hardcore pawn,fear of wealth tax,il miglior investimento

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hardcore pawn,fear of wealth tax,il miglior investimento
HARDCORE PAWN
L’economia in senso lato può essere considerata come un
insieme di dottrine tra loro in competizione che si occupano
ognuno di descrivere ed analizzare l’utilizzo delle risorse
presenti in un determinato ambiente in cui interagiscono più
entità (persone, istituzioni, imprese) al fine di soddisfare
necessità tanto di natura individuale che collettiva. Proprio
per questa peculiarità, possiamo definire l’economia come una
scienza con un elevato risvolto sociale, se non addirittura
una scienza sociale de facto. Studiare l’economia significa
studiare le persone, capire che cosa le spinge a fare
determinate scelte di vita, quali bisogni primari e secondari
desiderano soddisfare per primi, che cosa li spaventa e che
cosa li attrae o li fa sognare. L’andamento dei mercati
finanziari, al di là di occasionali momenti di irrazionalità,
presuppone proprio questo assunto ovvero come il comportamento
dei consumatori, tanto emotivo quanto convenzionale,
rappresenti il principale driver della dinamica delle
quotazioni degli strumenti finanziari. Il modo in cui
spendiamo il denaro, per acquistare beni e servizi che
riteniamo soddisfino determinate nostre esigenze, diventa quel
generatore in grado di produrre tanto crescita economica
sostenibile quanto il formarsi di bolle finanziarie, a seconda
di come questa attività di consumo si manifesta e soprattutto
su chi sono i soggetti che consumano in relazione alle proprie
effettive disponibilità economiche. Per questo motivo chi
desidera effettuare previsioni di medio termine sul fronte
economico deve, in prima battuta, conoscere profondamente le
persone, la composizione e dinamica demografica del tessuto
sociale in cui è immerso, oltre alle aspettative di (presunto)
benessere che hanno le varie classi sociali che compongono una
specifica popolazione o una singola area macroeconomica.
Questa attività di studio può essere tanto di matrice
scientifica o teorica mediante la lettura di testi e manuali
di portata accademica, sempre più spesso fumosi e sterili,
quanto empirica ossia di approccio induttivo mediante anche la
semplice osservazione visiva. La crisi dei mutui subprime di
otto anni fa rientrava proprio in questa seconda casistica:
mentre docenti universitari e fanfaroni della politica si
nascondevano dietro a statistiche artefatte sostenendo che
l’economia statunitense era sana e sostenibile, altri
interlocutori con un approccio più empirico (analisti, gestori
di patrimoni, broker) ammonivano del crash finanziario che
stava dietro l’angolo, semplicemente osservando e contemplando
la loro realtà circostante. Sempre rispetto all’approccio
accademico ortodosso, oggi possiamo contare su dozzine e
dozzine di contenitori di informazione induttiva non
convenzionale come ad esempio alcuni reality e talk show che
aiutano a decifrare e categorizzare la composizione
demografica della società in cui siamo immersi. La televisione
americana (quella in chiaro) da questo punto di vista è una
miniera a cielo aperto con costi di accesso pari a zero. Tra
le tante trasmissioni televisive, che sono categorizzate come
trash tv, ossia televisione spazzatura, ve ne sono alcune che
a mio avviso dovrebbero essere seguite e studiate da tutti gli
aspiranti analisti economici e futuri economisti contro
corrente. Quella che seguo con maggior interesse ed anche
divertimento è Hardcore Pawn che va in onda su TruTV nella
televisione statunitense, ricevibile via satellite, oppure
visibile nella versione con traduzione italiana sul canale
DMAX. Una ulteriore alternativa è anche il canale digitale
spagnolo MEGA che ovviamente trasmette ogni puntata in lingua
spagnola.
Sostanzialmente si tratta di un reality show girato
all’interno della più grande casa di pegno di Detroit (ed
anche del mondo) denominata American Jewelry and Loan: la
versione italiana è stato ridenominata scherzosamente il Banco
dei Pugni. Questa trasmissione televisiva a mio avviso è molto
istruttiva proprio sul piano socioeconomico per chi studia
economia. Infatti consente di conoscere una realtà che si
trova a numerose migliaia di chilometri dal nostro Paese, una
realtà che purtroppo ci troveremo a vedere e vivere entro
massimo dieci anni proprio come se fossimo negli Stati Uniti.
Proprio come hanno proliferato in Italia le lavanderie a
gettoni in questi ultimi anni (di piena importazione
statunitense), allo stesso modo entro il medesimo spazio di
tempo vedremo nelle città italiane anche i pawn shop, i quali
sono tipologie di attività commerciali regolamentate che
ancora da noi non esistono ed in alcun modo possono essere
confuse con i monti di pietà che invece rimangono istituzioni
finanziarie a tutti gli effetti. Con il programma Hardcore
Pawn potete comprendere l’effettiva consistenza della società
americana e la sua deriva sociale di cui oggi la low class
people (la bassa borghesia) rappresenta il principale attore e
motore dei servizi di pegno. Chi si rivolge al pawn shop
solitamente è per la maggiore un afroamericano, un ispanico e
qualche volta un asiatico: in buona sostanza le maggioranze
etniche che oggi costituiscono più del 60% della popolazione
americana.
Le scene tratte dalla trasmissione in parte sono patetiche in
parte sono molto esaustive: potete vedere di tutto, da chi
porta il vecchio televisore a tubo catodico e pretende 100
dollari di premio (generalmente è sempre un afroamericano)
fino a chi offre in pegno gioielli di varia natura (di solito
ispanici) sostenendo con la solita frase di rito che li ha
ereditati dalla nonna o dalla zia. Il programma televisivo
mostra spesso anche momenti di tensione e contestazione tra i
proprietari e la clientela in merito al riscatto del bene
precedentemente dato in pegno o alla sua quantificazione
economica in caso di cessione in pegno. Le puntate più
avvincenti che ricordo sono quelle che hanno ripreso qualche
afroamericano che si è presentato in negozio con un presunto
avvocato (solitamente dalle sembianze asiatiche o ispaniche)
avanzando farlocche richieste di risarcimento, fantasiose
restituzioni della merce o addirittura minacciando a livello
fisico i proprietari del pawn shop qualora non restituissero
immediatamente quanto in precedenza consegnato in pegno. Il
negozio ovviamente è presidiato all’interno da vigilantes e
guardiani degni della stazza di Lennox Lewis che intervengono
prontamente quando il clima diventa incandescente e si rischia
la rissa tra titolari e clientela. Questo tipo di esercizio
commerciale, il pawn shop, al pari della lavanderia a gettoni,
è rappresentativo di un significativo deterioramento ed
impoverimento sociale: leggetevi questo mio precedente
redazionale per capire che cosa è accaduto a Detroit negli
ultimi vent’anni. L’America anticipa sempre tutti i paesi ad
economia avanzata, con una tempistica di circa due decenni. Si
tratta di aspettare ed il tutto lo vivremo anche noi italiani,
a dimostrazione di un continuo ed inesorabile processo di
impoverimento sociale che sarà intensificato ed accelerato
anche in conseguenza dell’invasione immigratoria pianificata
che si protrarrà ancora per diversi anni.
FEAR OF WEALTH TAX
Tradotto in italiano il titolo significa letteralmente paura
della patrimoniale. Andiamo per gradi: in queste ultime
settimane è aumentato esponenzialmente il numero di richieste
via email per conoscere lo stato di salute della propria banca
o per comprendere dove e come reperire informazioni
riguardanti la loro situazione patrimoniale. Anche se il tutto
si manifesta con un ritardo di oltre sei mesi se rapportato
alla entrata in vigore della BRRD (Banking Recovery &
Resolution Directive) possiamo in ogni caso comprendere il
comportamento ed atteggiamento dei lettori che oggi vivono più
che mai in piena isteria e sconforto le scelte di allocazione
bancaria per le loro disponibilità. Ne abbiamo avuto modo di
parlare anche in altre occasioni, fino a sei mesi chi è del
settore era perfettamente a conoscenza dello stato di salute
dell’industria bancaria italiana. Per dirla senza girarci
intorno, in eurozona dopo le banche greche ci sono quelle
italiane in qualità di grandi operatori istituzionali in
profonda e sempre più preoccupante sofferenza. Sostanzialmente
solo in questi ultimi sei mesi le comunità finanziarie si sono
rese conto dei rischi che corrono la maggior parte delle
grandi banche italiane e soprattutto anche i loro azionisti
che dal primo gennaio di quest’anno sono in trincea aspettando
il segnale per la ritirata. Oggi quella voce contabile, le
sofferenze bancarie, che rappresenta il bubbone finanziario a
cui non si è ancora dato una risposta efficace e credibile da
parte sia degli organi di governo e sia dalle stesse banche,
viene stimata oltre i 350 miliardi di euro in termini lordi.
Ricordo che ad inizio 2009, post fallimento Lehman Brothers,
tale posta ammontava a meno di 100 miliardi, lentamente in più
di cinque anni è più che triplicata. Stando alle svalutazioni
su crediti che hanno apportato i vari gruppi bancari in questi
ultimi 18 mesi l’importo scenderebbe in termini netti a poco
meno di 100 miliardi. Quindi significa che l’industria
bancaria italiana è esposta quantitativamente con la stessa
gravosità del 2009. Le svalutazioni di queste poste contabili,
lo ricordiamo per chi non è del mestiere, impattano
direttamente sui conti economici e patrimoniali degli istituti
di credito producendo inesorabilmente perdite su perdite. La
gestione caratteristica della banca (quindi l’attività
ordinaria tradizionale) magari è in grado di produrre un
risultato economico più che positivo, soprattutto a fronte di
nuovi piani industriali di rilancio e risanamento, il quale
tuttavia viene interamente o parzialmente eroso (a seconda
dell’istituto) una volta che vengono aggiunte anche le
svalutazioni di questi crediti, che rappresentano componenti
di reddito negativo. Oltre alle banche tradizionali abbiamo
adesso anche il circuito del credito cooperativo, il quale
incorpora di default gran parte delle anomalie e criticità che
si sono viste su due grandi banche nazionali non quotate ossia
Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Nel corso di
quest’anno sarà quasi inevitabile assistere ad altri episodi
similari.
Proprio su questo fronte si aprono le possibili ipotesi di
scenario: che tipo di ulteriori rischi possono attendere gli
azionisti, nonostante le pesanti correzioni delle quotazioni
di questi ultimi mesi ed a fronte dei primi episodi di bail-in
già sperimentato. Partiamo da questo assunto: quei 100
miliardi di cui sopra in qualche modo si dovranno
ridimensionare se non addirittura dimezzare ed anche piuttosto
velocemente, pena l’incapacità di riprendersi per sempre del
sistema bancario italiano. La soluzione che ora esiste, il
bail-in appunto, non può diventare la cura e terapia standard
a pioggia in quanto questo diventerebbe deleterio per l’intera
economia nazionale. Nessuno sottoscriverebbe più aumenti di
capitale di banche e soprattutto si creerebbero le condizioni
per un sell-off generale (già in corso) ma di portata e
dimensione ben maggiore che comprometterebbe ulteriormente la
solidità patrimoniale, ancorata anche al valore ed alle
quotazioni degli strumenti di capitale di rischio. Lo ricordo
ancora, in Veneto è andato in fumo circa il 10% del PIL della
regione in risparmi polverizzati costituenti il valore delle
vecchie azioni oggi sostanzialmente polverizzati. Inoltre la
percezione di debolezza e vulnerabilità delle banche italiane
anche e soprattutto da parte dei loro stessi clienti (i
correntisti) sta producendo una significativa contrazione
della raccolta diretta per le banche più a rischio e più
esposte alla denigrazione sul piano mediatico e giornalistico.
Non mi auguro che accada, tuttavia l’ipotesi di una
patrimoniale sui contribuenti volta a generare 50/60 miliardi
di euro necessari per la costituzione di un veicolo
istituzionali di garanzia (molto più che una semplice bad
bank) potrebbe rappresentare la soluzione più efficace ed
efficiente in ottica di medio periodo con la finalità di
stabilizzare le quotazioni, confortare i mercati e soprattutto
tranquillizzare la clientela. Significherebbe in sintesi
mettere mano al portafoglio della fiscalità diffusa, imponendo
ai contribuenti un prelievo coatto proprio su tutti i loro
depositi bancari che ad oggi sono stimati essere oltre i 1600
miliardi di euro (1.6 trilioni). Quindi si potrebbe gestire il
tutto con una patrimoniale una tantum (tuttavia con effetto
retroattivo al 31.03.2016) con un’aliquota di prelievo coatto
al 3 % (tre per cento) senza franchigia alcuna e per tutti e
soli i conti retail (conti di persone fisiche). In questo modo
potremmo recuperare subito almeno 50 miliardi di euro da
impiegare per la costituzione del nuovo fondo tampona
sofferenze. Si dovrebbe solo dialogare con le autorità
sovranazionali europee al fine di chiedere una sospensione
temporanea della BRRD (bail-in) per 12/18 mesi con lo scopo di
stabilizzare tutte le banche italiane. In tal senso infatti il
bail-in trova fondamento solo in caso di crisi bancarie
isolate ossia un singolo caso bancario, ma qualora la
patologia non sia specifica ma epidemica deve essere
sostituito con una misura propedeutica e prodromica alla
ricostituzione salutare dell’intero settore bancario.
IL MIGLIOR INVESTIMENTO
Quando mi capita di trovarmi all’interno di una conversazione
riguardante tematiche di natura economica, ad esempio durante
un conviviale, un meeting aziendale o una qualche celebrazione
istituzionale, immancabilmente in questi ultimi mesi il
contenuto del dialogo tra i vari partecipanti si spinge fino a
preoccupazioni correlate alle pensioni ed alla spesa per
l’assistenza sanitaria. In particolar modo su quest’ultimo
argomento si sprecano i commenti a sfondo negativo sulle
modalità in cui si espleta il servizio di assistenza da parte
delle varie istituzioni preposte in Italia volte ad offrire e
garantire la copertura sanitaria. Questo lo si percepisce
soprattutto se i soggetti con i quali si sta conversando sono
di età superiore ai sessantanni, per loro infatti tutto deve
essere sistematicamente dovuto ed anche ben fruibile. La quasi
totalità degli italiani non si rende conto che il nostro Paese
rappresenta ancora una oasi paradisiaca in tal senso,
nonostante i sempre più frequenti episodi di cronaca
ospedaliera ad esito drammatico. Solo chi lavora o vive
all’estero si rende conto che cosa significa andare a dormire
la notte sapendo di avere una qualche copertura sanitaria
(possibilmente integrale) per sé o la propria famiglia. Noi
italiani ormai siamo stati abituati troppo bene da questo
punto di vista, nel senso che tutto ci deve essere garantito,
sempre e comunque, costi quel che costi. Proprio qui si apre
un altro vaso di Pandora: i costi di assistenza sanitaria per
come questa viene erogata e fruita dalla sua popolazione
(nonostante le varie lamentele in stile italiano) sono
insostenibili finanziariamente nel medio periodo considerando
l’attuale fiscalità nazionale ed il costante deterioramento
dell’economia nazionale a cui si deve associare un aumento
progressivo della popolazione anziana (over 60) ed in
conseguenza gli oneri relativi a diagnosi, terapie, degenze e
cure.
Diamo alcuni numeri per quantificare il fenomeno, nel 2015 la
spesa sanitaria italiana si è attestata a 116 miliardi di
euro, nuovo massimo storico, in progressione lineare continua
da oltre dieci anni. Ad esempio nel 2000 si attestava a 67
miliardi, nel 2005 a 94 miliardi e nel 2010 a 112 miliardi:
sostanzialmente cresce di quasi due punti percentuali all’anno
nell’ultimo quinquennio, mentre prima superava abbondantemente
anche il 5% (per l’esattezza il 7% tra il 2000 ed il 2006). Il
peso in percentuale sull’economia nazionale di questa voce di
spesa è significativo, si attesta a quasi il 7% (6.9% per la
precisione) e solo dal 2009 è in lieve contrazione. Se
guardiamo i numeri dei partners europei scopriamo cifre in
taluni casi addirittura più elevate come ad esempio il 8% del
Regno Unito, il 9% di Francia e Germania o addirittura il 8.4%
degli USA. Naturalmente stiamo parlando di aggregati
abbastanza omogenei per la spesa nazionale in assistenza
sanitaria, che non contemplano invece la spesa privata, dove
quest’ultima per il nostro Paese è tra le più basse al mondo.
L’Italia spende infatti appena il 2% del PIL in spesa privata
per l’assistenza sanitaria, contro il 3% della Francia il 2.7%
della Germania o il 9% degli USA. La differenza principale dei
vari modelli di assistenza sanitaria è riconducibile alla
qualità e composizione della stessa spesa, in Italia ad
esempio si spende troppo poco in prevenzione sanitaria
rispetto ai competitors stranieri, dando per assodato
(erroneamente) che la sanità nel nostro Paese sia solo
riconducibile alla tempistica di fruizione ed alla sua assenza
di onerosità.
In estrema sintesi potremmo dire che l’approccio italiano alla
spesa sanitaria è piuttosto ortodosso ossia riconducibile a
quello che nell’immediato genera riverbero e tornaconto
elettorale, discriminando in tal senso altri capitoli di spesa
legati alla sanità stessa che potrebbero ottimizzare nel lungo
termine la dinamica e consistenza della stessa spesa sanitaria
come ad esempio le cure di nuova generazione o non
convenzionali. In aggiunta a tutto questo abbiamo purtroppo
anche le inefficienze ed i comportamenti infelici di spesa
poco virtuosi che caratterizzano gran parte dell’operato del
management italiano all’interno delle grandi aziende
ospedaliere e sanitarie. Il risanamento economico che attende
il Paese (volente o nolente) passerà anche per i conti della
sanità pubblica che dovrà ridimensionarsi negli anni a venire,
limitando il più possibile la fruibilità dei LEA (livelli
essenziali di assistenza), tranne i casi conclamati di
oggettiva emergenza medica. Su questo fronte, la maggior parte
degli italiani è completamente impreparata soprattutto a
livello psicologico a metabolizzare la trasformazione
(epocale) che avrà la sanità pubblica italiana. La strada che
si intravede in tal senso obbligherà anche gli italiani a
garantirsi determinate cure ed attenzioni mediche mediante il
ricorso a coperture assicurative mediche di matrice privata.
Sanità e pensioni sono queste le due macroaree di spesa
pubblica da cui si dreneranno prossimamente risorse
nell’audace tentativo di ridimensionare la pressione fiscale
nazionale in forza di una compressione della spesa pubblica,
quindi welfare in senso lato e rendite pensionistiche ossia
quello che per decenni abbiamo considerato intoccabile in
Italia.
Per questo motivo sono convinto che il miglior investimento
non convenzionale che si possa implementare sin da subito è
quello riconducibile ad un riassetto e ridefinizione del
proprio regime alimentare unitamente ad uno stile di vita il
meno sedentario possibile, mettendo al bando sin d’ora usi e
costumi anche di natura alimentare che nel lungo termine sono
pesantemente dannosi per il nostro organismo: fumo, alcol,
zucchero raffinato, neurotossine, farmaci invasivi ed alimenti
preconfezionati. Deve spaventare in tal senso l’allarme
lanciato dall’Osservatorio sulla Salute delle Regioni il quale
evidenzia come per la prima volta in Italia la speranza di
vita si sia abbassata, seppur di pochi mesi, in sostanza
invertendo un trend più che decennale, ad esempio per gli
uomini si passa da 80.3 anni di vita nel 2014 a 80.1 anni per
il 2015. Il tutto contrasta con le aspettative universalmente
assodate dell’opinione pubblica per la quale ci si aspetta
invece un continuo allungamento della speranza di vita. Regimi
alimentari ormai reputati sconsiderati, unitamente ad una
filiera industriale intensiva che spinge oltre misura per
ottimizzare solo il risultato economico complessivo in favore
della GDO ed un oggettivo peggioramento della qualità di vita
in molti contesti residenziali producono inevitabilmente un
contenimento della vita media, a fronte di nuove patologie sia
di portata cronica che invasiva. Entro i prossimi dieci anni
la salute personale diventerà un asset non tangibile molto più
rilevante rispetto al patrimonio finanziario in quanto non
saranno più scaricabili sulla fiscalità diffusa meccanismi e
protocolli di assistenza sanitaria che oggi diamo per
scontato, quasi ci fossero dovute. A quel punto chi non avrà
mezzi economici sufficienti per far fronte alle proprie
necessità medicali, comprenderà con ritardo il significato ed
il ruolo strategico della prevenzione, tanto per la sua vita
quanto per il suo conto in banca.
MOLLO TUTTO
In Italia si sta verificando ormai da oltre tre anni
un’autentica diaspora che coinvolge pensionati, imprenditori e
giovani ragazzi del nostro Paese. Proviamo a fare un focus su
questo fenomeno che è caratterizzato da una dimensione
progressivamente in crescita, questo soprattutto per
l’oggettiva incertezza che delinea ormai vivere, lavorare e
fare impresa in Italia. Riportiamo alcuni dati che ci
confermano la presenza di una consistente quota della
popolazione italiana all’estero, nello specifico stando alle
iscrizioni dell’Anagrafe Italiana dei Residenti all’Estero, vi
sono oltre 4,3 milioni di nostri connazionali, rappresentativi
del 7% della popolazione, che vivono in altri Paesi. Circa il
55% di essi ha scelto l’Europa continentale, quindi un Paese
geograficamente non molto distante dall’Italia, un 40% ha
preferito le Americhe, tanto il Nord quanto il Sud, ed infine
il rimanente 5% nel resto del mondo. E’ significativo
conoscere come circa il 10% della popolazione degli italiani
residenti all’estero siano pensionati, stiamo parlando di
oltre 470 mila persone che hanno un’età superiore ai 60 anni.
Le più grandi comunità di italiani all’estero le potete
trovare rispettivamente in Argentina, Germania e Svizzera,
mentre le regioni che hanno prodotto il maggior numero di
emigrati sono le regioni meridionali, con in testa la Sicilia
seguita a ruota da Campania e Calabria. Quale luce verde fa
scattare il desiderio di trasferirsi per sempre in un altro
Paese? Le motivazioni sono grosso modo riconducibili al
declino che caratterizza il nostro Paese in senso globale.
Chi parte e abbandona l’Italia è ormai consapevole di come
questa nazione non rappresenti più per antonomasia il Bel
Paese, con una classe politica allo sbando, un’economia
decadente priva di leadership, una tassazione vessatoria ormai
fuori controllo e una burocrazia insopportabile. A fianco di
questi argomenti che tutti quanto noi condividiamo si è andato
ad aggiungere anche la percezione di un futuro sempre più
cupo, il degrado culturale ed una disonestà ormai dilagante in
tutti i settori vitali del Paese. Chi sono gli italiani che
decidono di abbandonare il Titanic Italia? Li possiamo
dividere in tre grandi categorie, prima fra tutti quella dei
pensionati, persone anziane che devono scontrarsi con un costo
della vita costantemente in crescita, con una perdita di
potere d’acquisto e la consapevolezza che abbandonare il Paese
per andare a vivere in località più accoglienti sia dal punto
di vista climatico che dal punto di vista economico
rappresenta ormai una scelta obbligata, l’unica soluzione per
sopravvivere ed evitare di morire in povertà. Le mete
prescelte in questo caso individuano un insieme di Paesi che
hanno caratteristiche fra loro similari: condizioni climatiche
molto attraenti, convenienza economica data dal basso costo
della vita e presenza di altre comunità di italiani
pensionati. Ricordiamo inoltre che vi sono numerosi Paesi che
hanno iniziato il cosiddetto retirement marketing, ovvero la
propaganda nei confronti dei pensionati di tutto il mondo, in
particolar modo nei confronti di quelli delle economie
avanzate, per attirarli da loro attraverso benefici ed
incentivi. Tra questi troviamo Spagna, Cipro, Croazia,
Portogallo, Grecia e Malta per rimanere in Unione Europea,
mentre fuori dai confini comunitari hanno iniziato a diventare
molto competitive le offerte anche di Tunisia, Costa Rica,
Repubblica Dominicana e Thailandia.
In questi ultimi cinque anni sono diventati anche molto
interessanti per pensionati con rendite modeste, tra i 700 e i
1000 euro al mese, anche Kenya, Ecuador e Bulgaria, che
espongono tuttavia il pensionato ad altre criticità, non di
certo economiche. La seconda categoria di italiani che
emigrano è rappresentata dagli imprenditori nel senso lato del
termine, sono tanto professionisti quanto rappresentanti di
piccole e medie imprese che decidono di delocalizzare la
propria attività trascinandosi la famiglia ed i figli con un
unico mantra mentale, “ovunque, ma via dall’Italia”. Questi
soggetti prediligono Paesi invece che offrono il cosiddetto
marketing fiscale, ovvero una serie di incentivi soprattutto
fiscali molto invitanti per spingere l’imprenditore italiano a
chiudere la propria attività e trasferirla fisicamente nel
nuovo Paese in questione. Abbiamo da questo punto di vista
numerosi esempi di Paesi che si rendono disponibili per
attrarre imprenditori ed investitori, si va dall’Austria al
Marocco, dalla Serbia alla Turchia, dal Brasile all’Irlanda,
dalla Polonia agli Emirati Arabi Uniti (soprattutto Dubai) e
così via discorrendo, Paesi che si occupano di organizzare
degli autentici road show all’interno del nostro territorio
italiano, solitamente presso associazioni di professionisti o
invitando gli imprenditori a partecipare a presentazioni sulle
potenzialità offerte dal tal Paese in questione. Infine diamo
uno sguardo sulla consistenza e composizione della terza
categoria di italiani che decidono di abbandonare l’Italia,
che è composta da giovani laureati e giovani coppie appena
sposate le quali percepiscono un consistente ridimensionamento
della qualità e dello stile di vita, si rendono conto della
contrazione del mercato del lavoro e delle sue conseguenti
minori opportunità occupazionali e magari hanno una prole
molto giovane che consente loro di scegliere di abbandonare il
Paese senza per questo generare un trauma adolescenziale ai
propri figli.
Mollare tutto per trasferirsi in un altro Paese presuppone
anche delle criticità, e come cita simpaticamente il detto
inglese “life is not always strawberries and cream” (la vita
non è sempre panna e fragole), non è detto che abbandonando un
inferno come l’Italia si approdi magicamente in un qualche
paradiso. Infatti una delle principali criticità che
mediamente gli italiani, soprattutto di età adulta, incontrano
è quella legata alla lingua. Una modesta o assente conoscenza
della lingua del Paese in cui si desidera trasferirsi può
generare fenomeni di discriminazione o difficoltà di
inserimento sociale. In aggiunta a questo, ulteriori elementi
di criticità sono imputabili alla conflittualità e diversità
culturale, soprattutto nei confronti di Paesi africani, come
Tunisia, Marocco e Kenya o ai fenomeni di microcriminalità
praticamente diffusi ovunque in Paesi molto attraenti sul
piano climatico come quelli del Centro e Sud America. Infine
per tutti, tranne per i Paesi europei, permane un grande punto
di domanda, quello legato all’assistenza sanitaria. L’italiano
medio è abituato ad essere coperto a 360 gradi su tutto e per
tutto, nel momento in cui si abbandona l’Italia questo tipo di
protezione viene perduta. Per questo non è solo vivamente
consigliato, ma in alcuni Paesi addirittura obbligatorio,
stipulare una copertura sanitaria privata per far fronte alle
proprie future esigenze. Non esiste in estrema sintesi nessun
paradiso fuori dall’Italia, esistono Paesi che a fronte delle
singole personalità e soggettività possono proporre delle
aspettative di vita migliore per determinati ambiti e senza
eccellere in termini assoluti su tutti gli altri Paesi:
pertanto lo spirito di adattamento rappresenta una delle
principali virtù da possedere qualora si decida di
intraprendere questo nuovo percorso di vita.
ANCORA BOLLE
Ho partecipato di recente ad un workshop a Bologna di una
investment house inglese che proponeva la propria market view
sulle attese dei successivi mesi dell’anno relativamente
all’andamento dei mercati, alle dinamiche di rialzo dei tassi,
alle politiche monetarie delle principali banche centrali ed
anche alla presenza di rischi sistemici tutt’altro che
fantasiosi e poco convenzionali. Al di là dei contenuti di
spessore trattati, questa volta sono rimasto colpito come non
mai nell’osservare e scrutare gli altri partecipanti, per la
maggior parte promotori finanziari e consulenti finanziari.
Sostanzialmente oltre i ¾ di loro durante lo speech di
commento ed analisi che ha fatto il capo economista di questa
investment house erano intenti a bighellonare sui vari
smartphone o phablet che si erano portati appresso: vi era chi
smanettava su Facebook, chi giocava a qualche applicazione
colorata, chi chattava (di fianco a me) con l’amante (questo
lo penso io) o una sua variante, visto che quello che scriveva
era poco consono e pertinente ad un rapporto coniugale, per
finire a quelli che si scambiavano reciprocamente le foto di
quello che avevano mangiato durante il pranzo generosamente
offerto dalla casa di gestione inglese. Solo una piccola parte
dei presenti si poteva effettivamente dire attenta alla
narrazione ed ai temi proposti, di questo temo che se ne siano
accorti anche i relatori. Fate attenzione, perchè le persone
che bighellonavano nei socials o che giocavano tra di loro al
pari di una scolaresca in gita fuori porta sono anche i
consulenti che gestiscono i vostri portafogli o che vi
indicano come muoversi quando il mare più avanti sarà in
tempesta. Fortunatamente non sono tutti così, una parte
contenuta di loro era mentalmente presente all’evento ed anche
molto attenta.
Il contenuto tematico infatti esposto durante il workshop era
decisamente rilevante ed al tempo stesso anche preoccupante.
In buona sostanza il centro studi di questa investment house
rileva nell’immediato orizzonte la presenza di non pochi
elementi di vulnerabilità presenti su tutti i mercati
finanziari internazionali, partendo dalle valute, passando
alle azioni ed arrivando alle tanto agognate obbligazioni.
Appare assodato da questo punto di vista come l’anno in corso,
nonostante sia già iniziato male, possa produrre durante i
successivi trimestri ulteriori e pesanti contrazioni
riconducibili a fenomeni più endogeni che esogeni che mettono
in pratica quasi ogni universo di investimento in stato di
warning. Proviamo a fare un elenco esaustivo. L’estate che ci
attende si presenta già molto calda sul versante finanziario
in quanto troveremo in parallelo tanto la Brexit quanto una
rediviva Grexit, che ritornerà ad essere uno dei temi caldi da
ri-gestire per la coesione della moneta unica. Sappiamo già
che dopo il referendum inglese, ve ne saranno almeno altri due
similari in successione, quello danese e quello finlandese,
quest’ultimo molto più delicato vista l’appartenenza della
Finlandia all’Eurozona. Sulla periferia europea rimane
tutt’ora un’incognita senza soluzione ossia la Spagna che
ritornerà alle urne in Giugno. Sul fronte bancario abbiamo
tuttavia le maggiori esposizioni al rischio: in Italia non è
stato ancora identificata una soluzione definitiva (caso mai
provvisoria) per la gestione delle poste deteriorate, mentre
in Germania iniziano a sollevarsi preoccupazioni sulla
capacità di tenuta delle main banks a fronte delle garanzie
che hanno concesso all’export delle grandi aziende tedesche
verso l’Asia.
Lo si è ricordato in più occasioni ossia come al momento
attuale la maggior parte dei paesi europei sul versante
bancario non è in grado di far fronte ad un nuovo shock
finanziario di natura esogena in quanto la debolezza di molti
sistemi bancari è considerata al limite della loro stessa
sopravvivenza. In Asia, con la Cina in testa, abbiamo un
enigma: noi occidentali possiamo solo sperare che le autorità
di governo cinesi saranno in grado di sgonfiare lentamente,
senza procurare scossoni improvvisi, le due bolle riconosciute
ormai a livello mondiale, quella del debito aggregato e quella
immobiliare. Sempre in Asia, il Giappone di Abe Shinzo arranca
a fatica nonostante i mega interventi di politica monetaria
(mai varati da nessun altro paese al mondo) volti all’immane
tentativo di rilancio della propria economia internamente. I
paesi emergenti, tranne l’India, si trovano nella terra di
mezzo, se dovessero contrarsi più del previsto le economie di
USA, Europa e Cina, per loro si aprirebbero le porte di un
nuovo inferno economico. I due continenti al di là
dell’Atlantico non se la passano poi cosi tanto bene. In
America del Sud, abbiamo il Brasile in piena recessione con
l’attuale presidente, Dilma Roussef, ormai messo in stato di
accuso per lo scandalo finanziario di Petrobas (tramite il
dispositivo dell’impeachment), mentre al Nord gli USA che
sembrano per adesso in stato di salute stazionaria, tuttavia
con possibili ricadute nei mesi successivi per l’incognita
delle presidenziali e per la attestata diminuzione dei livelli
di profittabilità delle aziende americane. Il quadro
complessivo pertanto rimane di poco conforto e con possibili
cambi di scenario nel breve dall’impatto sostanziale sui
mercati e sulle principali asset class.
In questi termini le preoccupazioni maggiori si evidenziano
nei comparti di investimento obbligazionari sia per la
divergenze sul rialzo dei tassi da parte delle banche centrali
e sia per la vulnerabilità di alcuni settori tipicamente
emettitori di debito corporate come quello energetico
(industria dello shale oil) e quello bancario: le aspettative
in tal senso spingono ad una maggior e selettività degli
emittenti vista la possibilità che i tassi di default si
alzino significativamente durante la restante parte dell’anno.
Rimane una view in cui convergono sempre piu case di gestione
la preoccupazione di come gli andamenti di mercato siano
troppo e strettamente collegati solo alle politiche di
intervento straordinario delle grandi banche centrali ed i
loro strumenti di trasmissione delle stesse politiche
monetarie: in tal senso infatti si ritiene che nel futuro
(prossimi cinque anni) la probabilità che proprio le banche
centrali possano essere messe sul banco degli imputati per
aver innescato nuove bolle finanziarie appare molto
verosimile. Questo potrebbe produrre pertanto come conseguenza
un cambio di paradigma universale destituendo l’indipendenza
delle banche centrali e relegando queste ultime a mere
esecutrici di scelte di politica economica nazionale. Questo
significherebbe consentire ai governi del futuro di poter
gestire la politica monetaria a proprio piacimento in ottica
di pianificazione economica nazionale al pari di uno strumento
istituzionale come la fiscalità. Approccio lodevole e
costruttivo se e soltanto se le nuove classi dirigenti saranno
composte da personalità ed individui di spiccata capacità e
competenza. In caso contrario si assisterebbe a fenomeni di
destabilizzazione finanziaria e depauperamento economico su
scala nazionale molto simili a quelli vissuti da un paese che
da questo punto di vista ha fatto scuola per decenni,
l’Argentina.
THE MOBILE PAYMENT ERA
Entro il 2020 con grande presunzione dovrebbe scomparire per
sempre il contante (banconote e monete) almeno per quanto
riguarda le economie occidentali più avanzate: continuerà
tuttavia ad esistere il denaro circolante di natura cartacea
in paesi ancora arretrati o non allineati con le guide lines
degli organismi internazionali in tema di prevenzione, lotta e
contrasto alla criminalità organizzata, terrorismo
internazionale ed evasione fiscale. Le banconote saranno
presto un ricordo del passato, al pari di come oggi gran parte
del pubblico che si informa mediante la rete considera
dinosauri che ancora camminano ad esempio i giornali di carta
stampata. Nel 2000 una simile affermazione sarebbe stata
prosaica ed anche molto sfrontata, oggi rappresenta una
naturale evoluzione del mondo che stiamo vivendo. Pensate solo
come ha cambiato la vostra vita nel 2008 il dispositivo mobile
della Apple, iPhone, che la moltitudine di voi consulta
maniacalmente ed avidamente in centinai di momenti durante la
propria giornata. Non uso o posseggo i prodotti Apple, né
tanto meno li apprezzo, tuttavia li studio dal punto di vista
meramente socioeconomico in quanto rappresentano il nuovo che
avanza. I vari competitors di settore non fanno altro che
adeguarsi alle innovazioni ed alle mode lanciate dal gigante
di Cupertino. Vi siete mai chiesti a che cosa serve il nuovo
oggetto dei desideri ossia il iPhone 6 ?
Rispetto all’iPhone 5 vi sono sul piano tecnico, tutto
sommato, modeste migliorie che riguardano principalmente un
display piu grande di 0.7 pollici in senso diagonale (4.7
contro i 4.0 pollici del precedente modello), maggior
risoluzione grafica per le fotocamere integrate ed infine una
maggiore capacità di memoria. Ciò che invece rende questa
versione di smart phone una killer application è rappresentato
dalla sua predisposizione per i pagamenti NFC ed il Touch ID
ossia la lettura biometrica del pollice (in vero quest’ultima
caratteristica è presente anche nell’iPhone 5S). Con la sigla
NFC si suole definire la dicitura Near Field Communication
(tradotto in italiano sarebbe Comunicazione in Prossimità) che
rappresenta una tecnologia mobile in grado di fornire
connettività wireless bidirezionale a corto raggio (massimo
dieci centimetri). Sostanzialmente il NFC si basa su una
identificazione senza contatto per radio frequenza che
consente a due apparecchi, se accostati entro un raggio di
pochi centimetri, di potersi scambiare informazioni da
entrambe le parti. Il Touch ID rappresenta invece il nome del
lettore di impronte digitali di Apple presente in tutte le
versioni di iPhone 6 che consente di poter rilevare e
riconoscere fino a cinque impronte digitali fra loro diverse.
Solo iPhone 6 può consentire l’uso di Apple Pay, il metodo di
pagamento per dispositivi mobili che permette di effettuare
pagamenti presso terminali contactless (con tecnologia NFC).
Il Touch ID consente di autenticare ogni transazione
semplicemente appoggiando il proprio pollice, in sostituzione
di quella che un tempo era la firma per esteso sulla ricevuta
rilasciata da un terminale old style di pagamento. Questo modo
di pagare o forse bisognerebbe dire moda di pagare in Italia
non è ancora disponibile, mentre quasi tutto il mondo
anglosassone lo ha già adottato da tempo. Si stima che verso
la fine di quest’anno sarà finalmente disponibile anche nel
nostro paese. Già perchè la fine del contante non sarà
decretata da qualche legge o dispositivo normativo volto a
contrastare l’uso del contante, quanto piuttosto sarà una
nuova moda della società consumistica. Potete essere certi che
si farà a gara a mettersi in mostra per pagare in Italia con
la tecnologia di Apple Pay o con le varianti degli altri
competitors: Samsung Pay, Android Pay, Google Wallet e per
finire Paypal, che recentemente ha iniziato una massiva
campagna pubblicitaria in televisione al grido di la vecchia
moneta è fuori gioco, la nuova moneta detta le regole. A
nessuno verrà imposto di abbandonare il denaro contante, sarà
la moda trendy e social del momento che produrrà tale
trasformazione nelle modalità di pagamento nella società
attuale producendo in poco tempo la scomparsa del denaro
contante. Vi risulta che esista ancora qualcuno che usa le
cartine geografiche di carta stampata per orientarsi in una
citta ? Lo stesso avverrà per il contante in quanto chi si
presenterà alla cassa di qualsiasi esercizio con un
portafoglio scrauso con l’intento di estrarre qualche
biglietto di carta colorata verrà deriso o guardato come un
pezzente o peggio con sospetto dagli altri che avrà attorno.
Si arriverà anche a pensare per convenzione sociale (e qui i
talk show ci costruiranno settimane e settimane di
programmazione televisiva) che chiunque paghi con denaro
contante (sempre che sia ancora accettato proprio dagli
esercenti) sia un individuo dal profilo ambiguo, pericoloso o
controproducente: come mai questo qui vuole pagarmi in
banconote cartacee ? Da che cosa si deve nascondere ? Magari
questo denaro ha provenienza illecita ? Lascio a voi
continuare questo gioco di immaginazione. Non sono comunque
preoccupato in tal senso, purtroppo per i futuri pagamenti
della vita quotidiana mi dovrò anche io adeguare ai nuovi
costumi sociali magari utilizzando anche una semplice carta
ricaricabile contactless linkata a qualche conto corrente
online piuttosto che uno smartphone di ultima generazione. Il
rischio a cui stiamo andando incontro ha dimensioni e
ingerenze con la nostra vita infatti di portata
inimmaginabile. Se ora abbiamo astio e rivalsa per tutto il
settore bancario (costituito da diverse centinaia di operatori
istituzionali solo in Italia) visto quanto ha cagionato
all’economia reale in questi ultimi anni, che cosa potrà
succedere più avanti quando tutti i flussi di pagamento e le
diverse transazioni finanziarie quotidiane saranno per la
maggior parte canalizzate e gestite solo da pochi operatori
globali come: Apple, Samsung, Google, Facebook, Amazon, Paypal
e qualcuno potrebbe metterci dentro anche il circuito delle
cripto currencies. L’unica certezza che avremo sin da ora è
che per il 2020 il concetto di privacy rappresenterà un
diritto appartenete ad un passato ancestrale tuttavia non cosi
molto lontano e radicato nel tempo.
TO BE BANKABLE
Il nuovo scandalo finanziario a sfondo giornalistico
denominato Panama Papers sembra aver scoperchiato un nuovo
vaso di Pandora ed all’improvviso i mass media nazionali hanno
dato il via alla nuova caccia alle streghe. Come se ancora ad
oggi la maggior parte dei giornalisti non fosse a conoscenza
delle conseguenze ed aspettative messe in essere dall’entrata
in vigore ed a regime prima del FATCA negli USA e dopo del CRS
per i paesi OCSE. Il tutto naturalmente riguarda non tanto gli
operatori dell’informazione come diretti interessati quanto
piuttosto sia piccoli che grandi investitori, ed in taluni
casi, piccoli e grandi evasori. Ma andiamo per gradi e
proviamo a spiegarlo dal punto di vista tecnico quali sono le
ripercussioni dei due dispositivi normativi sopra citati. Il
FATCA, acronimo di Foreign Account Tax Compliance Act,
rappresenta una disposizione normativa a livello federale
degli Stati Uniti che obbliga i domestic taxpayers
(contribuenti) a dichiarare tutti gli assets che detengono
fuori dai confini statunitensi, inoltre viene fatto obbligo a
tutte le istituzioni finanziarie e bancarie, non statunitensi,
di rivelare al Dipartimento del Tesoro statunitense l’entità
dei clienti che detengono tali assets, sia per quantità che
per qualità. Lo scopo del dispositivo è scoprire, conoscere e
individuare la composizione di patrimonio di contribuenti
infedeli, loro li chiamano astute investors, che è sconosciuto
all’occhio vigile della loro tax authority.
Ora, noi italiani abbiamo svariate soggezioni e timori quando
riceviamo una lettera di colore verde o grigio chiaro
proveniente dall’Agenzia delle Entrate, pensando in prima
battuta che questa entità legale rappresenti l’atavico drago
sputa fuoco, la bestia famelica onnivora o la vecchia signora
con la falce. Potete ridimensionare abbondantemente queste
nostre paure ancestrali, in quanto se fossimo contribuenti
statunitensi avremmo a che fare con l’IRS (Internal Revenue
Service) di gran lunga un mostro dalle dimensioni ed
aggressività inimmaginabili. Considerate che mediamente un
cittadino americano preferisce aver a che fare con la NSA
(National Security Agency) o con il Federal Bureau of
Investigation (FBI) piuttosto che affrontare l’IRS (anche a
causa dell’aspetto penale che ha l’evasione fiscale negli
USA), i cui poteri e capacità di penetrazione nella loro sfera
personale sono molto simili a quelli di Ra, il Dio Sole
nell’antico Egitto. Il FATCA è molto invasivo anche per le
istituzioni finanziarie e bancarie, molte delle quali negli
anni passati hanno deliberatamente estinto posizioni o conti
di investimento di clientela statunitense pur di non aver a
che fare con il Dipartimento del Tesoro degli USA (per la
precisione la Sezione denominata International Tax Affairs).
Pensate che oltre diecimila americani (negli ultimi quattro
anni) hanno rinunciato alla cittadinanza americana, avendone
ovviamente una seconda, pur di rompere i ponti con le autorità
fiscali statunitensi: il più famoso di tutti è il Sindaco di
Londra, Boris Johnson, nato a Manhattan (New York) da genitori
britannici.
Il FATCA non è una novità, è stato approvato dal Congresso
alla fine del 2010 ed a inizio 2014 era praticamente adottato
da quasi tutti i principali paesi partners degli USA (l’Italia
lo ha recepito il 10 Gennaio 2014 e lo ha implementato dal 17
Agosto 2015, in ogni modo il più lento tra tutti gli stati
occidentali). Non lo hanno ancora adottato, e ovviamente non
dovrebbero farlo, quasi tutti gli stati africani (tranne
Algeria e Sudafrica), Bolivia, Argentina, Russia, Iran,
Pakistan ed Afghanistan. Il FATCA ha fatto da apripista,
infatti gli USA generalmente sono avanti dieci anni rispetto a
tutti su qualsiasi questione. Bastava infatti aspettare. Nel
Settembre 2014, infatti, il G20 tenutosi in Australia, su
istanza dell’OCSE, ha formalizzato e approvato la messa a
regime del CRS, acronimo di Common Reporting Standard,
volgarmente tradotto per i poveri italiani con le modalità di
scambio spontaneo tra le nazioni aderenti all’OCSE di
informazioni finanziarie e fiscali. Sostanzialmente da inizio
2015 tutti i 34 paesi aderenti all’OCSE comunicano su base
spontanea gli uni con gli altri attraverso le loro rispettive
tax authority e le diverse istituzioni finanziarie la
consistenza patrimoniale ed eventualmente anche i flussi di
reddito percepiti all’estero da un contribuente di un diverso
paese. Il CRS per le sue ambiziose aspettative è stato anche
ribattezzato GATCA ossia il Global Fatca. In pratica questo
significa che dal 2015 si può sapere tutto di tutti (a meno
che non siate russi, nigeriani o emiratini) sia sul versante
patrimoniale che reddituale. Il FATCA ed il CRS rappresentano
pertanto i due principali strumenti per contrastare sia
l’evasione fiscale su scala mondiale che la gestione di flussi
finanziari di provenienza illecita.
Sul piano pratico infatti che cosa è successo dal 2015 ?
Semplice, le banche dei paesi occidentali chiudono d’ufficio i
rapporti di provvista bancaria qualora non si siate in grado
di fornire una certificazione asseverata sulla vostra
regolarità fiscale o sulla comprovata provenienza ed origine
dei vostri fondi finanziari. Ne abbiamo già parlato in altri
post, per noi italiani entro due anni, tutto quello che si
troverà al di fuori dai confini dell’Eurozona (al di là di
specifici casi oggettivi) sarà rappresentativo di poste
finanziarie cosidette non bancabili (not to be bankable) o
canalizzabili. Sostanzialmente la banca in questione (che sia
tedesca, inglese, spagnola o maltese) non sarà disposta ad
aprirvi un rapporto di provvista bancaria e né tanto meno sarà
disposta a canalizzare quel denaro che si trova oltre confine,
al di fuori di quelli che possono essere motivazioni
giustificabili al di là di ogni ragionevole dubbio (beyond any
reasonable doubt). Italiani che in questi ultimi tre anni
hanno fatto come dicono gli americani gli “astute investors”
ve ne sono a decine di migliaia, soprattutto verso quei paesi
che si pensavano potessero essere “investment and foreigner
friendly”. Iniziate a preoccuparvi perchè è solo questione di
tempo: vi troveranno, è una certezza. L’unica incertezza è
quando. Abbiamo ormai l’imbarazzo per le mete prescelte
ovviamente sintomatiche di trasferimenti fittizi (pur di
scappare dalla ex moglie, dal fisco o dai creditori),
cominciando proprio con l’ormai inutile Panama, gli Emirati
Arabi Uniti, le Isole Cayman, Gibilterra, Liechtenstein, Hong
Kong, Monaco, Portogallo con Madeira e la vituperata Svizzera.
Entro due anni il vostro patrimonio dovrà essere bianco,
qualsiasi altro colore non potrà essere considerato to be
bankable, in altre parole sarà come non averlo proprio.
THE FIGHT BETWEEN GENERATIONS
Se provate a chiedere ad un vostro conoscente o collega quali
sono gli argomenti core in Italia che dovrebbero essere
oggetto di una ridefinizione o di un consistente riassetto
legislativo, sentirete in sequenza i seguenti: classe politica
ed organi costituzionali, corruzione dilagante, debito
pubblico e pubblico impiego. Nella maggior parte delle
casistiche raramente troverete qualcuno che inserisce anche la
spesa previdenziale ossia il sistema pensionistico e le
rendite che questo ogni anno paga. Si ha come una illusoria
percezione che le pensioni sono una sorta di tematica
intoccabile, quasi come una vacca sacra che nessuno si può
sognare di manipolare, contestare o modificare. Me ne rendo
conto molto bene anche quando mi capita di parlarne
all’interno di qualche palinsesto mediatico o qualche tavola
rotonda tra imprese e parti sociali quando mi permetto di
accennare alla necessità di un riassetto corposo ed invasivo
dell’intero apparato previdenziale, in quelle occasioni si
sollevano spesso anche critiche o denigrazioni piuttosto
pesanti o a sfondo poco edificante. Della serie toccate tutto
tranne che le pensioni. Proprio qui si infrangerà presto
l’illusione italiana nel senso che ancora ad oggi si dà per
scontato che la necessità di intervenire sulle rendite
pensionistiche possa essere procastinata ad infinitum.
Continuate a sognare e quando vi sveglieranno inizierete a
vivere presto un incubo. Provo a partire da lontano per far
comprendere questo tema e le sue implicazioni dirette per la
fiscalità nazionale.
Quante volte avete sentite all’uopo qualcuno in giovane età
dire tanto io non avrò la pensione o se ce l’avrò questa sarà
di importo talmente risibile che non mi consentirà ne di avere
una vita decorosa e né tanto un livello di sopravvivenza.
Eppure a queste esternazioni, manifestate quasi con uno stato
di mera rassegnazione, non corrispondono comportamenti
razionali atti a risolvere un significativo problema che si
dovrà sostenere nel futuro, praticamente certo. Per gli
italiani, anche quelli molto giovani, ho notato negli anni il
confidare quasi maternamente alle cure ed alle soluzioni che i
vari organismi di governo attueranno o proporranno, quasi come
se il problema della propria rendita pensionistica non fosse
un loro problema, ma piuttosto uno dello Stato o di qualche
organo costituzionale. Niente di più fuorviante ed aberrante.
Chi oggi ripone fiducia nello Stato e nelle sue varie
emanazioni sta vivendo di illusioni enfatizzate dai vari
cantastorie. Come vivrete da anziani e su che cosa potrete
effettivamente contare dipende esclusivamente da voi,
soprattutto se non siete boomers. Qui si deve aprire una
parentesi per spiegare il tutto e far comprendere la faida ed
il furto intergenerazionale che si sta perpetrando all’interno
della nostra popolazione (attenzione, il tutto non vale solo
per l’Italia, anche altre nazioni hanno dei driver similari di
andamento insostenibile della spesa pensionistica).
L’odierna popolazione in vita può essere suddivisa in cinque
classi di appartenenza per generazione di nascita. Quella più
anziana ed è la Greatest Generation chiamata così dal
giornalista americano Tom Brokaw, riferendosi a persone che
crebbero durante la Grande Depressione e combatterono anche
durante la Seconda Guerra Mondiale: stiamo parlando pertanto
di persone molto anziane che oggi, se ancora in vita,
potrebbero essere ultranovantenni o addirittura centenari. La
loro pensione è rappresentata dalla famiglia che si sono
costruiti, ed in ogni caso vista la loro età hanno altro a cui
pensare al momento. Dopo la Greatest Generation troviamo la
Silent Generation, ossia tutti coloro i quali sono nati tra il
1925 ed il 1945, pertanto persone che oggi sono decisamente
anziane in età avanzata, nate e cresciute in un secondo
momento storico molto difficile durante il secolo passato, la
fine di un conflitto militare e la successiva fase di
ricostruzione e stabilizzazione economica. A causa delle
difficili condizioni finanziarie del periodo in questione, i
tassi di natalità rispetto alla generazione precedente
subirono una consistente contrazione. Queste persone, che oggi
possono essere ottantenni o novantenni, hanno sempre riposto
grande fiducia nelle istituzioni e manifestato un grande senso
di appartenenza patriottica al loro Paese (pensiamo al ruolo
dei governi durante la ricostruzione postbellica). Dopo la
Silent Generation arriviamo alla Boomer Generation e qui
iniziano i problemi. Sostanzialmente sono tutte le persone
nate tra il 1946 ed il 1963, le quali hanno potuto contare su
una fase di prosperità e stabilità economica data dalla fine
di un conflitto militare su scala mondiale.
Questa generazione è caratterizzata da elevati tassi di
crescita demografica (per ovvie ragioni) ed anche a notevoli
contributi alla propulsione economica: richiesta di beni di
consumo, investimento in immobili e necessità di risparmiare
per consentire alla loro progenie di conseguire alti livelli
di formazione scolastica. A questa generazione ogni governo ha
dato ogni sorta di protezione: sociale, previdenziale,
assicurativa e medicale. Sostanzialmente la Boomer Generation
rappresenta la parte della attuale popolazione vivente che
vanta i migliori standard di fruizione dei rispettivi sistemi
di welfare. I modelli econometrici e previdenziali calcolati
per sostenere le pensioni a chi appartiene a questa
generazione sono insostenibili finanziariamente (non
esclusivamente per avverse dinamiche demografiche) e pertanto
si deve attingere a risorse finanziarie attribuite alle
generazioni successive le quali non si trovano ancora nelle
condizioni di potersi ritirare dal mercato del lavoro. Questa
generazione inoltre ha potuto anche contare sulle migliori
cure e modalità di assistenza sanitaria sempre a scapito di
quelle successive che hanno consentito un notevole
allungamento della speranza di vita. Dopo la Boomer
Generation, possiamo trovare la X Generation ossia chi è nato
tra il 1964 ed il 1980, e si è trovato a vivere in un mondo di
transizione, con la fine del comunismo e l’inizio del
turbocapitalismo. Solitamente questa generazione è considerata
disorientata sia in termini di valori che di identità
culturale per il delicato momento storico in cui è stata
catapultata in cui un mondo stava finendo ed un altro stava
iniziando.
Successivamente alla X Generation, troviamo la Y Generation
detta anche Millenial Generation, coloro i quali sono nati tra
i primi anni Ottanta ed i primi anni del nuovo Millennio. Per
loro la pensione sarà un enigma stando ai parametri di lettura
attuali ed alle più autorevoli proiezioni demografiche.
Chiudiamo con la Z Generation ovvero chi è nato in questi
ultimi dieci anni, i bambini appena nati con l’Ipad dentro la
culla: per loro la pensione sarà un enigma avvolto dentro un
mistero segregato all’interno di una cassaforte di cui nessuno
ha la chiave. Tornando tuttavia a noi, il fulcro di questo
post che richiama l’insostenibilità finanziaria delle attuali
rendite pensionistiche soprattutto, quelle dei boomers, ci
deve proiettare alle prossime (pianificate) operazioni di
finanza pubblica volte a tentare di riequlibrare le poste
contabili tra la Boomers Generation e la X Generation in modo
da poter arrivare sino al 2040 quando si presume che per
quell’epoca i boomers saranno ormai trapassati a miglior vita.
Stiamo parlando comunque di una revisione significativa delle
rendite che oggi vengono erogate, di cui conosciamo la
consistenza figurativa dei relativi montanti contributivi. La
gestione delle casse di previdenza pubbliche, senza le
prestazioni assistenziali, supera in Italia abbondantemente i
190 miliardi di euro ossia il 20% del bilancio dello stato
italiano. Molto presto la ridefinizione delle rendite
pensionistiche pregresse, quelle che si pensava fossero
intoccabili o diritti acquisiti, aprirà un altro vaso di
pandora e farà comprendere anche a chi ha oggi la pensione da
svariati anni che il suo vitalizio non è una questione dello
Stato o del Governo, ma esclusivamente un suo problema. Ed
anche la Z Generation a quel punto si troverà come la X
Generation in una nuova epoca di transizione in cui le
certezze dei padri diventeranno gli incubi dei nipoti.
SHI SAN WU
Con questo termine in Cina si è battezzato il tredicesimo
piano di sviluppo economico della durata quinquennale da parte
del Partito Comunista (rappresentato numericamente con la
scritta 13.5). Il Presidente Xi Jinping ed il Primo Ministro
Li Keqiang sono i due keymen di Pechino a cui è attribuibile
la propulsione economica attesa dallo Shi San Wu. Ne abbiano
già parlato anche in altri scritti, la Cina per il 2030
supererà di gran lunga gli Stati Uniti in termini di PIL: il
governo cinese ha varato un ambizioso piano di riforme
economiche volte a trasformare il Dragone Rosso entro cinque
anni in un’economia matura con crescita sostenibile generata
per la maggior parte da consumi interni. Sostanzialmente si
vuole portare equilibrio ai drivers di crescita cinese
incentrata per oltre quindici anni esclusivamente sulle
esportazioni della propria industria manifatturiera e sugli
investimenti infrastrutturali interni per grandi opere
pubbliche finanziate con un elevato ricorso al debito di
matrice statale oltre che aver dato spinta ed enfasi al
mercato delle costruzioni residenziali e ai mercati finanziari
cinesi, che ora sono accessibili (in parte) anche ad
investitori istituzionali esteri. Il costo del lavoro per
ovvie ragioni di contenimento delle tensioni sociali e per
consenso politico si è lentamente elevato in questi ultimi
anni, questo per consentire un tenore di vita più dignitoso
che a sua volta diventi promotore di una crescita dei consumi
interni che trova il suo fondamento proprio su un maggior
reddito netto disponibile.
Naturalmente questo fenomeno economico di lievitazione dei
costi di produzione diretti produce di pari passo una perdita
di competitività per le aziende cinesi che iniziano a trovare
più difficoltà a far assorbire il loro output produttivo in
misura preponderante solo da partner commerciali esteri. Da
questa consapevolezza e constatazione trova appunto il suo
fondamento lo Shi San Wu, il quale è strutturato in cinque
grandi macro aree di intervento strategico da parte del
governo cinese. Al primo punto del piano quinquennale troviamo
la ridefinizione della politica demografica che abolisce il
vincolo del figlio unico. Proprio a causa di questa
limitazione, adottata da Deng Xiaoping per sterilizzare la
pressione demografica prodotta dal Grande Balzo in Avanti di
Mao Tse Tung (ricordiamo l’aumento del 50% della popolazione
in due decenni da 600 a 900 milioni), la Cina oggi è diventata
una nazione con pericolosissimi squilibri demografici che già
oggi impattano in misura significativa sull’invecchiamento
(troppo precoce) della popolazione. Dare la possibilità di
avere un secondo figlio avrà sicuramente conseguenze proattive
sui consumi interni, pensiamo solo di che cosa hanno bisogno i
neonati e che cosa questo comporta durante il loro intero
percorso di crescita. Inoltre una famiglia cinese, sapendo di
poter contare su quattro braccia che lavorano per la loro
vecchiaia, si potrà permettere di diminuire la propria quota
di risparmio familiare (leggasi come la dote di un tempo per
il figlio unico) per dirottare parte dei risparmi invece verso
investimenti non tradizionali ad alto ritorno economico (come
ad esempio proprio la borsa).
Il secondo macro tema di intervento che si dovrà sviluppare è
rappresentato dall’accrescimento dei consumi interni
attraverso facilitazioni per il ricorso al credito al consumo
e l’innalzamento dei salari ed egli stipendi. La ratio è
quella di generare un circolo virtuoso per cui la perdita di
competitività delle esportazioni cinesi sarà compensata da un
maggior contributo alla crescita economica proveniente dalla
spesa interna per i beni di consumo. Attenzione, perchè questa
è tanto una scommessa quanto un azzardo ossia si deve
confidare che questo risultato effettivamente si manifesti
altrimenti le conseguenze in caso di insuccesso potrebbero
produrre conseguenze catastrofiche tanto sul piano sociale
quanto in quello finanziario. Il terzo tema dello SHI SAN WU è
rappresentato dal contrasto alla povertà nelle aree rurali in
cui ancora oggi sono presenti elevati differenziali rispetto
alle aree urbane in termini di stile e benessere di vita dei
nuclei familiari (un film del 1999 fa comprendere lo stato di
povertà di molte province cinesi, “Non uno di meno” del
regista Zhang Yimou). Andando avanti ancora troviamo il quarto
tema ovvero gli investimenti istituzionali per la produzione
di energia sostenibile, e questo è di vitale importanza a
seguito dei valori ambientali di invivibilità che hanno tutte
le grandi aree urbane cinesi. Per dare un elemento di giudizio
considerate che i nostri livelli di intolleranza sono 1/50 di
quelli che oggi caratterizzano i grandi agglomerati urbani
della Cina: si sta diffondendo sempre più la moda di vendere
lattine di aria compressa proveniente dal Canada o dall’Alaska
per le strade come se si trattasse di un ristoro per i
passeggiatori.
Per ultimo, come argomento core, abbiamo il mood verso le
giovani generazioni, per dirla in parole povere, il governo
cinese vuole farsi apprezzare dalle giovani generazioni e si
vuole rendere disponibile ad ascoltarle. Pechino ha infatti
paura che se dovessero scappare di mano le attese dello Shi
San Wu si possa ripetere un’altra Piazza Tienanmen. Con le
tecnologie mobili e digitali odierne sarebbe impossibile
infatti la censura ad una nuova manifestazione di protesta
giovanile (ancora ad oggi le cifre sono sconosciute, si parla
tra i 7.000/12.000 morti) e soprattutto un intervento di
contenimento non imbarazzante per la Cina a livello mediatico.
Mediante questo ardito e pericoloso piano di riforme, la Cina
stima di aumentare il suo PIL del 40% in cinque anni, passando
dagli attuali dieci trilioni di dollari agli oltre quattordici
previsti per il 2020. Il tutto generando anche circa cinquanta
milioni di nuovi posti di lavoro (tre volte il numero degli
italiani che oggi lavora) in appena cinque anni, passando
pertanto da circa 775 milioni di lavoratori attuali ad oltre
825 milioni. Ovviamente queste sono le aspettative più rosee
ed ottimistiche secondo Pechino. Da circa sei mesi abbiamo
visto come anche a casa loro vi siano fosche nubi
all’orizzonte. Sono decisamente numerose le investment house
che manifestano giustificate perplessità riguardanti la bontà
ed efficacia dello SHI SAN WU e di come esso sia decisamente
troppo ottimistico. In tal senso dobbiamo leggere i moniti che
arrivano dalle comunità finanziarie ovvero che se la Cina
dovesse rivedere considerevolmente le proprie stime o si
trovasse a gestire un deterioramento economico molto più
accentuato, allora quel punto tutto il mondo verrebbe
proiettato nel peggior scenario possibile: senza il volano
cinese si fermerebbero i paesi emergenti, producendo
un’instabilità finanziaria mai vista prima, senza dimenticare
il contributo alla crescita di UE ed USA con una Cina
zoppicante. I rischi di sistema a quel punto si
amplificherebbero oltre misura e nessun asset (nemmeno l
l’oro) sopravviverebbe senza alla nuova grande crisi mondiale.
DELLA MORTE DELLE MURA
Non penso serva essere un luminare per capire come i talk show
nazionali organizzino i loro palinsesti quasi all’unisono con
tematiche che vengono affrontate praticamente in parallelo da
tutti usufruendo anche dello stesso parco ospiti nauseante che
gira di trasmissione in trasmissione al pari di una caraffa di
vino scadente tra i tavoli di qualche bettola di periferia.
Abbiamo avuto in questo modo negli ultimi trimestri una
programmazione televisiva su scala nazionale che si è
concentrata sui rom, sui clandestini, sul patto del Nazareno,
sulla eliminazione (fittizia) delle province, sulle
occupazioni abusive di case a edilizia popolare, sul bail-in,
sui recenti scandali bancari, sulle unioni civili e infine
sulla importantissima e vitale questione per l’intera nazione
(senza la quale la nostra economia non potrebbe sostenersi)
della stepchild adoption. Ora se vi fermate a pensare è
arrivato il turno in termini tematici dei pensionati italiani
che si trasferiscono all’estero e fanno canalizzare il proprio
vitalizio nel paese prescelto in quanto vivere in Italia non
consente una vita decorosa a causa del costi quotidiani e
della oppressione fiscale. Sta andando per la maggiore nei
vari servizi dedicati a questo argomento prendere di mira il
Portogallo o le isole Canarie, considerate le due location più
gettonate dai nostri pensionati, i quali dopo averci pensato
parecchio prendono e se ne vanno per sempre, alla ricerca
speranzosa di quella che dovrebbe essere il sereno tramonto
della propria esistenza. Questo fenomeno non è recente, si sta
intensificando da anni, soprattutto a partire dal 2011 quando
la fiscalità diffusa italiana ha conosciuto prima le grandi
gesta di Monti seguite dai fasti ridondanti di Letta e Renzi.
Oggettivamente sono veramente un numero tanto copioso quanto
preoccupante i pensionati che se ne sono andati, tuttavia
avrebbero potuto essere molti di più se non avessimo potuto
contare sul penoso e morente mercato immobiliare italiano che
ha fatto desistere tutti gli altri.
Già perchè milioni di italiani vorrebbero andarsene da tempo,
tuttavia non possono farlo a causa di una sconsiderata
esposizione del loro patrimonio nei confronti del nostro
mercato immobiliare. Nell’incapacità di smobilizzare i propri
asset immobiliari causa stagnazione e declino oggettivo
dell’appeal di questa tipologia di investimento, si è
obbligati a rimanere in Italia nella speranza che arrivi un
messia salvatore che faccia risorgere il valore di queste
proprietà farlocco. Quelli più lungimiranti invece non si
permettono il lusso di abbandonare i propri immobili sapendo i
rischi che si corrono nel momento in cui inizia a circolare la
voce che il proprietario non abita o presidia più l’immobile
visto che si è trasferito all’estero. La sorpresa infatti al
ritorno è quella di trovarsi l’immobile occupato abusivamente
e sappiamo che cosa questo significhi e che oneri successivi
produca. Italiani che pensano oggi di essere ancora benestanti
per il solo fatto di avere patrimonio immobiliare nel loro
paese ce ne sono a decine di milioni. Purtroppo per loro non
hanno minimamente idea che cosa li aspetta. In precedenza ho
parlato di scenario alla Detroit, richiamando per analogia il
declino che ha avuto la storica capitale dell’industria
automobilistica americana. Recentemente abbiamo avuto un
timido segnale di inversione di tendenza riguardo al mercato
immobiliare relativamente alla chiusura a consuntivo del
quarto trimestre 2015 che ha evidenziato una modesta crescita
del numero delle compravendite (abitazioni residenziali) sul
2014, favorita da una maggior facilità di accesso ai mutui
grazie tanto alla stabilizzazione contrattuale conseguente
l’entrata in vigore del Jobs Act quanto al pressing della BCE
per favorire le operazioni di lending al mercato retail
(soprattutto acquisti prima casa).
Il prezzo al metro quadrato in misura generica invece non ha
beneficiato di tale fenomeno, anzi. In talune aree del paese
si è ulteriormente contratto. Non serve assere economisti o
esperti del settore per comprendere quello che sta accadendo e
che cosa accadrà nel prossimo futuro. Una consistente porzione
delle persone che richiedono la mia assistenza e consulenza
finanziaria sono tutti accomunati da un assetto patrimoniale
in cui l’immobile risulta avere un peso strategico superiore
anche al 75%. I valori di tali proprietà inoltre vengono
ancora ad oggi quantificati ad un presumibile valore di
realizzo che si distanzia anni luce dalla prima offerta
concreta ”over the counter”. Sostanzialmente si crede di avere
un appartamento che vale cento, quando invece magari il primo
prezzo a cui si trova un acquirente credibile con capacità di
funding è anche settanta o sessanta. Al momento attuale lo
scenario è di continuo sconforto e continuo deterioramento
proprio come a Detroit, a meno che non arrivi un nuovo governo
capace di creare nuovamente interesse per questa tipologia di
asset, andando a defiscalizzare e tutelare la proprietà da
ogni punto di vista. Tuttavia gli ultimi tre governi hanno
fatto esattamente l’opposto, senza dimenticare come quello
attuale si sta preparando per dare il colpo di grazia. Mi
riferisco alla nuova tassazione delle successioni e donazioni
che abbasseranno abbondantemente i livelli di franchigia in
linea retta (si parla di euro 500.000 o anche meno contro gli
attuali euro 1.000.000) oltre al raddoppio (minimo) delle
aliquote oggi applicate.
Significa che ci saranno italiani in teoria benestanti sulla
carta grazie al patrimonio immobiliare in capo ai genitori, i
quali non saranno in grado di subentrare nell’asse ereditario
per incapacità di liquidare le relative imposte a carico
dell’asse ereditario post nuova riforma del Governo Renzi.
Oppure si dovranno indebitare per sostenere tali oneri
fiscali. Il tutto comunque per avere il titolo di proprietà di
asset che non avranno mercato o che si trasformeranno nel
tempo in limoni (nota teoria economica battezzata The Markets
of Lemons ideata da George Akerlof). A riguardo vi è un intero
capitolo dedicato all’argomento sul pamphlet Eurocracy. Non vi
sono soluzioni facilmente praticabili ed accessibili, nel
rispetto della legalità, per evitare questa nuova imposizione.
Qualcuno potrebbe pianificare la successione mediante un trust
familiare, sempre che vi siano le condizioni ed esigenze per
istituirlo e non solo finalità elusive. Il mio consiglio è
quello di liberarsi di quello che è in cancrena o che lo
diventerà presto nei prossimi anni, capitalizzando se serve
anche minusvalenze consistenti. Non prima però di aver
effettuato un check-up preventivo con l’Agenzia delle Entrate
sul prezzo convenuto con l’acquirente, visto che quest’ultima
potrebbe successivamente contestarvi per presunzione oggettiva
come non congruo il prezzo di vendita, abbondantemente
(secondo loro) sotto i valori di presumibile realizzo e
pertanto imputando al venditore la sottrazione a quota
imponibile della differenza tra le due poste oggetto di
contestazione. Capite ora perchè sempre più italiani si
avvalgono del dispositivo dell’articolo 827 del Codice Civile
ossia la rinuncia alla proprietà ed ai diritti reali di
godimento trasferendo il tutto allo Stato e facendo tabula
rasa con quello che pensavano un tempo rappresentasse una
forma di ricchezza.