hardcore pawn,fear of wealth tax,il miglior investimento
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hardcore pawn,fear of wealth tax,il miglior investimento
HARDCORE PAWN L’economia in senso lato può essere considerata come un insieme di dottrine tra loro in competizione che si occupano ognuno di descrivere ed analizzare l’utilizzo delle risorse presenti in un determinato ambiente in cui interagiscono più entità (persone, istituzioni, imprese) al fine di soddisfare necessità tanto di natura individuale che collettiva. Proprio per questa peculiarità, possiamo definire l’economia come una scienza con un elevato risvolto sociale, se non addirittura una scienza sociale de facto. Studiare l’economia significa studiare le persone, capire che cosa le spinge a fare determinate scelte di vita, quali bisogni primari e secondari desiderano soddisfare per primi, che cosa li spaventa e che cosa li attrae o li fa sognare. L’andamento dei mercati finanziari, al di là di occasionali momenti di irrazionalità, presuppone proprio questo assunto ovvero come il comportamento dei consumatori, tanto emotivo quanto convenzionale, rappresenti il principale driver della dinamica delle quotazioni degli strumenti finanziari. Il modo in cui spendiamo il denaro, per acquistare beni e servizi che riteniamo soddisfino determinate nostre esigenze, diventa quel generatore in grado di produrre tanto crescita economica sostenibile quanto il formarsi di bolle finanziarie, a seconda di come questa attività di consumo si manifesta e soprattutto su chi sono i soggetti che consumano in relazione alle proprie effettive disponibilità economiche. Per questo motivo chi desidera effettuare previsioni di medio termine sul fronte economico deve, in prima battuta, conoscere profondamente le persone, la composizione e dinamica demografica del tessuto sociale in cui è immerso, oltre alle aspettative di (presunto) benessere che hanno le varie classi sociali che compongono una specifica popolazione o una singola area macroeconomica. Questa attività di studio può essere tanto di matrice scientifica o teorica mediante la lettura di testi e manuali di portata accademica, sempre più spesso fumosi e sterili, quanto empirica ossia di approccio induttivo mediante anche la semplice osservazione visiva. La crisi dei mutui subprime di otto anni fa rientrava proprio in questa seconda casistica: mentre docenti universitari e fanfaroni della politica si nascondevano dietro a statistiche artefatte sostenendo che l’economia statunitense era sana e sostenibile, altri interlocutori con un approccio più empirico (analisti, gestori di patrimoni, broker) ammonivano del crash finanziario che stava dietro l’angolo, semplicemente osservando e contemplando la loro realtà circostante. Sempre rispetto all’approccio accademico ortodosso, oggi possiamo contare su dozzine e dozzine di contenitori di informazione induttiva non convenzionale come ad esempio alcuni reality e talk show che aiutano a decifrare e categorizzare la composizione demografica della società in cui siamo immersi. La televisione americana (quella in chiaro) da questo punto di vista è una miniera a cielo aperto con costi di accesso pari a zero. Tra le tante trasmissioni televisive, che sono categorizzate come trash tv, ossia televisione spazzatura, ve ne sono alcune che a mio avviso dovrebbero essere seguite e studiate da tutti gli aspiranti analisti economici e futuri economisti contro corrente. Quella che seguo con maggior interesse ed anche divertimento è Hardcore Pawn che va in onda su TruTV nella televisione statunitense, ricevibile via satellite, oppure visibile nella versione con traduzione italiana sul canale DMAX. Una ulteriore alternativa è anche il canale digitale spagnolo MEGA che ovviamente trasmette ogni puntata in lingua spagnola. Sostanzialmente si tratta di un reality show girato all’interno della più grande casa di pegno di Detroit (ed anche del mondo) denominata American Jewelry and Loan: la versione italiana è stato ridenominata scherzosamente il Banco dei Pugni. Questa trasmissione televisiva a mio avviso è molto istruttiva proprio sul piano socioeconomico per chi studia economia. Infatti consente di conoscere una realtà che si trova a numerose migliaia di chilometri dal nostro Paese, una realtà che purtroppo ci troveremo a vedere e vivere entro massimo dieci anni proprio come se fossimo negli Stati Uniti. Proprio come hanno proliferato in Italia le lavanderie a gettoni in questi ultimi anni (di piena importazione statunitense), allo stesso modo entro il medesimo spazio di tempo vedremo nelle città italiane anche i pawn shop, i quali sono tipologie di attività commerciali regolamentate che ancora da noi non esistono ed in alcun modo possono essere confuse con i monti di pietà che invece rimangono istituzioni finanziarie a tutti gli effetti. Con il programma Hardcore Pawn potete comprendere l’effettiva consistenza della società americana e la sua deriva sociale di cui oggi la low class people (la bassa borghesia) rappresenta il principale attore e motore dei servizi di pegno. Chi si rivolge al pawn shop solitamente è per la maggiore un afroamericano, un ispanico e qualche volta un asiatico: in buona sostanza le maggioranze etniche che oggi costituiscono più del 60% della popolazione americana. Le scene tratte dalla trasmissione in parte sono patetiche in parte sono molto esaustive: potete vedere di tutto, da chi porta il vecchio televisore a tubo catodico e pretende 100 dollari di premio (generalmente è sempre un afroamericano) fino a chi offre in pegno gioielli di varia natura (di solito ispanici) sostenendo con la solita frase di rito che li ha ereditati dalla nonna o dalla zia. Il programma televisivo mostra spesso anche momenti di tensione e contestazione tra i proprietari e la clientela in merito al riscatto del bene precedentemente dato in pegno o alla sua quantificazione economica in caso di cessione in pegno. Le puntate più avvincenti che ricordo sono quelle che hanno ripreso qualche afroamericano che si è presentato in negozio con un presunto avvocato (solitamente dalle sembianze asiatiche o ispaniche) avanzando farlocche richieste di risarcimento, fantasiose restituzioni della merce o addirittura minacciando a livello fisico i proprietari del pawn shop qualora non restituissero immediatamente quanto in precedenza consegnato in pegno. Il negozio ovviamente è presidiato all’interno da vigilantes e guardiani degni della stazza di Lennox Lewis che intervengono prontamente quando il clima diventa incandescente e si rischia la rissa tra titolari e clientela. Questo tipo di esercizio commerciale, il pawn shop, al pari della lavanderia a gettoni, è rappresentativo di un significativo deterioramento ed impoverimento sociale: leggetevi questo mio precedente redazionale per capire che cosa è accaduto a Detroit negli ultimi vent’anni. L’America anticipa sempre tutti i paesi ad economia avanzata, con una tempistica di circa due decenni. Si tratta di aspettare ed il tutto lo vivremo anche noi italiani, a dimostrazione di un continuo ed inesorabile processo di impoverimento sociale che sarà intensificato ed accelerato anche in conseguenza dell’invasione immigratoria pianificata che si protrarrà ancora per diversi anni. FEAR OF WEALTH TAX Tradotto in italiano il titolo significa letteralmente paura della patrimoniale. Andiamo per gradi: in queste ultime settimane è aumentato esponenzialmente il numero di richieste via email per conoscere lo stato di salute della propria banca o per comprendere dove e come reperire informazioni riguardanti la loro situazione patrimoniale. Anche se il tutto si manifesta con un ritardo di oltre sei mesi se rapportato alla entrata in vigore della BRRD (Banking Recovery & Resolution Directive) possiamo in ogni caso comprendere il comportamento ed atteggiamento dei lettori che oggi vivono più che mai in piena isteria e sconforto le scelte di allocazione bancaria per le loro disponibilità. Ne abbiamo avuto modo di parlare anche in altre occasioni, fino a sei mesi chi è del settore era perfettamente a conoscenza dello stato di salute dell’industria bancaria italiana. Per dirla senza girarci intorno, in eurozona dopo le banche greche ci sono quelle italiane in qualità di grandi operatori istituzionali in profonda e sempre più preoccupante sofferenza. Sostanzialmente solo in questi ultimi sei mesi le comunità finanziarie si sono rese conto dei rischi che corrono la maggior parte delle grandi banche italiane e soprattutto anche i loro azionisti che dal primo gennaio di quest’anno sono in trincea aspettando il segnale per la ritirata. Oggi quella voce contabile, le sofferenze bancarie, che rappresenta il bubbone finanziario a cui non si è ancora dato una risposta efficace e credibile da parte sia degli organi di governo e sia dalle stesse banche, viene stimata oltre i 350 miliardi di euro in termini lordi. Ricordo che ad inizio 2009, post fallimento Lehman Brothers, tale posta ammontava a meno di 100 miliardi, lentamente in più di cinque anni è più che triplicata. Stando alle svalutazioni su crediti che hanno apportato i vari gruppi bancari in questi ultimi 18 mesi l’importo scenderebbe in termini netti a poco meno di 100 miliardi. Quindi significa che l’industria bancaria italiana è esposta quantitativamente con la stessa gravosità del 2009. Le svalutazioni di queste poste contabili, lo ricordiamo per chi non è del mestiere, impattano direttamente sui conti economici e patrimoniali degli istituti di credito producendo inesorabilmente perdite su perdite. La gestione caratteristica della banca (quindi l’attività ordinaria tradizionale) magari è in grado di produrre un risultato economico più che positivo, soprattutto a fronte di nuovi piani industriali di rilancio e risanamento, il quale tuttavia viene interamente o parzialmente eroso (a seconda dell’istituto) una volta che vengono aggiunte anche le svalutazioni di questi crediti, che rappresentano componenti di reddito negativo. Oltre alle banche tradizionali abbiamo adesso anche il circuito del credito cooperativo, il quale incorpora di default gran parte delle anomalie e criticità che si sono viste su due grandi banche nazionali non quotate ossia Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Nel corso di quest’anno sarà quasi inevitabile assistere ad altri episodi similari. Proprio su questo fronte si aprono le possibili ipotesi di scenario: che tipo di ulteriori rischi possono attendere gli azionisti, nonostante le pesanti correzioni delle quotazioni di questi ultimi mesi ed a fronte dei primi episodi di bail-in già sperimentato. Partiamo da questo assunto: quei 100 miliardi di cui sopra in qualche modo si dovranno ridimensionare se non addirittura dimezzare ed anche piuttosto velocemente, pena l’incapacità di riprendersi per sempre del sistema bancario italiano. La soluzione che ora esiste, il bail-in appunto, non può diventare la cura e terapia standard a pioggia in quanto questo diventerebbe deleterio per l’intera economia nazionale. Nessuno sottoscriverebbe più aumenti di capitale di banche e soprattutto si creerebbero le condizioni per un sell-off generale (già in corso) ma di portata e dimensione ben maggiore che comprometterebbe ulteriormente la solidità patrimoniale, ancorata anche al valore ed alle quotazioni degli strumenti di capitale di rischio. Lo ricordo ancora, in Veneto è andato in fumo circa il 10% del PIL della regione in risparmi polverizzati costituenti il valore delle vecchie azioni oggi sostanzialmente polverizzati. Inoltre la percezione di debolezza e vulnerabilità delle banche italiane anche e soprattutto da parte dei loro stessi clienti (i correntisti) sta producendo una significativa contrazione della raccolta diretta per le banche più a rischio e più esposte alla denigrazione sul piano mediatico e giornalistico. Non mi auguro che accada, tuttavia l’ipotesi di una patrimoniale sui contribuenti volta a generare 50/60 miliardi di euro necessari per la costituzione di un veicolo istituzionali di garanzia (molto più che una semplice bad bank) potrebbe rappresentare la soluzione più efficace ed efficiente in ottica di medio periodo con la finalità di stabilizzare le quotazioni, confortare i mercati e soprattutto tranquillizzare la clientela. Significherebbe in sintesi mettere mano al portafoglio della fiscalità diffusa, imponendo ai contribuenti un prelievo coatto proprio su tutti i loro depositi bancari che ad oggi sono stimati essere oltre i 1600 miliardi di euro (1.6 trilioni). Quindi si potrebbe gestire il tutto con una patrimoniale una tantum (tuttavia con effetto retroattivo al 31.03.2016) con un’aliquota di prelievo coatto al 3 % (tre per cento) senza franchigia alcuna e per tutti e soli i conti retail (conti di persone fisiche). In questo modo potremmo recuperare subito almeno 50 miliardi di euro da impiegare per la costituzione del nuovo fondo tampona sofferenze. Si dovrebbe solo dialogare con le autorità sovranazionali europee al fine di chiedere una sospensione temporanea della BRRD (bail-in) per 12/18 mesi con lo scopo di stabilizzare tutte le banche italiane. In tal senso infatti il bail-in trova fondamento solo in caso di crisi bancarie isolate ossia un singolo caso bancario, ma qualora la patologia non sia specifica ma epidemica deve essere sostituito con una misura propedeutica e prodromica alla ricostituzione salutare dell’intero settore bancario. IL MIGLIOR INVESTIMENTO Quando mi capita di trovarmi all’interno di una conversazione riguardante tematiche di natura economica, ad esempio durante un conviviale, un meeting aziendale o una qualche celebrazione istituzionale, immancabilmente in questi ultimi mesi il contenuto del dialogo tra i vari partecipanti si spinge fino a preoccupazioni correlate alle pensioni ed alla spesa per l’assistenza sanitaria. In particolar modo su quest’ultimo argomento si sprecano i commenti a sfondo negativo sulle modalità in cui si espleta il servizio di assistenza da parte delle varie istituzioni preposte in Italia volte ad offrire e garantire la copertura sanitaria. Questo lo si percepisce soprattutto se i soggetti con i quali si sta conversando sono di età superiore ai sessantanni, per loro infatti tutto deve essere sistematicamente dovuto ed anche ben fruibile. La quasi totalità degli italiani non si rende conto che il nostro Paese rappresenta ancora una oasi paradisiaca in tal senso, nonostante i sempre più frequenti episodi di cronaca ospedaliera ad esito drammatico. Solo chi lavora o vive all’estero si rende conto che cosa significa andare a dormire la notte sapendo di avere una qualche copertura sanitaria (possibilmente integrale) per sé o la propria famiglia. Noi italiani ormai siamo stati abituati troppo bene da questo punto di vista, nel senso che tutto ci deve essere garantito, sempre e comunque, costi quel che costi. Proprio qui si apre un altro vaso di Pandora: i costi di assistenza sanitaria per come questa viene erogata e fruita dalla sua popolazione (nonostante le varie lamentele in stile italiano) sono insostenibili finanziariamente nel medio periodo considerando l’attuale fiscalità nazionale ed il costante deterioramento dell’economia nazionale a cui si deve associare un aumento progressivo della popolazione anziana (over 60) ed in conseguenza gli oneri relativi a diagnosi, terapie, degenze e cure. Diamo alcuni numeri per quantificare il fenomeno, nel 2015 la spesa sanitaria italiana si è attestata a 116 miliardi di euro, nuovo massimo storico, in progressione lineare continua da oltre dieci anni. Ad esempio nel 2000 si attestava a 67 miliardi, nel 2005 a 94 miliardi e nel 2010 a 112 miliardi: sostanzialmente cresce di quasi due punti percentuali all’anno nell’ultimo quinquennio, mentre prima superava abbondantemente anche il 5% (per l’esattezza il 7% tra il 2000 ed il 2006). Il peso in percentuale sull’economia nazionale di questa voce di spesa è significativo, si attesta a quasi il 7% (6.9% per la precisione) e solo dal 2009 è in lieve contrazione. Se guardiamo i numeri dei partners europei scopriamo cifre in taluni casi addirittura più elevate come ad esempio il 8% del Regno Unito, il 9% di Francia e Germania o addirittura il 8.4% degli USA. Naturalmente stiamo parlando di aggregati abbastanza omogenei per la spesa nazionale in assistenza sanitaria, che non contemplano invece la spesa privata, dove quest’ultima per il nostro Paese è tra le più basse al mondo. L’Italia spende infatti appena il 2% del PIL in spesa privata per l’assistenza sanitaria, contro il 3% della Francia il 2.7% della Germania o il 9% degli USA. La differenza principale dei vari modelli di assistenza sanitaria è riconducibile alla qualità e composizione della stessa spesa, in Italia ad esempio si spende troppo poco in prevenzione sanitaria rispetto ai competitors stranieri, dando per assodato (erroneamente) che la sanità nel nostro Paese sia solo riconducibile alla tempistica di fruizione ed alla sua assenza di onerosità. In estrema sintesi potremmo dire che l’approccio italiano alla spesa sanitaria è piuttosto ortodosso ossia riconducibile a quello che nell’immediato genera riverbero e tornaconto elettorale, discriminando in tal senso altri capitoli di spesa legati alla sanità stessa che potrebbero ottimizzare nel lungo termine la dinamica e consistenza della stessa spesa sanitaria come ad esempio le cure di nuova generazione o non convenzionali. In aggiunta a tutto questo abbiamo purtroppo anche le inefficienze ed i comportamenti infelici di spesa poco virtuosi che caratterizzano gran parte dell’operato del management italiano all’interno delle grandi aziende ospedaliere e sanitarie. Il risanamento economico che attende il Paese (volente o nolente) passerà anche per i conti della sanità pubblica che dovrà ridimensionarsi negli anni a venire, limitando il più possibile la fruibilità dei LEA (livelli essenziali di assistenza), tranne i casi conclamati di oggettiva emergenza medica. Su questo fronte, la maggior parte degli italiani è completamente impreparata soprattutto a livello psicologico a metabolizzare la trasformazione (epocale) che avrà la sanità pubblica italiana. La strada che si intravede in tal senso obbligherà anche gli italiani a garantirsi determinate cure ed attenzioni mediche mediante il ricorso a coperture assicurative mediche di matrice privata. Sanità e pensioni sono queste le due macroaree di spesa pubblica da cui si dreneranno prossimamente risorse nell’audace tentativo di ridimensionare la pressione fiscale nazionale in forza di una compressione della spesa pubblica, quindi welfare in senso lato e rendite pensionistiche ossia quello che per decenni abbiamo considerato intoccabile in Italia. Per questo motivo sono convinto che il miglior investimento non convenzionale che si possa implementare sin da subito è quello riconducibile ad un riassetto e ridefinizione del proprio regime alimentare unitamente ad uno stile di vita il meno sedentario possibile, mettendo al bando sin d’ora usi e costumi anche di natura alimentare che nel lungo termine sono pesantemente dannosi per il nostro organismo: fumo, alcol, zucchero raffinato, neurotossine, farmaci invasivi ed alimenti preconfezionati. Deve spaventare in tal senso l’allarme lanciato dall’Osservatorio sulla Salute delle Regioni il quale evidenzia come per la prima volta in Italia la speranza di vita si sia abbassata, seppur di pochi mesi, in sostanza invertendo un trend più che decennale, ad esempio per gli uomini si passa da 80.3 anni di vita nel 2014 a 80.1 anni per il 2015. Il tutto contrasta con le aspettative universalmente assodate dell’opinione pubblica per la quale ci si aspetta invece un continuo allungamento della speranza di vita. Regimi alimentari ormai reputati sconsiderati, unitamente ad una filiera industriale intensiva che spinge oltre misura per ottimizzare solo il risultato economico complessivo in favore della GDO ed un oggettivo peggioramento della qualità di vita in molti contesti residenziali producono inevitabilmente un contenimento della vita media, a fronte di nuove patologie sia di portata cronica che invasiva. Entro i prossimi dieci anni la salute personale diventerà un asset non tangibile molto più rilevante rispetto al patrimonio finanziario in quanto non saranno più scaricabili sulla fiscalità diffusa meccanismi e protocolli di assistenza sanitaria che oggi diamo per scontato, quasi ci fossero dovute. A quel punto chi non avrà mezzi economici sufficienti per far fronte alle proprie necessità medicali, comprenderà con ritardo il significato ed il ruolo strategico della prevenzione, tanto per la sua vita quanto per il suo conto in banca. MOLLO TUTTO In Italia si sta verificando ormai da oltre tre anni un’autentica diaspora che coinvolge pensionati, imprenditori e giovani ragazzi del nostro Paese. Proviamo a fare un focus su questo fenomeno che è caratterizzato da una dimensione progressivamente in crescita, questo soprattutto per l’oggettiva incertezza che delinea ormai vivere, lavorare e fare impresa in Italia. Riportiamo alcuni dati che ci confermano la presenza di una consistente quota della popolazione italiana all’estero, nello specifico stando alle iscrizioni dell’Anagrafe Italiana dei Residenti all’Estero, vi sono oltre 4,3 milioni di nostri connazionali, rappresentativi del 7% della popolazione, che vivono in altri Paesi. Circa il 55% di essi ha scelto l’Europa continentale, quindi un Paese geograficamente non molto distante dall’Italia, un 40% ha preferito le Americhe, tanto il Nord quanto il Sud, ed infine il rimanente 5% nel resto del mondo. E’ significativo conoscere come circa il 10% della popolazione degli italiani residenti all’estero siano pensionati, stiamo parlando di oltre 470 mila persone che hanno un’età superiore ai 60 anni. Le più grandi comunità di italiani all’estero le potete trovare rispettivamente in Argentina, Germania e Svizzera, mentre le regioni che hanno prodotto il maggior numero di emigrati sono le regioni meridionali, con in testa la Sicilia seguita a ruota da Campania e Calabria. Quale luce verde fa scattare il desiderio di trasferirsi per sempre in un altro Paese? Le motivazioni sono grosso modo riconducibili al declino che caratterizza il nostro Paese in senso globale. Chi parte e abbandona l’Italia è ormai consapevole di come questa nazione non rappresenti più per antonomasia il Bel Paese, con una classe politica allo sbando, un’economia decadente priva di leadership, una tassazione vessatoria ormai fuori controllo e una burocrazia insopportabile. A fianco di questi argomenti che tutti quanto noi condividiamo si è andato ad aggiungere anche la percezione di un futuro sempre più cupo, il degrado culturale ed una disonestà ormai dilagante in tutti i settori vitali del Paese. Chi sono gli italiani che decidono di abbandonare il Titanic Italia? Li possiamo dividere in tre grandi categorie, prima fra tutti quella dei pensionati, persone anziane che devono scontrarsi con un costo della vita costantemente in crescita, con una perdita di potere d’acquisto e la consapevolezza che abbandonare il Paese per andare a vivere in località più accoglienti sia dal punto di vista climatico che dal punto di vista economico rappresenta ormai una scelta obbligata, l’unica soluzione per sopravvivere ed evitare di morire in povertà. Le mete prescelte in questo caso individuano un insieme di Paesi che hanno caratteristiche fra loro similari: condizioni climatiche molto attraenti, convenienza economica data dal basso costo della vita e presenza di altre comunità di italiani pensionati. Ricordiamo inoltre che vi sono numerosi Paesi che hanno iniziato il cosiddetto retirement marketing, ovvero la propaganda nei confronti dei pensionati di tutto il mondo, in particolar modo nei confronti di quelli delle economie avanzate, per attirarli da loro attraverso benefici ed incentivi. Tra questi troviamo Spagna, Cipro, Croazia, Portogallo, Grecia e Malta per rimanere in Unione Europea, mentre fuori dai confini comunitari hanno iniziato a diventare molto competitive le offerte anche di Tunisia, Costa Rica, Repubblica Dominicana e Thailandia. In questi ultimi cinque anni sono diventati anche molto interessanti per pensionati con rendite modeste, tra i 700 e i 1000 euro al mese, anche Kenya, Ecuador e Bulgaria, che espongono tuttavia il pensionato ad altre criticità, non di certo economiche. La seconda categoria di italiani che emigrano è rappresentata dagli imprenditori nel senso lato del termine, sono tanto professionisti quanto rappresentanti di piccole e medie imprese che decidono di delocalizzare la propria attività trascinandosi la famiglia ed i figli con un unico mantra mentale, “ovunque, ma via dall’Italia”. Questi soggetti prediligono Paesi invece che offrono il cosiddetto marketing fiscale, ovvero una serie di incentivi soprattutto fiscali molto invitanti per spingere l’imprenditore italiano a chiudere la propria attività e trasferirla fisicamente nel nuovo Paese in questione. Abbiamo da questo punto di vista numerosi esempi di Paesi che si rendono disponibili per attrarre imprenditori ed investitori, si va dall’Austria al Marocco, dalla Serbia alla Turchia, dal Brasile all’Irlanda, dalla Polonia agli Emirati Arabi Uniti (soprattutto Dubai) e così via discorrendo, Paesi che si occupano di organizzare degli autentici road show all’interno del nostro territorio italiano, solitamente presso associazioni di professionisti o invitando gli imprenditori a partecipare a presentazioni sulle potenzialità offerte dal tal Paese in questione. Infine diamo uno sguardo sulla consistenza e composizione della terza categoria di italiani che decidono di abbandonare l’Italia, che è composta da giovani laureati e giovani coppie appena sposate le quali percepiscono un consistente ridimensionamento della qualità e dello stile di vita, si rendono conto della contrazione del mercato del lavoro e delle sue conseguenti minori opportunità occupazionali e magari hanno una prole molto giovane che consente loro di scegliere di abbandonare il Paese senza per questo generare un trauma adolescenziale ai propri figli. Mollare tutto per trasferirsi in un altro Paese presuppone anche delle criticità, e come cita simpaticamente il detto inglese “life is not always strawberries and cream” (la vita non è sempre panna e fragole), non è detto che abbandonando un inferno come l’Italia si approdi magicamente in un qualche paradiso. Infatti una delle principali criticità che mediamente gli italiani, soprattutto di età adulta, incontrano è quella legata alla lingua. Una modesta o assente conoscenza della lingua del Paese in cui si desidera trasferirsi può generare fenomeni di discriminazione o difficoltà di inserimento sociale. In aggiunta a questo, ulteriori elementi di criticità sono imputabili alla conflittualità e diversità culturale, soprattutto nei confronti di Paesi africani, come Tunisia, Marocco e Kenya o ai fenomeni di microcriminalità praticamente diffusi ovunque in Paesi molto attraenti sul piano climatico come quelli del Centro e Sud America. Infine per tutti, tranne per i Paesi europei, permane un grande punto di domanda, quello legato all’assistenza sanitaria. L’italiano medio è abituato ad essere coperto a 360 gradi su tutto e per tutto, nel momento in cui si abbandona l’Italia questo tipo di protezione viene perduta. Per questo non è solo vivamente consigliato, ma in alcuni Paesi addirittura obbligatorio, stipulare una copertura sanitaria privata per far fronte alle proprie future esigenze. Non esiste in estrema sintesi nessun paradiso fuori dall’Italia, esistono Paesi che a fronte delle singole personalità e soggettività possono proporre delle aspettative di vita migliore per determinati ambiti e senza eccellere in termini assoluti su tutti gli altri Paesi: pertanto lo spirito di adattamento rappresenta una delle principali virtù da possedere qualora si decida di intraprendere questo nuovo percorso di vita. ANCORA BOLLE Ho partecipato di recente ad un workshop a Bologna di una investment house inglese che proponeva la propria market view sulle attese dei successivi mesi dell’anno relativamente all’andamento dei mercati, alle dinamiche di rialzo dei tassi, alle politiche monetarie delle principali banche centrali ed anche alla presenza di rischi sistemici tutt’altro che fantasiosi e poco convenzionali. Al di là dei contenuti di spessore trattati, questa volta sono rimasto colpito come non mai nell’osservare e scrutare gli altri partecipanti, per la maggior parte promotori finanziari e consulenti finanziari. Sostanzialmente oltre i ¾ di loro durante lo speech di commento ed analisi che ha fatto il capo economista di questa investment house erano intenti a bighellonare sui vari smartphone o phablet che si erano portati appresso: vi era chi smanettava su Facebook, chi giocava a qualche applicazione colorata, chi chattava (di fianco a me) con l’amante (questo lo penso io) o una sua variante, visto che quello che scriveva era poco consono e pertinente ad un rapporto coniugale, per finire a quelli che si scambiavano reciprocamente le foto di quello che avevano mangiato durante il pranzo generosamente offerto dalla casa di gestione inglese. Solo una piccola parte dei presenti si poteva effettivamente dire attenta alla narrazione ed ai temi proposti, di questo temo che se ne siano accorti anche i relatori. Fate attenzione, perchè le persone che bighellonavano nei socials o che giocavano tra di loro al pari di una scolaresca in gita fuori porta sono anche i consulenti che gestiscono i vostri portafogli o che vi indicano come muoversi quando il mare più avanti sarà in tempesta. Fortunatamente non sono tutti così, una parte contenuta di loro era mentalmente presente all’evento ed anche molto attenta. Il contenuto tematico infatti esposto durante il workshop era decisamente rilevante ed al tempo stesso anche preoccupante. In buona sostanza il centro studi di questa investment house rileva nell’immediato orizzonte la presenza di non pochi elementi di vulnerabilità presenti su tutti i mercati finanziari internazionali, partendo dalle valute, passando alle azioni ed arrivando alle tanto agognate obbligazioni. Appare assodato da questo punto di vista come l’anno in corso, nonostante sia già iniziato male, possa produrre durante i successivi trimestri ulteriori e pesanti contrazioni riconducibili a fenomeni più endogeni che esogeni che mettono in pratica quasi ogni universo di investimento in stato di warning. Proviamo a fare un elenco esaustivo. L’estate che ci attende si presenta già molto calda sul versante finanziario in quanto troveremo in parallelo tanto la Brexit quanto una rediviva Grexit, che ritornerà ad essere uno dei temi caldi da ri-gestire per la coesione della moneta unica. Sappiamo già che dopo il referendum inglese, ve ne saranno almeno altri due similari in successione, quello danese e quello finlandese, quest’ultimo molto più delicato vista l’appartenenza della Finlandia all’Eurozona. Sulla periferia europea rimane tutt’ora un’incognita senza soluzione ossia la Spagna che ritornerà alle urne in Giugno. Sul fronte bancario abbiamo tuttavia le maggiori esposizioni al rischio: in Italia non è stato ancora identificata una soluzione definitiva (caso mai provvisoria) per la gestione delle poste deteriorate, mentre in Germania iniziano a sollevarsi preoccupazioni sulla capacità di tenuta delle main banks a fronte delle garanzie che hanno concesso all’export delle grandi aziende tedesche verso l’Asia. Lo si è ricordato in più occasioni ossia come al momento attuale la maggior parte dei paesi europei sul versante bancario non è in grado di far fronte ad un nuovo shock finanziario di natura esogena in quanto la debolezza di molti sistemi bancari è considerata al limite della loro stessa sopravvivenza. In Asia, con la Cina in testa, abbiamo un enigma: noi occidentali possiamo solo sperare che le autorità di governo cinesi saranno in grado di sgonfiare lentamente, senza procurare scossoni improvvisi, le due bolle riconosciute ormai a livello mondiale, quella del debito aggregato e quella immobiliare. Sempre in Asia, il Giappone di Abe Shinzo arranca a fatica nonostante i mega interventi di politica monetaria (mai varati da nessun altro paese al mondo) volti all’immane tentativo di rilancio della propria economia internamente. I paesi emergenti, tranne l’India, si trovano nella terra di mezzo, se dovessero contrarsi più del previsto le economie di USA, Europa e Cina, per loro si aprirebbero le porte di un nuovo inferno economico. I due continenti al di là dell’Atlantico non se la passano poi cosi tanto bene. In America del Sud, abbiamo il Brasile in piena recessione con l’attuale presidente, Dilma Roussef, ormai messo in stato di accuso per lo scandalo finanziario di Petrobas (tramite il dispositivo dell’impeachment), mentre al Nord gli USA che sembrano per adesso in stato di salute stazionaria, tuttavia con possibili ricadute nei mesi successivi per l’incognita delle presidenziali e per la attestata diminuzione dei livelli di profittabilità delle aziende americane. Il quadro complessivo pertanto rimane di poco conforto e con possibili cambi di scenario nel breve dall’impatto sostanziale sui mercati e sulle principali asset class. In questi termini le preoccupazioni maggiori si evidenziano nei comparti di investimento obbligazionari sia per la divergenze sul rialzo dei tassi da parte delle banche centrali e sia per la vulnerabilità di alcuni settori tipicamente emettitori di debito corporate come quello energetico (industria dello shale oil) e quello bancario: le aspettative in tal senso spingono ad una maggior e selettività degli emittenti vista la possibilità che i tassi di default si alzino significativamente durante la restante parte dell’anno. Rimane una view in cui convergono sempre piu case di gestione la preoccupazione di come gli andamenti di mercato siano troppo e strettamente collegati solo alle politiche di intervento straordinario delle grandi banche centrali ed i loro strumenti di trasmissione delle stesse politiche monetarie: in tal senso infatti si ritiene che nel futuro (prossimi cinque anni) la probabilità che proprio le banche centrali possano essere messe sul banco degli imputati per aver innescato nuove bolle finanziarie appare molto verosimile. Questo potrebbe produrre pertanto come conseguenza un cambio di paradigma universale destituendo l’indipendenza delle banche centrali e relegando queste ultime a mere esecutrici di scelte di politica economica nazionale. Questo significherebbe consentire ai governi del futuro di poter gestire la politica monetaria a proprio piacimento in ottica di pianificazione economica nazionale al pari di uno strumento istituzionale come la fiscalità. Approccio lodevole e costruttivo se e soltanto se le nuove classi dirigenti saranno composte da personalità ed individui di spiccata capacità e competenza. In caso contrario si assisterebbe a fenomeni di destabilizzazione finanziaria e depauperamento economico su scala nazionale molto simili a quelli vissuti da un paese che da questo punto di vista ha fatto scuola per decenni, l’Argentina. THE MOBILE PAYMENT ERA Entro il 2020 con grande presunzione dovrebbe scomparire per sempre il contante (banconote e monete) almeno per quanto riguarda le economie occidentali più avanzate: continuerà tuttavia ad esistere il denaro circolante di natura cartacea in paesi ancora arretrati o non allineati con le guide lines degli organismi internazionali in tema di prevenzione, lotta e contrasto alla criminalità organizzata, terrorismo internazionale ed evasione fiscale. Le banconote saranno presto un ricordo del passato, al pari di come oggi gran parte del pubblico che si informa mediante la rete considera dinosauri che ancora camminano ad esempio i giornali di carta stampata. Nel 2000 una simile affermazione sarebbe stata prosaica ed anche molto sfrontata, oggi rappresenta una naturale evoluzione del mondo che stiamo vivendo. Pensate solo come ha cambiato la vostra vita nel 2008 il dispositivo mobile della Apple, iPhone, che la moltitudine di voi consulta maniacalmente ed avidamente in centinai di momenti durante la propria giornata. Non uso o posseggo i prodotti Apple, né tanto meno li apprezzo, tuttavia li studio dal punto di vista meramente socioeconomico in quanto rappresentano il nuovo che avanza. I vari competitors di settore non fanno altro che adeguarsi alle innovazioni ed alle mode lanciate dal gigante di Cupertino. Vi siete mai chiesti a che cosa serve il nuovo oggetto dei desideri ossia il iPhone 6 ? Rispetto all’iPhone 5 vi sono sul piano tecnico, tutto sommato, modeste migliorie che riguardano principalmente un display piu grande di 0.7 pollici in senso diagonale (4.7 contro i 4.0 pollici del precedente modello), maggior risoluzione grafica per le fotocamere integrate ed infine una maggiore capacità di memoria. Ciò che invece rende questa versione di smart phone una killer application è rappresentato dalla sua predisposizione per i pagamenti NFC ed il Touch ID ossia la lettura biometrica del pollice (in vero quest’ultima caratteristica è presente anche nell’iPhone 5S). Con la sigla NFC si suole definire la dicitura Near Field Communication (tradotto in italiano sarebbe Comunicazione in Prossimità) che rappresenta una tecnologia mobile in grado di fornire connettività wireless bidirezionale a corto raggio (massimo dieci centimetri). Sostanzialmente il NFC si basa su una identificazione senza contatto per radio frequenza che consente a due apparecchi, se accostati entro un raggio di pochi centimetri, di potersi scambiare informazioni da entrambe le parti. Il Touch ID rappresenta invece il nome del lettore di impronte digitali di Apple presente in tutte le versioni di iPhone 6 che consente di poter rilevare e riconoscere fino a cinque impronte digitali fra loro diverse. Solo iPhone 6 può consentire l’uso di Apple Pay, il metodo di pagamento per dispositivi mobili che permette di effettuare pagamenti presso terminali contactless (con tecnologia NFC). Il Touch ID consente di autenticare ogni transazione semplicemente appoggiando il proprio pollice, in sostituzione di quella che un tempo era la firma per esteso sulla ricevuta rilasciata da un terminale old style di pagamento. Questo modo di pagare o forse bisognerebbe dire moda di pagare in Italia non è ancora disponibile, mentre quasi tutto il mondo anglosassone lo ha già adottato da tempo. Si stima che verso la fine di quest’anno sarà finalmente disponibile anche nel nostro paese. Già perchè la fine del contante non sarà decretata da qualche legge o dispositivo normativo volto a contrastare l’uso del contante, quanto piuttosto sarà una nuova moda della società consumistica. Potete essere certi che si farà a gara a mettersi in mostra per pagare in Italia con la tecnologia di Apple Pay o con le varianti degli altri competitors: Samsung Pay, Android Pay, Google Wallet e per finire Paypal, che recentemente ha iniziato una massiva campagna pubblicitaria in televisione al grido di la vecchia moneta è fuori gioco, la nuova moneta detta le regole. A nessuno verrà imposto di abbandonare il denaro contante, sarà la moda trendy e social del momento che produrrà tale trasformazione nelle modalità di pagamento nella società attuale producendo in poco tempo la scomparsa del denaro contante. Vi risulta che esista ancora qualcuno che usa le cartine geografiche di carta stampata per orientarsi in una citta ? Lo stesso avverrà per il contante in quanto chi si presenterà alla cassa di qualsiasi esercizio con un portafoglio scrauso con l’intento di estrarre qualche biglietto di carta colorata verrà deriso o guardato come un pezzente o peggio con sospetto dagli altri che avrà attorno. Si arriverà anche a pensare per convenzione sociale (e qui i talk show ci costruiranno settimane e settimane di programmazione televisiva) che chiunque paghi con denaro contante (sempre che sia ancora accettato proprio dagli esercenti) sia un individuo dal profilo ambiguo, pericoloso o controproducente: come mai questo qui vuole pagarmi in banconote cartacee ? Da che cosa si deve nascondere ? Magari questo denaro ha provenienza illecita ? Lascio a voi continuare questo gioco di immaginazione. Non sono comunque preoccupato in tal senso, purtroppo per i futuri pagamenti della vita quotidiana mi dovrò anche io adeguare ai nuovi costumi sociali magari utilizzando anche una semplice carta ricaricabile contactless linkata a qualche conto corrente online piuttosto che uno smartphone di ultima generazione. Il rischio a cui stiamo andando incontro ha dimensioni e ingerenze con la nostra vita infatti di portata inimmaginabile. Se ora abbiamo astio e rivalsa per tutto il settore bancario (costituito da diverse centinaia di operatori istituzionali solo in Italia) visto quanto ha cagionato all’economia reale in questi ultimi anni, che cosa potrà succedere più avanti quando tutti i flussi di pagamento e le diverse transazioni finanziarie quotidiane saranno per la maggior parte canalizzate e gestite solo da pochi operatori globali come: Apple, Samsung, Google, Facebook, Amazon, Paypal e qualcuno potrebbe metterci dentro anche il circuito delle cripto currencies. L’unica certezza che avremo sin da ora è che per il 2020 il concetto di privacy rappresenterà un diritto appartenete ad un passato ancestrale tuttavia non cosi molto lontano e radicato nel tempo. TO BE BANKABLE Il nuovo scandalo finanziario a sfondo giornalistico denominato Panama Papers sembra aver scoperchiato un nuovo vaso di Pandora ed all’improvviso i mass media nazionali hanno dato il via alla nuova caccia alle streghe. Come se ancora ad oggi la maggior parte dei giornalisti non fosse a conoscenza delle conseguenze ed aspettative messe in essere dall’entrata in vigore ed a regime prima del FATCA negli USA e dopo del CRS per i paesi OCSE. Il tutto naturalmente riguarda non tanto gli operatori dell’informazione come diretti interessati quanto piuttosto sia piccoli che grandi investitori, ed in taluni casi, piccoli e grandi evasori. Ma andiamo per gradi e proviamo a spiegarlo dal punto di vista tecnico quali sono le ripercussioni dei due dispositivi normativi sopra citati. Il FATCA, acronimo di Foreign Account Tax Compliance Act, rappresenta una disposizione normativa a livello federale degli Stati Uniti che obbliga i domestic taxpayers (contribuenti) a dichiarare tutti gli assets che detengono fuori dai confini statunitensi, inoltre viene fatto obbligo a tutte le istituzioni finanziarie e bancarie, non statunitensi, di rivelare al Dipartimento del Tesoro statunitense l’entità dei clienti che detengono tali assets, sia per quantità che per qualità. Lo scopo del dispositivo è scoprire, conoscere e individuare la composizione di patrimonio di contribuenti infedeli, loro li chiamano astute investors, che è sconosciuto all’occhio vigile della loro tax authority. Ora, noi italiani abbiamo svariate soggezioni e timori quando riceviamo una lettera di colore verde o grigio chiaro proveniente dall’Agenzia delle Entrate, pensando in prima battuta che questa entità legale rappresenti l’atavico drago sputa fuoco, la bestia famelica onnivora o la vecchia signora con la falce. Potete ridimensionare abbondantemente queste nostre paure ancestrali, in quanto se fossimo contribuenti statunitensi avremmo a che fare con l’IRS (Internal Revenue Service) di gran lunga un mostro dalle dimensioni ed aggressività inimmaginabili. Considerate che mediamente un cittadino americano preferisce aver a che fare con la NSA (National Security Agency) o con il Federal Bureau of Investigation (FBI) piuttosto che affrontare l’IRS (anche a causa dell’aspetto penale che ha l’evasione fiscale negli USA), i cui poteri e capacità di penetrazione nella loro sfera personale sono molto simili a quelli di Ra, il Dio Sole nell’antico Egitto. Il FATCA è molto invasivo anche per le istituzioni finanziarie e bancarie, molte delle quali negli anni passati hanno deliberatamente estinto posizioni o conti di investimento di clientela statunitense pur di non aver a che fare con il Dipartimento del Tesoro degli USA (per la precisione la Sezione denominata International Tax Affairs). Pensate che oltre diecimila americani (negli ultimi quattro anni) hanno rinunciato alla cittadinanza americana, avendone ovviamente una seconda, pur di rompere i ponti con le autorità fiscali statunitensi: il più famoso di tutti è il Sindaco di Londra, Boris Johnson, nato a Manhattan (New York) da genitori britannici. Il FATCA non è una novità, è stato approvato dal Congresso alla fine del 2010 ed a inizio 2014 era praticamente adottato da quasi tutti i principali paesi partners degli USA (l’Italia lo ha recepito il 10 Gennaio 2014 e lo ha implementato dal 17 Agosto 2015, in ogni modo il più lento tra tutti gli stati occidentali). Non lo hanno ancora adottato, e ovviamente non dovrebbero farlo, quasi tutti gli stati africani (tranne Algeria e Sudafrica), Bolivia, Argentina, Russia, Iran, Pakistan ed Afghanistan. Il FATCA ha fatto da apripista, infatti gli USA generalmente sono avanti dieci anni rispetto a tutti su qualsiasi questione. Bastava infatti aspettare. Nel Settembre 2014, infatti, il G20 tenutosi in Australia, su istanza dell’OCSE, ha formalizzato e approvato la messa a regime del CRS, acronimo di Common Reporting Standard, volgarmente tradotto per i poveri italiani con le modalità di scambio spontaneo tra le nazioni aderenti all’OCSE di informazioni finanziarie e fiscali. Sostanzialmente da inizio 2015 tutti i 34 paesi aderenti all’OCSE comunicano su base spontanea gli uni con gli altri attraverso le loro rispettive tax authority e le diverse istituzioni finanziarie la consistenza patrimoniale ed eventualmente anche i flussi di reddito percepiti all’estero da un contribuente di un diverso paese. Il CRS per le sue ambiziose aspettative è stato anche ribattezzato GATCA ossia il Global Fatca. In pratica questo significa che dal 2015 si può sapere tutto di tutti (a meno che non siate russi, nigeriani o emiratini) sia sul versante patrimoniale che reddituale. Il FATCA ed il CRS rappresentano pertanto i due principali strumenti per contrastare sia l’evasione fiscale su scala mondiale che la gestione di flussi finanziari di provenienza illecita. Sul piano pratico infatti che cosa è successo dal 2015 ? Semplice, le banche dei paesi occidentali chiudono d’ufficio i rapporti di provvista bancaria qualora non si siate in grado di fornire una certificazione asseverata sulla vostra regolarità fiscale o sulla comprovata provenienza ed origine dei vostri fondi finanziari. Ne abbiamo già parlato in altri post, per noi italiani entro due anni, tutto quello che si troverà al di fuori dai confini dell’Eurozona (al di là di specifici casi oggettivi) sarà rappresentativo di poste finanziarie cosidette non bancabili (not to be bankable) o canalizzabili. Sostanzialmente la banca in questione (che sia tedesca, inglese, spagnola o maltese) non sarà disposta ad aprirvi un rapporto di provvista bancaria e né tanto meno sarà disposta a canalizzare quel denaro che si trova oltre confine, al di fuori di quelli che possono essere motivazioni giustificabili al di là di ogni ragionevole dubbio (beyond any reasonable doubt). Italiani che in questi ultimi tre anni hanno fatto come dicono gli americani gli “astute investors” ve ne sono a decine di migliaia, soprattutto verso quei paesi che si pensavano potessero essere “investment and foreigner friendly”. Iniziate a preoccuparvi perchè è solo questione di tempo: vi troveranno, è una certezza. L’unica incertezza è quando. Abbiamo ormai l’imbarazzo per le mete prescelte ovviamente sintomatiche di trasferimenti fittizi (pur di scappare dalla ex moglie, dal fisco o dai creditori), cominciando proprio con l’ormai inutile Panama, gli Emirati Arabi Uniti, le Isole Cayman, Gibilterra, Liechtenstein, Hong Kong, Monaco, Portogallo con Madeira e la vituperata Svizzera. Entro due anni il vostro patrimonio dovrà essere bianco, qualsiasi altro colore non potrà essere considerato to be bankable, in altre parole sarà come non averlo proprio. THE FIGHT BETWEEN GENERATIONS Se provate a chiedere ad un vostro conoscente o collega quali sono gli argomenti core in Italia che dovrebbero essere oggetto di una ridefinizione o di un consistente riassetto legislativo, sentirete in sequenza i seguenti: classe politica ed organi costituzionali, corruzione dilagante, debito pubblico e pubblico impiego. Nella maggior parte delle casistiche raramente troverete qualcuno che inserisce anche la spesa previdenziale ossia il sistema pensionistico e le rendite che questo ogni anno paga. Si ha come una illusoria percezione che le pensioni sono una sorta di tematica intoccabile, quasi come una vacca sacra che nessuno si può sognare di manipolare, contestare o modificare. Me ne rendo conto molto bene anche quando mi capita di parlarne all’interno di qualche palinsesto mediatico o qualche tavola rotonda tra imprese e parti sociali quando mi permetto di accennare alla necessità di un riassetto corposo ed invasivo dell’intero apparato previdenziale, in quelle occasioni si sollevano spesso anche critiche o denigrazioni piuttosto pesanti o a sfondo poco edificante. Della serie toccate tutto tranne che le pensioni. Proprio qui si infrangerà presto l’illusione italiana nel senso che ancora ad oggi si dà per scontato che la necessità di intervenire sulle rendite pensionistiche possa essere procastinata ad infinitum. Continuate a sognare e quando vi sveglieranno inizierete a vivere presto un incubo. Provo a partire da lontano per far comprendere questo tema e le sue implicazioni dirette per la fiscalità nazionale. Quante volte avete sentite all’uopo qualcuno in giovane età dire tanto io non avrò la pensione o se ce l’avrò questa sarà di importo talmente risibile che non mi consentirà ne di avere una vita decorosa e né tanto un livello di sopravvivenza. Eppure a queste esternazioni, manifestate quasi con uno stato di mera rassegnazione, non corrispondono comportamenti razionali atti a risolvere un significativo problema che si dovrà sostenere nel futuro, praticamente certo. Per gli italiani, anche quelli molto giovani, ho notato negli anni il confidare quasi maternamente alle cure ed alle soluzioni che i vari organismi di governo attueranno o proporranno, quasi come se il problema della propria rendita pensionistica non fosse un loro problema, ma piuttosto uno dello Stato o di qualche organo costituzionale. Niente di più fuorviante ed aberrante. Chi oggi ripone fiducia nello Stato e nelle sue varie emanazioni sta vivendo di illusioni enfatizzate dai vari cantastorie. Come vivrete da anziani e su che cosa potrete effettivamente contare dipende esclusivamente da voi, soprattutto se non siete boomers. Qui si deve aprire una parentesi per spiegare il tutto e far comprendere la faida ed il furto intergenerazionale che si sta perpetrando all’interno della nostra popolazione (attenzione, il tutto non vale solo per l’Italia, anche altre nazioni hanno dei driver similari di andamento insostenibile della spesa pensionistica). L’odierna popolazione in vita può essere suddivisa in cinque classi di appartenenza per generazione di nascita. Quella più anziana ed è la Greatest Generation chiamata così dal giornalista americano Tom Brokaw, riferendosi a persone che crebbero durante la Grande Depressione e combatterono anche durante la Seconda Guerra Mondiale: stiamo parlando pertanto di persone molto anziane che oggi, se ancora in vita, potrebbero essere ultranovantenni o addirittura centenari. La loro pensione è rappresentata dalla famiglia che si sono costruiti, ed in ogni caso vista la loro età hanno altro a cui pensare al momento. Dopo la Greatest Generation troviamo la Silent Generation, ossia tutti coloro i quali sono nati tra il 1925 ed il 1945, pertanto persone che oggi sono decisamente anziane in età avanzata, nate e cresciute in un secondo momento storico molto difficile durante il secolo passato, la fine di un conflitto militare e la successiva fase di ricostruzione e stabilizzazione economica. A causa delle difficili condizioni finanziarie del periodo in questione, i tassi di natalità rispetto alla generazione precedente subirono una consistente contrazione. Queste persone, che oggi possono essere ottantenni o novantenni, hanno sempre riposto grande fiducia nelle istituzioni e manifestato un grande senso di appartenenza patriottica al loro Paese (pensiamo al ruolo dei governi durante la ricostruzione postbellica). Dopo la Silent Generation arriviamo alla Boomer Generation e qui iniziano i problemi. Sostanzialmente sono tutte le persone nate tra il 1946 ed il 1963, le quali hanno potuto contare su una fase di prosperità e stabilità economica data dalla fine di un conflitto militare su scala mondiale. Questa generazione è caratterizzata da elevati tassi di crescita demografica (per ovvie ragioni) ed anche a notevoli contributi alla propulsione economica: richiesta di beni di consumo, investimento in immobili e necessità di risparmiare per consentire alla loro progenie di conseguire alti livelli di formazione scolastica. A questa generazione ogni governo ha dato ogni sorta di protezione: sociale, previdenziale, assicurativa e medicale. Sostanzialmente la Boomer Generation rappresenta la parte della attuale popolazione vivente che vanta i migliori standard di fruizione dei rispettivi sistemi di welfare. I modelli econometrici e previdenziali calcolati per sostenere le pensioni a chi appartiene a questa generazione sono insostenibili finanziariamente (non esclusivamente per avverse dinamiche demografiche) e pertanto si deve attingere a risorse finanziarie attribuite alle generazioni successive le quali non si trovano ancora nelle condizioni di potersi ritirare dal mercato del lavoro. Questa generazione inoltre ha potuto anche contare sulle migliori cure e modalità di assistenza sanitaria sempre a scapito di quelle successive che hanno consentito un notevole allungamento della speranza di vita. Dopo la Boomer Generation, possiamo trovare la X Generation ossia chi è nato tra il 1964 ed il 1980, e si è trovato a vivere in un mondo di transizione, con la fine del comunismo e l’inizio del turbocapitalismo. Solitamente questa generazione è considerata disorientata sia in termini di valori che di identità culturale per il delicato momento storico in cui è stata catapultata in cui un mondo stava finendo ed un altro stava iniziando. Successivamente alla X Generation, troviamo la Y Generation detta anche Millenial Generation, coloro i quali sono nati tra i primi anni Ottanta ed i primi anni del nuovo Millennio. Per loro la pensione sarà un enigma stando ai parametri di lettura attuali ed alle più autorevoli proiezioni demografiche. Chiudiamo con la Z Generation ovvero chi è nato in questi ultimi dieci anni, i bambini appena nati con l’Ipad dentro la culla: per loro la pensione sarà un enigma avvolto dentro un mistero segregato all’interno di una cassaforte di cui nessuno ha la chiave. Tornando tuttavia a noi, il fulcro di questo post che richiama l’insostenibilità finanziaria delle attuali rendite pensionistiche soprattutto, quelle dei boomers, ci deve proiettare alle prossime (pianificate) operazioni di finanza pubblica volte a tentare di riequlibrare le poste contabili tra la Boomers Generation e la X Generation in modo da poter arrivare sino al 2040 quando si presume che per quell’epoca i boomers saranno ormai trapassati a miglior vita. Stiamo parlando comunque di una revisione significativa delle rendite che oggi vengono erogate, di cui conosciamo la consistenza figurativa dei relativi montanti contributivi. La gestione delle casse di previdenza pubbliche, senza le prestazioni assistenziali, supera in Italia abbondantemente i 190 miliardi di euro ossia il 20% del bilancio dello stato italiano. Molto presto la ridefinizione delle rendite pensionistiche pregresse, quelle che si pensava fossero intoccabili o diritti acquisiti, aprirà un altro vaso di pandora e farà comprendere anche a chi ha oggi la pensione da svariati anni che il suo vitalizio non è una questione dello Stato o del Governo, ma esclusivamente un suo problema. Ed anche la Z Generation a quel punto si troverà come la X Generation in una nuova epoca di transizione in cui le certezze dei padri diventeranno gli incubi dei nipoti. SHI SAN WU Con questo termine in Cina si è battezzato il tredicesimo piano di sviluppo economico della durata quinquennale da parte del Partito Comunista (rappresentato numericamente con la scritta 13.5). Il Presidente Xi Jinping ed il Primo Ministro Li Keqiang sono i due keymen di Pechino a cui è attribuibile la propulsione economica attesa dallo Shi San Wu. Ne abbiano già parlato anche in altri scritti, la Cina per il 2030 supererà di gran lunga gli Stati Uniti in termini di PIL: il governo cinese ha varato un ambizioso piano di riforme economiche volte a trasformare il Dragone Rosso entro cinque anni in un’economia matura con crescita sostenibile generata per la maggior parte da consumi interni. Sostanzialmente si vuole portare equilibrio ai drivers di crescita cinese incentrata per oltre quindici anni esclusivamente sulle esportazioni della propria industria manifatturiera e sugli investimenti infrastrutturali interni per grandi opere pubbliche finanziate con un elevato ricorso al debito di matrice statale oltre che aver dato spinta ed enfasi al mercato delle costruzioni residenziali e ai mercati finanziari cinesi, che ora sono accessibili (in parte) anche ad investitori istituzionali esteri. Il costo del lavoro per ovvie ragioni di contenimento delle tensioni sociali e per consenso politico si è lentamente elevato in questi ultimi anni, questo per consentire un tenore di vita più dignitoso che a sua volta diventi promotore di una crescita dei consumi interni che trova il suo fondamento proprio su un maggior reddito netto disponibile. Naturalmente questo fenomeno economico di lievitazione dei costi di produzione diretti produce di pari passo una perdita di competitività per le aziende cinesi che iniziano a trovare più difficoltà a far assorbire il loro output produttivo in misura preponderante solo da partner commerciali esteri. Da questa consapevolezza e constatazione trova appunto il suo fondamento lo Shi San Wu, il quale è strutturato in cinque grandi macro aree di intervento strategico da parte del governo cinese. Al primo punto del piano quinquennale troviamo la ridefinizione della politica demografica che abolisce il vincolo del figlio unico. Proprio a causa di questa limitazione, adottata da Deng Xiaoping per sterilizzare la pressione demografica prodotta dal Grande Balzo in Avanti di Mao Tse Tung (ricordiamo l’aumento del 50% della popolazione in due decenni da 600 a 900 milioni), la Cina oggi è diventata una nazione con pericolosissimi squilibri demografici che già oggi impattano in misura significativa sull’invecchiamento (troppo precoce) della popolazione. Dare la possibilità di avere un secondo figlio avrà sicuramente conseguenze proattive sui consumi interni, pensiamo solo di che cosa hanno bisogno i neonati e che cosa questo comporta durante il loro intero percorso di crescita. Inoltre una famiglia cinese, sapendo di poter contare su quattro braccia che lavorano per la loro vecchiaia, si potrà permettere di diminuire la propria quota di risparmio familiare (leggasi come la dote di un tempo per il figlio unico) per dirottare parte dei risparmi invece verso investimenti non tradizionali ad alto ritorno economico (come ad esempio proprio la borsa). Il secondo macro tema di intervento che si dovrà sviluppare è rappresentato dall’accrescimento dei consumi interni attraverso facilitazioni per il ricorso al credito al consumo e l’innalzamento dei salari ed egli stipendi. La ratio è quella di generare un circolo virtuoso per cui la perdita di competitività delle esportazioni cinesi sarà compensata da un maggior contributo alla crescita economica proveniente dalla spesa interna per i beni di consumo. Attenzione, perchè questa è tanto una scommessa quanto un azzardo ossia si deve confidare che questo risultato effettivamente si manifesti altrimenti le conseguenze in caso di insuccesso potrebbero produrre conseguenze catastrofiche tanto sul piano sociale quanto in quello finanziario. Il terzo tema dello SHI SAN WU è rappresentato dal contrasto alla povertà nelle aree rurali in cui ancora oggi sono presenti elevati differenziali rispetto alle aree urbane in termini di stile e benessere di vita dei nuclei familiari (un film del 1999 fa comprendere lo stato di povertà di molte province cinesi, “Non uno di meno” del regista Zhang Yimou). Andando avanti ancora troviamo il quarto tema ovvero gli investimenti istituzionali per la produzione di energia sostenibile, e questo è di vitale importanza a seguito dei valori ambientali di invivibilità che hanno tutte le grandi aree urbane cinesi. Per dare un elemento di giudizio considerate che i nostri livelli di intolleranza sono 1/50 di quelli che oggi caratterizzano i grandi agglomerati urbani della Cina: si sta diffondendo sempre più la moda di vendere lattine di aria compressa proveniente dal Canada o dall’Alaska per le strade come se si trattasse di un ristoro per i passeggiatori. Per ultimo, come argomento core, abbiamo il mood verso le giovani generazioni, per dirla in parole povere, il governo cinese vuole farsi apprezzare dalle giovani generazioni e si vuole rendere disponibile ad ascoltarle. Pechino ha infatti paura che se dovessero scappare di mano le attese dello Shi San Wu si possa ripetere un’altra Piazza Tienanmen. Con le tecnologie mobili e digitali odierne sarebbe impossibile infatti la censura ad una nuova manifestazione di protesta giovanile (ancora ad oggi le cifre sono sconosciute, si parla tra i 7.000/12.000 morti) e soprattutto un intervento di contenimento non imbarazzante per la Cina a livello mediatico. Mediante questo ardito e pericoloso piano di riforme, la Cina stima di aumentare il suo PIL del 40% in cinque anni, passando dagli attuali dieci trilioni di dollari agli oltre quattordici previsti per il 2020. Il tutto generando anche circa cinquanta milioni di nuovi posti di lavoro (tre volte il numero degli italiani che oggi lavora) in appena cinque anni, passando pertanto da circa 775 milioni di lavoratori attuali ad oltre 825 milioni. Ovviamente queste sono le aspettative più rosee ed ottimistiche secondo Pechino. Da circa sei mesi abbiamo visto come anche a casa loro vi siano fosche nubi all’orizzonte. Sono decisamente numerose le investment house che manifestano giustificate perplessità riguardanti la bontà ed efficacia dello SHI SAN WU e di come esso sia decisamente troppo ottimistico. In tal senso dobbiamo leggere i moniti che arrivano dalle comunità finanziarie ovvero che se la Cina dovesse rivedere considerevolmente le proprie stime o si trovasse a gestire un deterioramento economico molto più accentuato, allora quel punto tutto il mondo verrebbe proiettato nel peggior scenario possibile: senza il volano cinese si fermerebbero i paesi emergenti, producendo un’instabilità finanziaria mai vista prima, senza dimenticare il contributo alla crescita di UE ed USA con una Cina zoppicante. I rischi di sistema a quel punto si amplificherebbero oltre misura e nessun asset (nemmeno l l’oro) sopravviverebbe senza alla nuova grande crisi mondiale. DELLA MORTE DELLE MURA Non penso serva essere un luminare per capire come i talk show nazionali organizzino i loro palinsesti quasi all’unisono con tematiche che vengono affrontate praticamente in parallelo da tutti usufruendo anche dello stesso parco ospiti nauseante che gira di trasmissione in trasmissione al pari di una caraffa di vino scadente tra i tavoli di qualche bettola di periferia. Abbiamo avuto in questo modo negli ultimi trimestri una programmazione televisiva su scala nazionale che si è concentrata sui rom, sui clandestini, sul patto del Nazareno, sulla eliminazione (fittizia) delle province, sulle occupazioni abusive di case a edilizia popolare, sul bail-in, sui recenti scandali bancari, sulle unioni civili e infine sulla importantissima e vitale questione per l’intera nazione (senza la quale la nostra economia non potrebbe sostenersi) della stepchild adoption. Ora se vi fermate a pensare è arrivato il turno in termini tematici dei pensionati italiani che si trasferiscono all’estero e fanno canalizzare il proprio vitalizio nel paese prescelto in quanto vivere in Italia non consente una vita decorosa a causa del costi quotidiani e della oppressione fiscale. Sta andando per la maggiore nei vari servizi dedicati a questo argomento prendere di mira il Portogallo o le isole Canarie, considerate le due location più gettonate dai nostri pensionati, i quali dopo averci pensato parecchio prendono e se ne vanno per sempre, alla ricerca speranzosa di quella che dovrebbe essere il sereno tramonto della propria esistenza. Questo fenomeno non è recente, si sta intensificando da anni, soprattutto a partire dal 2011 quando la fiscalità diffusa italiana ha conosciuto prima le grandi gesta di Monti seguite dai fasti ridondanti di Letta e Renzi. Oggettivamente sono veramente un numero tanto copioso quanto preoccupante i pensionati che se ne sono andati, tuttavia avrebbero potuto essere molti di più se non avessimo potuto contare sul penoso e morente mercato immobiliare italiano che ha fatto desistere tutti gli altri. Già perchè milioni di italiani vorrebbero andarsene da tempo, tuttavia non possono farlo a causa di una sconsiderata esposizione del loro patrimonio nei confronti del nostro mercato immobiliare. Nell’incapacità di smobilizzare i propri asset immobiliari causa stagnazione e declino oggettivo dell’appeal di questa tipologia di investimento, si è obbligati a rimanere in Italia nella speranza che arrivi un messia salvatore che faccia risorgere il valore di queste proprietà farlocco. Quelli più lungimiranti invece non si permettono il lusso di abbandonare i propri immobili sapendo i rischi che si corrono nel momento in cui inizia a circolare la voce che il proprietario non abita o presidia più l’immobile visto che si è trasferito all’estero. La sorpresa infatti al ritorno è quella di trovarsi l’immobile occupato abusivamente e sappiamo che cosa questo significhi e che oneri successivi produca. Italiani che pensano oggi di essere ancora benestanti per il solo fatto di avere patrimonio immobiliare nel loro paese ce ne sono a decine di milioni. Purtroppo per loro non hanno minimamente idea che cosa li aspetta. In precedenza ho parlato di scenario alla Detroit, richiamando per analogia il declino che ha avuto la storica capitale dell’industria automobilistica americana. Recentemente abbiamo avuto un timido segnale di inversione di tendenza riguardo al mercato immobiliare relativamente alla chiusura a consuntivo del quarto trimestre 2015 che ha evidenziato una modesta crescita del numero delle compravendite (abitazioni residenziali) sul 2014, favorita da una maggior facilità di accesso ai mutui grazie tanto alla stabilizzazione contrattuale conseguente l’entrata in vigore del Jobs Act quanto al pressing della BCE per favorire le operazioni di lending al mercato retail (soprattutto acquisti prima casa). Il prezzo al metro quadrato in misura generica invece non ha beneficiato di tale fenomeno, anzi. In talune aree del paese si è ulteriormente contratto. Non serve assere economisti o esperti del settore per comprendere quello che sta accadendo e che cosa accadrà nel prossimo futuro. Una consistente porzione delle persone che richiedono la mia assistenza e consulenza finanziaria sono tutti accomunati da un assetto patrimoniale in cui l’immobile risulta avere un peso strategico superiore anche al 75%. I valori di tali proprietà inoltre vengono ancora ad oggi quantificati ad un presumibile valore di realizzo che si distanzia anni luce dalla prima offerta concreta ”over the counter”. Sostanzialmente si crede di avere un appartamento che vale cento, quando invece magari il primo prezzo a cui si trova un acquirente credibile con capacità di funding è anche settanta o sessanta. Al momento attuale lo scenario è di continuo sconforto e continuo deterioramento proprio come a Detroit, a meno che non arrivi un nuovo governo capace di creare nuovamente interesse per questa tipologia di asset, andando a defiscalizzare e tutelare la proprietà da ogni punto di vista. Tuttavia gli ultimi tre governi hanno fatto esattamente l’opposto, senza dimenticare come quello attuale si sta preparando per dare il colpo di grazia. Mi riferisco alla nuova tassazione delle successioni e donazioni che abbasseranno abbondantemente i livelli di franchigia in linea retta (si parla di euro 500.000 o anche meno contro gli attuali euro 1.000.000) oltre al raddoppio (minimo) delle aliquote oggi applicate. Significa che ci saranno italiani in teoria benestanti sulla carta grazie al patrimonio immobiliare in capo ai genitori, i quali non saranno in grado di subentrare nell’asse ereditario per incapacità di liquidare le relative imposte a carico dell’asse ereditario post nuova riforma del Governo Renzi. Oppure si dovranno indebitare per sostenere tali oneri fiscali. Il tutto comunque per avere il titolo di proprietà di asset che non avranno mercato o che si trasformeranno nel tempo in limoni (nota teoria economica battezzata The Markets of Lemons ideata da George Akerlof). A riguardo vi è un intero capitolo dedicato all’argomento sul pamphlet Eurocracy. Non vi sono soluzioni facilmente praticabili ed accessibili, nel rispetto della legalità, per evitare questa nuova imposizione. Qualcuno potrebbe pianificare la successione mediante un trust familiare, sempre che vi siano le condizioni ed esigenze per istituirlo e non solo finalità elusive. Il mio consiglio è quello di liberarsi di quello che è in cancrena o che lo diventerà presto nei prossimi anni, capitalizzando se serve anche minusvalenze consistenti. Non prima però di aver effettuato un check-up preventivo con l’Agenzia delle Entrate sul prezzo convenuto con l’acquirente, visto che quest’ultima potrebbe successivamente contestarvi per presunzione oggettiva come non congruo il prezzo di vendita, abbondantemente (secondo loro) sotto i valori di presumibile realizzo e pertanto imputando al venditore la sottrazione a quota imponibile della differenza tra le due poste oggetto di contestazione. Capite ora perchè sempre più italiani si avvalgono del dispositivo dell’articolo 827 del Codice Civile ossia la rinuncia alla proprietà ed ai diritti reali di godimento trasferendo il tutto allo Stato e facendo tabula rasa con quello che pensavano un tempo rappresentasse una forma di ricchezza.