIII secolo in Archivio Storico
per la Calabria e Lucania. XIV, XV, Roma 1978, pp. 73–104.
99. P. Napoli–Signorelli, Vicende della Coltura nelle Due Sicilie. Dalla venuta delle Colonie straniere sino a’
nostri giorni, Tomo V Napoli 1812 (Seconda Edizione Napoletana), p. 188.
100. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 122.
101. D. Franco, op. cit., 2003, p. 64.
26
Mineralizzazioni in Calabria
Successivamente lo stabilimento fu esteso fino a comprendere tre altiforni,
denominati “Santa Barbara, Sant’Antonio” (successivamente divenuto San Francesco) e “San Ferdinando”, e la fabbrica d’armi, costituita da un imponente edificio
di tre piani con all’ingresso le attuali due colonne scanalate di ferro fuso ed abbellite dalle statue dei coniugi sovrani. All’interno dell’edificio vi erano le officine dei
forgiatori di canne di fucile, baionette e piastrine con 26 fuochi. Lo stabilimento
industriale, più vicino alla realtà francese che non a quella inglese (che utilizza
il coke) fu il secondo nel regno. La scelta del luogo si era rivelata ottimale: miniere di ferro, foreste di faggi e castagni, acque abbondanti, cave di pietra steatite
necessaria alla costruzione di altiforni, ed il prezioso calcare argilloso adatto al
trattamento del minerale ferroso, costituivano gli elementi indispensabili alla
metallurgia. Sull’origine dello stabilimento di Mongiana si ha un po’ di confusione ma la data più esatta sembra essere quella del 1771, ricavata da una raccolta
di manoscritti amministrativi della ferriera, che U. Caldora fornisce nel saggio
dedicato alla Calabria sotto i Napoleonici102 . Nel 1776 la produzione totale di ferro
nelle Ferriere di Stilo ammontava a 308.451 Kg103 .
Vivenzio104 riferisce di alcune miniere in Calabria che, dal 1748 al 1756, sotto
il governo di Carlo III di Spagna, sono state oggetto di esplorazioni. Lo stesso
autore riporta che il Marchese Francescantonio Grimaldi nella sua Opera parlava
di trentasei miniere.
In particolare l’autore afferma:
Nelle vicinanze di Reggio nel luogo detto Bagaladi efiftono due minerali, un Argentino,
che rende oncie fei di Argento a cantaro. . . ed un altro Piombino, che dà oncia una, e
mezza di Argento, e rotola quarantotto di Piombo.
Per il territorio di Stilo, oltre alla miniera di ferro, cita un minerale “Argentino”
da cui si estraeva l’argento, un minerale “Piombino” (galena), che dava argento e
piombo, ed un altro di rame. Fa riferimento anche ad « un minerale di Arfenico
chiamato Blende, ed una Marchefita di Zolfo ». Quest’ultimo è anche presente,
insieme al vitriolo nella zona di Assi (Stilo). Nell’area di Bivongi e S. Ilario,
Vivenzio105 segnala la presenza di galena. Miniere di rame sono, invece, ritrovate
a Castelvetere e Cannavò. Presso Mileto si trova la « creta saponacea, della quale
i naturali del luogo fi fervono per imbiancare i panni » ed ancora « la plumbea,
la Marziale, il Geffo micaceo, il Talco bianco, e nero, e la Pietra focaja ». Nel
territorio di Squillace inoltre è degna di nota « una miniera di Molybdene » la
cui natura è stata messa in discussione da chimici e mineralogisti fino a quando
il celebre Fott individuò in essa delle parti di ferro. M. Sage affermava che la
Molybdene è « una mica marziale, ed aluminofa ». I depositi di carbon fossile
102.
103.
104.
105.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979.
D. Franco, op cit., 2003.
G. Vivenzio, Istoria e Teoria dei Terremoti, Stamperia Reale di Napoli, 1783, p. CLXXIX e segg.
Ibidem.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
27
caratterizzano, invece, l’area di Briatico. Si fa poi riferimento al carbon fossile ed al
vetriolo bianco di Tiriolo nonché all’antimonio del vallone Perarace di Catanzaro.
Nella stessa città di Catanzaro si ritrovano pietre simili ai rubini che seppur non
molto duri venivano venduti ai gioiellieri. A Gagliano e nel fiume Alli è segnalata
l’ocra106 .
Nel 1783 un terribile terremoto causò gravi danni al territorio calabrese, distruggendo la Certosa di Serra San Bruno, gli stabilimenti siderurgici di Mongiana
da poco realizzati e molte miniere107 .
I progressi delle siderurgie europee spinsero il governo di Ferdinando a bandire
nel maggio del 1789 un concorso per un viaggio in Sassonia, Baviera, Austria,
Francia e Inghilterra, allo scopo di conoscere la composizione chimico–fisica di
minerali, studiare le nuove tecniche estrattive e impratichirsi nelle tecniche di
fusione europee. I vincitori, Giovanni Faicchio, Carmine Antonio Lippi, Giuseppe
Melograni, Vincenzo Raimondini, Andrea Savaresi e Matteo Tondi, giunsero
all’Accademia Montanistica di Schemenitz, una scuola dove il pugliese Tondi,
oltre che dal platino, riuscì ad ottenere regoli metallici da minerali di manganese,
molibdeno e tungsteno, nonché i rispettivi metalli dagli ossidi di calcio, magnesio,
bario. Tondi e Lippi, dopo varie peripezie trascorse insieme attraverso l’Europa e
un sopralluogo in Inghilterra, si separarono, per poi ricongiungersi in patria nel
1797, dove nel frattempo erano ritornati anche gli altri compagni.
Nel 1790 Giovanni F. Conty morì e a lui seguì nel 1791 il figlio Massimiliano,
che nell’amministrazione della ferriera pagò le conseguenze di un progetto non
privo di difetti. Egli non riuscì a far rispettare le leggi e fu costretto dal sistema
ad applicare tariffe che favorirono i fenomeni di contrabbando e una qualità
dei prodotti scadente. La produttività annuale durante tale periodo fu pari a
1872 cantaia di ferro fucinato e 3705 cantaia di ghisa; metà di quest’ultima veniva
utilizzata per i proiettili, unici manufatti del ciclo mongianese.
Nel 1796, a causa delle lamentele dell’Artiglieria per la pessima qualità dei ferri
ricevuti dalla Regia Ferriera di Mongiana, si pensò di affidare la direzione dei
lavori ai militari, ma le vicende europee impegnarono a tal punto il Governo da
distoglierlo dall’impresa.
In vista però della spedizione per la riconquista di Roma contro i francesi di
Championnet, il Governo ritenne indispensabile inviare a Mongiana quattro dei
mineralogisti tornati dal viaggio europeo (Tondi, Melograni, Faicchio e Savaresi), al fine di potenziare l’impianto e riprendere gli studi geologici abbandonati
all’epoca dei sassoni.
Nel 1798 i quattro prescelti, insieme a minatori tedeschi, ad un ingegnere e un
pittore, giunsero alla ferriera108 .
106. Ibidem.
107. D. Franco, op cit., 2003, p. 55.
108. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 18, 25, 27.
28
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 1.6. Pianta delle miniere di Pazzano (da Rubino, 2011).
Lippi109 così commenta tale spedizione:
Quattro de’ miei compagni furono mandati a Stilo in Calabria con un ingegnere, e con un
pittore per la descrizione di quelle miserabili forge di ferro, per dipingere le prospettive di
quelle montagne e le aperture delle grotte delle miniere di ferro.110
I minatori, guidati da Melograni, furono inviati alle miniere di Pazzano dove
condussero sondaggi che consentirono l’apertura delle gallerie: Carolina, San
Ferdinando, Principe Ereditario111 . Nella figura (Fig. 1.6), sono indicate 18 miniere
di ferro ubicate sulle pendici del Monte Stella di cui però solo 4 in attività.
I quattro mineralogisti cercarono anche di migliorare la combustione negli
altiforni, sostituendo, per la ventilazione, le “trombe a vento” con i mantici alla
“tedesca” (che introducevano solo aria), allo scopo di risparmiare carbone (le
trombe a vento introducevano oltre all’aria anche particelle d’acqua provocando
riduzione della temperatura e dispendio di carbone)112 .
109.
110.
111.
112.
C.A. Lippi, Ultime parole pel bene della patria, Napoli 1822.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 140.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op cit., 1979, p. 28.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 66.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
29
Nell’aprile del 1796, l’esercito della Repubblica francese, comandato dal generale Bonaparte, invase l’Italia. Alla fine del 1798, le truppe napoletane a Roma
tentarono invano di arginare lo strapotere francese; seguì il rifugio di Ferdinando
IV a Palermo e la discesa dei francesi in Calabria.
I mineralogisti non vennero però distolti dal loro compito, anzi alcuni manifestarono solidarietà per le istituzioni repubblicane e disprezzo per il precedente
governo.
Re Ferdinando nominò Vicario del regno, il Cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria, che nel 1799 sbarcò in Calabria, nel tentativo di restituire il paese alla
monarchia borbonica.
Lo stesso Cardinale ordinò l’arresto di Massimiliano Conty, accusato di aver
appoggiato i piani della Repubblica. Dopo un paio di mesi dall’arresto, Conty fu
rilasciato e chiese la reintegrazione nell’ufficio, che era stato temporaneamente
affidato a Squillace, capo delle bande del Cardinale.
La reintegrazione gli fu comunque negata da parte del nuovo governo, di
nuovo in mano alle autorità borboniche grazie al Ruffo, causando presto la morte
di Conty.
La direzione economica e la guida della fonderia rimasero quindi nelle mani di
Squillace mentre la gestione degli impianti e miniere passò nelle mani al corpo
d’artiglieria. L’Amministrazione Squillace durò fino al 1807. Quando ormai la
pace sembrava ripristinata, i mineralogisti, che nel frattempo erano fuggiti da
Mongiana, vi fecero ritorno eccetto Tondi e Melograni che si erano schierati
con i francesi113 . Essi riuscirono a dimostrare che soltanto la ristrutturazione
degli impianti avrebbe portato il paese all’avanguardia. A loro si deve la proposta
di riattivare le “vecchie ferriere di Stilo”, l’ammodernamento degli altiforni di
Mongiana e la diversificazione delle produzioni delle ferriere114 .
Ben presto la direzione divenne motivo di discordia tra militari e civili e a luglio
del 1800 il Re sancì il passaggio della ferriera dal Ministero delle Finanze a quello
della Guerra, pertanto nel 1801 giunse a Mongiana il capitano Ribas.
Nel 1803 la ferriera tornò nuovamente alle Finanze e i mineralogisti, insieme a
Squillace, furono riconfermati. La presenza di tecnici esperti favorì il perfezionamento degli altiforni e l’assegnazione di compiti diversificati alle quattro ferriere
(S. Carlo, S. Bruno, S. Ferdinando e Real Principe). Il prodotto annuale medio
aveva raggiunto i 4110 cantaia di ghisa e 2293 di ferro. Ad una lieve diminuzione
dei prezzi di vendita seguirono nuovi contratti di lavoro e licenziamenti dei minatori tedeschi. Un decreto del 1807 (n. 121 dell’1 maggio) assegnava alla ferriera
tutto il ferro, rottami e vecchie artiglierie presenti in Calabria. Il decreto n. 326
di novembre sancì il passaggio dalle Finanze al Ministero della Guerra e chiarì la
posizione, funzione e dipendenza della ferriera115 .
113. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 27–31.
114. D. Franco, op cit., 2003, p. 69.
115. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 29– 30.
30
Mineralizzazioni in Calabria
Nel frattempo (nel 1806), il Regno di Napoli era stato invaso nuovamente dall’esercito francese e Napoleone Bonaparte, proclamatosi Imperatore nel 1804 e Re d’Italia
nel 1805, pose sul trono il fratello Giuseppe Bonaparte (dal 1806 al 1808), A lui si deve
l’abolizione della feudalità che pose le premesse per l’affermazione della borghesia.
Molte città e paesi della Calabria si opposero apertamente ai francesi, i quali non
riuscendo a placare la ribellione, proclamarono il 31 luglio 1806 lo stato di guerra
in Calabria. Ciò autorizzava l’esercito ad applicare le rigorose leggi militari sulle
popolazioni civili. Invano fu il tentativo dei Borboni di riconquistare il Regno116 .
A partire dal 1° gennaio 1808, sfruttando il momento di guerriglia interna,
l’Artiglieria riuscì ad avere in mano la ferriera, sotto la direzione del capitano Ritucci. Egli cercò di dare un nuovo volto allo stabilimento, assegnando compiti ben
precisi ad ognuno, pianificando il lavoro e creando un’organizzazione a piramide.
Suggerì inoltre, di risolvere la carenza di personale, mediante l’assunzione degli
operai che avevano lavorato nelle ormai soppresse saline di Nieti e Altomonte.
L’inserimento, da parte dei militari, di nuovi sistemi di ricompensa per gli
addetti alle fornaci favorì la produzione di ferro di buona qualità e risultati soddisfacenti. La ferriera iniziò anche la produzione di quadrelli e tondini, utilizzati
dagli artigiani di Serra S. Bruno esperti nella lavorazione del ferro battuto. Per
ospitare i militari deputati alla sorveglianza della produzione fu costruito anche
uno stabile, ampliato poi nel 1856.
Mentre Mongiana stava ormai diventando un piccolo villaggio, Ritucci, nel
tentativo di diminuire i costi del carbone, ideò il piano di affidare a Stilo la fase di
fusione e a Mongiana la fase di affinazione ed elaborazione di manufatti. Durante
il breve ma stimolante, regno di Gioacchino Murat (dal 1808 al 1815), che nel
frattempo aveva preso il posto di Giuseppe Bonaparte (salito al trono di Spagna),
Mongiana aveva continuato a ricevere miglioramenti e numerosi documenti attestano l’importanza che il cognato di Napoleone attribuì al complesso. Gioacchino
Murat istituì una commissione di studio, formata da Ritucci, Melograni e Paolotti,
allo scopo di escogitare un piano di ampliamento del settore siderurgico117 .
Tra le proposte vi era la costruzione di nuovi forni fusori, l’attuazione di norme per
regolamentare lo sfruttamento boschivo e la realizzazione di un moderno complesso
nell’area del “Piano della Chiesa”118.
Dal punto di vista politico–amministrativo, Ritucci propose, inoltre, l’unificazione
sotto la sua unica guida di tutti i complessi, in quanto già responsabile della fonderia
di Mongiana e delle Amministrazioni Comunali di Pazzano, Bivongi e Mongiana.
Il blocco continentale imposto da Napoleone non consentì di mettere in pratica le varie proposte emerse. La commissione intuì comunque la necessità di
risistemare l’impianto esistente e rimettere in sesto quello di Stilo119 .
116.
117.
118.
119.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 69– 70.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 32–35.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 71.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 35–37. D. Franco, op. cit., 2003, p. 72.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
31
Fu quindi avviata la sostituzione delle trombe d’alimentazione dei due altiforni,
la costruzione del “forno a riverbero” e della futura “Ferdinandea”(nuova fonderia
nelle montagne di Stilo). I lavori per quest’ultima, avviati già intorno al 1789, si
protrassero, tra rinvii e sospensioni, per svariati decenni fino ad essere completati,
con Ferdinando I, nel 1841120 .
Il luogo prescelto era quello in cui erano ubicate le “vecchie ferriere di Stilo”,
inizialmente affiancate (dalla nuova fonderia) e poi sostituite.
Il grande opificio, occupava un’area di circa 15.000 m2, di cui 9.427 coperti ed era
distribuito in due distinti complessi. Nel cortile, situato sul retro del fabbricato, era
collocato l’altoforno “S. Antonio”. La fonderia “Ferdinandea”, così chiamata in onore
di Ferdinando II di Borbone, era nata con l’obiettivo di fabbricare cannoni di grosso
calibro. Oggi dell’opera restano ben conservati la chiesetta ed il grande palazzo che, in
epoca garibaldina, fu acquistato da Achille Fazzari. All’interno della corte è presente
anche un piccolo busto in granito di Ferdinando II121.
I tre della commissione nominata da Murat scoprirono, inoltre, l’utilità delle
sabbie di S. Angelo (nei pressi di Soriano) e non lontano dalla ferriera, in località Faglicello, individuarono un’argilla ottima per la fabbricazione di mattoni
refrattari122 .
Nel dicembre 1811 a Ritucci si sostituì Caracosca, il quale eseguì notevoli
controlli, cercò di evitare gli sprechi, fece sorvegliare i boschi e adottò misure per
attenuare il contrabbando123 . A sostegno della gestione militare, Caracosca124 , in
una relazione inviata al Ministero, poneva in evidenza la cattiva conduzione dei
precedenti amministratori tecnici civili125 :
al 1798 ci mandarono quattro mineralogisti con dodici tedeschi cavatori di miniera che
però i tedeschi niente facevano più di quello che facevano i naturali di Pazzano, se non
apportare una grandissima spesa al Governo.
Egli ribadì inoltre la necessità di ripristinare le “vecchie ferriere di Stilo”, di
costruire nuove ferriere a Mongiana, di realizzare una fabbrica d’armi e di costruire una fonderia di cannoni nell’area precedentemente occupata dalla Certosa di
Serra S. Bruno126 . A ciò si aggiunse il riconoscimento, per la prima volta, di un
minimo di assistenza sanitaria e giuridica agli operai. Caracosca chiese al Governo
un aumento della forza lavoro e riuscì ad ottenere un anticipo per le spese da
sostenere127 .
120. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 36– 37.
121. D. Franco, op. cit., 2003, pp. 83–86.
122. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 35.
123. Ivi, pp. 39–40.
124. M. Caracosca, Memoria amministrativa ed il Budjet per il 1814, BBN, Sez. manoscritti Ms. Bibl. prov.
63/12. Cfr. pure ASP, Sez. Manoscritti F. XXIX a–6, 1814, p. 266.
125. G.E. Rubino, Le fabbriche del sud, Ed Giannini, Napoli 2011, p. 129.
126. D. Franco, op cit., 2003, pp. 143–173.
127. M. Caracosca, op. cit., p. 266.
32
Mineralizzazioni in Calabria
Il Cav. Quattromani nella sua opera Itinerario delle due Sicilie128 edita nel 1827
fornisce un’accurata descrizione delle miniere e della produzione di ferro della
Mongiana, qui di seguito riportate:
E rimpetto ergesi il monte Pecorara, anello degli Appennini che continova quelli delle
Niviere e del Ferro.
Due miglia al di là, verso dritta, trovasi il Vallone di Volusi, nel cui fondo sono
stabilite, lungo il corso dell’Alaro, le Officine della Fonderia dei projetti, e quattro forge di
raffinamento.
Poche famiglie gruppate in Barautu, dedicate a condurre i trasporti, formano la
residenza centrale dell’abitato della Mongiana. Nella circonferenza di quattro a dieci
miglia, esistono i boschi addetti alle manifatture, tra quali molti di privati proprietarii.
Seguendo la medesima direzione si salisce la vetta del colle delle Niviere, ed entrasi nel
maestoso bosco di Stilo. Scendendo all’ombra de’ suoi faggi, verso Est, per cinque miglia
circa, si perviene al piano della Chiesa, ove i mineralogisti fabbricarono nel 1797, un alto
forno, or diroccato, e varii edifizii per fonderia di cannoni.
Passando a dritta pe’ piani delle ferriere vecchie, si veggono gli avanzi dell’antico
stabilimento di Stilo [. . . ] Stendendosi verso l’est del monte Stella, viensi al villagio di
Pazzano, nella gola che lo divide dall’altro Monte Tramontan. Questo poi dividesi dall’altro
monte Sellara pel fiume Stillaro.
La popolazione di circa 2.000 individui, da cui tranne alcuni raffinatori o fonditori, è
tutta addetta ai lavori delle miniere. Abitano in Serra ed in Pazzano estremità del territorio
ferugginoso: ma quei di Serra industri e laboriosi presentano più agiatezza che quei di
Pazzano. La più parte de’ raffinatori abitano nel villaggio di Bivongi su le sponde dello
Stillaro sotto Pazzano [. . . ] In questi monti è la miniera di ferro di Pazzano, composta da
un masso di scisto argilloso che ne forma il muro e da un masso calcareo che n’è il letto.
Fra tai massi in un bracile eterogeneo inviluppasi il minerale.
Nel 1808 aprissi la Galleria S. Nicola: nel 1812 quella di Perronella: quindi quella detta
provvisoria, la nuova Carolina, di Scolo, Fondelli Vecchi, nuova Clementina. Questa
comunica con quelle di S. Nicola.
Sino al 1816 si cavarono da questi luoghi circa 6.000 cantaja al mese di minerale.
In minerale del Monte Stilo dà il 75 per 100 netto, il 54 % in ferro grezzo: pare dunque
che il minerale, sia al 40 per 100: col miglioramento de’ processi si avrà molto di più.
La cesinazione dopo 36 anni inutilizzò 5.000 tomolati di faggi e ‘l suolo negossi alla
spontanea riproduzione.
Il bosco di Stilo di circa 18.000 tomolate, salvò dalla cesinazione circa 10000 faggi, che
riproducano spontaneamente. A tal perdita di combustibile si riparò aggiungendo alla
fabbrica i boschi di S. Maria, Archiforo, Chiuditti, Boscarello, Fallo e Dinami, che hanno
circa 4000 tomolati di faggio:
12.000 tomolate di faggio, estensione boscosa di tutta la fabbrica, vanno a 300 some di carbone
ciascuna, 3.600.000 some; il cui cinquantesimo fornisce annualmente alle forgie e fonderie some
72.000.
Due alti forni danno 70 cantaja di ferro grezzo al giorno. Il forno colossale, che ha il
grogiolo della capacità di 30 piè cub., ne dà 90 al giorno.
Dunque mancano 15.651 some di carbone per tenere in attività costante la fabbrica,
che ne esige 8.7651 e non 7.2000 quante ne dà [. . . ]
La mongiana non ha se non le due prime raffinerie del ferro grezzo [. . . ]
128. G. Quattromani, Itinerario delle due Sicilie, Dalla Reale Tipografia della Guerra, Napoli 1827, pp.
197–201.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
33
[. . . ] Personale addetto
Tre soprantendenti de’ lavori, un Capo costruttore, due Capi fonditori, due sotto Capi,
modellatori, due Verificatori di minerale e di combustibile, due Verificatori di lavori, quattro
guarda magazzini, un cassiere, un Capo contabile e quattro ajutanti, due cappellani, due
Medici, due Chirurgi: in uno 28.
Artefici per le due fonderie: una compagnia di 120 fonditori: de’ quali 16 di prima classe,
sedici di seconda, 32 di terza e 56 di quarta. Una Compagnia di 60 Ribattitori, Comp. di 50
falegnami, Comp. di 50 fabb., Comp. Di 160 Carbonari, Comp. di 80 taglialegne, Comp. di
140 Mulattieri che hanno 280 muli, Comp. di 20 Carrettieri che hanno 40 carri, Comp. di 200
minatori, altre due Comp. di Mulattieri di 50 l’una, Comp. di trenta legnajoli TOTALE – 1118
Trentamila Cantaja di minerale trasportate dalle miniere alla Mongiana costavano di semplice
trasporto ducati 13200. Oggi con le nuove strade costerà molto meno. La strada progettata dal
Pizzo a S. Leone troverà nella sua lunghezza di 24 miglia quanto è necessario alla costruzione
ed al facile trasporto.
La fabb. Fornisce cant. 12775 di ferro grezzo annuo.
Inoltre, accanto a quanto già illustrato vale la pena ricordare Pietro Napoli–
Signorelli129 che nelle Vicende della Coltura nelle due Sicilie riporta l’esistenza di
miniere di salnitro ad Ardore, Gioiosa, Gerace, Condojanne, Siderno, Castelvere
e dello Stato di Arena, unitamente a quelle di altre miniere famose sin dai tempi
degli Angioini:
— 10 miniere di argento, 7 di ferro e 5 di piombo a Longobucco;
— 17 di ferro e 2 di rame nel Monte Cocuzzo e nel fiume Freddo.
Lo stesso Autore fa, inoltre, riferimento alle miniere di ferro, piombo e rame
citate anche da Vivenzio, In particolare:
Se ne ha ne’ monti di Stilo, di Tejo, di Pittaro, intorno all’Assi, in Pazzano, in San–Stefano,
in Mileto, nelle contrade di Crochi, in un ramo del fiume Machare, in Valanidi. Argento e
di molto si apprestano le falde orientali del Caulone, il territorio di Castelvetere, quello di
Bivongi là dove si aprono i due rami, la serra della Quercia, Valanidi, l’Assi, la Motta di
San–Giovanni, Ricciardo, la Costa del Musciddi, i colli di s. Lorenzo e Bagaladi. Zinco,
vitriuolo, piriti di ferro e di rame, arsenico, cinabro, trovansi da gran tempo nella marina
del Pizzo, in Pedauli [. . . ] Esistono miniere abbondanti di molibdena in Squillace ed
altrove.130
Al fisico Angelo Fasano131 si deve, invece, la scoperta, a Paralia, a Troppa,
Casalnuovo e nelle terre di Sinopolillo del feldspato con il quale « si potrebbe
fabricarne una porcellana fimile a quella che nella Cina si fabbrica ».
Nel 1814 iniziarono i lavori per riattivare le fonderie del Demanio di Stilo e per
la costruzione della nuova fabbrica di canne da fucile.
Il Decreto n. 2042 del 23 febbraio 1814 stabiliva, per coloro soggetti a leva, l’assunzione alla Mongiana previo esame attitudinale e obbligava i barenatori, i forgiatori
129. P. Napoli–Signorelli, op. cit., p. 184–186–187.
130. Ivi, p. 186.
131. A. Fasano, Saggio Geografico–fisico sulla Calabria Ulteriore, Atti della Reale Acc., Napoli 1788, p. 304.
34
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 1.7. Ponte “Cristina” sul Calore, realizzato nelle Ferriere di Mongiana. Progetto
dell’ingegnere Giura nel 1835 (De Stefano Manna e Matacena, 1979).
ecc., che volevano essere ammessi alla “Fabbrica delle Canne” a costruirsi a loro
spese una piccola abitazione in pietra132.
Nel 1814 a Caracosca subentrò Niccolò Landi (dal 1814 al 1816), Capo Squadrone
di artiglieria a Cavallo133 .
Il periodo murattiano ha sicuramente rappresentato una fase importante per la
siderurgia calabrese però dal punto di vista politico notevoli furono le difficoltà incontrate. Nel 1815 il Murat, sconfitto dagli Austriaci, perse il Regno134. Il 7 giugno 1815 Re
Ferdinando (IV di Napoli e III di Sicilia) sbarcò a Portici. Egli, dopo il Congresso di
Vienna ed il Trattato di Casalanza (20 maggio 1815), l’8 dicembre 1816, riunì formalmente i regni di Napoli e Sicilia con la denominazione di “Regno delle Due Sicilie”
(già adottata da Murat), assumendo il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie135.
Tra sussulti dell’impero napoleonico e il ritorno al vertice dei Borboni, la media
annuale della produzione mongianese superò i 16.000 cantaia136.
Il Governo borbonico tentò comunque di dare una nuova svolta al regno,
adottando nuove soluzioni e creando prodotti d’avanguardia.
Nel 1818 entrò in funzione a Mongiana una moderna ferriera (laminatoio)
denominata “Robinson”, per la produzione di lamine stagnate, il primo impianto
del genere a livello nazionale che realizzava così l’idea del ten. Colonnello Mori,
successore di Landi, di fabbricare acciai speciali e latta137 .
Con la restaurazione borbonica proseguirono quindi le trasformazioni e gli ammodernamenti e gradualmente, il complesso di Mongiana si estese fino ad occupare
132. Bullettino delle leggi del Regno di Napoli, Stamperia Reale Napoli, 1814, p. 69.
133. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 43.
134. D. Franco, op. cit., 2003, p. 75.
135. Ibidem.
136. N. Landi, Memoria economico–amministrativa sulla Prima Direzione di Artiglieria, in ANMI Anno II n. 3,
Napoli 1837.
137. D. Franco, op. cit., 2003, p. 74. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 44 e 46.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
35
Figura 1.8. Fonderia “Ferdinandea” (Stilo).
un’area di quasi tre chilometri che comprendeva, dall’alto verso valle, la fabbrica d’armi, gli altiforni, ed una grande ferriera. Nel 1820 le sommosse popolari del Sud Italia,
alcune guidate dai calabresi Morelli e Pepe, costrinsero Ferdinando I a promettere
di promulgare la Costituzione. Il Re nominò vicario del Regno il figlio Francesco, il
quale rispettò la volontà del padre di promulgare la Costituzione Spagnola del 1812,
corretta dall’Assemblea Legislativa.
Nel 1821, Ferdinando I, tradendo le aspettative del suo popolo, chiese l’intervento delle potenze europee che mandarono nel Sud Italia le truppe austriache.
Queste sconfissero le truppe napoletane guidate dal calabrese Pepe ed entrarono
vittoriose a Napoli138 .
In questo periodo di grande fermento, dovuto soprattutto alla scoperta del
ferro come materia prima e alla presenza in gran quantità del legno (e quindi
del carbone), il complesso siderurgico calabrese si ingrandì ulteriormente, alle
iniziative statali si affiancarono anche quelle private e nelle diverse ferriere furono
diversificate le produzioni. Per contro, riguardo all’attività estrattiva del circondario di Reggio Calabria, in particolare di quella nei pressi della fiumara del Valanidi
soggetta a frequenti allagamenti, il Melograni139 , in una nota informativa, afferma:
« lo scavo principale era il cunicolo della Stroffa, che ora è tutto sepolto e riempito
dalla fiumara, il cui letto è salito tanto che ha coverto la cima del cunicolo ».
Un esempio di iniziativa privata è dato dalla costruzione del grande complesso
siderurgico fondato nel 1824 da Carlo Filangieri, Principe di Satriano, a nord di Serra
San Bruno e in prossimità del fiume Ancinale, in località Razzona di Cardinale140.
Tale complesso, provvisto di ferriere, fu considerato il più grande del Regno. Nella
fonderia statale di Mongiana ed in quella privata del Principe Carlo Filangieri furono
fusi pezzi progettati (catene, maglie, bulloni) dall’ingegnere napoletano Luigi Giura.
138. D. Franco, op. cit., 2003, p. 77–78.
139. G. Melograni, op. cit., 1823, p. 71.
140. L. Bianchini, Storia delle finanze del regno delle due Sicilie, Palermo 1839.
36
Mineralizzazioni in Calabria
Nella medesima fonderia furono, inoltre, realizzate parti delle opere in getto dei
primi ponti sospesi in ferro costruiti in Italia: il ponte “Real Ferdinando” sul Garigliano
(inaugurato nel 1832) ed il ponte “Cristina” sul Calore (inaugurato nel 1835) (Fig. 1.7),
mentre le catene furono realizzate nella ferriera del Principe Carlo Filangieri141.
Ai primi di gennaio del 1825 morì Ferdinando I e salì al trono Francesco I. I
suoi sei anni di Regno furono caratterizzati da progressi in campo economico e
tecnologico.
Alla morte di Francesco I, il 7 novembre 1830, il Regno passò al figlio Ferdinando
II. Nel 1833, Ferdinando II si recò in visita in Calabria, spingendosi fino a Serra S.
Bruno. Egli inaugurò la Ferdinandea (Fig. 1.8), fonderia succursale di Mongiana,
situata al centro del Bosco di Stilo, alle pendici del Monte Pecoraro.
La vicinanza alle miniere di Pazzano e al Bosco di Stilo (da cui si ricavava il
carbone) riducevano notevolmente i costi di produzione della ghisa.
Nel 1833–34 si ebbe la prima campagna fusiva, con un ricavato di 5000 cantaia l’anno; rimaneva carente il collegamento tra fonderia, miniere di Pazzano,
Mongiana e il mare142 .
Nel 1834 Tarantino di Taverna143 , relativamente alle risorse minerarie calabresi,
segnalava nella sua opera, per la prima volta, il giacimento di pirite di Platania
nonché quello del ferro ossidato di S. Biase, nei pressi del fiume Zinnavo.
Nel 1837 fu varato il progetto del collegamento Mongiana–Pizzo. Il 26 settembre 1839 fu invece inaugurata la Napoli–Portici. Nello stesso anno il capitano
D’Agostino e l’allievo fonditore Panzera furono inviati all’estero per indagare
sulle tecnologie utilizzate nelle ferriere francesi. Grazie alle osservazioni fatte in
Francia si intuì che il carbone di faggio era il fattore determinante della purezza
del ferro, in quanto esente da zolfo e fosforo. L’utilizzo del carbone vegetale e
l’applicazione delle nuove tecniche acquisite in Francia consentì a Mongiana di
mantenere bassi i prezzi sul mercato, riuscendo a produrre circa 18.000 cantaia
di ghisa l’anno. Mongiana tentò la produzione di nuovi prodotti, tra cui coppie di cilindri scanalati, caldaie, ruote dentate, commissionati anche dallo stesso
Ferdinando per il nascente stabilimento di Pietrarsa.
Nel 1840 infatti, tra Portici e S. Giovanni a Teduccio, furono fondate le Officine
ferroviarie di Pietrarsa, le uniche dotate di tecnologia avanzata per realizzare i
binari ferroviari e costruire motrici navali144 .
È a questi anni che si riferisce lo studio dell’ingegnere Paillette145 pubblicato su
Annales des Mines e relativo alle ricchezze minerarie della Sicilia e della Calabria. Lo
studio fu anche ripreso in sintesi, dal sig. Dufrenoy146 , in un rapporto presentato
nei Rendiconti dell’Accademia delle Scienze di Francia.
141.
142.
143.
144.
145.
146.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 146.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 55–56.
C. Tarantino, Memoria sulla miniera di ferro scoperta nel territorio di Platania il 23 febbraio 1834.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 51, 56–58.
A. Paillette, op. cit., 1842.
O.P.A. Dufrenoy, Rapporto presentato nei Rendiconti dell’Accademia delle Scienze di Francia, 1842.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
37
Le varie mineralizzazioni vengono suddivise da Paillette in 3 gruppi: il primo
comprendente le miniere situate a nord di Messina e gli altri due gruppi ricadenti
in Calabria. Di questi ultimi, uno affiorava nella Calabria meridionale, nell’area
compresa tra Reggio e Squillace, l’altro nella Calabria settentrionale, nel circondario
di Longobucco. Egli sosteneva che la natura geologica del suolo era la stessa e che se
non ci fosse stato lo stretto di Messina e l’estensione terziaria che circoscrive le due
Calabrie, i terreni avrebbero costituito un’unica Unità.
A proposito delle mineralizzazioni della Calabria meridionale, Paillette147 riferisce di un’antica discarica di materiale sulla riva sinistra del Fiume di Nucara del
Piano, che si getta nella pianura di Sant’Eufemia, in cui era possibile individuare
blocchi di gneiss e frammenti di minerali, tra cui sfalerite, ematite, galena e rara
francklinite.
Melograni148 in merito a questa località riferisce:
non lungi dalla serra detta della Nucara, si trova del minerale, e questo è un minerale di
una singolare combinazione, che contiene del ferro specolare, della blenda compatta fosca
e delle laminette di galena, la quale talvolta vi forma la parte principale. È questo minerale
attirabile dalla calamita così freddo che bruciato.
Esiste nel luogo uno scavamento, o cunicolo, fatto senza dubbio dai Tedesch, in
tempo di S.M. Cattolica: presentemente questo cuniculo si vede tutto sepolto nell’acqua,
a sinistra del vallo e della fiumara [. . . ] Alla fisionomia dei pezzi che si veggono raccolti
in due o tre punti davanti al cunicolo, si può assicurare di trovarsi detto minerale, o in
istrati, o a modo di accumulazione.
Paillette149 riporta ancora di un filone con lenti irregolari di galena mescolata a
“pirite di rame” (calcopirite) e sfalerite, in ganga di quarzo, ritrovato nell’areale di
Bagaladi–San Lorenzo. Altre ricerche sono state effettuate su filoncelli di calcopirite
nei pressi di Bagaladi, sulla riva destra della Fiumara di Valanidi, non lontano dalla
cappella dell’Assunta. L’autore riferisce anche di alcuni pezzi di galena provenienti
dalla cappella di San Lorenzo e di tracce di minerali nella zona di Condofuri.
Riguardo a Mammola, nota per lo sfruttamento della galena e della pirite aurifera del Vallone Vecchio, Paillette150 afferma di aver ritrovato solo rare “mosche” di
minerali. Nel Vallone Perare, invece, all’interno degli scisti è stata rinvenuta un’associazione a calcopirite, sfalerite e arsenopirite. Solfuri di piombo e zinco sono stati
riscontrati anche nella miniera Nebrà e Neblà, nei pressi del Torrente Nebrà, che
separa i territori di Mammola e Grotteria. Galena è stata segnalata a Gioiosa. Sempre
Paillette151 riferisce di filoni di argento nativo nell’area dello Stilaro, e precisamente
nelle gallerie di San Giovanni in Raspa e di Santa Amalia.
147.
148.
149.
150.
151.
A. Paillette, op. cit., 1842, p. 657.
G. Melograni, op. cit., 1823, p. 50–5.
A. Paillette, op. cit., 1842, p. 655.
Ivi, p. 657.
Ivi, p. 661.
38
Mineralizzazioni in Calabria
Della Calabria settentrionale Paillette152 cita le miniere di San Donato, particolarmente ricche in rame e note come le miniere d’oro e d’argento. L’autore fa sapere
che lo stesso Melograni, nelle sue Memorie, riferisce di una sorprendente quantità di
pirite ed arsenopirite negli scisti che separano San Donato da Acquaformosa.
Non mancano poi i riferimenti alle miniere di Longobucco e alla fonderia
di contrada Livitella, vicino al Vallone dello Spagnolo, costituita da un forno a
riverbero costruito perfettamente all’inglese.
Sempre Paillette153 riporta di ricerche nella zona Acqua della Radica, che hanno
evidenziato un “filone di pietra marmorea con marcasite”, e nel Vallone Cuppo o
Uccino, dove è stato individuato quarzo misto a minerale di piombo. Vene di sfalerite
e marcasite con poca galena sono stati, inoltre, individuati a Castello o Giardini mentre
tracce di galena in ganga di fluorite sono state ritrovate a San Giovanni in Fiore.
Per quanto Paillette non fosse particolarmente entusiasta delle ricchezze della
minerarie della Sicilia e della Calabria, tuttavia, agli inizi degli anni quaranta, la
Mongiana fu molto attiva, anche perché si avvalse della guida di Fortunato Savino,
noto come l’« Ingegnere Costruttore », dotato di notevoli capacità e inventiva. Egli
trasformò la macchina a vapore di manifattura inglese, inviata dagli ingegneri
napoletani, in una macchina mossa dall’energia derivante dalla caduta d’acqua,
al fine di aumentare la produzione di ghisa anche nella stagione estiva quando la
quantità d’acqua era scarsa. Mediante tale macchina venivano convogliati i gas in
uscita dagli altiforni per poi risoffiarli dentro per fornire ossigeno alla combustione.
Sotto la sua direzione furono costruiti nuovi forni a riverbero, dotati di un fornello
dal quale le fiamme eccedenti venivano utilizzate per preriscaldare la ghisa da
introdurre nei laminatoi154 .
Nel 1848 anche Mongiana è investita dal moto rivoluzionario che vide notevoli
scontri tra truppe Reali e Liberali e molti morti da ambo le parti155 . Ciò nonostante
nella fonderia di Mongiana, i tre altiforni (S. Barbara, S. Ferdinando, S. Francesco) continuarono a lavorare a pieno regime, producendo ghisa di qualità pari a
quella inglese156 . Contemporaneamente all’espansione degli stabilimenti, fu poi
migliorata molto la viabilità per le miniere. Nel 1849 fu inaugurata la costruzione
del ponte sull’Angitola che facilitò i collegamenti con Pizzo Calabro (deposito e
porto militare), un solo viadotto sul fiume Angitola necessitò di ben nove grandi
arcate di sostegno (Fig. 1.9).
Stavano per essere presi i provvedimenti per la ristrutturazione degli altiforni
quando un’alluvione colpì improvvisamente Mongiana, danneggiando canali,
tetti di fabbrica etc.157 .
152. Ivi, p. 663.
153. Ivi, p. 665.
154. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 61.
155. La Cava(1947–49), La rivolta calabrese del 1848, in ASNP Napoli 1947–49. LX. C. Mulè, Mongiana
storia ed economia, su REPCZ, Catanzaro 1976.
156. D. Franco, op. cit., 2003, p. 79–80.
157. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 63.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
39
Figura 1.9. Prospetto, pianta e sezione del Ponte sull’Angitola. Progetto di G. Calmieri del 1842
(De Stefano Manno e Matacena, 1979).
L’ingegnere meccanico Fortunato Savino, incaricato dal Governo Borbonico di
costruire una moderna Fabbrica d’armi (Fig. 1.10), in sostituzione della “fabbrica di
canne da fucile” voluta dal Murat, la realizzò in soli due anni. La fabbrica infatti entrò
in funzione nel 1852. Per volontà di Savino, sul fronte esterno dell’opificio, furono
poste due splendide colonne di ghisa, in stile dorico, alte ben 4,80 m. In realtà le
colonne e l’architrave sono molto smisurati rispetto ai carichi che sopportano e ciò
fa pensare che la scelta del materiale non fu legata ad una necessità strutturale ma
evidentemente al desiderio di pubblicizzare quanto si produceva.
Nella nuova fabbrica fu progettato il famoso fucile da fanteria, modello “Mongiana” a molla indietro158 .
Negli stessi anni, ebbero inizio anche lavori di rinnovamento degli edifici del
complesso siderurgico. Le Officine furono abbellite.
Dopo una visita di Ferdinando II nell’ottobre del 1852, Mongiana fu costituita
in Colonia Militare: il Direttore assunse i poteri del Sindaco e gli ufficiali quelli di
Corpo Municipale. Superato il momento dell’ispezione reale, Mongiana, all’Esposizione di Arti e Manifatture di Napoli, dimostra di essere all’altezza della fiducia
dimostrata dal Re. A proposito di tale evento Paci159 sostiene che i lavori della
ferriera di Mongiana rendevano la mostra molto interessante sia per la qualità
della ghisa, che non temeva il confronto con quella di Bofort, che per il ferro
raffinato160 .
158. D. Franco, op. cit., 2003, pp. 80–82. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 187.
159. G.M. Paci, Relazione redatta in occasione dell’esposizione di arti e manifatture del 1853, 1854.
160. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 67.
40
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 1.10. Fabbrica d’Armi (Mongiana).
L’autore afferma anche che tra i lavori presentati atti a dimostrare la produzione
del “Regio Stabilimento” vi era « un bel saggio di acciaio di cementazione, fabbricato
in quel regio Opificio nel 1853, un completo fornimento di lime e raspe finissime
[. . . ] e canne damascate di baionette ». In riferimento alle miniere di Pazzano, Paci161
afferma: « lieta accoglienza ricevevano i saggi di etite e di limonite sfranta e compatta
del Monte Stella in Pazzano »162. Inoltre, la ricostruzione del forno Santa Barbara, la
sostituzione del forno Sant’Antonio (divenuto San Francesco) e la costruzione di un
terzo altoforno (San Ferdinando), fecero si che la Mongiana non avesse rivali163.
Nel corso della storia produttiva dello stabilimento hanno, infatti, funzionato
ben 4 altiforni (Santa Barbara, San Francesco, Sant’Antonio e San Ferdinando) (Fig.
1.11) e diverse furono le tecniche utilizzate. Nella prima metà dell’Ottocento negli
altiforni di Mongiana si tentò anche di utilizzare, al posto del carbone vegetale, il
carbon fossile che veniva estratto da alcune miniere aperte ad Agnana Calabra,
comune poco distante dalle fonderie delle Serre164 .
Al 1854 risalgono alcune citazioni letterarie di Benzonis Episcopi Albensis165 ,
relative all’obrizum (l’oro provato attraverso il fuoco) e all’argento calabrese: « Si
metallum cupit esse, sit aurum Arabiae, sit argentum de fornace divitis Calabriae ».
Il momento di gloria per Mongiana durò poco, nel 1855 un’altra alluvione,
più violenta della prima sconvolse fabbriche e paese. La resistenza opposta dalle
161. G.M. Paci, op. cit.
162. D. Franco, op. cit., 2003, p. 147.
163. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 68.
164. D. Franco, op. cit., 2003, p. 39.
165. Benzonis Episcopi Albensis, Ad Heinricum IV imperatorem libri VII, Ed. K. Pertz, in M.G.H., SS XI,
Hannover 1854, pp. 591–68.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
41
Figura 1.11. Altoforno di Mongiana.
Figura 1.12. Casa del Comandante. Prospetto laterale, 1977 (De Stefano Manno e Matacena,
1979).
42
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 1.13. Planimetria di Mongiana 1856, proprietà del Comune (da De Stefano Manno e
Matacena, 1979).
mura della Fabbrica d’Armi suggerirono la strada da seguire per difendersi dalle
successive alluvioni.
Nel 1859 Ferdinando II morì, a soli 49 anni, di setticemia a Napoli e gli succedette il figlio Francesco II166 . Nello stesso anno Savino realizzava su tre piani la Casa
del Comandante (Fig. 1.12), affacciata sulla piazza della Fabbrica d’Armi, destinata
ad ospitare i cavalli (primo piano), le truppe (secondo piano) e il comandante
(terzo piano).
Nel 1860, lo stabilimento di Mongiana (Fig. 1.13) era retto dal maggiore Giuseppe Del Bono, ultimo direttore borbonico. Il 20 agosto dello stesso anno l’arrivo di
Garibaldi e del suo seguito in Calabria costrinse Del Bono a firmare (il 27 agosto
1860) l’atto della resa. Lo stabilimento passò quindi nelle mani del garibaldino
Massimino167 .
L’artiglieria napoletana, non più responsabile dello stabilimento, si ritirò da
Mongiana. Seguirono furti di carbone, incendi dolosi e vari reati da parte di
reazionari in giro per i boschi. Tutto questo alimentò gli animi dei mulattieri che,
il 5 e 6 ottobre a Pazzano, interpretarono il malcontento generale gridando « Viva
Francesco II ». A prova di ciò anche i risultati del Plebiscito del 21 ottobre. L’anno
si concluse con una sommossa da parte degli operai che presero d’assalto la sede
166. D. Franco, op. cit., 2003, p. 92.
167. Ivi, pp. 92–93.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
43
della Guardia Nazionale, calpestarono il tricolore e portarono in processione la
statua di Francesco II. Sempre nel 1860, la Ferdinandea cessò definitivamente di
funzionare. Gli altiforni S. Francesco e S. Ferdinando (divenuti Cavour e Garibaldi)
producevano ormai molto poco, anche in conseguenza della caduta delle barriere
doganali attuata dal nuovo governo168 .
De Luca169 nel libro L’Italia meridionale o L’antico reame delle Due Sicilie, descrizione geografica, storica, amministrativa riferisce che in Calabria oltre a minerali
metallici come magnetite e solfuro di piombo, si trova anche grafite (a Olivadi) e
il cinabro (a S. Donato).
Per quanto riguarda Olivadi, fu la Direzione della Reale Artiglieria di Napoli,
che avendo bisogno di grafite chiese al Governo di coltivare per suo conto la
miniera.
Già nel 1811, Melograni170 si era recato a visitare la miniera di Olivadi collocandola nel « distretto di Catanzaro, nella Calabria Orientale, quattro miglia distanti
da Olivadi, otto dal Mare, altrettanti da Squillace, diciotto da Catanzaro e duecento
settanta da Napoli ». L’impressione che ne ricavò fu del tutto negativa:
Il metodo tenuto finora a spingere avanti gli scavamenti è il più assurdo, il più imbarazzante del mondo, è quello stesso che usavano i popoli antidiluviani, e che userebbero i
selvaggi di tut’i tempi [. . . ] Ecco un breve quadro della miniera di Olivadi: figurare una
voragine fatta a modo di cono rovescio, o di una campana capovolta che abbia un’altezza
di 194 palmi napoletani, un diametro nella sua massima apertura di 200 palmi, ed un fondo
di 30 palmi, tutta intagliata nel gneis, tutta grondante d’acqua, non già a gocce ma a rivoli.
Melograni, come sua abitudine, preparò un dettagliato progetto con la duplice
finalità di aumentare gli utili e di proteggere le maestranze.
Nel 1861 la Mongiana, all’Esposizione Industriale di Firenze, conquistò una
medaglia con diploma171 . Il nuovo governo però impresse un duro colpo all’economia, estendendo sull’ex Regno delle Due Sicilie, il 6 luglio 1861, le notevoli tasse
piemontesi (sul macinato, di famiglia, di successione)172 . L’anno seguente, all’Esposizione Internazionale di Londra, venne premiata la produzione di ghisa, ferro,
carabine di precisione, etc. La siderurgia meridionale non ricevette però grande
appoggio da parte dello Stato, il quale nel decennio 1860–70 gli commissionò solo
il 5–7% del fabbisogno militare e il 6% di quello ferroviario173 .
Nel 1862, Massimino, ritenuto a torto responsabile delle proteste e delle sommosse, venne rimosso dall’incarico. A lui seguì prima Crescenzio Castagna ed
168. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 73–78.
169. G. De Luca, L’Italia meridionale o L’antico reame delle Due Sicilie, descrizione geografica, storica,
amministrativa, Stabilimento Tipografico di Classici Italiani, Napoli 1860, p. 30.
170. G. Melograni, op. cit., 1823, p. 205.
171. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 81.
172. D. Franco, op. cit., 2003, p. 94.
173. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 80–81.
44
Mineralizzazioni in Calabria
in seguito l’ufficiale di artiglieria Luigi Maccaferri174 . Intanto Mongiana, privata
dei suoi brillanti tecnici e del suo mercato, assisteva al proprio sfacelo. Dopo
l’Unità quindi, una volta cadute le barriere doganali che proteggevano l’industria
delle due Sicilie, il governo nazionale, anche sul piano degli incentivi economici,
non intraprese alcuna iniziativa che cercasse di utilizzare intelligentemente il
patrimonio che aveva acquisito quasi inaspettatamente.
A ciò si aggiunsero anche discriminazioni sul piano legislativo: l’estensione della legge forestale sarda permise di effettuare i grandi disboscamenti del Meridione,
con grave danno economico ed ecologico. La fine di Mongiana si concretizzò
con la legge 21 agosto 1862 n. 793, che includeva la stessa tra i beni demaniali
da eliminare, e con il Decreto R. n. 1068 del 21 dicembre 1862, che comportava
il passaggio dal ministro della Guerra a quello delle Finanze. A ciò si aggiunse
l’aggravio fiscale, infatti, a soli due anni dall’Unità, le tasse per il Sud aumentarono
del 40% e nel 1865 raggiunsero l’87% in più rispetto al 1860175 .
Il lavoro nelle industrie siderurgiche continuò comunque sotto la direzione del
corpo d’Artiglieria, a fasi alterne sino al 1863, quando le miniere furono cedute al
demanio per reperire fondi. Furono anche emanate leggi speciali (tra le quali la
Legge Pica, 15 agosto 1863), che sospesero le libertà costituzionali.
Nel 1864 i complessi siderurgici di Mongiana e Ferdinandea nonchè i boschi
del circondario furono venduti dallo Stato ai privati. Questi incaricarono la scuola
delle miniere di Parigi di analizzare alcuni campioni di minerale che rivelarono
contenuti di perossido di ferro e di allumina di circa l’84%176 . Vano fu il tentativo
del Sindaco Francesco Morabito, che in una delibera del Consiglio Comunale del
28 novembre 1870, esortò i parlamentari a rivalutare la siderurgia calabrese.
Padula177 nella sua opera Calabria prima e dopo l’unità d’Italia passa in rassegna le varie
località della provincia di Cosenza facendo riferimento alle diverse risorse. Relativamente
a Lungro riporta: « Nei suoi pressi, quarzite schistosa. Gesso in Pettinaro sotto la salina.
— Pietre spugnose e bucherellate, ma dure ed ottime per fabbrica, presso Boldrano. —
Talco, che pare sia compagno del sale »; riguardo ad Acquaformosa afferma:
Argento, e tuttavia una contrada dicesi Argenteria. Vi è miniera di ferro nella Serra di
Costantino. Se ne fa menzione in un diploma di Federico sotto l’anno 1227, con cui si
concede “tenimentum quod incipit a vallone Galatri et extenditur ad Serram Costantini,
ubi est mina ferri, quam ipsi monasterio concessimus, et descendit ad flumen Condri
(Gruonno) et per viam de Sancto Donato ascendit ad casalem Bellari”;
citando S. Caterina così asserisce: « Ottima calce, che si cava da pietra che
somiglia al feldspato; e ne provvede i paesi vicini. — Vi è gesso e la selenite, ossia
scagliola ».
174.
175.
176.
177.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 93.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, pp. 79, 81–82.
D. Franco, op. cit., 2003, pp. 97–99.
V. Padula, Calabria prima e dopo l’Unità, 1872, a cura di A. Marinari, vol. 1 e 2, Laterza, Roma–Bari 1977.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
45
Nel 1874, il Governo per liberarsi della scomoda industria siderurgica e bellica
calabrese, decise di vendere tutti gli stabilimenti delle Serre e i boschi circostanti.
Il passaggio in mani private si ebbe con il Deputato On. Achille Fazzari (ex garibaldino), che con l’offerta più alta si aggiudicò tutto il complesso. Solo le suppliche
dei mongianesi lo convinsero ad affidare all’ingegnere Dainelli il compito di
escogitare un possibile piano di sfruttamento dello stabilimento. Egli verificò lo
stato degli impianti, aprì nuove miniere, analizzò il minerale e restaurò gli altiforni
e dopo aver ispezionato le foreste, le attrezzature ed aver aperto nuovi cunicoli
nelle miniere, il 22 marzo 1875 presentò a Fazzari una relazione178 sulla possibile
ripresa dell’attività siderurgica179 . Da quella data trascorsero sei anni prima che
gli altiforni di Mongiana ritornassero a fondere “l’etite” e la limonite di Pazzano; nel 1881 l’attività riprese e nello stesso anno cessò per sempre. Conseguenza
immediata fu l’emigrazione, con destinazione Terni180 .
Nel 1885 sotto la Direzione di Fazzari venne impiantata una ferrovia ed una
teleferica per consentire il trasporto di materiale da Ferdinandea alla stazione di
Monasterace Marina. Il primo tratto ferroviario era di circa 20 km e andava dalla
località “Cerasarella” a Ziia; il secondo tratto, di circa 10 km collegava Bordingiano
con il porto di Monasterace Marina. Fra i due tratti di ferrovia si estendeva una
teleferica lunga circa 7 km, dove la merce giungeva per mezzo di carri.
A Fazzari181 si deve anche l’installazione di una centrale idroelettrica per soddisfare le necessità della Ferdinandea. Il governo non supportò però le proposte del
Fazzari, il quale non avendo finanziamenti fu costretto a chiudere definitivamente
le fonderie di Mongiana e Ferdinandea. La prima fu del tutto abbandonata e il
materiale fu utilizzato dai mongianesi per costruire le proprie case; la seconda fu
trasformata in una residenza montana182 . Fazzari183 così ricorda le attività fusorie
in una lettera del 1904:
Quando lavorava come fonditore ne’ miei Altoforni di Mongiana, osservava che alimentandoli con le stesse quantità e qualità di minerale, con la stessa castina, con lo stesso
carbone, essi digerivano secondo il mutar dei venti. Se spiravano dal nord, la digestione
era regolare, le scorie bianche ed il ferro, che paragonavo al nostro sangue, scorreva fluido
e puro. Quando spirava dal sud la ghisa era pastosa e le scorie nere.184
Per quanto riguarda l’area di Reggio Calabria Cortese185 , responsabile del
Corpo Reale delle miniere d’Italia, nella sua Descrizione geologica della Calabria
afferma che nella zona di Trunca vennero realizzate delle gallerie strettissime,
178.
179.
180.
181.
182.
183.
184.
185.
G. Dainelli, Relazione sugli stabilimenti siderurgici di Mongiana di proprietà del Sig. A. Fazzar, Firenze 1875.
D. Franco, op. cit., 2003, pp. 102–103. B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979.
B. De Stefano Manno, G. Matacena, op. cit., 1979, p. 94.
A. Fazzari, L’acqua di Mangiatorella, Soc. Ed. Merid., Napoli 1904.
D. Franco, op. cit., 2003, pp. 103–104.
A. Fazzari, op. cit., 1904.
D. Franco, op. cit., 2003, p. 192.
E. Cortese, Descrizione geologica della Calabria, 1895 (I ristampa 1934, II ristampa 1983).
46
Mineralizzazioni in Calabria
dove si estraeva del rame di buona qualità « trovate poco a Sud di Reggio, le
vestigia di una fonderia di rame; [. . . ] Furono scoperte delle gallerie strettissime,
capaci di dar passaggio ad un suolo uomo, scavate a scalpello. In esse si trova
del carbonato di rame verde, depositato da acque che vengono dal di sotto dei
sovrastanti terrazzi dell’Aspromonte »; lo stesso Autore paragona gli scavi a quelli
della valle Aurina in Alto Adige « il deposito e le gallerie sono identici a quelli
trovati a Caserme (Kasern) nella Valle Aurina dell’Alto Adice, che scende dalla
Vetta d’Italia, e le gallerie sono, certo, della stessa epoca ». Altri scavi, secondo le
affermazioni del Cortese, sarebbero stati effettuati anche nelle zone di Santa Trada,
S. Aniceto, Montebello e Condofuri. Sempre a Cortese186 si deve la segnalazione
di mineralizzazioni a barite e galena presso il Torrente La Fiumarella di Catanzaro.
In quegli anni, solo alcuni gruppi industriali e studiosi, anche stranieri, mostrarono interesse per le miniere, infatti, compirono saggi sul materiale ferroso
di Pazzano: la Phoenix di Laar, la Montecatini, l’Ilva, il Politecnico di Berlino ed
altri. Tutti furono piacevolmente sorpresi della buona qualità del minerale.
Nel 1916 la Società Ilva riprese i lavori nella galleria aperta da Fazzari ma
presto li abbandonò per aprire due nuove miniere a Stilo e Placanica. Nello stesso
anno alcune aziende private manifestarono interesse per una ripresa mineraria in
Calabria. Un’istanza del dott. Alessandro Casini chiedeva al Comune di Pazzano,
per conto dell’ing. Descovic, la concessione dello sfruttamento delle miniere
presenti nel territorio comunale. La richiesta fu accolta ma nel 1920 Descovic
fu costretto a sospendere i lavori per problemi finanziari187 . Orsi188 segnala la
presenza di filoni di metalli al piano della Tirena, fornendo anche delle percentuali
di rame (15%) riscontrate in alcuni campioni raccolti nella vallata del Grande.
Il 5 luglio del 1920 fu costituita a Genova la Società Anonima “Miniere di Pazzano” che affidarono all’ing. Emilio Cortese l’incarico di ispezionare le miniere ed
analizzare il minerale. Egli si accorse che nelle miniere abbondava la pirite (scambiata in passato per antimonio) ed eseguì ricerche per lo sfruttamento della galena.
Quest’ultima era presente negli scisti su cui poggiavano i banchi di limonite e,
secondo lui, aveva un contenuto d’argento di circa 500 g per tonnellata. Richiese anche una modernizzazione del trasporto del minerale ma le sue proposte
non ebbero successo, tanto che la società Genovese nel 1921 abbandonò i lavori.
Successivamente la stessa Società riebbe dal Comune le miniere ma stipulò un
sub–appalto con la Società Montecatini scontrandosi quindi con gli interessi dello
stesso Comune, il quale non perse tempo per scindere il contratto.
Nel frattempo il sig. Zannino Salvatore, Segretario Comunale di Pazzano aveva
costituto (nel 1920) il “Sindacato Miniere Pazzano”, il quale nel 1923 riprese i lavori.
Ad esso nel 1924 subentrò la Montecatini: dalle miniere in cui precedentemente si
estraeva la limonite si iniziò ad estrarre esclusivamente pirite, inviata agli impianti
186. Ibidem.
187. D. Franco, op. cit., 2003, p. 104.
188. P. Orsi, Scavi di Calabria nel 1914 e 1915, Roma 1917, pp. 358.
i. Inquadramento storico delle attività minerarie
47
di Crotone, Sicilia e Puglia. I lavori furono sospesi dopo un anno anche se l’attività
di ricerca continuò fino al 1929. Una nuova fase di ricerca fu avviata nel 1936 ad
opera della COMITAL (che si era già occupata dello sfruttamento della lignite
di Bivongi), della Soc. AMNI (che sfruttò la calcopirite di Bivongi), della Soc.
Ernesto Breda (responsabile dello sfruttamento del rame, ferro e molibdenite)189 .
Come emerge da alcuni documenti dell’Archivio Comunale di Bivongi190 , nel
1938 anche l’Università di Messina mostrò un certo interesse per i minerali della
Vallata dello Stilaro. Tale interesse emerge da una lettera con cui l’allora podestà
Francesco Bova rispose alla richiesta di informazioni da parte della medesima
Università:
Ill/mo Direttore dell’istituto Geofisico e Geodetico R. Università di Messina. Aderendo al
cortese invito [. . . ] Pregiami comunicarVi che in territorio di questo Comune da circa due
anni, [. . . ] La Società Mineraria E. Breda di Milano va eseguendo delle ricerche ed ha da
poco aperto delle gallerie per l’estrazione del molibdeno. . . del ferro nonché. . . della pirite
cuprifera. Esiste ancora una contrada denominata “Argentera”. . . In località “Apostoli” è
stata aperta una cava di pregiato marmo. . . non vi sono a quanto io ne sappia tracce di
petrolio e di altri combustibili. Solo in contrada appellata “San Giovanni” trovansi dei
giacimenti di lignite.191
Le ricerche di quest’ultima società furono le più vantaggiose, in quanto individuarono molti giacimenti di limonite e molibdenite, tanto da aprire numerosi
cantieri (Gattaraghi, Frana Paoli, Cava, Giogli, ecc.) nella zona di Bivongi, Stilo,
Pazzano, Guardavalle, Caulonia e Nardodipace.
Nel cantiere “Giogli”, costruito sul torrente Pardalà nel comune di Bivongi,
veniva estratta la maggior parte di molibdenite, che con la teleferica veniva poi
portata alla laveria sita in contrada “Perrocalle”. Oggi, il piano superiore della
laveria è stato trasformato in ristorante, mentre il cantiere è ormai un rudere192 .
Intorno agli anni Quaranta, l’attività estrattiva in Calabria produsse oltre due
milioni di tonnellate di minerali non metallici (grafite, baritina, feldspati) e oltre
cinquantamila tonnellate di quelli metallici (ferro, manganese, rame).
Tra il 1950 ed il 1969 è stata calcolata una produzione di idrocarburi di circa un
milione di metri cubi193 . Nel 1951 una nuova speranza si riaccende: la Montecatini
e l’Ente Sila fondano la « Mineraria Calabra » con lo scopo di iniziare il razionale
sfruttamento dei giacimenti. Dopo la riapertura di alcuni imbocchi delle miniere
i lavori furono però sospesi. Nel 1960 fu effettuato un censimento dei siti e delle
fonti letterarie. Nulla di concreto si realizzò per la ripresa dello sfruttamento194 .
189. D. Franco, op. cit., 2003, pp. 105–110.
190. Archivio Comunale di Bivongi.
191. D. Franco, op. cit., 2003, p. 166.
192. Ivi, p. 110, 167
193. M. Pileggi, Minerali: l’oro di Calabria. Nella regione una grande varietà di giacimenti, Articolo pubblicato su Il Quotidiano della Calabria, sabato 20 maggio 2006.Tratto da Le identiche miniere di rame alle due
estremità nord e sud della penisola.
194. D. Franco, op. cit., 2003, p. 111.
48
Mineralizzazioni in Calabria
Oggi nel territorio calabrese rimangono numerosi imbocchi di miniere, case
operaie, depositi, discariche, ferriere, fonderie a testimoniare che lo sviluppo
di interi paesi, quali Pazzano e Bivongi e villaggi minerari (il villaggio “Ziia”,
“Campoli”, frazione di Caulonia) fu proprio conseguenza dell’attività mineraria
in Calabria. Per valorizzare queste importanti risorse minerarie e soprattutto
per « raccogliere e salvare la memoria collettiva di un territorio e della sua popolazione » nasce nel 1982, come progetto dall’ACAI (Associazione Calabrese
Archeologia Industriale), l’Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria195 , con sede proprio a Bivongi, il cui scopo è essenzialmente quello della ricerca, studio,
salvaguardia e promozione culturale del patrimonio dell’archeologia industriale
calabrese, in particolare di quello della vallata dello Stilaro, definita anche la “culla
della prima industrializzazione meridionale”. Nel comune di Bivongi, inoltre, si è
cercato di restaurare alcune parti del vecchio impianto siderurgico: una “antica
bocca di miniera”, una “centrale idroelettrica” del 1913, due“mulini idraulici”, una
“antica conceria”, già “ferriera Fieramosca”, una “casa albergo”, annessa ad uno
stabilimento termale.
Nell’ex convento Basiliano San Giovanni Theristis a Stilo è stato, invece, istituito il “Museo di Archeologia industriale e della cultura materiale”, il primo del
genere nel Sud Italia.
Nel Comune di Pazzano, a giugno 2008, è stato dato il via a i lavori per la
realizzazione di un museo della “Cultura mineraria”.
195. G.E. Rubino, Ecomuseo delle ferriere e fonderie della Calabria, Articolo pubblicato dal Comune di
Bivongi, insieme a Regione Calabria e Comunità Europea, 2000.
Capitolo II
Le mineralizzazioni
e la loro distribuzione sul territorio
Qui di seguito vengono riportate, suddivise per Provincia per una più facile
lettura, le principali località sedi di mineralizzazioni. Per ogni mineralizzazione si
forniscono tutte le informazioni di cui si è trovata traccia sia che esse derivino da
fonti storiche che da studi recenti.
2.1. Provincia di Catanzaro
La Provincia, occupa la parte centrale della regione ed è delimitata a nord dalla Sila, a
sud dalle Serre Calabresi, a est dal Mar Ionio e a ovest dal Mar Tirreno. Essa, inoltre,
confina a nord con la provincia di Cosenza, a nord–est con la provincia di Crotone, a
sud con la provincia di Reggio Calabria, a sud–ovest con la provincia di Vibo Valentia.
Nel territorio catanzarese, come in quello cosentino, sono note località sedi di
mineralizzazioni alcune delle quali sono elencate in Tab. 2.1. Di qualcuna di esse
non è stato possibile fornire le esatte coordinate poiché i dati sono insufficienti
per una loro collocazione.
Altre località riguardano interi territori comunali o aree piuttosto vaste, pertanto, in
questi casi, nel testo si riporta il solo foglio di riferimento della Carta topografica d’Italia.
Tabella 2.1. Elenco delle località ricadenti nella provincia di Catanzaro.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
Località
Foglio
Coordinate UTM
Badia
Bosco Magomero
Bracella
Catalano
Colle Pallone
Colle Stretto
Croce
Donna Angelica
Ferraro
Molino Mastricarro
Monte Farinella
Monte Reventino
Platania
Portella
Vitriolo
242 IV NO Tiriolo
–
236 II SO Martirano Lombardo
236 II SO Martirano Lombardo
242 IV NO Tiriolo
242 IV NO Tiriolo
242 IV NO Tiriolo
–
242 IV NO Tiriolo
242 IV NO Tiriolo
242 IV NO Tiriolo
–
236 II SE Decollatura
242 IV NO Tiriolo
–
–
–
–
–
33SXD 302155
33SXD 307149
33SXD 338139
–
33SXD 333172
33SXD 364092
33SXD 319140
–
33SXD 157185
–
–
49
50
Mineralizzazioni in Calabria
Di seguito sono riportate le descrizioni delle mineralizzazioni:
1. Badia (Foglio 242 IV NO). È nota la presenza di idrosolforato (che ha origine
per alterazione della pirite)1 .
2. Bosco Magomero. Jervis2 segnala la presenza di ferro nella montagna Amato.
3. Bracella (Foglio 236 II SO Martirano Lombardo). In località Bracella, presso
Martirano, Grimaldi3 fa conoscere la presenza di galena.
4. Catalano (Foglio 236 II SO Martirano Lombardo). In contrada Catalano di
Martirano Grimaldi4 segnala la presenza di solfuro di ferro.
5. Colle Pallone (UTM 33SXD 302155, Foglio 242 IV NO Tiriolo). Panichi5 riporta
la presenza di pirite.
6. Colle Stretto (UTM 33SXD 307149, Foglio 242 IV NO Tiriolo). Cuteri6 riferisce
informazioni sulla presenza di ferro.
7. Croce (UTM 33SXD 338139, Foglio 242 IV NO Tiriolo). Cuteri7 riferisce notizie
sulla presenza di rame.
8. Donna Angelica. In contrada Donna Angelica, a est del paese di Tiriolo,
Panichi8 così descrive la presenza di mineralizzazioni a pirite:
A Tiriolo io sono tornato più volte, facendoci anche qualche mina, per trovare il terreno
meno alterato dagli agenti atmosferici. Il giacimento è a levante del paese di Tiriolo, in
località detta Donna Angelica, presso il rio Savino, che scorre nella gola fra il Poggio (ove
sorge il paese) ed il monte Tiriolo.
Lo stesso Panichi9 segnala, unitamente alla pirite, masse di calcopirite e sfalerite
e probabilmente anche tetraedrite (nei saggi aveva trovato del rame).
9. Ferraro (UTM 33SXD 333172, Foglio 242 IV NO Tiriolo). A Ferraro, nei pressi
di Gimigliano, Cuteri10 riferisce notizie sulla presenza di pirite.
1. L. Grimaldi, Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria ultra 2, Napoli 1845.
2. G. Jervis, I tesori sotterranei dell’Italia, Torino 1874–1881.
3. L. Grimaldi, Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria ultra 2, Napoli 1845.
4. Ibidem.
5. U. Panichi, Sui minerali del giacimento di Tiriolo (prov. CZ), Rend. Acc. Lincei Cl. Sc. Fis. Nat. Mat.
200, 1911, ser. V.
6. F. Cuteri, Risorse minerarie ed attività metallurgica nella Sila Piccola meridionale e nella Pre–Sila del
versante Tirrenico. Prime osservazioni, in De Sensi Sestito G., Tra l’Amato e il Savuto, Rubettino Editore, 1999.
7. Ibidem.
8. U. Panichi, Sui minerali del giacimento di Tiriolo (prov. CZ), « Rend. Acc. Lincei Cl. Sc. Fis. Nat. Mat ».
200, 1911, ser. V.
9. Ibidem.
10. F. Cuteri, op. cit., 1999.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
51
Figura 2.1. Strada sterrata di accesso alla miniera Mastricarro (da Procopio et al. 2011).
10. Molino Mastricarro (UTM 33SXD 364092, Foglio 242 IV NO Tiriolo). In
località Molino Mastricarro, nella Fiumarella di Catanzaro11 , si trova il principale
giacimento di barite (Fig. 2.1).
Già il Cortese12 , nella sua Descrizione geologica della Calabria segnalava in quest’area la presenza di mineralizzazioni a barite e galena. Il deposito ha giacitura
filoniana e ricade in terreni appartenenti all’Unità di Stilo, il cui basamento è
costituito da scisti e plutoniti (granodioriti, microgranodioriti e porfidi). I filoni,
di tipo idrotermale e costituiti principalmente da barite spatica con subordinati
vari minerali accessori (fluorite, galena, calcopirite ecc.), si sono probabilmente
depositati nelle preesistenti fratture delle plutoniti, che a loro volta sono state
oggetto di successive fratturazioni e conseguente dislocazione dei filoni. Nello
studio sulle mineralizzazioni dell’Arco Calabro Peloritano effettuato da Bonardi et
al.13 la mineralizzazione viene considerata di tipo “prealpino in magmatiti”. Un
interessante studio minerogenetico sulle inclusioni fluide14 ha evidenziato che i
filoni sono di tipo epitermale con temperatura minima di 210 °C a una pressione
di 18,04 bar corrispondente a una profondità di circa 200 metri. Dalle osservazioni
effettuate si esclude un possibile legame genetico con le mineralizzazioni a molib11. F. Procopio, P. La Pietra, S. Marabini, F. Muto, R. Palumbo, A.M. Pellegrino, La miniera di barite
Molino Mastricarro: un geosito nella cittàdi Catanzaro, « Geoitalia » 2009–VII Forum Italiano di Scienze della
Terra, 2011.
12. E. Cortese, Descrizione geologica della Calabria, 1985 (I ristampa 1934, II ristampa 1983).
13. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155.
14. L.J. Buchanan, B. De Vivo, A.K. Kramer, A. Lima, Fluid inclusion study of the Fiumarella barite
deposit (Catanzaro S. Italy), « Mineralium Deposita », 1981, 16, 2, 215–226.
52
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.2. Cartina posta sul pannello situato all’inizio della strada sterrata (pallino rosso), aree
di sosta (cerchi blu), ingressi delle gallerie minerarie (rettangoli rossi) (Da Bachelli, 2007).
denite di Bivongi, che invece sono interpretate come appartenenti a un sistema
porphyrycopper 15 . Vighi16 nel suo lavoro, individuava tre sistemi di fratturazione
delle plutoniti e ipotizzava che a seguito della prima fratturazione si depositava
nelle spaccature la barite, a seguito della seconda fratturazione si depositavano
i solfuri, mentre la terza fratturazione dislocava i filoni già mineralizzati. Lo
studio in microscopia di riflessione effettuato da Buchanan et al.17 ha mostrato
un’associazione a barite, fluorite, calcopirite, galena, covellina e delafossite. Da
questo tipo di indagine è anche emerso che i solfuri presenti si sono depositati
successivamente alla messa in posto del filone di barite. La calcopirite e la galena
sono spesso localizzate lungo le fratture della barite, nelle zone di brecciazione
o al contatto tra due cristalli di barite. Nei campioni a prevalente calcopirite,
finemente granulare, la galena euedrale è dispersa in modo rado nei granuli grossolani di calcopirite anedrale. Nei campioni in cui prevale la galena, rappresentata
15. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, op. cit., 1982.
16. L. Vighi, Studio di un’area mineralizzata a baritina e solfuri vari in Calabria, « Ric. Scient. », 1948, 10,
1339–1344.
17. L.J. Buchanan, B. De Vivo, A.K. Kramer, A. Lima, op. cit., 1981.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
53
soprattutto da granuli anedrali grossolani, rada calcopirite è presente nella barite
vicina alla galena o al contatto tra galena e barite. Tali relazioni suggeriscono che,
inizialmente c’è stata una prima deposizione di galena, seguita da una deposizione
di calcopirite e poi di nuovo deposizione di galena18 . Una descrizione della località e dei minerali presenti nell’associazione (anglesite, azzurrite, barite, calcite,
calcopirite, cerussite, covellina, fluorite, galena, malachite, pirite, quarzo) viene
anche fornita da Dattola19 . Nel 1964 la società “Industrie Minerarie Meridionali
S.p. a.” intraprese uno studio geo–minerario proprio in quest’area, individuando
la presenza di una consistente mineralizzazione a barite. Nel luglio 1967 ottenne la
concessione mineraria denominata “Miniera di barite Mastricarro” su 155,21 ettari
di superficie e per una durata di 15 anni. Nel biennio successivo iniziarono i lavori
di coltivazione mineraria nelle varie gallerie (Figg. 2.2 e 2.3) inizialmente venne
utilizzato il metodo del “taglio in direzione” successivamente quello denominato
“a camere e pilastri” considerato più produttivo (Fig. 2.4). Il minerale estratto in
ganga di granodiorite e porfido, veniva trasportato alla laveria (o impianto di
arricchimento), situata all’inizio del sentiero, e qui sottoposto a varie fasi di lavorazione fino ad ottenere un minerale di ottima qualità, impiegato principalmente
nell’industria delle vernici. La produzione media era di circa 80.000 tonnellate
annue di barite20 . La società Industrie Minerarie Meridionali, inserita nel gruppo
EGAM, fu poi trasferita all’ENI. A seguito dello scioglimento di quest’ultima con
legge 15 giugno 1978 n° 279, passò alla SAMIN. Nel 1979 nel giacimento, ormai
in via di esaurimento, furono effettuati vari sondaggi di ricerca che verificarono
la scomparsa dei filoni nella zona centro nord della miniera; la loro probabile
dislocazione su quote diverse rendeva difficoltoso il loro ritrovamento e la prosecuzione dei lavori. Il 3 giugno 1980, ritenuto esaurito il giacimento, la società
Industrie Minerarie Meridionali (gruppo SAMIN) rinunciò alla concessione della
miniera. Seguì la messa in sicurezza della stessa, mediante la chiusura di tutti
gli imbocchi delle gallerie con pareti in calcestruzzo dello spessore di 40 cm21 .
I minerali ad oggi identificati22 in questa miniera sono: anglesite, azzurrite, barite, calcite, calcopirite, cerussite, covellina, fluorite, galena, malachite, pirite e
quarzo. L’anglesite è presente in piccolissimi cristalli (inferiori al millimetro) di
colore giallo, grigio chiaro od incolori con abito bipiramidale; spesso associato a
malachite e cerussite.
L’azzurrite è presente in patine azzurre associate alla malachite ma anche in
piccoli cristalli (3–4 mm) di colore azzurro intenso con facce ben formate. La
18. Ibidem.
19. L. Dattola, La miniera di barite del Torrente Fiumarella presso Catanzaro: i minerali, « Rivista
Mineralogica Italiana », Milano 1996, 3, 289–292.
20. F. Procopio, P. La Pietra, S. Marabini, F. Muto, R. Palumbo, A.M. Pellegrino, op. cit., 2011, p.
157–170.
21. Ibidem.
22. M. Bachelli, La miniera di barite “Mastricarro” (Torrente La Fiumarella – Catanzaro), Articolo su
http://www.elireggio.it/gav/Mastricarro.htm, 2007.
54
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.3. Planimetria generale della miniera nel 1964 (da Procopio et al. 2011).
Figura 2.4. Particolari dell’interno della miniera (da Procopio et al. 2011).
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
55
barite o baritina è quasi sempre in forma massiva spatica, di colore bianco latte,
ed a volte in intrecci di cristalli irregolari con patine di ossidazione giallastre.
Nelle cavità della barite spatica sono rinvenibili anche cristalli tabulari trasparenti
di circa 4 mm. La calcite si trova raramente in cristalli scalenoedrici fino a 3 mm
di dimensione, spesso ricoperti da patine di ossidazione giallastre. La calcopirite
presente sotto forma di filoncelli e noduli inglobati nella barite si trova anche
nelle piccole cavità del quarzo sotto forma di piccoli cristalli bisfenoidali fino a
3–4 mm di dimensione. La cerussite è spesso associata alla galena e è osservabile
sotto forma di cristallini con abito prismatico o tabulare spesso geminati di colore
bianco, giallino o grigio. La dimensione massima dei cristalli è di 3–4 mm. La
covellina si trova raramente in piccoli aggregati di cristalli lamellari lucenti di
colore blu/violaceo iridescente. La fluorite di colore verde tenue è fluorescente
in viola chiaro alla luce ultravioletta, si trova in piccole vene inglobate nella
barite. La galena è comune in mosche ed aggregati spatici nella barite massiva.
Si presenta anche in aggregati alterati e cariati, che in prossimità di piccole vene
di quarzo, sono indicative della presenza di anglesite e cerussite. La malachite è
spesso presente sotto forma di patine verdi sulla barite, e in aggregati di cristalli
aciculari o fascicolati. Questi ultimi sono stati talvolta ritrovati a ricoprire cristalli
cubici di pirite. La pirite si trova in cristalli cubici ricoperti da patine limonitiche
brune. Il quarzo è inglobato nei filoni di barite o presente in piccole vene. I
cristalli, trasparenti o con patine di ossidazione, raggiungono anche i 5 mm di
dimensione. Le fasi di lavorazione della barite comprendevano23 :
a) frantumazione: il materiale estratto, con tenore medio di barite del 50–60%,
veniva frantumato fino alle dimensioni di 8–10 mm;
b) prearricchimento idrogravimetrico: l’operazione avveniva mediante crivelli a
un tenore in barite di circa l’80%. Per eliminare parte dei minerali di ganga,
veniva sfruttata la differenza di velocità di caduta in acqua esistente tra
minerale utile e ganga sterile, dando così luogo ad una parziale separazione
dello sterile allontanato mediante una corrente d’acqua;
c) macinazione primaria: il materiale arricchito in barite, veniva macinato fino alla
dimensione massima di 50 mesh (circa 0.3 mm), mediante mulino tubolare a
ciottoli operante ad umido in circuito chiuso, con classificatore a spirale per la
formazione di una torbida da utilizzare nel processo di flottazione;
d) flottazione: la torbida prodotta veniva condizionata con carbonato sodico,
etilxantato di potassio e aerofronth (miscela a base di glicol etilenico), cioè
veniva fatta flottare in celle ad agitazione meccanica, con la formazione di
schiuma nella quale si concentravano i solfuri, la schiuma veniva allontanata
mediante palette schiumatrici, mentre il residuo di torbida, contenente
barite e ganga sterile, veniva avviato alle successive fasi di trattamento;
23. F. Procopio, P. La Pietra, S. Marabini, F. Muto, R. Palumbo, A.M. Pellegrino, op. cit., 2011, pp.
157–170.
56
Mineralizzazioni in Calabria
e) flottazione della barite: la barite ulteriormente condizionata con silicato sodico e alcool laurilico sulfonato veniva sottoposta a flottazione in una batteria
di celle ad agitazione meccanica, con la formazione di schiuma contenente barite arricchita al 90–95%, che veniva pompata in un addensatore. Il
residuo di torbida, costituente il rifiuto, veniva eliminato;
f ) decantazione: la schiuma di barite arricchita pervenuta all’addensatore, dava
luogo alla separazione dei grani solidi, che venivano recuperati alla base
dell’apparecchio sotto forma di torbida densa, composta mediamente da 60
parti di solido e 40 d’acqua; l’eccesso d’acqua tracimava e veniva eliminata;
g) filtrazione: la torbida densa di barite veniva filtrata mediante filtro a vuoto
che ne riduceva il contenuto d’acqua al 10% circa;
h) essiccamento: la barite filtrata veniva essiccata a 120°C in essiccatoio rotativo a
riscaldamento indiretto mediante aria calda, la frazione di polveri trascinata dalla
corrente d’aria di riscaldamento, veniva recuperata mediante filtro a maniche;
i) macinazione secondaria: secondo il ciclo di lavorazione normale, che dava luogo
alla produzione di barite ventilata, la barite disidratata in essiccatoio veniva
portata alla granulometria nominale di 325 mesh (0,044 mm) mediante mulino
tubolare a sfere operante in circuito chiuso con classificatore a vento;
j) stoccaggio in silos e insaccamento: il prodotto veniva inviato in silos e quindi
insaccato per il trasporto.
11. Monte Farinella (UTM 33SXD 319140, Foglio 242 IV NO Tiriolo). Panichi24
riporta anche qui la presenza di pirite.
12. Monte Reventino (Foglio 241 I NO). nei pressi di “Nicastro”, Grimaldi25
segnala presenza di solfuro di ferro.
13. Platania (UTM 33SXD 157185, Foglio 236 II SE. Decollatura). Nel comune
di Platania, in provincia di Catanzaro, Jervis26 segnala la presenza di ferro, mentre,
Pipino27 cita la presenza di pirite. La scoperta del giacimento a pirite di Platania
si deve al Prof. Carlo Tarantino di Taverna28, che ne parlò nella sua Memoria sulla
miniera di ferro scoperta nel territorio di Platania il 23 febbraio 1834. La mineralizzazione è stata studiata da Vighi29. Il deposito, presente « negli scisti filladici affioranti
lungo il viottolo che partendo dal paese di Platania passa, verso nord est, in zona
Molini e poi scende nel vallone Savorà », è costituito da piccole lenti di pirite in
24. U. Panichi, Sui minerali del giacimento di Tiriolo (prov. CZ), « Rend. Acc. Lincei Cl. Sc. Fis. Nat. Mat »,
1911, 200, ser. V.
25. L. Grimaldi, Studi statistici sull’industria agricola e manifatturiera della Calabria ultra 2, Napoli, 1845.
26. G. Jervis, op. cit., 1881.
27. G. Pipino, op. cit. 1983.
28. C. Tarantino, Memoria sulla miniera di ferro scoperta nel territorio di Platania il 23 febbraio 1834, 1834.
29. L. Vighi, Sulla genesi dei prodotti di alterazione della pirite in ganga di quarzo, « Periodico di Mineralogia »,
1951c, Anno XX, n. 1, 1–42.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
57
ganga quarzosa. Le osservazioni in posto, condotte da Vighi30, hanno consentito di
supporre che le lenti si siano formate per deposizioni avvenute in tempi diversi: le
lenti ossidate si sarebbero formate in seguito all’alterazione di un originario deposito
di pirite–quarzo, simile a quello delle lenti fresche. Ciò è provato dalla tessitura dei
due minerali rinvenuti in piccoli frammenti inalterati nella lente ossidata. Lo stato di
alterazione di quest’ultima sarebbe imputabile a una maggiore circolazione di acque
sotterranee in corrispondenza di una faglia. Una faglia a rigetto interessa, infatti, sia
gli scisti che la lente mineralizzata completamente ossidata. Le lenti del deposito
sono allungate e irregolari e seguono l’andamento delle superfici di scistosità della
roccia incassante. Sulla superficie esterna è rinvenibile una patina terrosa mentre
all’interno sono frammisti pirite e quarzo lattiginoso. I cristalli di pirite, raramente
idiomorfi, sono isolati o in aggregati di dimensioni tra 1 e 5 mm. Nel quarzo è stata
raramente notata, in sezione sottile, la presenza di minuscoli cristalli di afrosiderite
(una varietà di clorite). La patina terrosa giallastra che riveste esternamente le lenti è
stata classificata come goethite. Le lenti di pirite, infatti, nelle zone più periferiche,
hanno subito un processo di alterazione con trasformazione della pirite in goethite.
Tale trasformazione nei cristalli procede dall’esterno verso l’interno con bordi netti
tra la parte alterata e quella inalterata. Dal punto di vista genetico, la mineralizzazione
ha una origine idrotermale, ovvero si è formata in seguito ad una fase di bassa
termalità che ha interessato gli scisti filladici paleozoici. La natura delle rocce avrebbe
contribuito a rendere neutre o debolmente alcaline le acque superficiali che sarebbero state quindi responsabili della formazione di ossidi. I campioni prelevati nella
lente alterata31 sono a forma di guscio, vuoto all’interno, di composizione variabile
che dall’esterno verso l’interno sono costituiti da:
a) una parte incoerente, costituita da limonite terrosa di colore marrone
giallognolo. Questa passa gradualmente ad un materiale più compatto
dato da ematite microcristallina e goethite criptocristallina frammiste, con
porosità decrescente verso la parete interna del guscio;
b) una zona più compatta al centro, di colore grigio ferro, costituita da resti del
frammisto pirite–quarzo, da cristalli isolati di pirite idiomorfa di formazione
secondaria, da vene di lepidocrocite cristallina, da sottili vene di quarzo
secondario e da vacuoli riempiti di polvere nera (probabilmente ossidi di
manganese e ferro);
c) piccole stalattiti di ematite con scarsa lepidocrocite e rara marcasite che
rivestono la parte alta della parete della cavità interna; nella parte bassa è,
invece, presente limonite terrosa.
Il tipo di composizione e la formazione di stalattiti dimostrerebbe l’esistenza di
un movimento discendente delle acque superficiali lungo la faglia. D’altro canto
30. Ibidem.
31. Ibidem.
58
Mineralizzazioni in Calabria
l’alterazione spinta della lente testimonia la presenza di una certa abbondanza di
acqua dovuta ad una percolazione piuttosto che ad un’infiltrazione. Il processo di
alterazione sarebbe avvenuto in più fasi32 :
— I fase. Inizialmente le acque superficiali hanno interessato la superficie
esterna dei campioni, trasformando la pirite in goethite criptocristallina.
Ciò avrebbe scatenato una reazione fortemente acida;
— II fase. Il quarzo passa in soluzione con conseguente reazione alcalina.
L’asporto del quarzo rende più porosa la zona attaccata e quindi l’azione
delle acque diventa più intensa tanto da determinare, contemporaneamente
all’asporto del quarzo, un’ulteriore alterazione della pirite. Le condizioni
presenti portano alla formazione di ematite che impedisce un’ulteriore
alterazione dei granuli di pirite e quarzo;
— III fase. Durante la rimozione del quarzo, probabilmente anche la goethite, primo prodotto di alterazione della pirite, veniva attaccata. È nota
l’esistenza di differenze di potenziali tra zone a pirite e zone a goethite33 .
Nel caso specifico una differenza di potenziale avrebbe potuto generare
una migrazione della goethite verso le zone periferiche. Tale fase sarebbe
stata determinante nella formazione della tessitura cava a “guscio”;
— IV fase. Sollecitazione meccaniche avrebbero creato fratture irregolari,
nelle quali si è formato quarzo secondario e probabilmente anche la pirite
idiomorfa secondaria;
— V fase. Durante quest’ultima fase l’infiltrazione di acqua dalle pareti del guscio
avrebbe causato la trasformazione della goethite in ematite, il parziale trasporto
in soluzione della goethite e la formazione, nella parte interna alta del guscio
delle stalattiti di ematite con lepidocrocite. In questa fase si sarebbero anche
formati gli ossidi che riempiono i vacuoli della parte centrale.
14. Portella (Foglio 242 IV NO Tiriolo). Nella contrada Portella a Miglierina è
stata segnalata la presenza di pirite34 .
15. Vitriolo. Mineralizzazioni a rame e ferro interessano l’area a NE di S. Mango
d’Aquino, indicata con il toponimo, Vitriolo. Qui è presente una cava aperta per la
coltivazione della serpentina verde, pietra utilizzata per scopi ornamentali e come
pietra da costruzione35 .
32. Ibidem.
33. A. Buehlerh, V.H. Gottschalk, Oxidation of sulphides (second paper), « Ec. Geol », 1911, 7, 1, 15–34. W.
Lindgren, L.C. Graton, C.H. Gordon, The ore deposits of New Mexico, « Geol. Surv. », 1910, Professional
Paper, 68, 55. W. Lindgren, Mineral deposits, Mc. Graw–Hill, New York 1933.
34. L. Grimaldi, op. cit., 1845.
35. L. Annunziata, S. Paoli, Ricognizione territoriale nella valle del Savuto. Relazione preliminare. in, G.
Maddoli: A Sud di Velia, Ricognizioni e Ricerche 1982–1988, I, Taranto 1990, 177–199.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
59
Tabella 2.2. Elenco delle località ricadenti nella provincia di Cosenza.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
Località
Foglio
Acquaformosa
Altomonte
Anghisto
Bocca della Cava
Bonia
Brahalla
Castello Giardini
Cozzo Chinico
Cozzo del Pesco
Cozzo del Principe
Fasone
Fondaco del ferro
Gallopane
Grotta della Monaca
Longobucco
Lungro (Salina)
Macrocioli
Malvito
Morano Calabro
Mormanno (a NNE dell’abitato)
Reginella
Rosaneto
S. Donato di Ninea
S. Giovanni in Fiore
S. Pietro
Saracena
Sportari
Torrente Grammisati
Vallone del Cupone
Vallone del Grondo
221 III SE Lungro
221 III SE Lungro
–
–
–
–
–
230 IV SE Rossano
230 IV SO S. Giorgio Albanese
230 III SE Fossiata
–
–
230 III SE Fossiata
–
230 III NE Longobucco
221 III SE Lungro
230 III NE Longobucco
229 IV SO Fagnano Castello
221 IV SE Morano Calabro
221 IV SO Mormanno
230 III NE Longobucco
220 I NO Maratea
221 III SO S. Donato di Ninea
237 IV NE S. Giovanni in Fiore
230 III NE Longobucco
221 III NE Saracena
230 III NE Longobucco
230 IV SE Rossano
230 III SO Lago di Cecita
221 III SO S. Donato di Ninea
2.2. Provincia di Cosenza
La provincia di Cosenza è la più estesa provincia della Calabria. Si affaccia a
ovest sul Mar Tirreno e ad est sul Mar Ionio, confinando a nord con la Basilicata
(Province di Potenza e di Matera) e a sud con le Province di Catanzaro e di
Crotone. Sulla superficie territoriale si alternano zone montuose (la catena del
Pollino, la Catena Costiera sul Tirreno e il Massiccio montuoso della Sila), valli
(le principali delle quali sono la Valle del Crati e la Valle del Savuto) ed aree
pianeggianti (Sibari).
Nel territorio provinciale sono stati rinvenuti depositi sia di minerali metalliferi
(galena, sfalerite, pirite, calcopirite, ecc.) che di altro tipo (quarzo, mica, feldspati,
salgemma, ecc).
Le località sedi di mineralizzazioni sono elencate in Tab. 2.2 Di alcune di esse
non è stato possibile dare le esatte coordinate poiché i dati sono insufficienti per
una loro precisa collocazione. Altre località riguardano interi territori comunali
o aree piuttosto vaste, pertanto si riporta il solo foglio di riferimento della Carta
topografica d’Italia.
60
Mineralizzazioni in Calabria
1. Acquaformosa (UTM 33SWD 934976, Foglio 221 III SE – Lungro). Nell’areale
circostante l’abitato, Pipino36 riferisce della presenza di manifestazioni cuprifere e
Lovisato37 di mineralizzazioni a cinabro.
2. Altomonte (UTM 33SWD 970952, Foglio 221 III SE Lungro). Sono stati rinvenuti filoni idrotermali di quarzo, con calcopirite, tetraedrite, pirite ed arsenopirite,
situati al contatto tra calcari triassici e filliti (scisti sericitici e cloritici, quarziti e
arenarie scistose), interessando soprattutto gli scisti. Fenomeni di impregnazione
cupriferi interessano sia i calcari che le arenarie; in queste ultime, nonché nei
filoni e nei corsi d’acqua della zona, sono state individuate tracce d’oro e d’argento.
Presenti anche mineralizzazioni ferrifere38 .
3. Anghisto. Anche per il territorio di Anghisto si hanno segnalazioni della
presenza di mineralizzazioni39 .
4. Bocca della cava. In località Bocca della Cava, nei pressi di Sangineto, Pipino40
segnala la presenza di mineralizzazioni a cinabro.
5. Bonia. Anche per questa località si hanno segnalazioni41 della presenza di
varie mineralizzazioni.
6. Brahalla. Si hanno segnalazioni42 della presenza di varie minermineralizzazioni.
7. Castello giardini. Paillette43 segnala la presenza di vene di sfalerite e marcasite
con poca galena.
8. Cozzo chinico (UTM 33SXD 367800, Foglio 230 IV SE Rossano). Area mineralizzata, della quale però non sono noti i minerali44 .
9. Cozzo del pesco (UTM 33SXD 352775, Foglio 230 IV SO S. Giorgio Albanese).
Area mineralizzata nel territorio comunale di Rossano, non sono noti i minerali45 .
36. G. Pipino, op. cit., 1983.
37. D. Lovisato, Sulle chinzigiti della Calabria Reale Acc. Lincei CCLXXVI, Roma 1879, p. 10.
38. G. Pipino, op. cit., 1983.
39. Ibidem.
40. Ibidem.
41. Ibidem.
42. Ibidem.
43. A. Paillette, Etude, historique et geologique sur les gites metalliferes des Calabres et du Nord de la Sicile,
Annales des Mines, ser. IV, t. II, 613–680, Parigi 1842, p. 667.
44. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, Le mineralizzazioni nel basamento cristallino
dell’Aspromonte (Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1980, 99, 289–302.
45. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
61
10. Cozzo del principe (UTM 33SXD 366605, Foglio 230 III SE Fossiata). De Vivo
et al.46 segnalano la presenza di mineralizzazioni radioattive.
11. Fasone. Si hanno segnalazioni47 della presenza di mineralizzazioni.
12. Fondaco del ferro. Falanga48 riferisce di un “Fondaco del ferro” ad Amantea,
il cui sfruttamento sembra risalire al periodo Aragonese.
13. Gallopane (UTM 33SXD 363632, Foglio 230 III SE Fossiata). In località Gallopane, nel territorio comunale di Longobucco, De Vivo et al.49 segnalano la presenza
di mineralizzazioni radioattive.
14. Grotta della monaca. La località è situata50 nel territorio comunale di Sant’Agata di Esaro nella parte settentrionale della Calabria che si affaccia sul Mar
Tirreno. In questo sito sono stati individuati minerali di ferro e rame51 . Il minerale di ferro più diffuso è la goethite (idrossido), di colore variabile dal giallo al
rossastro, che è presente soprattutto in corrispondenza delle fratture della roccia.
Tra i minerali del rame, prevale la malachite, spesso accompagnata da azzurrite.
15. Longobucco (Foglio 230 III NE Longobucco). L’area di Longobucco rappresenta la principale sede di mineralizzazioni a sfalerite, galena, pirite, calcopirite (Fig.
2.5). Si tratta di mineralizzazioni considerate pre–alpine osservabili nelle magmatiti
dell’Unità di Longobucco, che si presenta in scaglie costituite da un basamento,
composto in sequenza da filladi, metareniti, porfiroidi e graniti, e da una copertura,
composta da arenarie, marne rosse e conglomerati. Le mineralizzazioni presentano
un andamento discordante in vene e filoni con andamento prevalente lungo l’asse
E–W delle zone di contatto tra graniti e filladi; la ganga è composta da quarzo,
calcite e silicati nell’area della Reginella e da quarzo e clorite nell’area della Macchiafarna. I primi documenti relativi alla principale miniera presente nell’area, la
cosiddetta“Argentera”, risalgono al XII secolo. Nel 1197, infatti, l’Imperatore Enrico
VI inviò presso “Longoburgi” Pietro di Livonia, un suo familiare, per sovrintendere
all’estrazione del minerale52. In una memoria dell’anno 1268 della Real Camera
di Santa Chiara e conservata presso il Castello dell’Uovo a Napoli con il titolo di
46. Ibidem.
47. G. Pipino, op. cit., 1983.
48. M. Falanga, Il manoscritto Da Como fonte sconosciuta per la storia della Calabria dal 1437 al 1710, « Riv.
Stor. Calabrese », 1993, 14, nn.1–2, 227, 265.
49. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980.
50. F. Larocca, Grotta della Monaca (Sant’Agata di Esaro–Cosenza). Utensili e tecniche estrattive di età
neolitica per l’acquisizione di minerali di rame, XLIII Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e
Protostoria. L’età del rame in Italia, Bologna 26–29 novembre 2008.
51. L.A. Dimuccio, A. Garavelli, F. Vurro, Minerali metallici di interesse archeometrico della “Grotta
della Monaca” (S. Agata d’Esaro – CS), « Plinius », 1999, 22, pp. 156–157.
52. A. Trocino, M. Parisi, L. Dattola, Primi dati sulle miniere nel territorio di Longobucco e considerazioni di
salvaguardia ambientale, Atti del XX Congresso Nazionale di Speleologia, Iglesias 27–30 aprile 2007 – Memorie
dell’Istituto Italiano di Speleologia, s.II, vol. XXI, 2008.
62
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.5. Argentera di Longobucco; mineralizzazioni e area di estrazione (da Cuteri, 2012).
“Argenti de Longobucco” si riporta che il governo napoletano ricavò un notevole
quantitativo d’argento dalla miniera53. Cuteri54 ricostruisce la storia della miniera e
riferisce che durante il periodo angioino, le necessità belliche e la crescente richiesta
di moneta spinsero la Corte a potenziare le coltivazioni minerarie di ferro, piombo,
e argento e tra il 1268 e il 1277 si ottenne dai giacimenti di Longobucco, oltre al
piombo, una media annuale di 87 chili di argento.
Il potenziamento della ricerca mineraria portò, unitamente ad una gestione
diretta da parte della Reale Curia, anche all’affidamento delle esplorazioni ai
privati. Nel 1274, re Carlo I ordinava alle autorità, ai baroni e alle università, di
consentire a Giovanni di Longobucco di eseguire scavi in qualsiasi parte del regno,
al fine di individuare l’esistenza di mineralizzazioni atte ad essere coltivate, con
l’esclusione di quei luoghi in cui l’attività mineraria era già in pieno svolgimento.
Gli oneri della ricerca erano tutti a carico del citato Giovanni ma, in caso di
scoperta di ricchi filoni, un terzo dei benefici sarebbe spettato alla Corte e i
rimanenti due terzi al ricercatore.
Anche durante il periodo aragonese continuò a mantenersi vivo l’interesse per
la risorsa mineraria e furono promosse nuove ricerche. Nel 1451, infatti, venne dato
l’incarico a« domino Francisco de Lomellinis de Regio magistro argenterio » e al
« magistro Petro Pleus de Cathanczario argenterio cum duobus famulis et cum
duobus, eorum, equis », di ricercare nuovi filoni d’argento. I suddetti maestri, nell’arco
di sei mesi
53. G. Jervis, I tesori sotterranei dell’Italia, parte II: Regione, dell’Appennino, Torino 1881, Tip. Löescher, p.
291.
54. F.A. Cuteri, Paesaggi minerari in Calabria: l’Argentera di Longobucco (CS), in F. Redi, A. Forgione (a cura
di), VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale (L’Aquila, 12–15 settembre 2012), Firenze 2012, pp.
401–406.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
63
investigarunt [. . . ] Et cavari fecerunt in parti bus terre Longobucci, Bochirillum et Steli
Castri [. . . ] Et Sancti Lucidi supra Regium et Sancti Donati et de eis cavernis diversas
provas fecerunt et esperimenta.55
Nel 1452 re Alfonso ordinò al Viceré di Calabria di trasferirvi il genovese Francesco Lomelio, responsabile dell’esercizio delle diverse miniere calabresi; nel 1455 si
interessò alle miniere demaniali di Longobucco e Altomonte Pietro Bisulduno; nel
1470 la ricerca di nuove aree di estrazione fu affidata al minatore Giovanni Carcilier;
nel 1475 fu lo stesso re Ferrante I a mettersi in società con il mercante amalfitano
Francesco Coppola al fine di sfruttare nuovi filoni argentiferi. Per tutta la prima metà
del Cinquecento l’“argentera” di Longobucco fu considerata “la principale minera de
argento” del regno. A partire dal 1505 il feudo dell’Argentera, grazie alla concessione
in perpetuum di Ferdinando d’Aragona, venne gestito da Paolo Galeazzo Caracciolo;
tuttavia, a causa dell’imperizia tecnica e dei danni provocati dalle continue frane, raramente si riuscì ad ottenere risultati particolarmente significativi. Alla morte di Paolo
Galeazzo Caracciolo, la miniera passò al figlio Marcello, anche se la concessione era
stata messa in discussione da parte del fisco regio. Tuttavia Caracciolo aveva ottenuto
da parte di Carlo V il pieno possesso della miniera se il reddito annuo di questa al
netto delle spese non avesse superato i 500 ducati d’oro. La miniera fu quindi affittata a
Domenico Campitelli per 700 ducati d’oro. L’affitto comprendeva anche il privilegio
del monopolio del piombo e della galanza per tutta la Calabria, la Basilicata e la Terra
d’Otranto56. La gestione di Marcello Caracciolo e Domenico Campitelli dovette però
suscitare invidie se, nel 1540, fu intentato contro il Caracciolo un processo da parte
del Procuratore fiscale della Regia Camera della Sommaria, che nella parte finale del
processo così si esprime:
Però considerato che dicta argentera de Longobucco e la meglio e principale minera de
argento che sia in questo Regno e le qualità bone che tene de lacqua, lignami et altre cose che
bisognano al extercitio fava de epse, e che in futuro potrebbe dare gran frutto, trovando le
vene ricche come già trovate, considerate che miniere e argenterie sono de regaliis Curie e
devono stare in demanio della R. Corte [. . . ] La R. Camera ritiene che Sua Maestà Cesarea
deve mantener senza limiti di tempo la facoltà di dare o di reintegrare al demanio l’argentera.57
Alla fine del Cinquecento venne effettuato, da parte di un certo Luca Grillo, un
ulteriore tentativo di riprendere la produzione d’argento, a quanto pare però con
scarsi risultati. Nel XVII secolo le ricerche proseguirono in maniera limitata e nel 1645,
dall’esplorazione di un filone di galena presso il Trionto, su cento parti di minerale si
ottennero ottanta di piombo e quattro di argento. Più significative le notizie relative al
1723 quando minatori tedeschi esplorarono minutamente la zona mineraria dando così
55. F.A. Cuteri, B. Rotundo, Il territorio di Kaulonia fra Tardoantico eMedioevo: insediamenti, risorse,
paesaggi, in M.C. Parra (a cura di), Kaulonia, Caulonia, Stilida (e oltre), Contributi storici, archeologici e
topograici, I, Quaderni degli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, 11–12, Pisa 2001, p. 136.
56. G. Galasso, Economia e società nella Calabria del Cinquecento, Guida, Napoli 1992, p. 216.
57. A. Fasano, Considerazioni sulla letteratura mineraria e mineralogica della Calabria, Incontri Mediterranei,
Anno 1, N. 2. Luigi Pellegrini Ed., 2000, p. 138.
64
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.6. Primo tratto, subito dopo l’ingresso. La galleria ha uno sviluppo di 50 m (da Trocino
et al., 2008)
nuovo impulso all’attività estrattiva58. Durante il periodo della dominazione austriaca,
grazie all’ausilio di maestranze specializzate, si ottennero risultati di un certo rilievo,
con l’apertura di nuove gallerie e la costruzione di nuove fornaci per la trasformazione
del minerale. Nel 1732, sotto la direzione del capitano d’artiglieria Enrico Krull, venne
costruito un nuovo e più grande stabilimento e si impiegò un nuovo metodo di
fusione del minerale. Con la restaurazione spagnola e in particolare tra il 1749 ed il
1760, sempre con il contributo di esperti minatori tedeschi quali Fuchs e Burgsdorf e
del capo minatore sassone Cristoforo Nestle, furono proseguite, con buoni risultati,
le ricerche lungo il torrente Lamanna e nelle contrade Reginella, Castello, Acqua di
Radica, Pietralonga, Conche e Fasone. L’abbandono dell’Argentera di Longobucco
ebbe inizio dopo il violento sisma del 1738, quando franarono molte gallerie e altre
si allagarono. Dopo alcuni tentativi compiuti da parte di concessionari privati, e fra
tutti ricordiamo quello del 1826 per opera del principe di Butera Giorgio Wilding,
con il barone Giuseppe Campagna e la ditta commerciale Rout e C, di Napoli59. Lo
sfruttamento venne definitivamente abbandonato nella prima metà del XX secolo,
quando le ricerche si limitarono a semplici saggi esplorativi di cui rimangono ancora
tracce (Fig. 2.6).
16. Lungro (Foglio 221 III SE Lungro), A 404 m sul livello del mare e a circa
due km dall’abitato di Lungro (UTM 33SWE 962000), ai margini del rilievo calcare
del Cozzo del Pellegrino, sorge una delle più antiche miniere di salgemma (Fig.
2.7) (UTM 33SWD 970986, Foglio 221 III SE – Lungro), la cui estrazione, iniziata
in tempi antichissimi, è cessata nel 1976. La produzione della Salina raggiungeva
la media annua di 100.000 quintali. Il prodotto distribuito dai Monopoli di Stato
in Calabria ed in Basilicata, veniva utilizzato per scopi alimentari e industriali. La
58. E. Arnoni (1874–75), La Calabria illustrata, Parte II, Cosenza.
59. G. Jervis, op. cit., 1881, p. 291.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
65
miniera, già nota al tempo dei greci, fu successivamente utilizzata dai romani. Plinio il
Vecchio nella Naturalis Historia, accenna alla presenza, in questa zona della Calabria, di
cristalli balbini (per la vicinanza del sito ad Altomonte, l’antica Balbia)60. Inizialmente
l’estrazione del sale sembra sia avvenuta in superficie e probabilmente solo agli inizi
dell’anno mille si cominciò a scavare gallerie e cunicoli61 (Fig. 2.8). L’Ing. Bellavite62,
direttore della Salina alla fine dell’Ottocento, afferma:
Del secondo stadio, ossia della lavorazione mercé gallerie sotterranee vi sono tracce nelle
antiche puntellate, che si riscontrano in parecchi luoghi, e ciò rimonterebbe appunto al
1145. La salina in quel periodo apparteneva ad un unico proprietario. Pare che uno dei più
potenti sarebbe stato il Conte di Bragalla (anno 1145).63
Nel 1145, infatti, il conte di Brahalla (l’odierna Altomonte) Ogerio del Vasto, in
quanto proprietario dei terreni in cui si trovavano i depositi di salgemma, concesse
mensilmente al monastero di Acquaformosa una parte di minerale: « et in Salina
nostra Brahallae damus ut recipere debeat omni tempore una quaque hebdomada
salmam salis, videlicet tumulus octo per salman ».
Alcuni anni più tardi, nel 1156, per opera del conte Ogerio fu eretto a Lungro
un monastero basiliano dedicato a “Santa Maria delle Fonti”. Con un atto di
donazione del 1197 lo stesso Ogerio concesse agli abati in perpetuum i diritti
di giurisdizione civile sugli abitanti del casale e quindi anche la miniera, dove
gli abitanti del luogo poterono continuare a lavorare64 . Nel corso degli anni
si alternarono vari proprietari della miniera ma con l’arrivo dei Normanni la
direzione delle attività estrattive tornò in mano al sovrano, fu, infatti, Federico II
a stabilire il prezzo del minerale e ad organizzare la distribuzione e la vendita65 . A
tal proposito Tajani66 scrive: « Al principio del decimo terzo secolo lo imperadore
Federico secondo in luogo del tributo riscosso dai Normanni fissò il prezzo del
sale, ed arrogandosene la vendita attribuì al governo anche le saline dei privati ».
Secondo quanto afferma Sole67 . Federico II non apportò alcun miglioramento
alla miniera e dopo la sua morte la miniera passò nelle mani di vari proprietari
tra i quali anche una donna,
Adelisia d’Artus. figlia di Gerardo, uno dei primi signori che vennero dalla Francia con
Carlo I d’Angiò per la conquista del Regno. Re Roberto, poi, nell’anno 1308 investì Filippo
Sangineto come conte della contea di Altifiume (Altomonte), nome che fu cambiato in
Altomonte poco tempo dopo dalla regina Giovanna I. Subentrò, in seguito la casa dei
60. A. Frega, La millenaria miniera di salgemma di Lungro, “Calabria turismo” n. 22–23, 1975.
61. D. Cortese, G. Domestico, Lungro città del sale – la Salina e i Salinari, TNT gr@fica di San Lorenzo del
Vallo, 2010 pp. 155.
62. G. Bellavite, Cenni sulla miniera di salgemma di Lungro, Roma, 1894.
63. D. Cortese, G. Domestico, op. cit., 2010, pp. 155.
64. A. Frega, op. cit., 1975.
65. Ibidem.
66. F. Tajani, Historie albanesi, Salerno 1866.
67. G. Sole, Breve storia della Reale Salina di Lungro, Ed. Brenner, Cosenza 1981.
66
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.7. Miniera di salgemma di Lungro (da Frega 1975).
Figura 2.8. Galleria della miniera di salgemma (da Frega 1975).
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
67
Sansiverino. Un membro di questo casato, Luca. verso la fine del 1500, aggiunse ai suoi
stati anche la Signoria di Bisignano. e fu investito dal Re Ferrante I d’Aragona col titolo di
principe.68
Fu proprio in questo periodo (seconda metà del XV secolo) che, per aiutare
Alfonzo d’Aragona nella conquista della Calabria, giunsero i profughi dall’Albania,
i quali trovarono subito lavoro in miniera69 . Il passaggio dai privati allo stato
della Salina presumibilmente avvenne durante l’occupazione francese70 . Duret de
Tavel71 , un ufficiale francese componente delle Commissioni militari in Calabria,
nella lettera XXXIV del 31 agosto 1810 scrive: « Dopo aver percorso venticinque
miglia in questa zona singolarmente pittoresca, arrivammo al villaggio di Lungro,
presso il quale esiste una miniera di salgemma sfruttata senza intelligenza e senza
profitto, e che invece potrebbe essere di grande utilità per la Calabria e procurare
un’entrata considerevole per il governo ». Nel 1811 e poi di nuovo nel 1814, sotto
il regno di Gioacchino Murat, Melograni72 fu inviato a visitare la miniera. Dopo
aver minuziosamente esplorato il circondario per rilevare il contesto geologico,
egli visita la miniera; il suo giudizio concorda con quello di Duret de Tavel. Così
si esprime:
i lavori di questa salina, cominciati una volta male, proseguirono avanti malissimo, vale a dire
senza disegno o provvidenza alcuna [. . . ] Inverità si lavorava là a destra e sinistra come dettava
il caso e l’ignoranza, ed ove la fatica era minore e la spesa più tenue, ove si poteva ottenere
in minor tempo un maggior prodotto in sale, senza aver riguardo alcuno alla vera e soda
economia, e senza prendere in considerazione la salute e la vita dei minatori.
Per ovviare ai maggiori errori riscontrati, Melograni73 elabora un progetto
che prevede il rafforzamento delle galleria con opere di sostegno, il drenaggio
dell’acqua che invade le gallerie, il miglioramento della circolazione dell’aria. Nel
1811, la miniera ebbe quindi il suo primo regolamento tecnico e amministrativo nonché un ingegnere responsabile. L’anno successivo fu costruito il primo
fabbricato e disegnata la prima pianta della miniera. Si deve a Gregorio Galli,
ufficiale del Genio, l’apertura nel 1825 del primo pozzo verticale di 81 metri74 . La
situazione dovette tuttavia permanere precaria se, il geologo Pilla75 , che nel 1835 si
recò in visita in Calabria (a Lungro), descrive la miniera come costituita da ampie
68. D. Cortese, G. Domestico, op. cit., 2010, pp. 155.
69. A. Frega, op. cit., 1975.
70. D. Cortese, G. Domestico, op. cit., 2010, pp. 155.
71. Duret de Tavel, Lettera XXXIV. Grand review–Brilliant Fête–Present situation of Calabria–Departure for
Castrovillari, Castrovillari, Agosto 31, 1810, pp. 332, in Calabria during a military residence of three years: in a series of
letters, Published by Effingham Wilson, Royal Exchange, London 1832, p. 332.
72. G. Melograni, Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze. Coll’aggiunta di tre
memorie concernenti l’origine dei volcani, la grafite di Olivadi, e le saline delle Calabrie, Prima edizione, Stamperia
Simoniana, Napoli 1823, p. 259.
73. Ivi, p. 264.
74. A. Frega, op. cit., 1975.
75. L. Pilla, Trattato di geologia, vol. II, 1851, p. 181.
68
Mineralizzazioni in Calabria
e disordinate gallerie disposte in quattro piani, l’ultimo dei quali raggiungibile
scendendo 1200 gradini intagliati nel sale. Il sale si presentava talvolta bianco e
purissimo, talvolta bigio e non puro. Di sale erano anche le pareti e la volta. Egli
afferma: « Messo una volta piede nel deposito salino non si vedea altra cosa che
sale infino al punto più basso della miniera ». Nel 1871 l’uso della polvere da
sparo ridusse i tempi estrattivi: la roccia era frantumata e distaccata per mezzo di
mine introdotte su appositi fori realizzati con le perforatrici manuali76 . Nel 1879,
Ottone Foderà77 , ingegnere Capo del distretto minerario di Napoli, propone la
chiusura della salina « Dimostrato che l’esercizio della miniera in esame, darà
sempre una sensibile passività, [. . . ] parmi che l’unico partito da adottarsi debba
essere quello di abbandonarla completamente ». Tale proposta non venne però
presa in considerazione e lo stesso Foderà, venne incaricato più tardi, nel 1886, di
eseguire indagini sulla produttività del deposito di salgemma e sui lavori per la
messa in sicurezza della miniera. Nonostante i tentativi effettuati per migliorare
la sicurezza del lavoro in miniera e per aumentare la produzione di sale, tuttavia
rimasero alti i costi di produzione78 . Il geologo Taramelli79 in una sua relazione
scrive:
il campo coltivato del deposito di salgemma di Lungro era di circa 100 metri di larghezza
per 300 metri di lunghezza con sezione irregolarmente elittica, quasi una grande lente,
constratificata colle argille; che gli scavi infine si sprofondano 220 metri, senza che vi sia
indizio di diminuzione del minerale. Si afferma d’altronde esser quel sale senza confronto
il migliore che sia somministrato dalle saline del regno, per la purezza, pel sapore e per la
sua bianchezza quando è rivolto in polvere.
Lo stesso Taramelli riferisce che nel 1880 la produzione era di 60.000 quintali,
al costo di £. 2,90 al quintale, con la possibilità di un aumento della produzione a
400.000 quintali, se il consumo avesse interessato anche altre regioni80 . Taramelli
fa anche riferimento alla gente di Lungro:
una buona parte, cioè circa 400 uomini, lavora in miniera. I più, instancabili e pazienti
come formiche, salgono e scendono in doppia corrente quel migliaio e mezzo di gradini,
nudi, trafelati, ansanti; e salgono portando sul dorso almeno quaranta chilogrammi di
sale. Altri con grande abilità, profittando di un cotal clivaggio marcatissimo della roccia,
ne sfaldano dei grossi parallelepipedi, che con grande rumore cadono sul suolo delle
ampie camere di escavo, si rompono in pezzi minori e danno poi da fare alla categoria
dei cernitori. Il materiale meno puro, che però contiene sempre almeno quattro quinti
di sale viene gettato negli sterri e disperso da un rivoletto presso la bocca della miniera.
All’estremità di un pozzo vidi un argano, ma non funzionava. Il trasporto a spalle è più
economico, e quella gente non guadagna più di una lira al giorno.
76. A. Frega, op. cit., 1975.
77. O. Foderà, Infortunio nella Miniera di Lungro, 1879.
78. D. Cortese, G. Domestico, op. cit., 2010, pp. 155.
79. T. Taramelli, Sul deposito di salgemma di Lungro nella Calabria citeriore, Relazione del 7 marzo 1880,
Classe di Scienze Fisiche ecc. – Memorie – vol. V°.
80. A. Frega, op. cit., 1975.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
69
Figura 2.9. Operai all’interno della miniera (da Frega 1975).
A causa della scarsa ventilazione la miniera stava per essere abbandonata ma il
problema fu presto risolto dall’ingegnere Giovanni Bellavite che, nel 1881, fece
aprire un nuovo pozzo di estrazione che arrivava fino a 250 metri e collegava tutti
i piani: il primo detto “Via dei Plinii” a 77,75 m. di profondità, il secondo “Speranza
Terza” a 103 m., il terzo “Magliani” a 150 m. ed il quarto “Garibaldi” a 200 metri. In
quel periodo nella miniera vennero anche impiegati i primi strumenti meccanici
ad aria compressa. Da ciascun piano, sede dei cantieri di lavorazione del sale, si
irradiavano le gallerie di ricerca, in parte abbandonate per mancanza di minerale81 .
A proposito della qualità del salgemma, Bellavite82 esalta il minerale e precisa
che esso veniva consumato prevalentemente in Calabria ed in Basilicata ma
che piccole quantità venivano spedite anche in Lombardia « per la salagione del
formaggio e del burro ». Ambrogio Martino83 , nella sua opera La Miniera di
Salgemma di Lungro, così descrive la miniera:
La miniera ha il suo ingresso a ponente e scende nell’interno per gradini tagliati nel
masso, percorrendo un cammino quasi a spirale, interrotto a ripresa da vari vani, che
sono come l’anticamera di un meandro di gallerie e trafori, che lasciano nell’animo del
visitatore, un impressione di terrore e nello stesso tempo di rude bellezza incancellabile.
Lo stesso autore fa riferimento a tre trafori importanti: il traforo Ovest, lungo
350 m. circa, per la ricerca del sale in località Pettinaro, allora in attività; il traforo
81. Ibidem.
82. G. Bellavite, op. cit., 1884.
83. A. Martino, La Miniera di Salgemma di Lungro, sua storia e sua coltivazione, Cosenza, 1926.
70
Mineralizzazioni in Calabria
150, lungo appunto 150 m. abbandonato per la presenza di acqua ed argilla; il
traforo 200 allora ricco di filoni di sale puro. Martino descrive anche le condizioni
disumane (Fig. 2.9) in cui lavoravano gli operai:
È questo il lavoro più pesante e demoralizzante che si fa in questa industria; come tanti
fantasmi, completamente nudi, madidi di sudore, corrono sperdendosi questi solerti
lavoratori, nei meandri silenziosi delle caverne, tra le luci tremolanti, portando sul dorso
e per centinaia di metri il peso di 50 kg., cercando di raggiungere con ogni celerità le vie
che conducono alla pesatura, ove si ammassa il sale, da distribuire poi ai vari carrelli, che
lo portano all’imbocco dell’ascensore. Questo trasporto è a cottimo e non si protrae più
di 4 ore, altrimenti costituirebbe un lavoro esaurientissimo, perché è in rapporto ai viaggi
che ognuno fa, la remunerazione però è buona, e quindi si viene ad alleviare in qualche
modo la sua bruttura.84
Anche Jervis85 mette l’accento sui metodi di coltivazione arcaici, invariati dal tempo
della magna Grecia. Nel 1952 l’impianto di raffinazione venne smantellato per essere
trasferito a Margherita di Savoia (Puglia), dove pare che non sia mai stato messo in
funzione86. Agli inizi degli anni Sessanta riemerge la questione sulla chiusura della
salina. Nel luglio 1960 la Direzione Generale dei Monopoli di Stato presenta al Senatore
Trabucchi, allora ministro delle Finanze, una dettagliata relazione in cui si suggerisce
la chiusura della salina perché “antieconomica”. Il Consiglio Comunale di Lungro si
oppone a tale decisione e, dopo un incontro tra il gruppo parlamentare calabrese ed
il ministro, nel gennaio 1961, si giunge alla conclusione di non chiudere la miniera,
nell’attesa di un sopralluogo da parte del ministro Trabucchi. Durante il sopralluogo,
effettuato il 28 marzo del 1961, il ministro ebbe modo di valutare non solo l’aspetto
economico, ma anche quello sociale ed umano e suggerì di sottoporre la questione
ad una Commissione di studio87. I tentativi di salvare la salina, supportati anche da
manifestazioni e scioperi, proseguono fino al 1976. È proprio il 5 agosto di quell’anno
che i Monopoli di Stato dispongono la rinuncia alla concessione mineraria, ratificata dal
Ministero dell’Industria l’8 marzo 1978. Tale ratifica segnò la vera e propria fine della
salina: i fabbricati diventarono proprietà del Comune e il resto venne saccheggiato88.
17. Macrocioli (UTM 33SXD 390654, Foglio 230 III NE Longobucco). Si tratta
di vene e lenti, al contatto tra filladi e graniti, a galena argentifera, sfalerite,
con minore pirite, calcopirite e marcasite, in ganga di quarzo, calcite, fluorite o
barite89 .
18. Malvito (Foglio 229 IV SO Fagnano Castello). A Malvito, a sud di S. Donato di
Ninea, Pipino90 riferisce della presenza di manifestazioni “cuprifere”.
84.
85.
86.
87.
88.
89.
90.
A. Frega, op. cit., 1975.
G. Jervis, op. cit., 1881.
D. Cortese, G. Domestico, op. cit., 2010.
Ibidem.
Ibidem.
G. Pipino, op. cit., 1983.
Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
71
19. Morano calabro (Foglio 221 IV SE Morano Calabro). A Morano Calabro sono
stati rinvenuti filoni idrotermali di quarzo, con calcopirite, tetraedrite, pirite ed
arsenopirite, situati al contatto tra calcari triassici e filliti (scisti sericitici e cloritici,
quarziti e arenarie scistose), che interessano soprattutto gli scisti. Fenomeni di
impregnazione cupriferi interessano sia i calcari che le arenarie91 .
20. Mormanno (Foglio 221 IV SO, Mormanno). A 3.5 km NNE da Mormanno
(UTM 33SWE 845160), ad Ovest del Monte Pollino, tra Praia a Mare e Castrovillari, è stata rinvenuta della ferrocarfolite92 . Solo in due località (di cui la prima con
coordinate UTM 33SWE 853179 e la seconda con coordinate UTM 33SWE 852182,
Foglio 221 IV SO Mormanno) il minerale è stato trovato in situ all’interno di vene
di quarzo parallele alla scistosità della formazione metamorfica alpina nota col
nome di Formazione del Frido93, o anche come Flysch del Frido94. La Formazione
del Frido è costituta da rocce metamorfiche di grado molto basso: scisti pelitici di
aspetto filladico, mescolati a scisti carbonatici e cloritici e ad ofioliti dell’Unità di
Diamante–Terranova95. Secondo quanto osservato da Busato e Giampaolo96, nella
prima località la ferrocarfolite, che si presenta in fibre più o meno perpendicolari
alla vena, è associata a vari minerali: quarzo, calcite, dolomite, clorite, muscovite
e paragonite; nella seconda è associata solo a poco quarzo. I cristalli sono di due
varietà di colore, una verde scuro e l’altra verde chiaro, che in diffrattometria a
raggi X hanno mostrato di avere caratteristiche cristallografiche simili. Sul minerale sono state condotte anche analisi chimiche e osservazioni ottiche97. Le analisi
chimiche, condotte alla microsonda elettronica, hanno dimostrato che si tratta di
una ferro–magnesiocarfolite, con una minima percentuale di manganocarfolite.
Al microscopio ottico la ferrocarfolite forma dei prismi incolori e allungati lungo
l’asse c; mostra un debole pleocroismo, che varia dal verde pallido all’incolore ed
un’estinzione parallela nelle sezioni (010) e (100). Sembrano essere presenti due
generazioni del minerale: alcuni cristalli sono ben sviluppati e poco deformati; altri,
più sottili e spesso isolati, sono disposti perpendicolarmente ai precedenti e non
mostrano segni di deformazione. Ciò indicherebbe che la ricristallizzazione sia
avvenuta in due momenti diversi. La ferrocarfolite e la magnesiocarfolite sono,
91. Ibidem.
92. S. Busato, C. Giampaolo, Ferrocarpholite from Mormanno (Northern Calabria, Italy), « Periodico di
Mineralogia », 1983, Anno 52, 3, 403–426.
93. L. Amodio Morelli, G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, F. Ippolito, V. Liguori, S.
Lorenzoni, A. Paglionico, V. Perrone, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni, A.
Zuppetta, L’Arco Calabro–Peloritano nell’orogene appenninico–maghrebide, « Mem. Soc. Geol. It. », 1976, 17, 1–60.
94. L. Ogniben, Schema introduttivo alla geologia del confine calabro–lucano, « Mem. Soc. Geol.It », 1969, 8,
453–763. L. Ogniben, Schema geologico della Calabria in base ai dati odierni, « Geol. Rm », 1973, XII, 243–586.
95. D. Dietrich, S. Lorenzoni, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni, M. Di Pierro, Contribution to the
knowledge of the tectonic units of Calabria. Relationships between composition of K–white micas and metamorphic
evolution, « Boll. Soc. Geol. It. », 1976, 95, 193–217.
96. S. Busato, C. Giampaolo, Ferrocarpholite from Mormanno (Northern Calabria, Italy), « Periodico di
Mineralogia », 1983, Anno 52, 3, 403–426.
97. Ibidem.
72
Mineralizzazioni in Calabria
inoltre, indicatori di metamorfismo di alta pressione e bassa temperatura. La condizioni termobariche nell’area di Mormanno sono P di circa 4.9 kb e T intorno a i
260°C98.
21. Reginella (UTM 33SXD 417658, Foglio 230 III NE Longobucco). In località
Reginella, al contatto tra filladi e graniti, sono state ritrovate vene e lenti a galena
argentifera, sfalerite, pirite, calcopirite e marcasite, in ganga di quarzo, calcite,
fluorite o barite99 .
22. Rosaneto (Foglio 221 I NO Maratea). Nel territorio comunale di Tortora,
Pipino100 riferisce della presenza di manifestazioni cuprifere.
23. S. Donato di Ninea. Vincenzo Padula101 scrive:
Al 1701 alcuni ottennero in feudo le miniere di S. Donato, di scavare fino alla circonferenza
di 20 miglia. Se ne prese possesso a maggio del 1705. Saggi felici. Da 3 cantaia e 3 rotoli si
ottennero 67 libbre e 1/2 di rame perfettissimo. L’anno appresso si scopersero 2 grotte, e
nel dicembre si aprì la fonderia. Per più anni vi lavorarono 100 forzati sotto la sorveglianza
d’austriaci. Era direttore uno Jusquall. Si ottennero oro, argento, mercurio, rame, cinabro.
Si lavorò fino al 1736; e si cessò per rivolgimenti politici, l’infedeltà degli impiegati e
l’ingordigia del duca di S. Donato.
Lovisato102 segnala la presenza nel “calcare giurese” di grandi masse di marcasite oltre a cinabro.
24. S. Giovanni in Fiore (Foglio 237 IV NE S. Giovanni in Fiore). Burragato103 ,
nel territorio di S. Giovanni in Fiore, il cui centro abitato ha coordinate UTM
33SXD 465467, prende in esame campioni di roccia intrusiva di tipo granitico
mineralizzato con solfuri (galena e pirite), rivestiti da patine rossastre di ossidi di
ferro idrato. La roccia risulta incrostata da un minerale giallo citrino, con facile sfaldatura. Dallo studio delle caratteristiche ottiche, strutturali e dai saggi qualitativi,
eseguiti mediante analisi per fluorescenza X e analisi spettrochimiche, è emerso
che si tratta di una metautunite I (fosfato di calcio e uranio idrato). L’osservazione
al microscopio binoculare, eseguita dallo stesso Burragato104 , ha evidenziato la
presenza di gruppi di cristalli appiattiti tabulari che in luce ultravioletta diventano
di colore giallo intenso. Al microscopio polarizzatore, inoltre, i cristalli appaiono
98. Ibidem.
99. G. Pipino, L’arte mineraria e l’oro della Calabria nelle “variae” di Cassiodoro Senatore (Sec. VI),
« L’industria Mineraria », 1983, 1, 33–38.
100. Ibidem.
101. V. Padula, Calabria prima e dopo l’Unità, A cura di A. Marinari, vol. 1 e 2, 1872, Roma–Bari 1977,
Laterza.
102. D. Lovisato, Sulle chinzigiti della Calabria Reale Acc. Lincei CCLXXVI Roma 1879, p. 10, 14.
103. F. Burragato, Contributo alla conoscenza dei minerali uraniferi della Calabria, « Periodico di
Mineralogia », 1966, 35, 387–402.
104. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
73
isotropi, non presentano pleocroismo e mostrano inclusioni di colore rosso arancio. Le lamine più spesse hanno evidenziato un’estinzione simmetrica rispetto
alle tracce di sfaldatura. L’autore ha altresì eseguito un esame diffrattometrico su
cristallo singolo, che ha rivelato una simmetria tetragonale. È stato anche eseguito
un diffrattogramma su polveri, poi confrontato con gli spettri di meta–autuniti di
altre località. Al fine di individuare il tipo di fase della meta–autunite esaminata,
Burragato105 ha inoltre eseguito una curva DTA (Analisi Termica Differenziale)
che non ha evidenziato alcuna trasformazione a 60°C. Esistono, infatti, 3 tipi di
autunite:
a) la meta–autunite I che è stabile a temperatura ambiente;
b) l’autunite che è instabile a temperatura ambiente e se riscaldata a circa
60°C si trasforma in meta–autunite I;
c) la meta–autunite II che si ottiene per riscaldamento a circa 150°C delle fasi
precedenti.
25. S. Pietro (UTM 33SXD 392682, Foglio 230 III NE Longobucco). Pipino106 ,
anche per questa mineralizzazione, segnala la presenza di vene e lenti, al contatto
tra filladi e graniti, a galena argentifera, sfalerite, con minore pirite, calcopirite e
marcasite, in ganga di quarzo, calcite, fluorite o barite.
26. Saracena (Foglio 221 III NE Saracena). Sono stati rinvenuti107 filoni idrotermali di
quarzo, con calcopirite, tetraedrite, pirite ed arsenopirite, situati al contatto tra calcari
triassici e filliti (scisti sericitici e cloritici, quarziti e arenarie scistose), interessando
soprattutto gli scisti. Fenomeni di impregnazione cupriferi interessano sia i calcari che
le arenarie.
27. Sportari (UTM 33SXD 386652, Foglio 230 III NE Longobucco). Pipino108
segnala la presenza di vene e lenti, al contatto tra filladi e graniti, a galena argentifera, sfalerite, con minore pirite, calcopirite e marcasite, in ganga di quarzo,
calcite, fluorite o barite109 .
28. Torrente Grammisati (UTM 33SXD 369827, Foglio 230 IV SE Rossano).
Nel territorio comunale di Rossano, presso il torrente Grammisati, sono state
riscontrate aree mineralizzate, delle quali però non sono noti i minerali110 .
105.
106.
107.
108.
109.
110.
Ibidem.
G. Pipino, op. cit., 1983.
Ibidem.
Ibidem.
Ibidem.
B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
74
Mineralizzazioni in Calabria
Tabella 2.3. Sedi di mineralizzazioni della provincia di Crotone.
Località
Foglio
Coordinate UTM
1 Cerenzia
2 Torrente Ampollino
3 Torrente Sanapite
237 I SO Caccuri
237 I SO Caccuri
237 I NO Savelli
33SXD 542456
33SXD 495398
33SXD 561521
29. Vallone Cupone (UTM 33SXD 336595, Foglio 230 III SO Lago di Cecita), De Vivo
et al.111 segnalano la presenza di mineralizzazioni radioattive.
30. Vallone del Grondo (UTM 33SWD 919964, Foglio 221 III SO S. Donato di
Ninea). Nel territorio comunale di Altomonte, Pipino112 riferisce della presenza di
manifestazioni cuprifere.
2.3. Provincia di Crotone
La provincia di Crotone, istituita il 6 marzo 1992 attraverso una ripartizione del
territorio precedentemente incluso nella provincia di Catanzaro, si affaccia ad est
sul Mar Ionio, confinando a nord–ovest con la provincia di Cosenza e a sud–ovest
con la provincia di Catanzaro.
Nel territorio provinciale sono state riscontrate alcune aree mineralizzate,
ricadenti nelle località riportate in Tab. 2.3.
1. Cerenzia (UTM 33SXD 542456 Foglio 237 I SO Caccuri). Pipino113 cita la
presenza di una mineralizzazione a molibdenite.
2. Torrente Ampollino (UTM 33SXD 495398, Foglio 237 I SO Caccuri). Sulla
sponda destra del torrente Ampollino sono stati ritrovati filoni a fluorite violetta114 .
3. Torrente Sanapite (UTM 33SXD 561521, Foglio 237 I NO Savelli). Lungo il
torrente Sanapite sono stati osservati filoni pegmatitici mineralizzati a solfuri
misti115 . Mineralizzazioni a pirite e solfuri misti sono stati inoltre individuati nella
granodiorite biotitico–anfibolica della zona Savelli–Serra Toppale (Foglio 237 I
NO Savelli)116 .
111. Ibidem.
112. G. Pipino, op. cit., 1983.
113. Ibidem.
114. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, Le mineralizzazioni nel basamento
cristallino dell’Aspromonte (Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1980, 99, 289–302.
115. Ibidem.
116. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
75
2.4. Provincia di Reggio Calabria
La provincia di Reggio Calabria (anticamente Calabria Ulteriore Prima è la più
a sud della penisola italiana, costituisce infatti la cosiddetta punta dello stivale.
Essa si affaccia a ovest sul mar Tirreno, a sud e ad est sul mar Ionio; confina a
nord–est con la provincia di Catanzaro e a nord–ovest con la provincia di Vibo
Valentia; a sud–ovest dista dalla Sicilia circa 3 km. La catena montuosa che sovrasta
il territorio della provincia reggina è rappresentata dal Massiccio dell’Aspromonte.
Nella Tabella 2.4 sono riportate descrizioni di mineralizzazioni, ricadenti nel
territorio della provincia di Reggio Calabria. In particolare, per le località di C. da
Cartegì (territorio di S. Roberto d’Aspromonte) e Pazzano, è stata possibile, vista
l’esistenza di studi recenti, un’analisi più dettagliata.
1. Agnana (UTM 33SXC 071404, Foglio 255 I NO Siderno). Nella prima metà
dell’Ottocento per la fonderia di Mongiana venne utilizzato il Carbon fossile
proveniente dalle miniere di Agnana117 .
2. Altarupe (UTM 33SWC 746344, Foglio 254 I NE S. Eufemia d’Aspromonte).
Ad Altarupe, 1 km circa a Sud da S. Eufemia d’Aspromonte, è presente magnetite,
spesso in vene e lenti di pochi centimetri, associata a pirite e a calcopirite118 .
3. Argentiera (UTM 33SXC 259610, Foglio 246 II NE Nardodipace). In C.da Argentera, Jervis segnalava la presenza di una antica miniera, al tempo abbandonata.
Le analisi chimiche evidenziavano che la galena forniva il 78, 5 % di piombo e il 0,
00284 % di argento119 .
Nei pressi dell’abitato di Bivongi, sempre in C. da Argentiera, Triscari et al.120
hanno effettuato uno studio chimico e mineralogico su alcuni campioni di molibdenite; il minerale è stato messo a confronto con campioni provenienti dal
Cantiere Giogli con tipologie microgranodioritiche e da Bagni di Guida anch’esso
con tipologie microgranodioritiche, ed ha evidenziato una certa analogia. La
paragenesi riscontrata è data da: quarzo, molibdenite, molibdite, ferrimolibdite,
calcopirite e calcocite. Al microscopio in luce riflessa, in tutte le sezioni, la molibdenite ha evidenziato un notevole pleocroismo, con tinte tendenti al bluastro e
una marcata anisotropia con presenza di lamelle di geminazione da stress dinamo–
meccanico. La calcopirite è sempre presente come riempimento di fratture ed è,
117. D. Franco, Il ferro in Calabria. Vicende storico–economiche del trascorso industriale calabrese, Kaleidon
Editrice, 2003.
118. L. Vighi, Sulle mineralizzazioni a solfuri misti e sulla magnetite in comune di S. Roberto d’Aspromonte
(Reggio Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1951a, 70, 624–631. L. Vighi, Su alcune aree calabresi segnalate quali
sedi di manifestazioni metallifere, « Ind. Minerar. », 1951b, 2, VIII, 297–303.
119. G. Jervis, op. cit. 1981, p. 300.
120. M. Triscari, L. Santo, F. Stagno, Mineralogy, chemistry and spectral data of molibdenite from the
Bivongi area, (Eastern “Serre”, Calabria, Southern Italy), in Att. Accad. Pelor. Cl. Sc. Fis., Mat., Nat., 1990, 7, vol.
LXVIII.
76
Mineralizzazioni in Calabria
Tabella 2.4. Sedi di mineralizzazioni della provincia di Reggio Calabria.
Località
Foglio
Coordinate UTM
1 Agnana
2 Altarupe
3 Argentiera
4 Assi
5 Bagaladi
6 Bagni di Guida
7 Bivongi
8 Canolo
9 Cantiere Giogli
10 Cartegì (1.5 km ad E di Acquacalda)
11 Cascata
12 Caulonia
13 C. da Macrì
14 C. da Maiuri
15 Delianuova
16 Fiumara Condofuri e F.ra Amendolea (tra le due)
17 Fiumara La Verde (tra V.ne Corti e q. 177)
18 Fiumara della Menta (q. 1380)
19 Fiume Telese (q. 1350)
20 Forra di Melito
21 Forra Pietre Bianche
22 Gerace
23 Giardino
24 Grotteria
25 Mammola
26 Monte Embrisi
27 Monte Stella
28 Montebello Ionico
29 Motta S. Giovanni
30 Passo di Cancelo
31 Pazzano
32 Piano Corvi
33 Pietra Tarso
34 Punta d’Atò (1km WNW da)
35 Punta Rossa
36 Razzelle
37 Rosalì
38 Serro Grande (q. 1050)
39 Stilo
40 Torrente Colla
41 Torrente Cirello (q. 720)
42 Torrente Nocita (q. 1000–1050)
43 Valanidi (miniera Argentiera)
44 Vallone Acqua di Merlo (q. 1050)
45 Vallone Bolla
46 Vallone Bufurta
47 Vallone Colella
48 Vallone del Cervo
49 Vallone della Mignotta (q. 1100)
50 Vallone Macariace
51 Vallone dei Pullitrari (3 km da Altarupe)
52 Vallone Sinoli
255 I NO Siderno
254 I NE S. Eufemia d’Aspromonte
246 II NE Nardodipace
247 III NO Stilo
254 II SO Bagaladi
246 II NE Nardodipace
247 III NO Stilo
246 II SE Caulonia
246 II SO Serra S. Bruno
254 I SO Calanna
254 II SE S. Lorenzo
246 II SE Caulonia
255 IV NE Antonimina
246 II NE Nardodipace
254 I SE Delianuova
263 I NE Bova Marina
255 III SO Africo
254 II NE Montalto
254 I SE Delianuova
254 II SE S. Lorenzo
254 II SO Bagaladi
255 I NO Siderno
254 II NE Montalto
246 II SO Gioiosa Ionica
246 II SO Gioiosa Ionica
254 II SO Bagaladi
246 II NE Nardodipace
263 I NO Melito di Porto Salvo
254 III SE Motta S. Giovanni
255 IV NE Antonimina
247 III NO Stilo
255 IV NE Antonimina
254 I SE Delianuova
254 II SE S. Lorenzo
254 II SE S. Lorenzo
255 IV NE Antonimina
254 IV SE Villa S. Giovanni
254 I SE Delianuova
247 III NO Stilo
255 IV NE Antonimina
254 I SE Delianuova
254 I SE Delianuova
254 II SO Bagaladi
254 I SE Delianuova
255 IV NE Antonimina
255 IV NE Antonimina
254 II SE S. Lorenzo
254 I SE Delianuova
254 I SE Delianuova
246 II SO Gioiosa Ionica
254 I SE Delianuova
254 I SO Calanna
33SXC 071404
33SWC 746344
33SXC 259610
33SXC 303613
33SWC 722092
33SXC 239616
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33SXC 050416
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33SWC 684293
33SWC 783148
–
33SXC 024405
33SXC 236574
33SWC 803314
33SWC 779056
33SWC 910134
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33SWC 800295
33SXC 062473
33SWC 747314
33SWC 678290
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
77
quindi successiva alla cristallizzazione della molibdenite. Il minerale di ganga è
il quarzo. Presente anche la calcosina (o calcocite) che come fase di alterazioni
della calcopirite, borda esternamente i granuli di calcopirite. L’indagine diffrattometrica a raggi X121 ha evidenziato che quasi tutte le molibdeniti sono esagonali
e appartengono al politipo 2H. La molibdenite ritrovata in quest’area potrebbe
essere riferita a un’intrusione porfiritica Ercinica, di composizione granodioritica,
ed ha caratteristiche molto simili ai depositi porphyry–molibdenum. Ciò è anche
testimoniato dal fatto che si tratta di un politipo 2H, caratteristico di questo tipo
di depositi.
4. Assi (UTM 33SXC 303613, Foglio 247 III NO Stilo). Pipino122 vi segnala la
presenza di mineralizzazioni a galena argentifera con sfalerite.
5. Bagaladi (UTM 33SWC 722092, Foglio 254 II SO Bagaladi). Vivenzio123 riferisce
che questa località era nota principalmente per la presenza di mineralizzazioni
argentifere che producevano fino a 6 once d’argento per cantaro e oltre quasi 50
once di piombo. Anche Fasano124 segnala la presenza di numerose gallerie per
l’estrazione di piombo e argento.
6. Bagni di Guida (UTM 33SXC 239616, Foglio 246 II NE Nardodipace). Al
contatto tra scisti e calcari, sono stati individuati corpi lenticolari mineralizzati
a ossidi e idrossidi di ferro (in prevalenza corpi limonitici) con tracce di solfuri.
Questi ultimi sono stati, in epoca borbonica, oggetto di estrazione. Presente
anche della molibdenite, i cui campioni sono stati messi a confronto con quelli
provenienti da C. da Argentiera125 .
7. Bivongi (UTM 33SXC 268606, Foglio 247 III NO Stilo). Vivenzio126 riferisce
della presenza, nel territorio di Stilo, di minerali da cui si estraevano per “cantaro”,
quaranta “rotoli” di piombo e un’oncia d’argento. Più puntuale si rivela Fasano127 ,
che pone presso la confluenza dei due rami maggiori dello Stilaro, la presenza di
una collina in cui si trova una “fruttuosa” miniera di argento e sulla destra della
stessa, una miniera di rame. A un miglio più avanti, in territorio di S. Stefano,
121. Ibidem.
122. G. Pipino, op. cit., 1983.
123. G. Vivenzio, Istoria e Teoria de tremuoti in generale; ed in particolare di quelli della Calabria, e di Messina
del MDCCLXXXIII, Napoli 1783, p. 180.
124. A. Fasano, Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore, in Atti Reale Accademia delle Scienze e delle
Lettere, Napoli 1788, p. 290.
125. M. Triscari, L. Santo, F. Stagno, Mineralogy, chemistry and spectral data of molibdenite from the
Bivongi area, (Eastern “Serre”, Calabria, Southern Italy), in Att. Accad. Pelor. Cl. Sc. Fis., Mat., Nat., 1990, 7, vol.
LXVIII.
126. G. Vivenzio, Istoria e Teoria de tremuoti in generale; ed in particolare di quelli della Calabria, e di Messina
del MDCCLXXXIII, Napoli 1783, p. 181.
127. A. Fasano, Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore, in Atti Reale Accademia delle Scienze e delle
Lettere, Napoli 1788, p. 293.
78
Mineralizzazioni in Calabria
lo stesso colloca la miniera di “Rafpa” che per quanto secondo i dettami dei
maggiori mineralogisti dell’epoca avrebbe dovuto essere ricchissima, tuttavia era
stata fatta crollare di proposito e l’imbocco era stato nascosto. Sempre in territorio
di Bivongi, Fasano128 segnala il rinvenimento di molibdenite:
Ne’ luoghi detti Pungo e Podillo in territorio di Bivongi offervammo due miniere di
fquifita molibdena. Trattata collo fteffo proceffo do Scheele ci diede i medefimi risultati: il
Sig. D. Antonio Pitaro mi favorì di fua affiftenza: le miniere di molibdena fono ftate fino
ad oggi, per quanto mi ricorda, totalmente incognite in quefto paefe.
Nel secolo scorso fu la Società Italiana di Ricerche Minerarie ad esplorare il
giacimento di Bivongi, sulla destra dello Stilaro129 .
8. Canolo (UTM 33SXC 050416, Foglio 255 IV NE Antonimina). Pipino130 segnala
la presenza di mineralizzazioni a galena argentifera con sfalerite, arsenopirite e
antimonite.
9. Cantiere Giogli (UTM 33SXC 252626, Foglio 246 I SO Serra S. Bruno). Il
cantiere Giogli rappresenta un’antica miniera abbandonata nei pressi del Torrente
Pardalà, affluente di sinistra della Fiumara dello Stilaro; alcuni ruderi sono ancora
visibili nella parte alta del torrente. La caratteristica del vallone Pardalà è quella di
attraversare la zona delle metamorfiti e giungere al bordo dell’intrusione granitica
che, nella fascia compresa tra i 500 e i 700 m circa s.l.m., è attraversata da vene e
filoni di quarzo, con potenza di circa 25 cm ed inclinazione variabile NE–SW e
NW–SE, mineralizzati a molibdenite. In passato si svolsero lavori di estrazione
mineraria a opera della “Soc. Mineraria Torelli e Re” (nel 1917) e della “Società
Breda” (dal 1939 al 1943). A quest’ultima si deve l’impianto della teleferica adibita al
trasporto del materiale fino alla laveria, situata sul torrente Stilaro. La produzione
in quegli anni raggiunse le 7700 tonnellate di grezzo (con tenore di molibdenite
da 0,1 a 0,6%) e le 5 tonnellate di concentrato al 54–59%131 .
10. Cartegì (UTM 33SWC 684293, Foglio 254 I SO Calanna). Località ricadente
nell’area mineralizzata di Acquacalda (S. Roberto d’Aspromonte – Reggio Calabria) e precisamente a sud di Serro Carnala. Qui è presente un filone a pirrotina e
128. Ivi, p. 302.
129. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, p. 289–302.
130. G. Pipino, op. cit., 1983.
131. B. Baldanza, M. Triscari, Sulle mineralizzazioni a molibdeno della Calabria (nota preliminare),
« Rendic. Soc. It. Min. Petr. », 1978, 35, 455–456. M. Triscari, L. Santo, F. Stagno, Mineralogy, chemistry and spectral data of molibdenite from the Bivongi area, (Eastern “Serre”, Calabria, Southern Italy), in Att.
Accad. Pelor. Cl. Sc. Fis., Mat., Nat., 1990, vol. LXVIII.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
79
sfalerite, con galena, goethite, calcopirite, fluorite e pirite132 . Saccà et al.133 hanno
preso in esame la mineralizzazione metallifera diffusa che si è sviluppata lungo il
contatto tra le rocce plutoniche tardo–Varisiche e le rocce metamorfiche Varisiche
dell’Unità dell’Aspromonte (Settore meridionale dell’Arco Calabro–Peloritano),134 .
L’unità è caratterizzata da un basamento cristallino Varisico di alto grado intruso
da plutoniti tardo–Varisiche entrambi interessati da una sovraimpronta Alpina
in facies scisti verdi (P 5–8 Kbar, T 500 ± 20°C). La mineralizzazione metallifera
diffusa si è sviluppata lungo il contatto tra le rocce plutoniche tardo–Varisiche e
le rocce metamorfiche Varisiche dell’Unità dell’Aspromonte, affiorante vicino
Villa S. Giovanni135 . Il corpo intrusivo, da leucotonaliti a leucomonzograniti a
due miche contenente silicati di Al, ha una granulometria variabile. L’intero basamento cristallino è attraversato da una rete di dicchi aplitici, che rappresentano le
intrusioni più tardive136 . In particolare, il deposito esaminato affiora nel territorio
di S. Roberto (RC), vicino Cartegì, a sud di Serro Carnala ed è raggiungibile dalla
strada che unisce S. Roberto a Melia. La mineralizzazione può essere considerata come un filone principalmente metallifero. È costituito principalmente da
pirrotina, pirite e sfalerite, con minori quantità di galena, calcopirite, e fluorite. La
roccia è un granito aplitico fortemente alterato. Esso è fortemente impregnato
di minerali metalliferi, e rappresenta un dicco messo in posto negli gneiss (con
quarzo, albite, ortoclasio, biotite e muscovite) dell’Unità dell’Aspromonte, affiorante in ampie aree. La roccia è bianca sulle fratture fresche e giallo–marrone
sulle superfici alterate, dove prevalgono prodotti di alterazione epigenetica (idrossidi). Nei filoni si possono trovare frammenti di rocce incassanti mineralizzate. I
minerali metalliferi e i filoni associati riempiono le fratture della roccia, come un
complesso di fratture o un sistema di faglie distensive con orientazione verticale
leggermente inclinata. L’orientazione del filone non è chiaramente osservabile
sul terreno ma si può avanzare l’ipotesi che esso affondi quasi ortogonalmente
alla scarpata del versante montuoso. Nell’osservazione al microscopio la roccia
mostra una tessitura autoallotriomorfa finemente granulare, fatta, in ordine di
132. L. Vighi, Su un filone a pirrotina e blenda in comune di S. Roberto d’Aspromonte (Calabria) e sulle
trasformazioni pirrotina–pirite, « Atti. Acc. Pontaniana », 1950, 3, 159–166. L. Vighi, Su alcune aree calabresi
segnalate quali sedi di manifestazioni metallifere. « Ind. Minerar. », 1951b, 2, VIII, 297–303. C. Saccà, D. Saccà,
P. Nucera, D. D’urso, Polymetalliferousmineralization in the Aspromonte Unit of the Southern Calabria (Italy),
« Atti. Soc. Tosc. Sci. Nat. Pisa, Mem. », 2003, Serie a: mineralogia, geologia. vol. 108, pp. 43–49 ISSN:
0365–7655.
133. Ibidem.
134. L. Vighi, Su alcune aree calabresi segnalate quali sedi di manifestazioni metallifere. « Ind. Minerar. », 1951, 2, VIII,
297–303. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, p. 289–302.
135. L. Vighi, Su un filone a pirrotina e blenda in comune di S. Roberto d’Aspromonte (Calabria) e sulle
trasformazioni pirrotina–pirite, « Atti. Acc. Pontaniana », 1950, 3, 159–166. L. Vighi, Su alcune aree calabresi
segnalate quali sedi di manifestazioni metallifere. « Ind. Minerar. », 1951, 2, VIII, 297–303. B. De Vivo, S.
Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, Le mineralizzazioni nel basamento cristallino dell’Aspromonte
(Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1980, 99, 289–302.
136. A. Messina, R. Compagnoni, A.M. De Francesco, S. Russo, Alpine metamorphicoverprinting in the
Aspromonte Unit (Calabrian–PeloritanArc–Southern Italy), Newsletter 5, 1992, 353–380.
80
Mineralizzazioni in Calabria
abbondanza, da quarzo, microclino caolinizzato, plagioclasio con fenomeno di
saussurizzazione (albite) e subordinata sericite. La sericite si è sviluppata dopo il
plagioclasio. La diffusa caolinizzazione e saussurizzazione indica che la roccia è
stata interessata da fluidi idrotermali. Il quarzo è sempre arrotondato e in qualche
parte contiene microcristalli aciculari di rutilo. Ciò suggerisce che il quarzo non si
è depositato contemporaneamente alla mineralizzazione metallifera. Fuori dal
contatto, la sericite è stata rinvenuta vicino al quarzo, qualche volta sostituita da
minerali metalliferi. Anche la muscovite e il microclino non sono stati osservati vicino al contatto. I feldspati non mostrano fratture o deformazioni. La tessitura dei
minerali metalliferi può essere messa a confronto con quella del quarzo aplitico137 .
Lo studio al microscopio in luce riflessa138 mostra un’associazione a pirrotina e
sfalerite con subordinata galena, calcopirite, fluorite e pirite. Pirite, pirrotina e
galena sono presenti in due generazioni. Nel complesso secondo De Vivo et al.139 ,
la paragenesi è la seguente: fluorite e pirrotina I; sfalerite e galena I; pirite I e
calcopirite; pirrotina II, galena II, pirite II, marcasite. La pirrotina140 è il minerale
metallifero più abbondante ed è incluso in quasi tutti i minerali, ciò suggerisce
che è il minerale che si è depositato per primo. Essa è del tipo esagonale e ha
sempre una struttura granoblastica con lamelle di corrugamento. Sono evidenti i
segni di stress. L’estinzione è spesso ondulosa. L’anisotropia è marcata e i colori
variano da grigio–giallo a grigio–nero. La pirrotina è spesso alterata in marcasite
e pirite II. L’alterazione è ben osservabile lungo le fratture. Sono presenti sia le
strutture del tipo bird’s eye (Fig. 2.10) che quelle a pettine. La pirrotina II si ritrova
anche come riempimento di fratture all’interno della pirrotina I.
A nicols incrociati la sfalerite mostra riflessi interni rosso–marroni. Sono assenti granuli o lamelle isoorientate di pirite, pirrotina e calcopirite (Fig. 2.10), quali
strutture comuni in altre mineralizzazioni Peloritane141 . Tuttavia la calcopirite è
anche presente come riempimento di fratture ed in aree più ampie (Fig. 2.10).
Secondo quanto osservato da Saccà et al.142 , una prima generazione di pirite è
presente talvolta all’interno della sfalerite. La galena I è stata vista raramente al137. L. Vighi, Su un filone a pirrotina e blenda in comune di S. Roberto d’Aspromonte (Calabria) e sulle
trasformazioni pirrotina–pirite, « Atti. Acc. Pontaniana », 1950, 3, 159–166.
138. C. Saccà, D. Saccà, P. Nucera, D. D’urso, Polymetalliferous mineralization in the Aspromonte Unit of
the Southern Calabria (Italy), Atti della Società Toscana di Scienze Naturali residente in Pisa, Memorie Serie a:
mineralogia, geologia, 2003, vol. 108, pp. 43–49.
139. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, p. 289–302.
140. C. Saccà, D. Saccà, P. Nucera, D. D’urso, op. cit., 2003, pp. 43–49.
141. F. Oteri, C. Saccà, F. Stagno, M. Triscari, Confronto tra composizione chimica e modalità giaciturali
di alcuni minerali metalliferi dei Monti Peloritani (Sicilia N.E.), « Rend. Soc. It. Min. Petr. », 1986, 41, 1, 41– 52.
C. Saccà, G. Cimino, Le mineralizzazioni delle contrade Vacco, Paparello e Cancillo (territorio di Fiumedinisi,
Messina) nel quadro delle manifestazioni metallifere dei Monti Peloritani, « Miner. Petrogr. Acta », 1988, 31,
259–271. C. Saccà, D. Saccà, G. Cimino, Composizioni mineralogiche e chimiche di alcune mineralizzazioni a
galena e sphalerite affioranti nei territori di Alì e Fiumedinisi, « Miner. Petrogr. Acta », 1992, 35, 99–111. C. Saccà,
D. Saccà, A. Messina, A Fe–Mn–Zn–Pb mineralization in the marbles of the Mandanici Unit (Calabrian–Peloritan
Arc), « Boll. Soc. Geol. Ital. », 1996, 115, 159–171.
142. C. Saccà, D. Saccà, P. Nucera, D. D’urso, op. cit., 2003, pp. 43–49.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
81
Tabella 2.5. Analisi chimiche rappresentative (%).
x
S
Pb
Galena
Sphalerite
Chalcopirite
Pirrotina
13,38
32,71
32,80
61,12
86,56
32,20
Fe
5,72
34,19
38,56
Cu
Zn
61,40
99,19
Totale
99,94
99,83
99,68
Figura 2.10. A sinistra: Tipica alterazione della pirrotina nota come Bird’s eye. Osservazione
in luce riflessa; al centro: Calcopirite (c) come riempimento di fratture nella sfalerite (s), Osservazione in luce riflessa; a destra: Galena (g) e sfalerite (s) con inclusioni di calcopirite (c),
Osservazione in luce riflessa.
l’interno della pirrotina. La galena II è presente in piccole aree all’interno di tutti
gli altri minerali. Inoltre l’allineamento delle tramogge triangolari nella galena II
mostra l’assenza di stress dinamico dopo la deposizione. La fluorite è presente
in quantità variabile da un’area all’altra. Spesso sono state notate piccole fratture,
riempite da sfalerite, calcopirite e raramente da galena. Ossidi e idrossidi tardivi
sono ubiquitari. Le analisi chimiche riguardo ai costituenti maggiori sono stati
effettuate tramite SEM con EDS su pirrotina, calcopirite, galena e sfalerite (Tab.
2.5).
I dati sugli elementi in traccia sono stati determinati su pirrotina e galena tramite
ICP–MS (Tab. 2.6)143. La sfalerite è di tipo ferrifero con un contenuto medio di Fe di
circa il 5%. Nella galena, il contenuto di Au raggiunge un valore di 0.683 ppm, e l’Ag
è presente in quantità minori rispetto a quelle riconosciute nella maggior parte delle
mineralizzazioni Peloritane144. Il contenuto di Co nella pirrotina è decisamente più
143. C. Saccà, D. Saccà, P. Nucera, D. D’urso, op. cit., 2003, pp. 43–49.
144. C. Saccà, D. Saccà, Distribuzione dell’argento in alcuni minerali dei Monti Peloritani in Att. Accad. Pelor. Cl.
Sc. Fis., Mat., Nat., 1993, 7, 291–304.
82
Mineralizzazioni in Calabria
Tabella 2.6. Contenuti di elementi in traccia in galena, pirrotina e pirite (ppm).
Galena
Pirrotina
Pirite
Galena
Pirrotina
Pirite
Galena
Pirrotina
Pirite
Ag
Al
Au
As
B
Ba
Bi
Cd
Co
Cr
Cu
75
38,9
40,5
20
20
1,1
0,68
0,02
0,06
10176
192
390
56
60
26,6
52,4
<.5
7,7
307,5
16,6
12,4
336
439
62
11
15
34,2
117
128
277
1329
677
1,1
Ga
Hg
La
Mn
Mo
Na
Ni
P
Sb
Sc
0,4
0,6
8,5
5,67
12,6
10,2
<.5
<.5
<.5
226
88
156
3,8
6,6
4,2
4
8
5
87
101
8,6
2
4
3
430
40
70
<.1
<.1
<.1
Se
Sr
Te
Th
TI
Ti
U
V
W
Zn
14
6
226
2
<.5
6,9
0,64
0,04
0,1
<.1
<.1
<.1
0,36
0,38
11
78
106
96
<.1
<.1
<.1
28
30
25
0,2
<.1
<.1
5384
7307
1200
basso di quello che di solito è stato trovato per i depositi di origine vulcanica145 e risulta
basso persino rispetto a quello dei depositi sedimentari146. Il contenuto di Ni è anche
basso, tuttavia confrontabile con il contenuto dei depositi filoniani rimobilizzati147. Il
rapporto Co/Ni nella pirite, che generalmente può fornire informazioni sull’ambiente genetico, è di 3.9148. Qui esso non assume particolare importanza, perché la pirite è
un prodotto di alterazione della pirrotina.
In conclusione, dallo studio condotto da Saccà et al.149 è emerso che le caratteristiche
chimiche e le osservazioni ottiche di questa mineralizzazione sono abbastanza differenti da altre mineralizzazioni affioranti nei Monti Peloritani (Sicilia). In particolare, lo
studio minerografico della mineralizzazione di S. Roberto ha evidenziato che alcuni
minerali, come pirrotina e galena, presentano due generazioni mentre altri (calcopirite
e galena II) sono osservabili come riempimento di fratture. Essi indicano una fase
di mineralizzazione tardiva che probabilmente potrebbe essere correlata all’evento
Alpino, responsabile anche di effetti cataclastici. La presenza di formazioni stellari di
sfalerite nella calcopirite è generalmente interpretata come prodotto di smescolamento
ed è tipica dei depositi di alta temperatura150. Dal punto di vista chimico, il contenuto
di Co nella pirrotina è decisamente inferiore a quello che generalmente è stato trovato
per i depositi di genesi vulcanica151. Esso è basso persino se confrontato con i depositi
145. K.M. Frater, The Golden Grove Copper–Zinc deposit an Archean Exhalative, Volcanogenic Occurrence, Ph. D.
thesis, 1978, Univ. Newcastle, New South Wales.
146. B.A. Brill, Trace–element contents and partitioning of elements in ore minerals from the CSA Cu–Pb–Zn deposit,
Australia, « Canad. Mineralogist », 1989, 27, 263–274.
147. A. Bralia, G. Sabati, F. Troia, A revaluation of the Co/Ni ratio in pyrite as a geochemical tool in ore genesis problems.
Evidences from southern Tuscany pyretic deposits, « Miner. Deposita », 1979, 14: 353–374.
148. B.A. Brill, Trace–element contents and partitioning of elements in ore minerals from the CSA Cu–Pb–Zn deposit,
Australia, « Canad. Mineralogist », 1989, 27, 263–274.
149. C. Saccà, D. Saccà, P. Nucera, D. D’urso, op. cit., 2003, pp. 43–49.
150. P. Ramdohr, The ore minerals and their intergrowths, 2nd ed. Pergamon Press, Oxford 1980.
151. K.M. Frater, The Golden Grove Copper–Zinc deposit an Archean Exhalative, Volcanogenic Occurrence, Ph. D.
thesis, 1979, Univ. Newcastle, New South Wales.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
83
sedimentari152. Anche il contenuto di Ni è basso, ma confrontabile con il contenuto dei
depositi filoniani rimobilizzati153. Il rapporto Co/Ni nella pirite, che può generalmente
fornire informazioni sull’ambiente genetico154 è di 3,9. Qui però esso non assume
particolare importanza perché la pirite è un prodotto di alterazione della pirrotina.
Particolare importanza viene attribuita da Saccà et al.155 alla presenza di Au, che è stata
segnalata in precedenza anche nella mineralizzazione a barite, siderite e galena di Linata156, appartenente all’Unità dell’Aspromonte, affiorante nei Monti Peloritani (Sicilia),
Più numerose risultano le segnalazioni della presenza di Au nella mineralizzazioni
ricadenti nelle Unità di più basso grado metamorfico, affioranti nella parte Siciliana
dell’ACP. La presenza di tale metallo nobile sarebbe riferibile a un evento tardivo che
accomuna molte mineralizzazioni dell’ACP, anche con genesi diversa.
11. Cascata (UTM 33SWC 783148, Foglio 254 II SE S. Lorenzo). Sono state ritrovate
(SOMIREN s.p. a) pegmatiti con anomalie radiometriche, intruse in gneiss occhiadini
e legate probabilmente alla massa granitica di Monte Embrisi–Punta d’Atò157.
12. Caulonia (Foglio 246 II SE Caulonia). Nei dintorni di Caulonia sono stati individuati filoni di molibdenite e piriti arsenicate158. Jervis159 inoltre, segnala la presenza di
salnitro al tempo proficuamente sfruttato.
13. C. Da Macrì (UTM 33SXC 024405, Foglio 255 IV NE Antonimina). Sono stati
ritrovati filoni a barite intrusi nelle metamorfiti160 .
14. C. Da Maiuri (UTM 33SXC 236574, Foglio 246 II NE – Nardodipace). La Società Italiana di ricerche Minerarie analizzò il giacimento di contrada Maiuri161 ma
non intraprese alcuno sfruttamento.
15. Delianuova (UTM 33SWC 803314, Foglio 254 I SE Delianuova). A circa 1 km
a sud di Delianuova, un corpo pegmatitico (SOMIREN s.p.a.) di circa 70 m di
152. B.A. Brill, Trace–element contents and partitioning of elements in ore minerals from the CSA Cu–Pb–Zn deposit,
Australia, « Canad. Mineralogist », 1989, 27, 263–274.
153. A. Bralia, G. Sabatini, F. Troia, Arevaluation of the Co/Ni ratio in pyrite as ageochemical tool in ore genesis
problems. Evidences from southern Tuscany pyretic deposits, « Miner. Deposita », 1979, 14: 353–374.
154. B.A. Brill, Trace–element contents and partitioning of elements in ore minerals from the CSA Cu–Pb–Zn deposit,
Australia, « Canad. Mineralogist », 1989, 27, 263–274.
155. C. Saccà, D. Saccà, P. Nucera, D. D’urso, Polymetalliferous mineralization in the Aspromonte Unit of the
Southern Calabria (Italy), Atti. Soc. Tosc. Sci. Nat. Pisa, Mem. mineralogia, geologia. 2003, 108, 43–49.
156. Saccà C., Mineralizzazione a barite, siderite e metalli nobili nelle metamorfici della Falda d’Aspromonte a Nord di
Messina, « Atti Acc. Pelor. », 1983, Pericolanti, « Cl. Sc. Mat. Fis. Nat »., 61, 383–402.
157. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
158. G. Pipino, op. cit., 1983.
159. G. Jervis, op. cit., 1881, p. 300.
160. Ministero Industria, Commercio E Artigianato, Corpo Statale Delle Miniere, Relazione sul Servizio
Minerario e Statistico dell’Industria Estrattiva in Italia negli anni 1956; 1957–1959.
161. A. Stella, La miniera di limonite di Pazzano (Calabria), in A. Stella, Le miniere di ferro dell’Italia. Primo
Congresso Minerario Nazionale, 1921, Editore S. & C Lattes, 301–312.
84
Mineralizzazioni in Calabria
potenza si estende in direzione WSW–ENE, da Serro del Brigante al torrente
Pietragrande. In esso sono presenti solfati di uranio, gummite e uraninite162 . In
località Vento affiora una pegmatite163 con tormalina nera, granato, raro epidoto
con torbenite ed uraninite164 .
16. Fiumara Amendolea–Fiumara Condofuri (UTM 33SWC 779056, Foglio 263 I
NE Bova Marina). Tra la Fiumara Amendolea e la Fiumara Condofuri, all’altezza
del Ponte Lapse, sono stati rinvenuti filoni mineralizzati a solfuri misti, intrusi
negli gneiss occhiadini dell’Unità di Capo S. Giovanni165 .
17. Fiumara La Verde (UTM 33SWC 910134, Foglio 255 III SE Africo). Nell’area
compresa tra Vallone Corti e quota 177 m, sono stati rinvenuti filoni mineralizzati
a pirite, sfalerite, galena, intrusi in paragneiss, paragneiss anfibolici e marmi a
silicati dell’Unità di Monte Lesti166 .
18. Fiumara Della Menta (UTM 33SWC 774197, Foglio 254 II NE Montalto).
Lungo la Fiumara della Menta sono presenti pegmatiti con uraninite e fosfati
di uranio. In particolare, a quota 1380, è stato rinvenuto un filone zonato nel cui
nucleo sono presenti solfuri misti e fosfati di uranio167 .
19. Fiume Telese (UTM 33SWC 740261, Foglio 254 I SE Delianuova). A quota
1350, sono state individuate masse pegmatitiche con anomalie radiometriche168 .
20. Forra Di Mèlito (UTM 33SWC 735139, Foglio 254 II NE S. Lorenzo). Filoni
mineralizzati a solfuri misti sono stati rinvenuti nel granito della Forra di Mèlito,
a sud di Lacco Saguccio169 .
21. Forra Pietre Bianche (U.T.M 33SWC 698090, Foglio 254 II SO Bagaladi). Nella
Forra Pietre Bianche, precisamente a SW del punto quotato 667, sono stati individuati filoni mineralizzati, intrusi nelle metamorfiti dell’Unità di Mandatoriccio170 .
162. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
163. A. Anfosso, La presenza della torbernite nella pegmatite di Delianuova in Calabria, « Boll. Soc. Nat. »,
Napoli 1942, 52, 99–102. A. Stella, S. Tamburino, Determinazione quantitativa della radioattività della pegmatite di
Delianuova col metodo delle emulsioni fotografiche, « Rend. Soc. Mineral. It. », 1952, 8, 185–188.
164. B. De Vivo B., S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
165. Ibidem.
166. Ibidem.
167. Ibidem.
168. A. Anfosso, La presenza della torbernite nella pegmatite di Delianuova in Calabria, « Boll. Soc. Nat. »,
Napoli 1942, 52, 99–102. A. Stella, S. Tamburino, Determinazione quantitativa della radioattività della
pegmatite di Delianuova col metodo delle emulsioni fotografiche. « Rend. Soc. Mineral. It. », 1952, 8, 185–188.
169. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, Le mineralizzazioni nel basamento
cristallino dell’Aspromonte (Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1980, 99, 289–302.
170. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
85
22. Gerace (UTM 33SXC 068369, Foglio 255 I NE Siderno). Miniere di rame a
foglietti171 , oltre a piccole quantità di limonite e pirite. Jervis172 segnala anche la
presenza di abbondante salnitro173 .
23. Giardino (UTM 33SWC 814223, Foglio 254 II NE Montalto). In località Giardino,
circa 10 km a sud di Delianuova, è stata ritrovata una pegmatite, intrusa negli gneiss
dell’Unità di Monte Lesti, a tormalina e granato con uraninite in noduli174.
24. Grotteria (UTM 33SXC 106472, Foglio 246 II SO Gioiosa Ionica). Nei pressi dell’abitato sono state rinvenute mineralizzazioni a galena argentifera con
sfalerite175 e mineralizzazioni a oro176 .
25. Mammola (UTM 33SXC 084470, Foglio 246 II SO Gioiosa Ionica). Pipino177
riporta la presenza di alcune manifestazioni a galena argentifera con sfalerite.
26. M. Embrisi (UTM 33SWC 686122, Foglio 254 II SO Bagaladi). Negli gneiss
della zona di M. Embrisi si può trovare una concentrazione di magnetite associata
a solfuri di Cu, Pb e Zn178 .
27. M. Stella (UTM 33SXC 263591, Foglio 246 II NE Nardodipace). Segni di lavori
minerari e di affioramenti a brucioni sono visibili nei pressi del Monte Stella. Esso si
trova a NE di Monte Mammicomito (UTM 33SXC 243580, Foglio 246 II NE Nardodipace), sotto il quale, a circa 700 metri s.l.m., si svolsero le principali coltivazioni delle
bocche dell’Immacolata, di Scolo, di S. Ferdinando e di Lucarello179.
28. Montebello Jonico (UTM 33SWC 667043, Foglio 263 I NO Melito di Porto Salvo).
Filoni mineralizzati a solfuri180 sono stati ritrovati nell’areale a sud di Montebello Jonico,
intrusi negli gneiss dell’Unità di Capo S. Giovanni.
29. Motta S. Giovanni (Foglio 254 III SE Motta S. Giovanni). Pipino181 segnala la
presenza di mineralizzazioni a galena argentifera con sfalerite.
30. Passo Di Cancelo (UTM 33SWC 959386, Foglio 255 IV NE Antonimina). Filoni
a barite182 .
171. A. Fasano, Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore, in Atti Reale Accademia delle Scienze e delle
Lettere, Napoli 1788.
172. G. Jervis, op. cit., 1881, p. 302.
173. Ibidem.
174. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
175. G. Pipino, op. cit., 1983.
176. Ibidem
177. Ibidem.
178. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
179. A. Stella, La miniera di limonite di Pazzano (Calabria), in A. Stella, Le miniere di ferro dell’Italia. Primo
Congresso Minerario Nazionale, 1983, Editore S. & C Lattes, 301–312.
180. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 99, 289–302.
181. G. Pipino, op. cit., 1983.
182. CNEN, Relazione interna, 1970.
86
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.11. Carta geologico–mineraria del giacimento ferrifero di Pazzano (da Stella 1821).
31. Pazzano (UTM 33SXC 247 III NO Stilo). Il paese di Pazzano (Fig. 2.11) sorge
tra monte Consolino e monte Stella. A poca distanza (circa due chilometri) e all’altitudine di metri 410, si trova il paese di Stilo. L’area è caratterizzata dalla presenza
di scisti filladici in discordanza con una limitata massa calcareo–dolomitica183. Proprio lungo il piano di contatto tra queste due litologie si trova la mineralizzazione
ferrifera, a limonite e quarzo. La mineralizzazione mostra andamento SO–NE con
inclinazione a SE di circa 40° e spessore massimo di circa 3 metri184 . La miniera di
Pazzano è piuttosto antica e nel 1523 fu donata dall’imperatore Carlo V a Cesare,
183. A. Stella, La miniera di limonite di Pazzano (Calabria), in A. Stella, Le miniere di ferro dell’Italia, Primo
Congresso Minerario Nazionale, 1921, Editore S. & C Lattes, 301–312.
184. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
87
fratello di Ettore Fieramosca. In seguito a lunghissime vicissitudini giudiziarie il
Governo ne divenne proprietario, traendone fino a 900 tonnellate di minerale al
mese185 . Quattromani186 riferisce che nella prima parte dell’Ottocento vi fu una
intensa attività; nel 1808 fu scavata la galleria S. Nicola, nel 1812 la galleria Perronella
e successivamente le gallerie Nuova Carolina, Scolo, Fondelli Vecchi e Nuova Clementina. La produzione fu fino al 1816 di 6000 “cantaja” al mese di minerale con
alta resa. Più recentemente tra i 450–300 m di quota, furono scavate varie nuove
gallerie denominate: Umberto, Margherita, Piave, Italia, Tuttavia, la presenza di
piccole quantità di galena, sfalerire e pirite, minerali che contengono zolfo, incide
sulla qualità del prodotto, che quindi, è inadatto ad essere convertito in acciaio,
come dimostrato dagli esperimenti condotti a Sheffield nell’anno 1863 dal Senatore
Devincenzi, allora R. Commissario Italiano presso l’esposizione internazionale di
Londra187. Nei giacimenti superiori il minerale prevalente è la limonite più o meno
impura (Tab. 2.7), alla quale, nella zona inferiore, si associano solfuri come la pirite e
la galena (più o meno argentifera). A seconda della compattezza, il minerale ferroso
è stato distinto in 4 tipi: terroso, rosso, granelloso e compatto188.
32. Piano Corvi (UTM 33SWC 977385, Foglio 255 IV NE Antonimina). Filoni a barite189.
33. Pietra Tarso (UTM 33SWC 816298, Foglio 254 I SE Delianuova). A circa 2
km a SSE di Delianuova,190 sono stati segnalati solfuri con pirite (individuati dalla
SOMIREN s.p. a.) e pegmatiti con anomalie radiometriche191 .
34. Punta D’atò (UTM 33SWC 770136, Foglio 254 II NE S. Lorenzo). Filoni mineralizzati a solfuri misti sono intrusi negli gneiss dell’Unità di Monte Lesti e negli gneiss
occhiadini dell’Unità di Capo S. Giovanni, a 1 km a WNW di Punta d’Atò192.
35. Punta Rossa (UTM 33SWC 800142, Foglio 254 II SE S. Lorenzo). Sono state ritrovate
(SOMIREN s.p. a) pegmatiti con anomalie radiometriche, intruse in gneiss occhiadini e
legate probabilmente alla massa granitica di Monte Embrisi–Punta d’Atò193.
36. Razzelle (UTM 33SWC 963380, Foglio 255 IV NE Antonimina). È nota la
presenza di filoni a barite194 .
185. G. Jervis, op. cit., 1881, p. 298.
186. G. Quattromani, Itinerario delle due Sicilie. . . Opera del Cav. G. Quattromani, Prima edizione, Reale
tipografia della guerra, Napoli 1827, pp. 249.
187. G. Jervis, op. cit., 1881, p. 299.
188. A. Stella, La miniera di limonite di Pazzano (Calabria), in A. Stella, Le miniere di ferro dell’Italia, Primo
Congresso Minerario Nazionale, Editore S. & C Lattes, 1921, 301–312.
189. CNEN, Relazione sulla campagna 1960, Gruppo Delta, Relazione interna, 1960.
190. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980.
191. Ibidem
192. Ibidem.
193. Ibidem.
194. Ministero Industria, Commercio e Artigianato, Corpo Statale Delle Miniere, Relazione sul Servizio
Minerario e Statistico dell’Industria Estrattiva in Italia negli anni 1956; 1957–1959.
88
Mineralizzazioni in Calabria
Tabella 2.7. Contenuti di elementi in traccia in galena, pirrotina e pirite (ppm).
A
Denominazione minerale
Minerale terroso I
Minerale rosso II
Minerale granelloso III
Minerale duro IV
Fe %
40,43
39, 69
59,68
60,02
Residuo %
8, 56
7,20
1,31
1,41
SiO2 %
5,82
6,56
1,24
1,14
Ph %
1,30
1,10
0,09
0,03
Campione medio
Fe %
51
Residuo %
1–5
Ph %
–
S
1,25
Campione medio
Fe %
53–58
Residuo %
–
SiO2 %
1–05
Presenza
PbZn
SiO2 %
3–5
Ph %
0,12–0,26
S
0,1
I
5,10 %
11,47 „
66,13 „
7,13 „
6,91 „
0,76 „
10,78 „
3,82 „
II
2,70%
14,17 „
62,01 „
8,49 „
7,33 „
tracce
9,57 „
5,24 „
III
0,55 %
10,79 „
96,70 „
0,39 „
0,61 „
–
1,81 „
0,29 „
IV
0,93 %
10,06 „
97,92 „
–
Fe
56,62
SiO2
2–3
S
0,1–0,8
Ph
0,02–0,12
B
As
0,07
D
Indicazione dei campioni
Acqua igroscopia
„ combinata
Ossidi di ferro
Allumina
Ossidi di piombo
Calce
Silice
Acido fosforico anidro
–
1,13 „
0,06 „
E
Minerale ricerche
As
0–0,05
37. Rosalì (UTM 33SWC 599282, 254 IV SE Villa S. Giovanni). Melograni195
segnala la presenza, presso Rosalì, di granito a grana fine. All’interno del granito
nel 1755, fu rinvenuta una vena di galena argentifera. I sassoni coltivarono tre cunicoli, uno sulla sponda destra e due sulla sponda sinistra del torrente. Melograni
ricorda che quando si trovò in Germania, nel 1794, incontrò il capo fonditore
Giovanni Cristiano Heischer che gli diede da leggere un suo manoscritto redatto
in Calabria, da cui si evinceva che per ogni cantaro di minerale venivano ricavati
68 rotoli di piombo e che per ogni cantaro di piombo venivano estratte 10 once
d’argento. Purtroppo la vena fu presto persa, e gli scavi furono abbandonati.
38. Serro Grande (Foglio 254 I SE Delianuova). A quota 1050 m del Serro Grande
(UTM 33SWC 804307) e a quota 1050 m del Serro Piccolo (UTM 33SWC 808307)
sono stati rinvenute masse pegmatitiche con anomalie radiometriche196 .
195. G. Melograni, Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze, Coll’aggiunta di tre
memorie concernenti l’origine dei volcani, la grafite di Olivadi, e le saline delle Calabrie, prima edizione,
Napoli 1823, stamperia Simoniana, p. 107.
196. A. Anfosso, La presenza della torbernite nella pegmatite di Delianuova in Calabria, in « Boll. Soc. Nat. »,
Napoli 52, 99–102. A. Stella, S. Tamburino, Determinazione quantitativa della radioattività della pegmatite di
Delianuova col metodo delle emulsioni fotografiche, « Rend. Soc. Mineral. It. », 1952, 8, 185–188.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
89
39. Stilo (UTM 33SXC 282602, 247 III NO Stilo). Fasano197 , così descrive, nella
seconda metà del 1700, il territorio di Stilo e le sue miniere:
Dalla parte orientale del Caulone verfogreco levante fporge un groffo e corporuto braccio
e fi prolunga per miglia fei fino a Stilo, ove termina in forma di promontorio detto monte
di Stilo. Questo braccio per tutta la fua eftenfione ha le vifcere, e molto in fondo, pregne
di ferro, si che può dirfi una continuata miniera di ferro, il cui tetto è il calcareo commune.
Siegue immediatamente il monte Jejo, che fa molta parte del territorio di Stilo. Le vifcere
di quefto fon parimente immenfe e continuate miniere di ferro. Tale è la quantità del ferro
che in queste montagne esiste, che dovunque voglia fcavarfi fi trovano miniere di quefto
metallo e fempre vafte; di modo che i fcavatori prendono a far fcavi dove loro rende più
comodo e per la fonderia più opportuno. Ordinariamente non fono quefte miniere per filoni,
ma per maffi di lunghe eftenfioni, gli uni agli altri contigui, e fenza interruzioni: o voglia
dire, fon per filoni di vafta fronte ed eftenfione: per lo che gli fcavi son quafi tutti per lunghe
gallerie, ed ampie grotte. Si vedon gli fcavi antichi profondati tanto a lungo, che per poco
non giunfero a livello del mare. Si fono speffo incontrati laghetti di acqua, che però non han
disturbato lo scavo; imperocchè per la vaftità delle miniere poffono i fcavatori divertirlo a loro
piacere [. . . ] L’eccellenti qualità e bontà del ferro di quelle miniere fon troppo note e afficurate
preffo le perfone patriotiche e non preoccupate; e l’efperienza di ogni genere l’han troppo
evidentemente dimostrato. Ci viene afficurato che i cannoni fabbricati di quel ferro anche in
azione viva di guerra fono riufciti migliori di quello fabbricati di ferro ftraniero. Potrebbero
quelle miniere fole fodisfare, in ragione di ferro, tutti i bifogni del regno.
La miniera era ancora sfruttata nella prima metà dell’Ottocento, Craufurd Tait
Remage198 , umanista scozzese, asserisce che, al tempo, la miniera era costituita
da quattro pozzi dei quali solo uno al momento era produttivo. In questo era
osservabile una vena di più di un metro di spessore. Gli scavi avevano raggiunto
la ragguardevole profondità di 900 metri. Oltre al ferro, Vivenzio199 riferisce la
presenza nel territorio di Stilo di altri minerali da cui si estraeva argento in quantità
variabili da due a sette once.
40. Torrente Colla (UTM 33SWC 970384, Foglio 255 IV NE Antonimina). Sono
stati ritrovati filoni di barite200 .
41. Torrente Cirello (UTM 33SWC 793322, Foglio 254 I SE Delianuova). A quota
720 e 774 m (UTM 33SWC 793320) sono state rinvenute masse pegmatitiche con
anomalie radiometriche201,202 .
197. A. Fasano, Saggio geografico fisico sulla CalabriaUlteriore, in Atti Reale Accademia delle Scienze e delle
Lettere, Napoli 1788, p. 291.
198. Craufurd Tait Ramage, Viaggio nel Regno delle Due Sicilie, a cura di Edith Clay, Introduzione di
Harold Acton, Roma 1966, De Luca, in–8°, p. 246.
199. G. Vivenzio, Istoria e Teoria de tremuoti in generale; ed in particolare di quelli della Calabria, e di Messina
del MDCCLXXXIII, Napoli 1783, p. 181.
200. Ministero Industria, Commercio E Artigianato, Corpo Statale Delle Miniere, Relazione sul Servizio
Minerario e Statistico dell’Industria Estrattiva in Italia negli anni 1956; 1957–1959.
201. A. Anfosso, La presenza della torbernite nella pegmatite di Delianuova in Calabria, « Boll. Soc. Nat. »,
Napoli 1943, 52, 99–102.
202. A. Stella, S. Tamburino, Determinazione quantitativa della radioattività della pegmatite di Delianuova col
metodo delle emulsioni fotografiche, « Rend. Soc. Mineral. It. », 1952, 8, 185–188.
90
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 2.12. Ingresso della miniera dell’Argentiera (seconda metà del XVIII secolo) (da Clemente,
2012).
42. Torrente Nocita (UTM 33SWC 785293, Foglio 254 I SE Delianuova). A
quota 1000 e 1050 m sono state rinvenute masse pegmatitiche con anomalie
radiometriche203 .
43. Valanidi Argentiera (UTM 33SWC 645098, Foglio 254 II SO Bagaladi). Gallerie
per l’estrazione dell’argento furono scavate, da parte di operai sassoni specializzati,
lungo il corso della fiumara Valanidi204 (Fig. 2.12), in particolare nella zona di
Reggio Calabria, proprio alla confluenza dello Stroffa, Addai e Musciaddi, in
un’area collinare, nota come Argentiera o miniera di San Nicola205 . Fasano206 , nel
suo Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore, così descrive la miniera:
È quefta cavata a pozzo, il cui diametro è di circa palmi dieci, e la sua profondità, come il
Manitti – guida di Fasano e anziano minatore — mi diceva di circa paffi quaranta. La fua
rendita fi valuta in once diciotto in diciannove di argento puro per un cantaro di minerale
grezzo; ma noi fiamo più che ficuri che renda molto di più. Ci afficurava il Manitti che
nello fcavo di quel filone fpeffo si incontravano delle verghette di argento nativo puro.
L’argento in quefta miniera che merita bene il nome di ricca, è tutto per ramificazioni, e
alle volte per piccioli nodi.
203. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 99, 289–302.
204. G. Clemente, Archeologia mineraria nella Calabria meridionale traMedioevo ed età Contemporanea, Dati
preliminari sulle miniere di Valanidi nei comuni di Reggio Calabria e Motta San Giovanni (RC) in F. Redi,
A. Forgione (a cura di), Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, L’Aquila 12–15 Settembre 2012,
Borgo San Lorenzo (FI), pp. 666–671.
205. A. Paillette, Étude, historique et géologique sur les gites metalliferes des Calabres et du Nord de la Sicile,
in Annales des Mines, ser. IV, t. II, 613–680, Parigi 1842, p. 654.
206. A. Fasano, Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore, in Atti Reale Accademia delle Scienze e delle
Lettere, Napoli 1788, p. 289.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
91
Al tempo di Melograni207 l’Argentiera risultava chiusa, ma era osservabile
un banco di quarzo con direzione “da Settentrione a Mezzogiorno”, mineralizzato a galena argentifera. La miniera era stata sfruttata per ultimo dai minatori
sassoni che avevano scavato tre gallerie, due di queste all’apice della montagna,
comunicanti internamente. La galena, faceva notare Melograni, si presentava
in rognoni dispersi nel quarzo. La galleria, a livello leggermente inferiore, era
piena d’acqua e questo aveva costretto i sassoni a scavare una terza galleria più
in basso per drenare l’acqua, ma prima di concludere l’opera, i lavori furono
abbandonati. Anche in contrata Ragali, sempre secondo Melograni208 , tra le
località di Motta e Montebello esistono dei banchi di quarzo con poca galena.
Il minerale fu sfruttato ancora una volta dai minatori sassoni. Fasano209 segnala
la presenza, per tre miglia dall’inizio del corso del Valanidi, di filoni di quarzo
che fanno da matrice al rame. I filoni risultano essere concordanti con gli strati.
Al tempo risultavano aperte due miniere denominate Stroffa e Lamia. La prima
si apriva quasi a livello del letto del fiume. I filoni si presentavano ramificati e
molto superficiali. Manitti, che aveva lavorato in quelle miniere per sette anni,
asseriva che le miniere erano molto ricche e spesso nella matrice quarzosa si
trovava anche del rame nativo. Lo stesso affermava che generalmente erano
sfruttati i filoni più facilmente scavabili non già i più ricchi. Anche lungo il corso
delle fiumare Adda e Musciaddi si rinvengono numerosi scavi per l’estrazione
del rame che lavorato si rivelava di notevole qualità. Le medesime informazioni
sono riportate anche da De Stefani210 .
44. Vallone Acqua Di Merlo (UTM 33SWC 809309, Foglio 254 I SE Delianuova). A
quota 1050 sono state ritrovate masse pegmatitiche con anomalie radiometriche211 .
45. Vallone Bolla (UTM 33SXC 020403, Foglio 255 IV NE Antonimina). Nel
Vallone Bolla sono stati individuati filoni a barite intrusi nelle metamorfiti212 .
46. Vallone Bufurta (UTM 33SWC 996414, Foglio 255 IV NE Antonimina). È nota
la presenza di filoni a barite intrusi nelle metamorfiti213 .
207. G. Melograni, Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze, Coll’aggiunta di tre
memorie concernenti l’origine dei volcani, la grafite di Olivadi, e le saline delle Calabrie, Prima edizione,
Napoli 1823, stamperia Simoniana, 1823, p. 138.
208. Ivi, p. 141.
209. A. Fasano, Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore, in Atti Reale Accademia delle Scienze e delle
Lettere, Napoli 1978, p. 290.
210. C. De Stefani, Escursione scientifica nella Calabria (1877–78), Jejo, Montalto e Capo Vaticano, « Atti R.
Accademia dei Lincei », 1882, vol. XVIII Roma p. 60.
211. A. Anfosso, La presenza della torbernite nella pegmatite di Delianuova in Calabria. « Boll. Soc. Nat. »
Napoli 1942, 52, 99–102. A. Stella, S. Tamburino, Determinazione quantitativa della radioattività della
pegmatite di Delianuova col metodo delle emulsioni fotografiche, « Rend. Soc. Mineral. It. », 1952, 8, 185–188.
212. Ministero Industria, Commercio e Artigianato, Corpo Statale Delle Miniere, Relazione sul Servizio
Minerario e Statistico dell’Industria Estrattiva in Italia negli anni 1956; 1957–1959.
213. Ibidem.
92
Mineralizzazioni in Calabria
47. Vallone Colella (UTM 33SWC 780143, Foglio 254 II SE S. Lorenzo). Sono state
ritrovate (SOMIREN s.p. a) pegmatiti con anomalie radiometriche, intruse in gneiss
occhiadini e legate probabilmente alla massa granitica di Monte Embrisi–Punta d’Atò214.
48. Vallone Del Cervo (UTM 33SWC 785267, Foglio 254 I SE Delianuova). A quota
1350 sono state individuate masse pegmatitiche con anomalie radiometriche215 .
49. Vallone Della Mignotta (UTM 33SWC 800285, Foglio 254 I SE Delianuova). A
quota 1100 sono state ritrovate masse pegmatitiche con anomalie radiometriche216 .
50. Vallone Macariace (UTM 33SXC 062473, Foglio 246 II SO Gioiosa Ionica). Tra
le mineralizzazioni legate alle masse minori della zona Valle del Torbido–Vallone
Macariace, dove affiorano paragneiss e micascisti dell’Unità di Mandatoriccio217 ,
vanno citati i filoni di quarzo, di probabile genesi idrotermale218 , a solfuri, quali
arsenopirite, pirite, sfalerite, bornite e galena. Tracce dell’attività mineraria sono
evidenti in più aree: sui due versanti del Vallone, ad est di Ceramidi e sulla destra
del Torrente Torbido (a nord di Ceramidi).
51. Vallone Dei Pullitrari (Foglio 254 I SE Delianuova). Lungo il Vallone dei
Pullitrari, a circa 3 km a S di Altarupe (UTM 33SWC 747314, Foglio 254 I SE
Delianuova), è presente magnetite accompagnata da galena, sfalerite e pirrotina.
La formazione di tali minerali è precedente a quella della magnetite219 . Sempre
nel Vallone dei Pullitrari, appartenente alla massa granitica di Delianuova, a
quota di circa 650 m (UTM 33SWC 738335, Foglio 254 I SE Delianuova), sono
state rinvenute piccole vene di molibdenite. Per le mineralizzazioni legate al
magmatismo tardo–ercinico, sono rinvenibili in due tipi di ambienti diversi: al
contatto graniti–metamorfiti e nei filoni pegmatitici ed aplitico–idrotermali. Esse
si differenziano da quelle presenti nel basamento dell’Unità di Longobucco, perché
queste ultime sono legate a magmatiti intruse a livelli tettonici diversi ed entro
rocce diverse220 .
52. Vallone Sinoli (UTM 33SWC 678290, Foglio 254 I SO Calanna). Magnetite è stata
ritrovata anche nel vallone Sinoli, a circa 1,5 km ad E di Acquacalda221.
214. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 99, 289–302.
215. Ibidem.
216. Ibidem.
217. Ibidem.
218. Ibidem; Cnen, Relazione interna, 1980.
219. L. Vighi, Sulle mineralizzazioni a solfuri misti e sulla magnetite in comune di S. Roberto d’Aspromonte (Reggio
Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1951a, 70, 624–631. L. Vighi, Su alcune aree calabresi segnalate quali sedi di
manifestazioni metallifere, « Ind. Minerar. », 1951b, 2, VIII, 297–303.
220. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
221. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
93
Tabella 2.8. Elenco delle località ricadenti nella provincia di Vibo Valentia.
Località
1 Monte Pecoraro
2 Parghelia
3 Serra S. Bruno
Foglio
Coordinate UTM
246 II SO Serra S. Bruno
245 I NE bis Tropea
246 I SE Serra S. Bruno
33SXC 172651
33SWC 807822
33SXC 160710
2.5. Provincia di Vibo Valentia
La provincia di Vibo Valentia, anch’essa istituita il 6 marzo 1992 attraverso una
ripartizione del territorio precedentemente incluso nella provincia di Catanzaro,
si estende dal Tirreno ai monti delle Serre, affacciandosi ad ovest sul mar Tirreno.
Essa confina a nord–est con la provincia di Catanzaro e a sud–est con la provincia
di Reggio Calabria.
1. Monte Pecoraro (UTM 33SXC 172651, Foglio 246 II SO Serra S. Bruno). Penta
e De Cindio222 hanno condotto uno studio sulla “steatite” del Monte Pecoraro,
nei pressi di Serra S. Bruno (Catanzaro), Il minerale, rinvenibile in filoni, è stato in
passato estratto ed impiegato come refrattario. Lo stesso Pilla223 , nel suo Catalogo
di una collezione di rocce della Calabria riferisce di una steatite quarzosa usata per
costruire i forni di fusione dello stabilimento borbonico della Mongiana. Della
steatite di Serra S. Bruno, adoperata nei forni di Mongiana, parla anche Tenore224 .
Geraci225 ritiene che la steatite di Serra S. Bruno sia simile al minerale rinvenuto ad Acquacalda (S. Roberto d’Aspromonte). Cortese226 ne esalta le proprietà,
affermando che ben si presta alla costruzione di oggetti duri e all’utilizzo come
materiale refrattario, Roccati227 , in una nota preliminare, riporta della sua visita
al giacimento di Serra S. Bruno. Egli tende a precisare che il minerale, fino ad
allora noto come steatite o talco indurito, non è altro che caolino, derivato da
alterazione di porfidi. In particolare Roccati afferma:
Il minerale, che si osserva inglobato nel granito, presenta all’esame esterno caratteri che
lo potrebbero veramente far ritenere come steatite; color bianco latteo, durezza minima
(1,5) e conseguente tenerezza, untuosità al tatto, facile lavorazione al coltello ed aspetto
saponaceo quando sia ridotto in fine polvere.
222. F. Penta, A. De Cindio, Studio della cosiddetta steatite di Serra S. Bruno (prov. di Catanzaro), « Periodico
di Mineralogia » 1941, 12, 1–30.
223. L. Pilla, Catalogo di una collezione di rocce della Calabria, « Ann. Civ. del Regno delle due Sicilie »,
fasc. XIII, 52, Napoli 1837.
224. G. Tenore, L’industria del ferro e dell’acciaio in Italia dopo il 1860, in Atti del r. Ist. d’incoraggiamento di
Napoli, Napoli 1877.
225. P. Geraci, Articolo sulla Calabria pubblicato nel 1902 e riprodotto sul numero di gennaio 1938 di
Materie Prime d’Italia e dell’Impero.
226. E. Cortese, Materie Minerali utili in provincia di Catanzaro 1923, A cura dell’Amm. Prov. di Catanzaro.
227. A. Roccati, Il talco indurito o steatite di Serra S. Bruno, « La Miniera Italiana », Anno X, p. 78, Roma 1926.
94
Mineralizzazioni in Calabria
Tabella 2.9. Analisi qualitativa e quantitativa del materiale grezzo.
SiO2
Al2O3
Fe2O3
FeO
MgO
CaO
H2O–
H2O+
TiO2
ZrO2
K2O
Na2O
MnO
P2O5
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36,59
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34,37
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0,30
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0,75
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11,88
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,03
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0,16
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7,78
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0,41
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,50
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,00
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 0,74
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . tracce
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . tracce
Chimicamente non si tratta di silicato di magnesio, bensì di un “silicato idrato
di alluminio”, con appena tracce o piccole quantità di calce, magnesia e ferro, con
composizione corrispondente a quella del caolino”. Tali considerazioni scaturiscono
da analisi che Roccati eseguì su campioni di materiale raccolto in un’antica cava,
nella zona nota col nome di “Le Pietre Bianche”. Anche De Cristo228, 1933, nel
quaderno Minerali utili di Calabria, fa riferimento alla “steatite di Serra S. Bruno”
rinvenibile alle sorgenti del torrente “del Forno” e nella contrada Morrone. L’autore,
nel menzionare l’utilizzo del minerale in architettura (per ornamenti architettonici
e capitelli) fa riferimento a Tedeschi229. Nel 1940 il signor Enrico Fea di Torino,
divenuto permissionario della ricerca per steatite, condusse ulteriori indagini sul
giacimento facendo scavare delle trincee che hanno messo in luce due filoni di
materiale, uno grigio e l’altro bianco. Si tratta, infatti, di due varietà: una più scura
e compatta, l’altra bianca e poco coerente. Dal punto di vista chimico, la Tab. 2.9,
riportata da Penta e Cindio230, evidenzia alcuni risultati delle analisi chimiche condotte
sul materiale grezzo. Penta e De Cindio hanno esaminato entrambe le varietà. Quella
scura non è omogenea: presenta un colore variabile dal bianco al verde bluastro ed è
disseminata di masserelle brunastre che risultano più pesanti della massa principale e,
a differenza di quest’ultima (che fonde a 1300°C), sono infusibili.
Dall’esame al microscopio, eseguito su granuli, su sezioni sottili e lucide, Penta
e Cindio231 hanno identificato 4 parti distinte:
a)
b)
c)
d)
una massa fondamentale;
un minerale fortemente pleocroico;
prismi incolori diffusi nella massa;
minuscoli cubetti di pirite.
228. G. De Cristo, Minerali utili della Calabria, Quaderno I°, Cittanova.
229. B.M. Tedeschi, Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato, (a cura di F. Girelli) Napoli 1860.
230. F. Penta, A. De Cindio, Studio della cosiddetta steatite di Serra S. Bruno (prov. di Catanzaro), « Periodico
di Mineralogia », 1941, 12, 1–30.
231. Ibidem.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
95
Tabella 2.10. Analisi chimica della varietà bianca senza quarzo di Serra S. Bruno.
Campione bianco levigato (frazione rimasta in sospensione per qualche ora)
Campione bianco grezzo
SiO2
Al2O3
Fe2O3
FeO
MgO
CaO
H2O–
H2O+
TiO2
ZrO2
K2O
Na2O
I
II
I
II
...............
...............
...............
...............
...............
...............
...............
...............
...............
...............
...............
...............
39,47
34,64
0,12
0,58
10,55
1,26
1,27
7,47
tr.
tr.
3,81
0,86
36,06
37,16
0,24
0,75
8,98
1,77
1,30
8,60
tr.
tr.
3,94
1,19
39,02
38,37
0,11
0,40
8,96
1,44
1,00
7,82
0,31
0,18
2,22
0,26
37,68
35,41
0,34
0,76
13,65
0,60
0,90
8,51
0,28
0,20
1,33
0,44
Somme . . . . . . . .
100,30
99,99
100,09
100,10
La massa fondamentale mostra un costituente verde, che si è rilevato essere
muscovite, ed uno incolore, identificato come una varietà di clorite (leuchtenbergite). Il minerale pleocroico, che in luce riflessa si presenta di colore grigio e
fortemente anisotropo, è stato determinato come rutilo. I prismi incolori, come
confermato dall’esame ottico, dalle prove chimiche e dal riscaldamento, corrispondono a zirconi. La varietà bianca è identica per composizione alla varietà scura
(Tab. 2.10) ma si presenta come una massa incoerente, priva di quarzo, in cui sono
individuabili alcuni frammenti più resistenti e tenaci. In questi ultimi predomina
il quarzo, i cui granuli più grossi sono disseminati di muscovite e clorite. Nel
quarzo sono anche racchiusi cristalli di rutilo e zircone.
La differenza di colore sarebbe legata, secondo Penta e Cindio232 , a processi
di alterazione superficiale. Sulla base dei rapporti genetici e strutturali il
minerale sarebbe il prodotto di una mineralizzazione pneumatolitica o d’alta
termalità233 .
2. Parghelia (UTM 33SWC 807822, Foglio 245 I NE Tropea bis). Località situata
a circa 70 metri d’altezza s.l.m. alla base dell’altopiano del Poro, in provincia di
Vibo Valentia, tra i comuni di Parghelia, Tropea e Zambrone. È nota per aver
fornito la materia prima per la fabbricazione delle note porcellane Ginori.
In particolare su richiesta del re Umberto I nel 1880 è stato prodotto un servizio, oggi conservato a Roma nel Palazzo del Quirinale, decorato pâte sur pâte e
raffigurante tralci di piante con fiori e frutta in oro, platino e colori234 .
232. Ibidem.
233. Ibidem.
234. M. Pileggi, I preziosi materiali adoperati per i servizi reali di porcellana, Articolo pubblicato su “Il
Quotidiano della Calabria”, sabato 20 maggio 2006.
96
Mineralizzazioni in Calabria
Pileggi235 riferisce che l’ing. Emilio Cortese, capo del Corpo Reale delle miniere
d’Italia, a proposito del giacimento di Parghelia scrive:
Nei dintorni di Parghelia, in provincia di Catanzaro, si sviluppano dei grossi filoni di pegmatite,
che furono e sono oggetto di una grande industria. La località fu visitata dallo scrivente fin dal
1882, la prima volta, e successivamente egli se ne occupò perché gli pareva assai interessante
il materiale nelle sue applicazioni per l’arte vetraria e per la ceramica. Ma pare che questa
preziosa materia sia destinata a cader sempre sotto la mano di gente che, o per ignavia, o per
cattiva fortuna, non sa trarne tutto il profitto che può dare.
Riguardo alla potenzialità economica del giacimento, Cortese afferma che:
È materia straordinariamente pura, specialmente perché scevra di ferro, ed adattissima
per le vernici dure di cui la manifattura Ginori fa una sua pregevole specialità.
In riferimento al trasporto Cortese afferma:
La materia pura è portata a Tropea ed imbarcata su grosse barche a vela. Viene acquistata
quasi tutta dal Ginori di Firenze, dopo accurata macinazione. Questa si eseguisce in
Toscana per conto di un intercettatore. Ne vidi, con grande meraviglia, macinare ad un
mulino di Val Castello sopra Pietrasanta! Sono filoni entro la grande massa granitica di
Monte Poro, e si chiamano pegmatiti per antonomasia, perché realmente si dovrebbero
chiamare silici o filoni quarzosi, essendo che di essi ben pochi contengono feldespato.
Lo stesso Cortese riferisce anche dei costi della materia:
La materia prima si vende a Troppa al prezzo minimo di 2 lire, al massimo di tre lire al
quintale, ma costa al conduttore delle cave da 0, 70 a 4 lire al quintale. Il trasporto e la
macinazione fanno aumentare il prezzo a 6 lire (?) il quintale; è così, mi si disse, che viene
a costare allo stabilimento Ginori, o Doccia presso Firenze.
Nella descrizione del capo del Corpo Reale delle miniere d’Italia si fa anche
riferimento ai fallimenti delle iniziative d’insediamento industriale:
nel 1891, la Società mineraria per il quarzi e silici d’Italia pareva potesse dare qui, come in
altre parti della penisola, largo sviluppo alla produzione e utilizzazione di questi materiali.
Travolta anch’essa ai primi del 1893, da una catastrofe bancaria che ha trascinato con sé
molte altre cose, i suoi lavori, poco ben piantati, sono rimasti senza frutto.236
3. Serra S. Bruno (Foglio 246 I SE Serra S. Bruno). L’areale di Serra S. Bruno, il
cui centro abitato ha coordinate UTM 33SXC 160710, comprende varie manifestazioni metallifere. Le mineralizzazioni a molibdeno ricadrebbero tutte all’interno
235. Ibidem.
236. M. Pileggi, I preziosi materiali adoperati per i servizi reali di porcellana, Articolo pubblicato su “Il
Quotidiano della Calabria”, sabato 20 maggio 2006.
ii. Le mineralizzazioni e la loro distribuzione sul territorio
97
di un’areale a nord nord–ovest di Stilo, ospitate sia in litotipi granitici (Cantiere
Giogli e C. da Argentera, vedi Provincia di Reggio Calabria) sia in litotipi microgranodioritici (Bagni di Guida vedi Provincia di Reggio Calaria)237 . La maggior
parte delle mineralizzazioni della Calabria sono dovute al magmatismo intrusivo
tardo Ercinico, i cui prodotti sono ben visibili nelle Unità di Monte Gariglione
e di Stilo. Tali depositi appaiono concentrati alla sommità dei batoliti, i quali
rappresentano il prodotto di intrusioni polifasiche, caratterizzate da due distinti
cicli: uno dato da granodioriti ed un altro da microgranodioriti238 . In entrambe le
formazioni sono stati riscontrati filoni di quarzo mineralizzati a molibdeno.
237. B. Baldanza, M. Triscari, Sulle mineralizzazioni a molibdeno della Calabria (nota preliminare),
« Rendic. Soc. It. Min. Petr. », 1978, 35, 455–456. M. Triscari, L. Santo, F. Stagno, Mineralogy, chemistry and spectral data of molibdenite from the Bivongi area, (Eastern “Serre”, Calabria, Southern Italy), in Atti
Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe I di Scienze « Fis. Mat. E Nat. Vol. », 1990, LXVIII.
238. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982, 101, 141–155. G.M. Crisci,
L. Leoni, R. Mazzuoli, M. Morresi, A. Pagliacono, Petrological and geochemical data on two intrusive stocks
of the “Serre” (Calabria, southern Italy), « N. Jb. Miner. Abh. », 1980, 138, 274–291.
Capitolo III
Le mineralizzazioni in Calabria
APAT (Agenzia per la protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici)1 riporta i
dati del Censimento dei Siti Minerari Abbandonati dal 1870 al 2006 Fig. 3.1, pubblicati
dal Ministero dell’Ambiente. In Calabria i minerali presenti nei 60 siti minerari
individuati (29 miniere a cielo aperto e 31 in sotterraneo) sono: Zolfo, Feldspati,
Caolino, Mica, Marna da cemento, Minerali del Manganese, Salgemma, Lignite, Lignite xiloide, Pirite, Silicati idrati di alluminio, Barite (Baritina), Fosforite,
Limonite, Quarzo, Molibdenite, Grafite, Arsenopirite, Cinabro.
La Fig. 3.2, che descrive l’evoluzione temporale nella coltivazione dei principali
minerali della regione, mostra come l’attività mineraria nel primo quarto del
secolo scorso sia stata sostenuta principalmente dai siti di coltivazione dello Zolfo,
gran parte dei quali aperti per diritto di proprietà e non concessionati dopo il 1927;
la ripresa successiva al 1930 è stata, invece, alimentata dalla coltivazione di minerali
metalliferi (in particolare del Manganese) e della Marna da cemento, oltreché dal
mantenimento dell’attività in un certo numero di miniere di Zolfo2 .
In particolare la provincia di Cosenza è nota per i depositi di salgemma, carbon
fossile e uranio, nonché per i minerali contenenti oro, piombo, zinco e rame3 .
Interessanti anche le miniere d’argento di Longobucco e S. Donato4 .
Nel territorio di Catanzaro è diffuso lo zolfo5 ; in quello di Crotone il salgemma;
in quello di Vibo Valentia i feldspati.
Il territorio reggino è noto per il ferro e per i minerali di molibdeno; quest’ultimo è abbondante nei comuni di Bivongi e Pazzano. Nella zona di Stilo–Bivongi–
Mammola e sull’Aspromonte sono stati anche individuati tormalina, arsenico e
uranio6 .
1. APAT, Censimento dei Siti Minerari Abbandonati dal 1870 al 2006, Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio, 2006, p. 82.
2. Ivi, p. 85.
3. D. Cortese, G. Domestico, Lungro città del sale – la Salina e i Salinari, TNT grafica, 2010, pp. 155.
F. Burragato, Contributo alla conoscenza dei minerali uraniferi della Calabria, « Period. Miner. », 1966, 35,
387–402. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, Le mineralizzazioni nel basamento
cristallino dell’Aspromonte (Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1980, 99, 289–302.
4. G. Pipino, L’arte mineraria e l’oro della Calabria nelle “variae” di Cassiodoro Senatore (Sec. VI),
« L’industria Mineraria », 1983, 1, 33–38, in G. Pipino, Oro, Miniere, Storia Miscellanea di giacimentologia
e storia mineraria italiana, 2003, p. 59.
5. A. Scicli, I giacimenti solfiferi della Calabria, Cappelli Ed., Bologna 1955.
6. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
99
100
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 3.1. Andamento temporale della presenza di siti minerari nella regione (da APAT 2006).
Figura 3.2. Evoluzione temporale nella coltivazione dei principali minerali della Regione (da
APAT 2006).
iii. Le mineralizzazioni in Calabria
101
Secondo De Vivo et al.7 le mineralizzazioni del basamento cristallino dell’Aspromonte, si trovano nella Catena Ercinica, intrusa da magmatiti di vario tipo: graniti
e granodioriti, apliti–pegmatiti, filoni idrotermali ed afanitico–microporfirici. Scarse sono le mineralizzazioni legate alla massa granitica di Delianuova, mentre più
numerose sono quelle legate alle masse granitiche di Villa San Giovanni e Cittanova8.
L’origine delle mineralizzazioni può essere sedimentaria–metamorfica o magmatica. La magnetite9 , che deriva probabilmente da concentrazioni di ferro di
origine sedimentaria ed è ospitata negli gneiss “kinzigitici”, è di origine metamorfica10 . Secondo Vighi11 il minerale si sarebbe formato contemporaneamente alle
catametamorfiti. Anche De Vivo et al.12 condividono l’ipotesi di un metamorfismo
da sedimenti ricchi di minerali di ferro.
Della stessa natura metamorfica sarebbe anche la pirite, diffusa in sottili vene nei
micascisti dell’Unità di Mandatoriccio, e l’ilmenite nelle filladi di Pentadattilo. Le
indagini della SOMIREN s.p.a, inoltre, hanno evidenziato un « fondo » radiometrico
elevato per gli gneiss occhiadini affioranti a Capo S. Giovanni, Bova e Palizzi13.
Tra le principali manifestazioni, legate principalmente alle masse granitiche di
Villa San Giovanni e Cittanova e in misura minore alla massa di Delianuova, si
annoverano:
a) mineralizzazioni a pirrotina, pirite e solfuri misti situate al tetto dei maggiori corpi granitici;
b) mineralizzazioni a fluorite e barite in filoni intrusi, in profondità, nei corpi
granitici principali;
c) mineralizzazioni (tardive) a pirite e solfuri misti legati a filoni idrotermali
essenzialmente quarzosi.
Nella massa granitica di Delianuova sono state segnalate anche altre mineralizzazioni14.
Masse pegmatitiche con anomalie radiometriche sono state segnalate dalla
SOMIREN s.p. a. in alcune località della tavoletta Delianuova e a sud di Montalto15 .
Le principali mineralizzazioni legate alla massa granitica di Cittanova sono
invece a fluorite e barite16 .
7. Ibidem.
8. Ibidem.
9. L. Vighi, Sulle mineralizzazioni a solfuri misti e sulla magnetite in comune di S. Roberto d’Aspromonte (Reggio
Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1951a, 70, 624–631. L. Vighi, Su alcune aree calabresi segnalate quali sedi di
manifestazioni metallifere, « Ind. Minerar. », 1951b, 2, VIII, 297–303.
10. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
11. L. Vighi, op. cit., 1951a, 70, 624–631. L. Vighi, op. cit., 1951b, 297–303.
12. Ibidem.
13. Ibidem.
14. Ibidem.
15. Ibidem.
16. B. De Vivo, A. Lima, D. Cicchella, S. Albanese, Atlante geochimico–ambientale della Regione
Campania, De Frede Editor, Napoli 2003.
102
Mineralizzazioni in Calabria
A 3 km a NW di Antonimina, è stato individuato un filone di fluorite di circa 1
metro di potenza (Dist. Min. Napoli).
Per quanto riguarda l’area a W e a N di Antonimina, filoni di barite intrusi
nelle metamorfiti17 sono stati rinvenuti in varie località.
Altre mineralizzazioni a solfuri sono legate alle masse minori della Valle del
Torbido e del Vallone Macariace18 .
Filoni di quarzo a solfuri misti di Fe, Cu, Pb, Zn di grande potenza (circa a 10 m)
con direzione E–W sono, inoltre, intrusi nei graniti dell’Aspromonte e nelle zone di
contatto19.
Anche Bonardi et al.20 prendono in esame le mineralizzazioni dell’Arco Calabro–
Peloritano, aggiungendo alle mineralizzazioni esaminate da De Vivo et al.21 quelle dei
Peloritani, e quelle presenti nelle unità appeniniche della Calabria settentrionale e
nella Catena Costiera Calabra, nonché quelle non metallifere dell’intero Arco.
Bonardi et al.22 individuano quattro tipi di mineralizzazioni: quelle Pre–Alpine
legate alle metamorfiti (stratabound e filoniane) e alle magmatiti, quelle Alpine e
quelle recenti (o attuali).
1) Le mineralizzazioni presenti nelle metamorfiti dell’Unità di Polia–Copanello, di
Bagni, di Stilo, dell’Aspromonte sono descritte da Bonardi et al.23 come stratabound.
Nell’Unità di Polia–Copanello sono rappresentate da sottili straterelli di grafite e
da solfuri misti. Nell’Unità di Bagni sono costituite da prevalente pirite e minore
galena disseminata in ganga quarzosa, in corpi lenticolari dentro le filladi. Qui sono
segnalate anche concentrazioni di grafite. Colonna e Zanettin Lorenzoni24 suggeriscono per la pirite un’origine sedimentaria e singenetica. Nell’Unità di Stilo sono
rappresentate, nell’area di Bivongi e Calatria, da lenti occasionali di pirite, calcopirite
e pirrotina disseminate in ganga quarzosa, entro le filladi, e da disseminazione di
pirite, calcopirite e pirrotina, all’interno di un corpo basico intercalato nelle filladi.
Nell’area di Mammola–Canolo–Antonimina (Foglio 246 II SO Gioiosa Ionica e Foglio
255 IV NE Antonimina) sono presenti mineralizzazioni (a lenti nei paragneiss) a pirite,
arsenopirite, sfalerite e galena con tracce di calcopirite, in ganga quarzosa. Nell’Unità
dell’Aspromonte sono presenti mineralizzazioni a pirrotina, con pirite, calcopirite,
17. Ministero Industria, Commercio E Artigianato, Corpo Statale Delle Miniere, Relazione sul Servizio
Minerario e Statistico dell’Industria Estrattiva in Italia negli anni 1956; 1957–1959.
18. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980.
19. Ibidem.
20. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155.
21. B. De Vivo, S. Lorenzoni, G. Orsi, E. Zanettin Lorenzoni, Inquadramento delle mineralizzazioni
metallifere e a grafite nelle unità tettoniche della Calabria, Primo contributo: la Sila e le Serre, « L’Ind. Miner. », 1978,
29, 108–120. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980, 289–302.
22. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155.
23. Ibidem
24. V. Colonna, E. Zanettin Lorenzoni, Gli scisti cristallini della Sila Piccola. II: I rapporti tra la formazione
delle filladi e la formazione delle pietre verdi nella zona di Gimigliano, « Mem. Soc. Geol. It. », 1972, XI, 261–292.
iii. Le mineralizzazioni in Calabria
103
sfalerite, galena e talvolta molibdenite, in ganga quarzosa. Le mineralizzazioni a solfuri dell’Unità di Bagni e a magnetite dell’Unità dell’Aspromonte presentano caratteri
singenetico–sedimentari particolarmente evidenti.
2) Le mineralizzazioni che si ritrovano nelle metamorfiti delle Unità di Polia–
Copanello, di Stilo e dell’Aspromonte sono, invece, descritte come filoniane25 .
Nell’Unità di Polia–Copanello sono stati segnalati filoni pegmatitici con quarzo,
feldspato e muscovite e, nell’area a SW di M. Paganella, una mineralizzazione a
zircone e monazite con abbondante torio. Nell’Unità di Stilo, le mineralizzazioni
sono rappresentate da filoni a ganga quarzosa con arsenopirite, pirite, e calcopirite.
Nell’Unità dell’Aspromonte sono presenti filoni pegmatitici con uraninite e fosfati
di uranio in rocce metamorfiche di medio–alto grado. Mineralizzazioni in filoni,
da pegmatitici ad idrotermali, a sfalerite, pirrotina, pirite e calcopirite si trovano
associati a grossi corpi di gneiss occhiadini. Filoni pegmatitici con tormalina sono
evidenti nei pressi di Monte Scorda.
3) Mineralizzazioni si ritrovano anche nelle magmatiti delle Unità di Longobucco, di Polia–Copanello, dell’Aspromonte e di Stilo26 . Queste sono di particolare
interesse poiché è stata ipotizzata la possibilità che si tratti di mineralizzazioni legate a un sistema tipo porphyrycopper–molybdenum ercinico, poi smembrato durante
la tettonica Alpina. Nell’Unità di Longobucco prevalgono mineralizzazioni a solfuri di Zn, Pb, Cu, Fe e As; subordinate quelle a molibdenite e fluorite. Il minerale
predominante è la sfalerite, scarsa la galena e minori pirite, calcopirite e fluorite,
al contatto tra graniti e filladi, esse testimoniano un ambiente di formazione più
superficiale rispetto a quello delle plutoniti dell’Unità di Stilo. Le mineralizzazioni
ricorrono in filoni, a ganga di calcite, quarzo e fluorite, con direzione prevalente
E–W. La maggior parte si trova dove i graniti del II ciclo intrudono le granodioriti
del I ciclo27 . Nell’Unità di Polia–Copanello sono presenti solo filoni pegmatitici a
quarzo–feldspato–muscovite, in particolare quelli quarzo–feldspato di Parghelia in
passato oggetto di coltivazione. Nell’Unità dell’Aspromonte sono presenti nell’area di Punta d’Atò manifestazioni a solfuri misti di Fe e Cu, sia nel granito che
negli gneiss. Nell’Unità di Stilo le mineralizzazioni, localizzate nelle plutoniti, sono
distinguibili in tre gruppi: il primo caratterizzato da molibdenite, in filoncelli all’interno di filoni di quarzo con direzione NE–SW o come riempimento di fratture,
e subordinata calcopirite; il secondo da barite e subordinata fluorite; il terzo dato
da filoni pegmatitici contenenti uranio, quarzo e feldspati. Le mineralizzazioni
pneumatolitico–ipotermali a molibdenite e pirrotina testimoniano un’origine più
profonda rispetto a quelle dell’Unità di Longobucco. Appartiene a questo gruppo
anche la mineralizzazione filoniana, all’interno dei graniti, di Molino Mastricarro
25. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155.
26. Ibidem.
27. Ibidem.
104
Mineralizzazioni in Calabria
nella Fiumarella di Catanzaro. Tale mineralizzazione è a barite con subordinata
fluorite, galena e calcopirite.
4) Mineralizzazioni Alpine (per lo più stratabound) sono segnalate da Bonardi
et al.28 nelle Unità Ofiolitiche, nell’Unità di S. Donato e nei sedimenti miocenici.
Nelle Unità Ofiolitiche (Gimigliano, Diamante–Terranova, Malvito, Frido), sono
presenti sparse mineralizzazioni a pirite e calcopirite. Nell’Unità di S. Donato (che
insieme a quella di Verbicaro rappresenta in Calabria la Catena Appenninica),
costituita a filladi intercalate da calcari e metabasiti, sono presenti mineralizzazioni
a barite, a solfuri misti (soprattutto galena) e cinabro. Quest’ultimo è presente in
lenti o vene entro le filladi. La genesi di queste mineralizzazioni è riconducibile a
un meccanismo singenetico–sedimentario, legato al vulcanismo medio–triassico,
probabile responsabile dell’apporto primario di metalli. Il metamorfismo avrebbe
poi determinato una rimobilizzazione e successiva rideposizione, in parte con
giacitura stratiforme. Diverse mineralizzazioni si ritrovano nei depositi tortoniano–messiniani della Calabria. Nei depositi del Tortoniano vanno ricordate le
mineralizzazioni torifere, date da placers fossili di ortite, della zona di Spilinga29 .
Sempre nell’area di Capo Vaticano, a Briatico si rinvengono ligniti intercalati
a sabbie e argille sabbiose. Boni e Rolandi30 citano una mineralizzazione manganesifera nel Messiniano della Catena Costiera Calabra. Importante anche la
formazione gessoso–solfifera, affiorante a Nord della stretta di Catanzaro, alla
quale appartengono i giacimenti di zolfo, alcuni dei quali sono stati coltivati nell’area di Strongoli–San Nicola dell’Alto–Carabona. La serie, oltre a zolfo contiene
salgemma e Sali di potassio31 . Importante anche il giacimento di salgemma di
Lungro, anch’esso oggetto di coltivazione in passato.
5) Mineralizzazioni recenti (di tipo alluvionale) sono, invece, considerate da
Bonardi et al.32 le mineralizzazioni radioattive:
a) del Fiume Marepotamo;
b) dell’area di Longobucco, che si rinvengono sotto forma di autunite e
torbenite in depositi lacustri delle seguenti località33 :
— Cozzo del Principe;
— Gallopane;
— Vallone del Cupone;
28. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155.
29. M. Mittempergher, Le risorse di torio in Italia, Notiziario CNEN, 1968, 3, 1–11.
30. M. Boni, G. Rolandi Mineralizzazioni manganesifere nel Messiniano del versante tirrenico della Catena
Costiera Calabra (Serra d’Aiello), « Rend. Acc. Sc. Fis e Mat. », 1975, 42.
31. A. Scicli, I giacimenti solfiferi della Calabria, Cappelli Ed., Bologna 1955.
32. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155.
33. Ibidem.
iii. Le mineralizzazioni in Calabria
105
c) di Vibo Valentia. Lungo le spiaggie intorno a Vibo Valentia, nell’area
compresa tra Monte Poro e la foce del Fiume Angitola, e nel bacino Marepotamo sono state ritrovate mineralizzazioni monazitiche sotto forma di
placers costieri e fluviali. Il minerale deriverebbe dalla degradazione delle
plutoniti e delle metamorfici affioranti.
Depositi sabbiosi contenenti minerali pesanti (zircone, magnetite, granato,
rutilo, ecc.) sono presenti lungo la foce del Crati, di S. Eufemia e di Soverato.
Cuteri34 cita tra le manifestazioni minerarie più note nell’antichità quelle di Stilo
e dell’Aspromonte. Una prospezione radiometrica condotta lungo le spiaggie
della Calabria35 ha, inoltre, rilevato la presenza di minerali pesanti e radioattivi.
La percentuale di questi ultimi è minima nel Golfo di S. Eufemia, assume valori
intermedi nella Calabria meridionale mentre raggiunge i valori più alti nelle zone
di Vibo Valentia, Spilinga (versante tirrenico) e a sud di Catanzaro (versante ionico). Nella zona di Vibo e Catanzaro, infatti, si hanno concentrazioni di magnetite,
ilmenite, granato, sillimanite e rutilo. Quest’ultimo è presente anche nella zona di
Palmi. Tra i minerali radioattivi sono stati individuati monazite, zircone e ortite. La
monazite sembra correlabile con granati, magnetite e ilmenite; lo zircone con
magnetite e d ilmenite; l’ortite con lo zircone. Nella zona di Paola, invece, Brondi
et al.36 non hanno accertato alcuna corrispondenza tra i valori di radioattività e la
concentrazione di minerali pesanti riscontrati poiché si tratta per lo più di minerali
comuni quali biotite, anfibolo, pirosseni, tormaline, ecc. La presenza di magnetite,
ilmenite, ortite e zircone è legata alle formazioni granitiche di Spilinga; quella
di granati, sillimanite e rutilo alle formazioni kinzingitiche; quella della monazite ad entrambe le formazioni. Anomalie di stagno sono state, invece, segnalate
nell’Unità di Castagna e nell’areale di Cicala, Carlopoli, Colle Ospedale (lungo il
Fiume Nero) nonché lungo il Fiume Corace, nei pressi di Conflenti, Scigliano,
Decollatura e a NO di Grimaldi37 . Secondo approfondimenti mineralogici ciò
troverebbe riscontro nella presenza della cassiterite. Cuteri38 , inoltre, fa notare
come lo stagno abbia avuto nel Medioevo una grande diffusione perché utilizzato
per la smaltatura di alcune produzioni ceramiche e sottolinea l’importanza del
minerale nella preparazione del bronzo. Lo stesso autore suggerisce, inoltre, di
effettuare ulteriori studi sulle prime esperienze metallurgiche.
34. F. Cuteri, Risorse minerarie ed attività metallurgica nella Sila Piccola meridionale e nella Pre–Sila del
versante Tirrenico. Prime osservazioni, in G. De Sensi Sestito, Tra l’Amato e il Savuto, 1999, Rubettino Editore.
35. A. Brondi, O. Ferretti, L. Masperoni, B. Anselmi, F. Benvegnù, Valutazione delle concentrazioni di
minerali pesanti nelle spiagge calabresi, « L’industria Mineraria », maggio 1971, 233–247.
36. Ibidem.
37. Programma RIC 1988, Relazione Conclusiva.
38. F. Cuteri, Risorse minerarie ed attività metallurgica nella Sila Piccola meridionale e nella Pre–Sila del
versante Tirrenico. Prime osservazioni, in G. De Sensi Sestito, Tra l’Amato e il Savuto, 1999 Rubettino Editore.
Capitolo IV
Inquadramento geologico
L’Arco Calabro–Peloritano (ACP) (Fig. 1) è una struttura arcuata che si estende dalla Calabria Settentrionale fino alla Sicilia nord–orientale creando una connessione
tra la Catena Appeninica NW–SE, la Catena Siciliana E–W e quella Maghrebide
Nord Africana1 . Esso è costituito da parecchie unità tettono–stratigrafiche di crosta continentale ed in misura minore di crosta oceanica, che si è messa in posto
durante il Terziario in seguito ad una successione di fasi tettoniche2 .
La “linea del Pollino” a nord3 e la “linea di Taormina”4 separano le varie unità
cristalline ad esso appartenenti dalle unità sedimentarie appenniniche e dai Monti
Nebrodi (costituiti essenzialmente da terreni flyscioidi).
1. L. Amodio Morelli, G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, F. Ippolito, V. Liguori, S.
Lorenzoni, A. Paglionico, V. Perrone, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni, A.
Zuppetta, L’Arco Calabro–Peloritano nell’orogene appenninico–maghrebide, « Mem. Soc. Geol. It. », 1976, 17, 1–
60. G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, V. Liguori, S. Lorenzoni, V. Perrone, A. Paglionico,
G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin–Lorenzoni, A. Zuppetta, L’Arco Calabro–Peloritano
nell’orogene Appenninico–Maghrebide. Guida all’escursione del 68° Congresso della SGI, Società Geologica Italiana,
36, Tip. Giannini, Napoli 1976a. G. Bonardi, G. Giunta, V. Liguori, V. Perrone, M. Russo, A. Zuppetta,
Schema geologico dei Monti Peloritani, « Boll. Soc. Geol. It. », 1976b, 95, 49–74.
2. L. Amodio Morelli, G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, F. Ippolito, V. Liguori, S.
Lorenzoni, A. Paglionico, V. Perrone, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni, A.
Zuppetta, op. cit., 1976, 1–60. G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, V. Liguori, S. Lorenzoni,
V. Perrone, A. Paglionico, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin–Lorenzoni, A. Zappetta,
op. cit., 36 pp. , Tip. Giannini, Napoli 1976a. G. Bonardi, G. Giunta, V. Liguori, V. Perrone, M. Russo, A.
Zuppetta, op. cit., 1976b, 49–74. G. Bonardi, G. Giunta, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, The Calabria–
Peloritani Arc – Field Trip Guidebook in, The Calabria–Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa
and Southern Europe”, 6th Field trip guidebook meeting IGCP Project n. 276, Messina 27 settembre–2
ottobre 1993. Newsletter, 6, 1–80. G. Bonardi, W. Cavazza, V. Perrone, S. Rossi, Calabria–Peloritani Terrane
and Northern Ionian Sea, in G.B. Vai, I.P. Martini (a cura di), Anatomy of an Orogen: The Apennines and
Adjacent Mediterranean Basins, 2001, 287–306, Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London.
A. Messina, S. Russo, F. Stagno, The crystalline basements of the Calabria–Peloritani Arc. in, The Calabria–
Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa and Southern Europe, 6th field meeting IGCP
Project n. 276, Messina 27 settembre–2 ottobre 1993. Newsletter, 1996, 6, 91–144.
3. V. Perrone, Une nouvelle hypothèse sur la position paléogéographique e l’évolution tectonique des Unités
de Verbicaro et de San Donato (région calabro–lucanienne ; Italie): implications sur la limite Alpes–Apennin en
Calabre. « Com. Ren. Acad. Sci. », Paris 1996, 322, 877–884.
4. P. Scandone, G. Giunta, V. Liguori, The connection between the Abulia and Sahara Continental Margins
in the Southern Apennines and in Sicily, « Mem. Soc. Geol. It. », 1974, suppl. II vol.13, 317–323. L. Amodio
Morelli, G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, F. Ippolito, V. Liguori, S. Lorenzoni, A.
Paglionico, V. Perrone, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni, A. Zuppetta,
L’Arco Calabro–Peloritano nell’orogene appenninico–maghrebide, « Mem. Soc. Geol. It. », 1976, 17, 1–60.
107
108
Mineralizzazioni in Calabria
Figura 4.1. Carta tettonica schematica dell’Arco Calabro–Peloritano (da Messina et al., 2004 op.
cit.). Legenda: 1) Depositi alluvionali e di spiaggia; vulcaniti dell’Etna (Olocene–Pleistocene), 2)
Depositi clastici ed evaporatici (Pliocene–Tortoniano Superiore), 3–5) Catena Appeninica: 3) Depositi clastici del Gruppo del Cilento (Tortoniano Inferiore–Langhiano), 4) Unità Carbonatiche
Esterne della Catena Appeninica (Serravalliano–Triassico Superiore), 5) Unità Oceaniche Lucane
(Burdigaliano–Giurassico Superiore), 6–9) Arco Calabro–Peloritano – Settore Settentrionale.
Unità di Crosta Continentale: 6) Unità di Verbicaro e di San Donato (Aquitaniano–Triassico Medio); 7) Formazione Paludi (Miocene Inferiore–Oligocene Superiore) e copertura sedimentaria
dell’Unità della Sila (Cretacico Inferiore–Triassico Superiore?); 8) Basamenti delle Unità della Sila
(Paleozoico e Pre–Paleozoico?), di Castagna (Paleozoico e Pre–Paleozoico?) e di Bagni (Paleozoico), Unità di Crosta Oceanica: 9) Unità di Diamante–Terranova, Monte Repentino–Gimigliano
e Malvito (Cretacico Inferiore–Giurassico Superiore), 10–12) Arco Calabro–Peloritano – Settore Meridionale. 10) Calcareniti di Floresta (Serravalliano–Langhiano), Complesso Antisicilide
(Paleogene–Cretacico Superiore) e Formazione di Stilo–Capo d’Orlando (Burdigaliano), Unità
di Crosta Continentale: 11) Copertura sedimentaria delle Unità di Stilo (Calabria–Aquitaniano–
Triassico Superiore?) e di Longi–Taormina (Sicilia–Aquitaniano–Triassico Superiore?); 12) Basamenti delle Unità di Stilo (Calabria–Paleozoico), dell’Aspromonte (Calabria e Sicilia–Paleozoico
e Pre–Paleozoico), Cardeto ed Africo (Calabria–Paleozoico), Mela, Piraino, Mandanici, Alì,
Fondachelli e Longi–Taormina (Sicilia–Paleozoico), 13) Unità della Catena Maghrebide (Miocene
Inferiore Medio–Giurassico), 14) Limite settentrionale dell’Arco Calabro–Peloritano (Linea del
Pollino), 15) Limite meridionale dell’Arco Calabro–Peloritano (Linea di Taormina).
iv. Inquadramento geologico
109
Sulla struttura, genesi ed evoluzione dell’ACP esiste una ricchissima letteratusi sintetizzano così le numerosissime interpretazioni:
ra5 ;
a) un fronte africano deformato e sovrascorso sul dominio appenninico,
legato alla placca europea;
b) un frammento di crosta continentale europea sovrascorso su elementi derivati da un dominio oceanico e con essi sul margine continentale Africano
in via di deformazione;
c) un frammento della catena eo–Alpina Europa–vergente, formata da elementi derivati da crosta oceanica (Tetide centrale) e da crosta continentale
africana, coinvolta nella costruzione della catena Appenninico–Magrebide
Africa–vergente.
Molti autori6 sono, inoltre, concordi nel definire l’Arco come una costruzione
tettonica Ercinica o come una porzione del basamento cristallino Africano, che
è stato colpito durante la tettogenesi Alpina da spinte più o meno importanti7
e non considerano tale Arco come un unico elemento cinematico di primo
ordine, ma distinguono in esso un Settore Settentrionale ed un Settore Meridionale,
interessati da una differente evoluzione tettonica Alpina e caratterizzati da una
diversa composizione8 .
5. G. Bonardi, G. Giunta, L’estremità nord–orientale della Sicilia nel quadro dell’evoluzione dell’Arco Calabro, in R.
Catalano, B. D’Argenio (a cura di) Guida alla geologia della Sicilia occidentale, « Guide Geol. Reg. Soc. Geol. It. »,
1982, 85–92.
6. H.W. Quitzow, Der Deckenbau des Kalabrischen Massivs und seiner Randgebiete. Abh. Ges. Wiss
Gottingen, « Mat. Phys. Kl., S. » 1935, 3, 63–179. A. Caire, L. Glangeaud, C. Grandjacquet, Les grand traits
structuraux et l’évolution du territorie calabro–sicilien (Italie méridionale), « Boll. Soc. Géol. France », 1960, s. 7,
2, 915–938. C. Grandjacquet, L. Glangeaud, R. Dubois, A. Caire, Hypothése sur la structure profonde de la
Calabre (Italie), 4, 131–147 « Rev. Géogr. Phys. Géol. Dyn. », 1961, Dubois R., La suture calabro–apenninique
crétacé–éocène et l’ouverture Tyrrhénienne néogène: étude pétrographique et structurale de la Calabre centrale,
Thèse Universitaire O. et M. Curie, 567 pp. , Paris 1976; S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, Note
illustrative della Carta Geologica della sila alla scala 1:200.000. « Mem. Sc. Geol. Padova », 1983, 36, 317–342. P.
Ferla, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, Geological constitution and evolution of the Calabro–Peloritan
Hercynian Range, « Rend. SIMP », 1983, 38, 951–962. P. Acquafredda, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni,
La sequenza paleozoica dell’Unità di Bocchigliero, « Rend. Soc. Geol. It. », 1988, 11, 5–22.
7. G. Bonardi, G. Giunta, L’estremità nord–orientale della Sicilia nel quadro dell’evoluzione dell’Arco
Calabro, in R. Catalano, B. D’Argenio (a cura di) Guida alla geologia della Sicilia occidentale « Guide Geol.
Reg. Soc. Geol. It. », 1982, 85–92.
8. G. Bonardi, G. Giunta, V. Perrone, M. Russo, A. Zuppetta, G. Ciampo, Osservazioni sull’evoluzione
dell’Arco Calabro–Peloritano nel Miocene Inferiore: la Formazione di Stilo–Capo d’Orlando, « Boll. Soc. Geol.
It. », 1980a, 99, 365–393. G. Bonardi, G. Cello, V. Perrone, L. Tortorici, E. Turco, A. Zuppetta, The
evolution of the northern sector of the Calabria–Peloritani Arc in a semiquantitative palinspatic restoration, « Boll.
Soc. Geol. It. », 1982b, 101, 259–274. G. Bonardi, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, A. Zuppetta, L’Unità
di Stilo nel settore meridionale dell’Arco Calabro–Peloritano, « Boll. Soc. Geol. It. », 1984a, 103, 279–309. G.
Bonardi, R. Compagnoni, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, A.M. De Francesco, A. Del Moro, J. Platt,
Sovraimpronta metamorfica Alpina nell’unità dell’Aspromonte (Settore meridionale dell’Arco Calabro–Peloritano):
Guida all’escursione del Gruppo Paleozoico 24–25, settembre 1990 Gambarie–Polsi (Calabria), « Boll.
Soc. Geol. It. », 1992, 111, 81–108. G. Bonardi, G. Giunta, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, op. cit.,
Messina 1996, Newsletter, 6, 1–80. G. Bonardi, G. Giunta, op. cit., « Guide Geol. Reg. Soc. Geol. It. »,
110
Mineralizzazioni in Calabria
Il limite tra i due settori attraversa il Massiccio delle Serre (Calabria Centrale),
lungo l’allineamento Soverato–Valle del Mesima. Nessuna Unità è comune ai
due settori, a parte il piccolo klippen (parte di una falda ricoprimento staccatasi e
sovrascorsa indipendentemente) dell’Unità di Stilo9 .
Il Settore settentrionale è rappresentato solo in Calabria ed include la Catena
Costiera, il Massiccio della Sila e le Serre Settentrionali. Esso comprende varie
Unità stratigrafico–strutturali10 : Unità di crosta oceanica, dette anche “Unità
ofiolitiche” (Unità di Diamante–Terranova, Unità di Monte Repentino–Gimigliano,
Unità di Malvito e Unità del Frido), Unità Appenniniche ofiolitiche e carbonatiche
(Unità di Verbicaro e Unità di S. Donato) ed Unità di crosta continentale (dal basso
verso l’alto):
a) Unità di Bagni;
b) Unità di Castagna;
c) Unità della Sila.
Il Settore Meridionale, strutturatesi tra l’Oligocene e l’Aquitaniano, si estende dalle Serre (Calabria) alla Linea Taormina–S. Agata di Militello (Sicilia)11 e
comprende il Massiccio delle Serre, il Massiccio dell’Aspromonte e la Catena dei
Peloritani. Esso è caratterizzato da unità tettono–stratigrafiche di crosta continentale12 ,
1982, 85–92; P. Scandone, Structure and evolution of the Calabrian Arc, « Earth Evolution Sciences », 1982, 3,
172–180. L. Tortorici, Lineamenti geologico–strutturali dell’Arco Calabro, « Rend SIMP », 1983, 38, 927–940; M.
Boccaletti, R. Nicolich, L. Tortorici, The Calabrian Arc and the Ionian Sea in the dynamic evolution of the
Central Mediterranean, « Marine Geology », 1984, 55, 219–245. J. Dercourt, L.P. Zonenshain, L.E. Ricou,
V.G. Kazmin, X. Le Pichon, A.L. Knipper, C. Grandjacquet, O. Sorokthin, J. Geyssant, C. Lepvrier, I.V.
Sborshschikov, J. Boulin, B. Biju–Duval, J.C. Sibuet, L.A. Savostin, M. Westphal, J.P. Laver, Présentation
de 9 cartes paléogéographiques au 1/20.000.000 s’étendant de l’Atlantique au Pamir pour la période du Lias à
l’Actuel, « Bull. Soc. Géol. France », 1985, sèr. 8, 1, 637–652.
9. G. Bonardi, G. Giunta, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, The Calabria–Peloritani Arc – Field Trip
Guidebook, in The Calabria–Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa and Southern Europe, 6th Field
trip guidebook meeting IGCP Project, 1996, n. 276, Messina, 27 settembre–2 ottobre 1993. Newsletter, 6, 1–80.
10. L. Amodio Morelli, G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, F. Ippolito, V. Liguori, S.
Lorenzoni, A. Paglionico, V. Perrone, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni,
A. Zuppetta, L’Arco Calabro–Peloritano nell’orogene appenninico–maghrebide, « Mem. Soc. Geol. It. », 1976, 17,
1–60. G. Bonardi, B. De Vivo, G. Giunta, A. Lima, V. Perrone, A. Zuppetta, Mineralizzazioni dell’Arco
Calabro–Peloritano. Ipotesi genetiche e quadro evolutivo, « Boll. Soc. Geol. It. », 1982a, 101, 141–155. G. Bonardi,
G. Giunta, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, The Calabria–Peloritani Arc – Field Trip Guidebook, in The
Calabria–Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa and Southern Europe, 6th Field trip guidebook
meeting IGCP Project n. 276, Messina 1996, 27 settembre–2 ottobre 1993. Newsletter, 6, 1–80.
11. G. Bonardi, G. Giunta, V. Perrone, M. Russo, A. Zuppetta, G. Ciampo, Osservazioni sull’evoluzione
dell’Arco Calabro–Peloritano nel Miocene Inferiore: la Formazione di Stilo–Capo d’Orlando. « Boll. Soc. Geol. It. »,
1980, 99, 365–393. G. Bonardi, R. Compagnoni, A. Del Moro, A. Messina, V. Perrone, Rb/Sr radiometric
dating of the Alpine metamorphic overprint in the Aspromonte Nappe (Calabrian–Peloritani Arc; Southern Italy):
comparison with other segments of the Western Mediterranean Belt, Evoluzione Geologica e Geodinamica
dell’appennino, Volume speciale in memoria del Prof. G. Pialli. Foligno 16–18 febbraio 2000, 38–40.
12. H.W. Quitzow, Der Deckenbau des Kalabrischen Massivs und seiner Randgebiete, « Abh. Ges. Wiss
Gottingen, Mat. Phys. Kl. S. », 1935, 3, 63–179. L. Ogniben, Nota illustrativa dello schema geologico della Sicilia
nord–orientale, « Riv. Min. Sic. », 1960, 11, 183–212.
iv. Inquadramento geologico
111
costituite da terreni cristallini Pre–Alpini (Paleozoici) e da resti dell’originaria
copertura Meso–Cenozoica13 .
Bonardi et al.14 , nel Settore Meridionale, riconoscono varie unità tettoniche
costituite da rocce la cui genesi è caratterizzata da differenti condizioni di pressione
e temperatura (P e T), che dall’alto verso il basso sono:
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Unità di Stilo (Calabria);
Unità dell’Aspromonte (Calabria e Sicilia);
Unità di Mandanici (Sicilia);
Unità di Alì (Sicilia);
Unità di Fondachelli (Sicilia);
Unità di Longi–Taormina (Sicilia).
In Calabria (nel Massiccio delle Serre e dell’Aspromonte) sono ampiamente rappresentate le unità tettono–stratigrafiche di più alto grado. Il Massiccio
dell’Aspromonte è compreso nell’Unità dell’Aspromonte, appartenente al Settore meridionale dell’Arco, mentre nel Massiccio delle Serre (eccetto nella parte
settentrionale) affiora solo l’Unità di Stilo.
Altre due unità affiorano in finestre tettoniche (aree in cui affiora il substrato
attraverso una discontinuità dei terreni sovrastanti) nell’Unità dell’Aspromonte: la
prima detta Unità di Cardeto, vicino Reggio Calabria, è rappresentata dalle filladi
dell’Unità di Mandanici che affiorano sotto l’Unità dell’Aspromonte; la seconda
detta Unità di Africo, vicino al paese di Africo, è rappresentata da filladi, metareniti
e metabasiti15 .
In Sicilia, più precisamente nella Sicilia nord–orientale, si estende la Catena
dei Peloritani nella quale manca l’Unità di Stilo, affiorante solo in Calabria. Tale
Catena, secondo dati recenti16 , oltre a comprendere le Unità dell’Aspromonte, di
13. L. Amodio Morelli, G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, F. Ippolito, V. Liguori, S.
Lorenzoni, A. Paglionico, V. Perrone, G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin Lorenzoni, A.
Zuppetta, L’Arco Calabro–Peloritano nell’orogene appenninico–maghrebide, « Mem. Soc. Geol. It. », 1976, 17, 1–
60. G. Bonardi, V. Colonna, D. Dietrich, G. Giunta, V. Liguori, S. Lorenzoni, V. Perrone, A. Paglionico,
G. Piccarreta, M. Russo, P. Scandone, E. Zanettin–Lorenzoni, A. Zappetta, L’Arco Calabro–Peloritano
nell’orogene Appenninico–Maghrebide, Guida all’escursione del 68° Congresso della SGI, Società Geologica Italiana,
36, Tip. Giannini, Napoli 1976a. G. Bonardi, G. Giunta, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, The Calabria–
Peloritani Arc – Field Trip Guidebook, in The Calabria–Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa and
Southern Europe, 6th Field trip guidebook meeting IGCP Project, 1996, n. 276, Messina, 27 settembre–2
ottobre 1993. Newsletter, 6, 1–80. G. Bonardi, W. Cavazza, V. Perrone, S. Rossi, Calabria–Peloritani Terrane
and Northern Ionian Sea, in G.B. Vai, I.P. Martini (a cura di), Anatomy of an Orogen: The Apennines and and
Adjacent Mediterranean Basins, 287–306. Kluwer Academic Publishers, Dordrecht/Boston/London 2001.
14. G. Bonardi, G. Giunta, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, The Calabria–Peloritani Arc – Field Trip
Guidebook, in The Calabria–Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa and Southern Europe, 6th
Field trip guidebook meeting IGCP Project n. 276, Messina 1996, 27 settembre–2 ottobre 1993. Newsletter,
6, 1–80.
15. Ibidem.
16. A. Messina, The Alpine Peloritani Building (Calabria – Peloritani Arc), in Atti del 79° Congresso della
Società Geologica Italiana, 1998a, vol. B, 565–568. A. Messina, Variscan Tectono–Metamorphic Evolution in
112
Mineralizzazioni in Calabria
Mandanici, di Alì, di Fondachelli e di Longi–Taormina, include anche l’Unità di
Piraino e l’Unità del Mela, interposte tra la sovrastante Unità dell’Aspromonte e
la sottostante Unità di Mandanici.
Di seguito si riporta una breve descrizione delle unità di crosta continentale
dei due settori.
4.1. Settore settentrionale
4.1.1. Calabria: Unità della Sila, Castagna e Bagni
Unità della Sila
L’Unità della Sila rappresenta la falda più elevata del settore settentrionale dell’Arco Calabro. È costituita da un basamento Varisico eterogeneo intruso da plutonici
tardo Varisiche e da una copertura sedimentaria Mesozoica. La porzione più
ampia dell’Unità affiora nel Massiccio della Sila da Santa Sofia d’Epiro–Rossano a
nord, a Sersale–Cropani a sud.
Questa porzione dell’Unità consiste di un basamento Varisico costituito da
tre complessi metamorfici di diverso grado: medio–alto (Complesso di Monte
Gariglione–Polia Copanello)17 , medio–basso (Mandatoriccio)18 e basso (Bocchigliero)19 ,
the crystalline basements of the Peloritani Mts. (Calabria–Peloritani Arc), in Atti del 79° Congresso della Società
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iv. Inquadramento geologico
113
e intruso da plutoniti tardovarisiche (batolite della Sila). In quest’area la sequenza
di Longobucco rappresenta la copertura sedimentaria mesozoica dell’Unità20 .
Quella parte dell’Unità della Sila che affiora nelle Serre settentrionali e nella
Catena Costiera comprende il complesso metamorfico di alto grado di Gariglione–
Polia Copanello intruso da stocks plutonici eterogenei.
Nel massiccio meridionale della Sila, in quello settentrionale delle Serre e nella
Catena Costiera l’Unità della Sila sovrasta l’Unità di Castagna21 .
Unità di Castagna
L’Unità di Castagna22 affiora dalle Serre Settentrionali a Fuscaldo, nella Catena
Costiera, geometricamente interposta tra la sovrastante Unità di Stilo e la sottostante Unità di Bagni. L’unità è priva di copertura Meso–Cenozoica e consiste
in un basamento Varisico da epi–a mesometamorfico, intruso da plutoniti tardo–
Varisiche, entrambi riequilibrate in età Alpina23 . L’Unità raggiunge la sua massima
estensione nel Massiccio della Sila e consiste di una sequenza pelitica–arenacea–
magmatica–carbonatica interessata da un metamorfismo pre–Alpino in facies da
scisti verdi ad anfibolitica.
20. M. Santantonio, T. Teale, Jurassic condensed sedimentation on Hercynian basement (Calabria, Italy),
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114
Mineralizzazioni in Calabria
Unità di Bagni
L’Unità di Bagni24 è costituita da un basamento Varisico di basso grado riequilibrato in epoca Alpina e da una sottile copertura Mesozoica. La copertura sedimentaria mostra un metamorfismo Alpino di grado molto basso. Il basamento è
caratterizzato da metamorfismo Varisico di bassa pressione in facies scisti verdi il
cui grado aumenta andando verso il basso nella sequenza (dalla zona a clorite a
quella ad almandino).
La porzione di grado più basso affiora nel Massiccio della Sila mentre quella
di grado superiore affiora nella Catena Costiera e nel Massiccio delle Serre.
La sovraimpronta Alpina si è sviluppata in due fasi metamorfiche, la prima in
condizioni di alta pressione e bassa temperatura e la seconda a pressioni più basse.
Nelle rocce di più alto grado ha determinato effetti da cataclastici a milonitici.
4.2. Settore meridionale
4.2.1. Calabria: Unità di Stilo, Aspromonte, Cardeto ed Africo
Unità di Stilo
L’Unità di Stilo25 è la più elevata dell’Arco Calabro–Peloritano ed è costituita da
un basamento metamorfico Paleozoico, intruso da plutoniti tardo–Varisiche, e
da una copertura sedimentaria Mesozoica. Nel settore settentrionale dell’Arco
l’Unità affiora come klippen lungo la linea Decollatura–Martirano–Conflenti
costituiti da plutoniti, minori metamorfiti e da copertura sedimentaria. Tale Unità
è ampiamente rappresentata nella parte meridionale del Massiccio delle Serre
dove affiora come corpo continuo da Satriano ad Antonimina raggiungendo uno
spessore di parecchie migliaia di metri.
A nord sovrasta il complesso metamorfico Gariglione–Polia–Copanello dell’Unità della Sila, ad ovest è limitata dalla Valle del Mesima, a sud la linea Antonimina–
Passo di Cancelo segna il contatto tettonico con la sovrastante Unità dell’Aspromonte.
Nel Massiccio dell’Aspromonte l’Unità ha uno spessore inferiore al kilometro
ed è ben preservata in un graben tra la fiumara Valanidi a quella dell’Amendolea
ed in un klippen a Staiti26 .
24. V. Colonna, A. Simone, Gli scisti del F. Savuto: un contributo alla conoscenza dell’Unità del F. Bagni
nella Calabria Centrale, « Boll. Soc. Geol. It. », 1978, 97, 699–709.
25. G. Bonardi, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, A. Zuppetta, L’Unità di Stilo nel settore meridionale
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Perrone, S. Russo, The Calabria–Peloritani Arc – Field Trip Guidebook, in The Calabria–Peloritani Arc and its
correlation with Northern Africa and Southern Europe, 6th Field trip guidebook meeting IGCP Project n. 276,
Messina, 27 settembre–2 ottobre 1993. Newsletter, 1996, 6, 1–80.
26. A. Messina, S. Russo, F. Stagno, The crystalline basements of the Calabria–Peloritani Arc, in The
iv. Inquadramento geologico
115
Il basamento ha uno spessore di parecchi ettometri ed è costituito da rocce in
facies scisti verdi della zona a clorite alla facies anfibolitica della zona sillimanite +
muscovite. Le plutoniti formano un batolite la cui composizione varia da dioriti a
monzograniti.
Nel Massiccio dell’Aspromonte l’Unità è rappresentata solo da metamorfiti, il cui
grado metamorfico decresce gradualmente verso l’alto27.
Unità dell’Aspromonte
L’Unità dell’Aspromonte28 rappresenta l’Unità tettonica più elevata del Settore Meridionale dell’Arco Calabro–Peloritano e si estende dal Massiccio dell’Aspromonte,
in Calabria, ai Monti Peloritani, in Sicilia.
In Calabria l’Unità dell’Aspromonte29 è geometricamente interposta tra la
sovrastante Unità di Stilo e le sottostanti Unità di Cardeto ed Africo, estendendosi
da Taureana–Antonimina, a nord, a Bova Marina a sud. La linea che va dal Passo
di Cancelo ad Antonimina delinea il contatto tettonico nord–orientale tra l’Unità
dell’Aspromonte e quella parte della sovrastante Unità di Stilo che affiora nel
Massiccio delle Serre, rappresentata da metamorfiti (filladi da basso a medio
grado) e plutoniti30 . La Fiumara Valanidi–Roccaforte del Greco segna, invece, il
contatto tettonico sud–occidentale con quella parte della sovrastante Unità di Stilo
che affiora nel Massiccio dell’Aspromonte e che consiste di rocce metamorfiche
da basso a medio grado31 .
Calabria–Peloritani Arc and its correlation with Northern Africa and Southern Europe, 6th field meeting
IGCP Project, 1996, n. 276, Messina 27 settembre–2 ottobre 1993. Newsletter, 6, 91–144.
27. G.M. Crisci, G. Donati, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, L’Unità superiore dell’Aspromonte. Studio geologico
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29. G. Bonardi, S. Gurrieri, A. Messina, V. Perrone, M. Russo, A. Zuppetta, Osservazioni geologiche
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30. G. Bonardi, R. Compagnoni, A. Messina, V. Perrone, Riequilibrazioni metamorfiche di probabile età
Alpina nell’unità dell’Aspromonte – Arco Calabro Peloritano, « Rend. Soc. It. Miner. Petr. », 1984b, 39, 613–628.
31. G.M. Crisci, G. Donati, A. Messina, V. Perrone, S. Russo, L’Unità superiore dell’Aspromonte. Studio
geologico e petrografico, « Rend. Soc. It. Miner. Petr. », 1983, 38, 989–1014.
116
Mineralizzazioni in Calabria
Unità di Cardeto
Nella Fiumara Sant’Agata vicino il paese di Cardeto, nella Calabria meridionale, sono
presenti rocce epimetamorfiche in una finestra tettonica dell’Unità dell’Aspromonte.
Sulla base della sua posizione tettonica e delle caratteristiche petrografiche queste
rocce sono state attribuite all’Unità di Mandanici affiorante nei Monti Peloritani32.
Tale Unità insieme a quella di Africo è geometricamente la più bassa nel massiccio
dell’Aspromonte. Il contatto tettonico con la sovrastante Unità dell’Aspromonte è
segnato da bande milonitiche di spessore metrico33. Il basamento è caratterizzato da
rocce in facies scisti verdi (filladi e micascisti).
Unità di Africo
Nell’area di Africo Vecchio–Caselnuovo, nella parte sud–orientale del massiccio dell’Aspromonte affiora in finestra tettonica l’Unità di Africo che rappresenta l’elemento
tettonico più basso del massiccio dell’Aspromonte. Il contatto con la sovrastante Unità
dell’Aspromonte è marcato da miloniti di spessore decametrico34. L’Unità consiste di
una sequenza di filladi e metareniti con subordinati metabasiti e metacarbonati.
Riguardo al settore meridionale della Calabria, De Vivo et al. (1980)35 , in accordo
con Lorenzoni e Zanettin Lorenzoni (1978, 1979)36 , Di Pierro et al. (1980)37 , Lorenzoni et al. (1980)38 ritengono che il basamento cristallino del Massiccio dell’Aspromonte sia formato da unità tettoniche e sia intruso da magmatiti tardo–erciniche
Le unità, dal basso verso l’alto, sono:
a)
b)
c)
d)
Unità di Pentidattilo (filladi, metareniti e metasiltiti);
Unità di Mandatoriccio (micascisti, gneiss, anfiboliti e marmi);
Unità di Capo San Giovanni (gneiss in prevalenza occhiadini);
Unità di Monte Lesti (micascisti e gneiss biotitico–sillimanitico).
32. G. Bonardi, A. Messina, V. Perrone, M. Russo, S. Russo, A. Zuppetta, La finestra tettonica di Cardeto
(Reggio Calabria), « Rend. Soc. Geol. It. », 1980b, 3, 3–4.
33. G. Bonardi, S. Gurrieri, A. Messina, V. Perrone, M. Russo, A. Zuppetta, Osservazioni geologiche e
petrografiche sull’Aspromonte, « Boll. Soc. Geol. It. », 1979, 98, 55–73.
34. Ibidem.
35. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, op. cit., 1980.
36. S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, Calabre et Péloritains. Orogenèses, magmatismes et mémtamorphismes en Calabre et dans les Péloritains, in Introduction à la Gèologie générale d’Italie, 26 Congr. Gèol. Inter.,
Parigi 1978, 1980. S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, Problemi di correlazione tettonica Sila–Aspromonte.
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37. M. Di Pierro, S. Lorenzoni, G. Orsi., E. Zanettin Lorenzoni, I Klippen dell’unità di stilo nell’Aspromonte. Considerazioni sui caratteri del metamorfismo ercinico nelle filladi dell’Unità di Stilo. « Boll. Soc. Geol.
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38. S. Lorenzoni, G. Orsi, E. Zanettin Lorenzoni, The Hercynian Range in southeastern Aspromonte
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iv. Inquadramento geologico
117
De Vivo et al. (1980)39 ipotizzano anche l’esistenza di altre due unità, la prima
delle quali, interposta tra Capo San Giovanni e l’Unità di Monte Lesti, comprenderebbe l’insieme filladico–micascistoso affiorante presso Montebello Jonico e San Lorenzo. La seconda, occuperebbe la posizione tettonica più elevata e sarebbe costituita da metamorfiti di alto grado del tipo kinzigiti (gneiss
biotitico–sillimanitico–granatifere e micascisti).
39. B. De Vivo, S. Lorenzoni, E. Zanettin Lorenzoni, G. Orsi, Le mineralizzazioni nel basamento
cristallino dell’Aspromonte (Calabria), « Boll. Soc. Geol. It. », 1980, 99, 289–302.
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www.elireggio.it Articoli pubblicati sulle pagine: http://www.elireggio.it/ gav/Mastricarro.
htm, 2007 e http://www.elireggio.it/gav/La%20Cala bria.htm.
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Compilato il 5 gennaio 2017, ore 15:26
con il sistema tipografico LATEX 2ε
Finito di stampare nel mese di gennaio del 2017
dalla tipografia «System Graphic S.r.l.»
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per conto della «Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale» di Canterano (RM)