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Giordano Sivini Dispossession: il motore di una lunga crisi in Il ritorno dell’economia politica: Saggi in ricordo di Fernando Vianello, a cura di Giovanni Bonifati e Annamaria Simonazzi, Roma, Donzelli, giugno 2010, pp. 285-300. È opinione diffusa che il crollo dell'economia sia originato da una crisi, quella dei subprime, interna al sistema finanziario. Così, però, si limita lo sguardo alla voracità e all'ottusità delle banche e alle connivenze delle agenzie di rating nella produzione e circolazione di titoli basati sui mutui subprime, che si sono rivelati tossici. Spostando l'attenzione sui mutuatari e sulle ragioni delle loro insolvenze, si vede, invece, che, all’origine del blocco dell'afflusso di cassa delle rate di mutui che dovevano remunerare i titoli derivati da quei mutui, c’è una crisi sociale. Per affrontare il problema del rapporto tra questa crisi e quella finanziaria propongo di utilizzare il concetto di dispossession1, avanzato da David Harvey, uno studioso non economista. La liquidità finanziaria si riduce - dice Harvey - se viene investita in attività produttive che danno adeguati livelli di profitto, e questa condizione si verifica quando, con il concorso delle autorità politiche, vengono attuate forme di dispossession che svalutano capitale fisso e lavoro. Giovanni Arrighi, sociologo, sostiene invece che in ogni fase storica di espansione finanziaria, come quella attuale, il capitale liquido agisce per dispossession provocando un aumento della liquidità. Nel caso dei subprime, la dispossession riguarda i mutuatari, costretti a comprimere le condizioni di vita e ad ipotecare il reddito del lavoro futuro. L’accumulazione si materializza nei profitti dei settori edilizio e bancario e, attraverso i consumi, dell’intera economia, ma la mobilizzazione della liquidità è finalizzata ai rendimenti che gli investitori si attendono da titoli basati su mutui, che ne costituiscono le garanzie reali sottostanti. Da qui mi sono mosso, per un lavoro in fieri basato sull’ipotesi che negli ultimi trent’anni, per compensare il calo dei profitti, il capitale abbia sistematicamente operato con molteplici pratiche di Università della Calabria, [email protected] Dispossession è stato tradotto con ‘espropriazione’ in D. Harvey, La guerra perpetua, Il Saggiatore, Milano 2006; con ‘esproprio’ in D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, Il Saggiatore, Milano 2007; con ‘spoliazione’ in G. Arrighi, Adam Smith a Pechino, Feltrinelli, Milano 2007. 1 1 dispossession, dapprima finalizzate all’accumulazione poi, sempre più, all’espansione della liquidità. Su questo mi soffermo nell’ultimo paragrafo. Nel primo invece analizzo il sistema dei subprime come dispositivo di dispossession che ha agito sulla vita quotidiana2. Nel secondo tratto del sistema finanziario statunitense, per evidenziarne la potenza e il sostegno politico che riceve dal governo. Nel terzo riconfiguro il concetto di dispossession. I. I subprime I mutui subprime avevano cominciato a diffondersi sotto Clinton. Bush ne aveva fatto un pilastro di politica economica e di consenso, sollecitando le istituzioni finanziarie a realizzare, traendone profitto, l’inclusione differenziata dei ceti meno abbienti nel mondo dei consumi. Negli Stati Uniti è un procedimento possibile perché i meno abbienti sono schedati. Tre grandi compagnie private classificano tutti i consumatori in base alla loro storia finanziaria (redditi, entità e fonti dei crediti, puntualità nel rimborso dei debiti), e assegna a ciascuno un punteggio, che, riflettendo la sua credit history, si ritiene definisca il rischio di insolvenza. Vi si fa riferimento per qualsiasi tipo di finanziamento, dal prestito personale, alla carta di credito, al mutuo immobiliare. Se è inferiore a 620 punti il consumatore ricade nella categoria dei subprime; da 660 a 900 in quella prime; chi non è in condizione di essere valutato rientra nella categoria Alt A per la quale le condizioni possono essere oggetto di negoziazione. Con questi e altri dati personali, vengono preparate e vendute liste di nominativi con specifici profili. Sono definite trigger lists. Servono da ‘innesco’ a campagne di marketing ben mirate, persino relative a persone già indebitate «con propensione statistica ad acquistare nuovo credito nel giro di 90 giorni»3. Come dice William Brennan, un avvocato specializzato in abusi sui mutui, «nel nostro paese abbiamo una financial apartheid»4. A metà degli anni '90 i mutui immobiliari subprime avevano un valore complessivo di 90 miliardi di dollari; tre anni dopo il valore era raddoppiato; ed era aumentato il numero di agenzie che concedevano mutui. Con lo sgonfiamento della bolla tecnologica, le istituzioni finanziarie si sono riversate sul mercato della casa e sulla cartolarizzazione dei mutui immobiliari5. La loro 2 Il materiale di questo paragrafo è una sintesi di G. Sivini, “I mutui subprime e le attività predatorie del capitale finanziario negli Stati Uniti”, in Foedus, n.20, 2008, pp. 61-73. 3 R. Stone, "Bank Mine Data and Woo Troubled Borrowers", in New York Times, October 22, 2008. 4 T.L. O'Brien, “Lowering the Credit Fence; Big Players Are Jumping Into Risky Loan Business”, New York Times, December 13, 1997. 5 Congressional Research Service, The U.S. Financial Crisis: The Global Dimension with Implications for U.S. Policy, CRS Report for Congress, November 10, 2008. 2 attività era facilitata dal basso tasso di interesse, e dal fatto che le abitazioni aumentavano di prezzo anno dopo anno, stimolando l’indebitamento. I mutui subprime e quelli Alt A si diffusero rapidamente. Sul totale dei mutui immobiliari, erano il 9-10 per cento tra il 2001 e il 2003; salirono al 24 nel 2004, al 32 nel 2005, al 33 nel 2006, per scendere al 27 per cento nel 2007, quando si stava profilando la crisi. Li avevano sottoscritti un milione di persone fino al 2002, un milione e mezzo nel 2003, due milioni e duecento mila nel 2004, tre milioni e 300 mila nei due anni successivi. Bush annunciava l’avvento della ownership society6. In realtà, in gran parte dei casi i mutui non avevano a che fare con l'acquisto di immobili. Servivano a coprire precedenti mutui immobiliari e a far fronte a bisogni di denaro. «Indebitarsi con le proprie case è stato un modo sensato per riempire i buchi dei bilanci familiari»7. Con i mutui subprime e con altre forme di credito al consumo, le istituzioni finanziarie svolgevano una funzione ben remunerata di intervento sociale, nel vuoto di iniziative di governo. Nell'era di Bush, tra il 2000 e il 2007, l’indebitamento delle famiglie era passato da 5,5 a 11,0 trilioni di dollari8. Nel 2004 il mercato dei mutui cominciò ad incontrare difficoltà a causa dell'aumento dei tassi di interesse. Il prezzo delle case continuò però a salire, e gli istituti che li erogavano si impegnarono in campagne aggressive, confidando sul fatto che le insolvenze sarebbero state coperte dall'espropriazione degli immobili. «I mediatori passavano di casa in casa. Bussavano. Lasciavano lettere nelle cassette postali, chiamavano al telefono… Erano dappertutto»9. Si generalizzarono le pratiche di predatory lending, con allettanti condizioni di rimborso che prescindevano dalla solvibilità dei mutuatari. Negli 'stated income loans’, detti anche 'liars loans' (erano 'bugiardi' più della metà dei mutui subprime del 2006) non risultava il reddito dei mutuatari; nei 'nina' ('no income, no assets') loans non era indicato neppure il valore patrimoniale dell’immobile ipotecato. Il sistema più diffuso per la determinazione delle rate di mutuo - il 91 per cento dei casi nel 2006 - prevedeva rate fisse per i primi due o tre anni, e tassi di interesse variabili in quelle successive. Con i mutui balloon si pagavano solo gli interessi, mentre il rimborso del debito principale - il balloon, appunto - veniva rinviato alla stipula di un futuro nuovo mutuo. Penalità per i ritardi nei pagamenti e per l’estinzione anticipata del rapporto, tasse e costi di assicurazione venivano aggiunti fuori contratto. I mediatori erano premiati se facevano sottoscrivere mutui onerosi. «Gli interessi dei finanziatori e degli agenti erano allineati, nel senso che entrambi potevano beneficiare finanziariamente del collocamento di prestiti fatti a condizioni più elevate di quelle suggerite nei 6 D. Baker, "The Economy", Harper's Magazine, June 2007. E. Schloemer, W. Li, K. Ernst, K. Keest, Losing Ground: Foreclosures in the Subprime Market and Their Cost to Homeowners, Center for Responsible Lending, December 2006. 8 G. Soros, Cattiva finanza, Fazi, Roma 2008, p. 86. 7 3 prontuari»10. Su un subprime il mediatore riceveva una commissione del 1,88 per cento sul valore del mutuo, contro l’1,48 su un mutuo normale; la Century Financial Corporation, garantiva un premio del 2 per cento del valore del mutuo se gli interessi applicati ai mutuatari erano dell'1,25 per cento più alti della norma11. Greenspan, presidente della Federal Reserve, sapeva che le pratiche predatorie erano diffuse. Era stato sollecitato ad intervenire, ma si era corazzato dietro il principio del libero mercato 12. In un discorso aveva anche sottolineato che i consumatori americani traevano benefici dall'offerta di prodotti alternativi ai tradizionali mutui a tasso fisso. Era febbraio 2004, poco prima che facesse portare i tassi di interesse, in tempi successivi ravvicinati, dall'1 al 5,25 per cento, facendo lievitare a livelli insostenibili i tassi variabili13. Le persone indebitate furono costrette a dar fondo ad ogni sorta di risorse, proprie, di parenti e conoscenti, ma, sempre più spesso, il pignoramento delle case diventò inevitabile, e con il peggioramento della situazione economica, travolse anche i mutui prime, soprattutto quelli a tasso variabile. Dal 2006 l'andamento del mercato immobiliare si era invertito, e le banche non furono più in grado di contare sull'aumento del valore degli immobili per recuperare i crediti con le vendite all’asta. Le azioni legali, che erano state 400 mila nel 1993, sono diventate 700 mila nel 2004, un milione 300 mila nel 2006, un milione 650 mila nel 2007, due milioni 300 mila nel 200814. Tra il 2006 e il 2007 sono state espropriate due milioni di case, e altrettante erano state previste per il 2008 e 200915. Tra le cause di insolvenza, la principale (41,5 per cento) riguarda la contrazione del reddito familiare per la perdita di un posto di lavoro; pesano poi (38,4 per cento) altri eventi inattesi, dalla rottura delle relazioni familiari, alle malattie, ai decessi 16. Le conseguenze della espropriazione della casa sono drammatiche. «La perdita non riguarda solo il posto in cui si vive e, con esso, una parte significativa della propria ricchezza; riduce anche le capacità di contrarre nuovi prestiti e impedisce l’acquisto e persino l’affitto di una nuova 9 N. D. Schwartz,”Can the Mortgage Crisis Swallow a Town?”, New York Times, September 2, 2007. W. Apgar, A. Bendimerad, R.S. Essene, Mortgage Market Channels and Fair Lending: An Analysis of HMDA Data, Joint Center for Housing Studies, Harvard University, April 25, 2007. 11 R. Brooks, R. Simon, “As Housing Boomed, Industry Pushed Loans to a Broader Market”, Wall Street Journal, December 5, 2007. 12 P. Krugman, "A Catastrophe Forehold", New York Times, October 26, 2007. 13 Il rilievo sul comportamento di Greenspan è del senatore C. J. Dodd, nell’intervento introduttivo al U.S. Senate Committee on Banking, Housing and Urban Affairs on "Mortgage Market Turmoil: Causes and Consequences", March 22, 2007. 14 “Foreclosure activity increases 81 percent in 2008”, RealtyTrac.com, January 15, 2009. 15 Voluntary Loan Modification, Center for Responsible Lending, January 30, 2008. 16 Statement of J.M.Robbins, chairman of the Mortgage Bankers Association, before the Subcommittee on Financial Institutions and Consumer Credit, U.S. House of Representative, on “Subprime Predatory Lending”, March 27, 2007. 10 4 abitazione»17. Quando le famiglie espropriate sono costrette ad andarsene, le case, sempre più spesso invendute, rimangono abbandonate, e tutto il quartiere si deteriora. La crisi, in origine più acuta nelle aree in cui le minoranze nere ed ispaniche hanno maggior peso, si è estesa al ceto medio. Alle istituzioni finanziarie interessava che si facessero mutui per cartolarizzarli. Gli investitori «facevano pressioni per imporre costi più alti ai mutuatari, e chi erogava i prestiti rispondeva positivamente a queste pressioni»18. «Tassi di interessi più alti e oneri aggiuntivi nel caso di rimborsi anticipati generavano prezzi più alti quando i mutui venivano venduti»19. «I titoli subprime erano particolarmente appetiti dagli investitori, perché, dati i maggiori interessi che i mutuatari pagavano, erano più remunerativi dei prime, anche se i rischi erano maggiori»20. «Predisponendo i mutui per venderli rapidamente non si prestava attenzione al fatto che venissero rimborsati. I maghi della finanza rendevano facile il trasferimento dei rischi»21. Appunto per spalmare i rischi, i mutui provenienti da diverse fonti venivano assemblati in pools, che davano luogo a titoli, mortgage baked securities (MBS). Questi erano suddivisi in tranches (senior, mezzanine, equity), cui le agenzie di rating assegnavano valutazioni diverse, la più alta ai titoli senior, e via via calando a quelli delle tranches subordinate, in ordine inverso rispetto ai rischi in cui potevano incorrere nel caso si fossero assottigliati i flussi di denaro provenienti dai mutuatari. Più alti erano i rischi, più alti i rendimenti. In una situazione di grande liquidità, l’emissione dei titoli consentiva di rastrellare in continuazione nuovi fondi per accendere nuovi mutui. Le pratiche predatorie erano incentivate da questa sete di titoli. Fino a che i prezzi delle case crescevano, bastava pignorarle e metterle all’asta per recuperare le perdite. «Le insolvenze ed i pignoramenti erano stati accettati, anno dopo anno, senza che la reputazione dei titoli e le finanze delle banche venissero danneggiate»22. Quando si erano generalizzate le pratiche predatorie, le agenzie di rating avevano solo chiesto una migliore protezione degli investitori nella composizione dei pools e questo aveva generato un’ulteriore pressione sui costi che gravavano sui mutuatari subprime23. 17 Sheltering Neighborhoods from the Subprime Foreclosure Storm, Joint Economic Committee Special Report, 2007. Ivi. 19 K. C. Engel, P. A. McCoy, “Turning a Blind Eye: Wall Street Finance of Predatory Lending”, Fordham Law Review, vol. LXXV, 2007, p. 122. 20 V. Bajaj, R. Nixon, “Subprime Loans Going From Boon to Housing Bane”, New York Times, December 6, 2006. 21 F. Norris, “A Bad Loan by Any Other Name”, New York Times, November 23, 2007. 22 K. Eggert, Professor of Law, before the Subcommittee on Securities, Insurance, and Investments on “Subprime Mortgage Market Turmoil: Examining the Role of Securitization”, April 17, 2007. 23 Engel, McCoy, Turning a Blind Eye, cit., p. 119. 18 5 II. Le banche Negli anni '90, sotto la presidenza di Clinton, la finanza statunitense era stata deregolamentata24. Il Gramm-Leach-Bliley Financial Services Modernization Act (1999) aveva cancellato la separazione tra funzioni di deposito, di investimento, di intermediazione e di assicurazione, imposta nel 1933 alle banche dal Glass-Steagall Act a tutela dei risparmiatori. Era stato anche consentito loro di operare, indipendentemente dal rapporto tra patrimonio ed esposizione finanziaria, attraverso società fuori bilancio. Il successivo Commodity Futures Modernization Act (2000) aveva escluso dalla regolamentazione i titoli trattati fuori borsa. Sotto la presidenza di Bush erano state rallentate le attività delle agenzie preposte alla sorveglianza del sistema bancario, ed era stato consentito alle banche di investimento di regolarsi da sé. Per far approvare queste misure di deregolamentazione le istituzioni finanziarie avevano speso tra il 1998 e il 2008 oltre 5 trilioni di dollari, in contributi a esponenti politici e in attività ufficiali di lobbying; nel 2007 vi erano addette 3 mila persone25. In questo contesto Wall Street aveva concertato la trasformazione su larga scala dei mutui immobiliari in titoli, agendo tramite società appositamente costituite per gestire le operazioni fuori bilancio, le special purpose entities (SPE) o conduits. Avevano poi usato questi titoli come garanzia per altre attività, in particolare la commercial paper, realizzate ancora fuori bilancio. Tramite propri structured investment vehicles (SIV) facevano operazioni a breve, a basso tasso di interesse, per ottenere liquidità che investivano in titoli che davano interessi maggiori, e che garantivano la stessa commercial paper26. «Perchè non iscrivete in bilancio i SIV?», aveva chiesto il presidente del comitato per i Financial Services della Camera dei Rappresentanti all'amministratore delegato della Citigroup, una tra le più importanti banche commerciali. Gli fu spiegato che dovevano farlo per sostenere la concorrenza con le banche di investimento che non avevano il vincolo di commisurare l’attività all'entità dei depositi27. Per moltiplicare l'offerta, le tranches mezzanine ed equity delle MBS vennero riassemblate in pools, che, con l’aggiunta di strumenti di tipo assicurativo, dettero origine a collateralized debt obbligations (CDO), divise a loro volta in tranches (senior, mezzanine, equity) con diversi livelli di rischio. Reiterando questo processo vennero creati CDO al quadrato e CDO al cubo, nonchè CDO sintetici, composti da CDO e da CDS (credit default swaps). Si formò una piramide di titoli 24 T. A. Canova, "Legacy of the Clinton Bubble", Dissent, LV, n. 3, 2008. I passi della deregolamentazione e i costi sostenuti per ottenerla sono analizzati in "Sold Out: How Wall Street and Washington Betrayed America", www.wallstreetwatch.org, March 2009. 26 G. Morenson, J. Anderson, “Subprime Problems Spread Into Commercial Loans”, New York Times, August 15, 2007. 27 N.D. Schwartz, J. Creswell, "Searching for the cause of the crisis on Wall Street", International Herald Tribune, March 24, 2008. 25 6 sovrapposti, che facevano riferimento ad un stesso pool o gruppo di pools di mutui, e questi mutui erano la sola e sempre più remota attività sottostante i titoli, che avrebbe dovuto garantire il flusso di cassa che gli investitori si attendevano. I credit defaut swaps furono determinanti per consentire le operazioni di leverage con cui i titoli vennero moltiplicati. Sono strumenti che coprono i rischi di chi presta il denaro. Le istituzioni finanziarie che li emettono si accollano, dietro compenso, i rischi di deprezzamento e di insolvenza relativi a qualsiasi tipo di attività (debiti, azioni, valute, tassi di interesse, derivati). Circolano liberamente fuori borsa. «In una tipica relazione CDS, un hedge fund vende protezione ad una banca, che a sua volta la vende ad un'altra banca, e la relazione continua, spesso in circolo»28. «Un CDS può passare per 15 o 20 mani, e in caso di default, la parte assicurata non sa se chi è responsabile del pagamento ha le risorse per farlo»29. Nella situazione di crisi sono diventati «the world's largest casino»30. «What created this monster?»31, è la domanda del New York Times, a proposito dei derivati. Alan Blinder, già vice direttore della Federal Reserve, con un dottorato in economia all’MIT, aveva detto di averne solo una modesta comprensione; George Soros aveva deciso di non occuparsene, non riuscendo a capire come realmente operano; Warren Buffet li aveva definiti armi finanziarie di distruzione di massa. È ormai acquisito che i derivati sono una «Greenspan legacy»32. L’allora presidente della Federal Reserve aveva celebrato la loro libertà di movimento fuori borsa33, sostenendo le iniziative di un pugno di grandi banche di investimento, the big five. Con questi strumenti erano riuscite a far convergere su di esse gran parte dell’enorme liquidità esistente, promettendo alti rendimenti. Negli anni del boom immobiliare avevano realizzato per ogni dollaro investito 25 centesimi di profitto, metà girato ai propri dirigenti. Anche le banche commerciali si erano inserite in questo sistema e, assieme a quelle di investimento, avevano esteso la scala delle operazioni attraverso le società fuori bilancio, che agivano come intermediarie. Concedevano linee di credito garantite dalle attività da loro stesse intraprese, e producevano profitti senza esporre le banche col proprio capitale. Shadow banking system è stata definita la rete di SPE, SIV e hedge funds legati a queste grandi banche, con la City londinese come appendice, egualmente non sottoposta a controlli. 28 Wikipedia, Credit default swap. J. Morrisey,"Credit Default Swaps: The Next Crisis?", Time, March 17, 2008. 30 N. Varchaver, K. Benner, "The $55 trillion question", CNNMoney.com, September 30 2008. 31 N. D. Schwartz, J. Creswell, "What Created This Monster?", New York Times, March 23, 2008. 32 P. S. Goodman, “Taking Hard New Look at a Greenspan Legacy”, New York Times, October 9, 2008. 33 Cfr., p. es. “Remarks by Chairman Alan Greenspan on Corporate Governance”, at the 2003 Conference on Bank Structure and Competition, Chicago, May 8, 2003. 29 7 Il sistema è entrato in crisi quando la rovina di milioni di mutuatari ha alterato i flussi di cassa destinati agli investitori. «Ha funzionato bene fino a quando i titoli erano considerati sicuri e liquidi, il che assicurava che anche la carta commerciale e gli altri titoli emessi per finanziare i loro acquisti erano sicuri e liquidi»34. Poi c’è stato il crollo, con un effetto domino, che ha coinvolto la commercial paper e i money funds ad essa collegati, bloccando il credito a breve. Per i money funds, prima della stretta creditizia la regola era: «Vi do un milione di dollari domani, se me ne date 999 mila oggi», e ogni giorno venivano negoziati centinaia di miliardi di dollari. Dopo la stretta, «le banche sono state costrette a pagare tassi usurari per ottenere denaro. E anche in questo modo non riuscivano ad avere in prestito più di 50 o 100 milioni. Che nel nostro mercato è come niente. E' troppo poco. Le banche normalmente possono raccogliere miliardi in un batter d'occhio»35. Milioni di persone avevano perso la casa senza far notizia, quando, dopo una sequenza di eventi cui non venne dato gran peso, nella primavera del 2007 erano arrivati i segnali della crisi. Ci fu la bancarotta di una finanziaria specializzata in subprime e di due hedge funds della Bear Stearns, una delle cinque grandi banche di investimento. Questa, a sua volta, l’anno successivo venne salvata da JPMorgan, un'altra banca di investimento, che la acquistò con 29 miliardi di dollari avuti in prestito dalla Federal Reserve. Se fosse andata a picco avrebbe trascinato altre istituzioni, perchè deteneva CDS per 2,5 trilioni di dollari. Fannie Mae e Freddie Mac, due grosse imprese private controllate dal governo che si occupavano di erogare mutui immobiliari, vennero sottoposte a controllo governativo per evitare un fallimento coperto da CDS. Anche l'American International Group (AIG) fu salvato per prevenire le ripercussioni sui CDS che la grande compagnia assicurativa deteneva in tutto il mondo 36. Fallì nvece nel settembre 2008 Lehman Brothers, facendo deflagrare il sistema. Bank of America acquistò Merrill Linch, che era sull'orlo del fallimento. Con la chiusura di Lehman Brothers e l'assorbimento di Merrill Lynch, le banche di investimento si erano ridotte a due, Goldman Sachs e Morgan Stanley. Anch'esse, tuttavia, per sopravvivere, dovettero trasformarsi in banche commerciali, sottoponendosi ai controlli delle agenzie governative. Ebbero però il permesso di continuare per alcuni anni i loro abituali affari. Altri istituti bancari e finanziari, di dimensioni pi ridotte, chiusero o furono salvati dall'intervento pubblico. Il mondo della finanza venne travolto dagli strumenti che aveva creato e che aveva disseminato ovunque nel mondo. Nella situazione di bassi tassi di interesse e di credito facile le istituzioni finanziarie avevano guadagnato, facendo ampio ricorso all'indebitamento per collocare la larga messe di derivati presso una molteplicità di soggetti che, attratti dai rendimenti, li avevano 34 L.R. Wray, Lessons from the Subprime Meltdown, Levy Economics Institute, Working Paper no. 522L, p.13. A. Davidson, A. Blumberg, "The Week America's Economy Almost Died", npr, October 30, 2008. 36 G. Morgenson, "Behind Insurer's Crisis, Blind Eye to a Web of Risk", New York Times, September 28, 2008. 35 8 acquistati senza sapere di che cosa si trattasse. Si erano semplicemente fidati delle valutazioni delle agenzie di rating37. La crisi dei titoli subprime, pur costituendo una parte relativamente modesta del mercato finanziario globale, aveva alimentato una vasta spirale a causa dello stretto intreccio di relazioni debitorie tra i detentori e i gestori di capitali. Fino allora, la condivisione di principi esasperatamente fiduciari - in un contesto tuttavia segnato da concorrenzialità, scontri e invidie aveva consentito alle banche, con le loro SPE e SIV, i loro hedge funds e i loro fondi di investimento, di realizzare profitti in proprio e di espandere i rendimenti degli investitori. Adesso, sopportavano perdite per mutui che avevano finanziato e acquistato, e per titoli che detenevano; dovevano anche restituire il denaro preso in prestito per moltiplicare operazioni e profitti. La leva che avevano usato era 15 volte superiore al patrimonio nel caso delle grandi banche di deposito, e fino a 40 volte nel caso delle banche di investimento38. Gli investitori istituzionali si ritirarono, e vendettero i titoli in portafoglio per paura che svalutassero. Le azioni in borsa crollarono, provocando un effetto domino. Nei bilanci non solo vennero iscritte le perdite, ma anche svalutate le attività patrimoniali, perchè la regola mark to market imponeva fossero iscritte ai prezzi correnti di mercato. Al crollo della borsa contribuì il saccheggio operato da alcuni hedge funds con speculazioni allo scoperto su titoli di imprese che rischiavano di fallire. Le compagnie di assicurazione si trovarono nell'impossibilità di fornire alternative ai MBS e CDO diventati tossici con cui garantivano i CDS che avevano emesso. Bush e Bernanke, il presidente della Federal Reserve successore di Greenspan, si sono preoccupati di soccorrere il sistema bancario non per la funzione che dovrebbe svolgere nell'economia, ma per gli interessi che ad esso fanno capo. La Federal Reserve e il Tesoro, accettando anche titoli tossici a garanzia dei prestiti, hanno fornito liquidità non solo alle banche ma ad enti non bancari e non regolamentati che fino ad allora non avevano accesso alla banca centrale39. La liquidità creata non è stata condizionata alla ripresa dell'erogazione del credito. «È responsabilità del governo stabilire i termini e le condizioni per l'uso di questi soldi. Sono soldi della gente, ma sono dati senza vincoli», aveva rilevato David M. Walker, che un tempo era Federal Comptroller of the Currency. Il Comptroller in carica, John C. Dugan, aveva risposto: «Per i prestiti non è possibile imporre espressamente questi carichi [alle banche]; tuttavia l'economia lavora in modo tale che è loro interesse farvi fronte»40. 37 Sul ruolo delle agenzie di rating cfr. p.es. P. Dacrema, La crisi della fiducia, Etas, Milano 2008. “Morgan Stanley and Goldman: Lending is Dead. Long Live Lending", Wall Street Journal, September 22, 2008. 39 N. Roubini, “A Generalized Run on the Shadow Financial System", Nouriel Rubini's Global Economonitor, March 17, 2008. 40 L. Story, E. Dash, "Banks Are Likely to Hold Tight to Bailout Money", New York Times, October 17, 2008. 38 9 Il Tesoro, dopo la Pearl Harbour finanziaria della Lehman Brother, si era fatto attribuire dal Congresso poteri assoluti di spesa per 700 miliardi di dollari. Il piano prevedeva l’acquisto con fondi pubblici di titoli tossici dalle banche, i cui i bilanci sarebbero stati sgravati consentendone la ricapitalizzazione. Ma il piano non era stato ancora approvato, quando il segretario al Tesoro Paulson annunciò la sua reale intenzione: «Come prima cosa, metteremo il capitale nelle banche». Dopo l'approvazione, spiegò che formulare esplicitamente questa proposta avrebbe richiesto altro tempo, e che probabilmente il Congresso non l’avrebbe accolta favorevolmente41. Il suo obiettivo non era di mettere le banche in condizione di ristabilire prima possibile i rapporti con l'economia reale erogando crediti. Puntava invece su una ristrutturazione oligopolistica dell'intero sistema bancario42. Si trattava di «far emergere un pugno di grandi istituti globali capaci di occuparsi di un ampio spettro di affari insieme ad alcune imprese di consulenza per gli investimentidi borsa»43. Sulla scena sarebbero rimasti altri giocatori, hedge funds e fondi privati di investimento, poco regolati, per occuparsi di chi ha ingenti somme di denaro da far fruttare. Nell'era di Obama, Bernanke continua a lavorare per tutelare gli interessi del sistema finanziario. Il Presidente vi si rapporta tramite uno staff segnato dall'esperienza clintoniana, che non sembra preoccuparsi di limitare il dominio della finanza44. Nel luglio 2009 il New York Times annuncia: «Two Giants Emerge From Wall Street Ruins»: Goldman Sachs e JPMorgan45. III. Dispossession La frenesia speculativa ha alimentato la bolla edilizia e il circuito della cartolarizzazione dei titoli immobiliari, ma le attività sottostanti i titoli tossici hanno la concretezza dei mutui e dei mutuatari. Il mondo della finanza ha guadagnato finché l’aumento dei prezzi delle case è stato sostenuto dalla domanda di nuovi mutui, e il rifinanziamento dei mutui preesistenti ha supplito alle difficoltà dei mutuatari di far fronte ai debiti. Poi, la gente stremata ha cessato di alimentare profitti e rendimenti. La cartolarizzazione è stata celebrata come mezzo per aprire a strati sociali prima esclusi l'opportunità di accedere ad ogni sorta di consumi. Non è stata però pensata per questo, bensì per 41 J. Nocera, E.L. Andrews, "Struggling to Keep Up as Crisis Raced On”, New York Times, October 23, 2008. M. Landler, E. Dash, "Drama Behind a $250 Billion Banking Deal”, New York, Times, October 15, 2008. 43 J. Drew, C. Kang, N. Trejos, “Cultural and Structural Shifts Rise Out of Risk-Taking Titan’s Hard Fall”, Washington Post, September 21, 2008. 44 Cfr. p.es. M. Hirsh, “Wall Street dig in. The old system refuses to change. Is Obama getting the message?”, Newsweek, April 10, 2009. 45 G. Howley, “Two Giants Emerge From Wall Street Ruins”, New York Times, July 17, 2009. 42 10 accelerare l’indebitamento come fonte di guadagni. A fronte del credito che le istituzioni finanziarie erogano, sta il debito di chi lo riceve. Sul debito vengono caricati gli oneri della cartolarizzazione: profitti per le istituzioni finanziarie e rendimenti per coloro che investono in titoli. La vendita dei titoli mobilita la liquidità che serve ad erogare crediti per accendere nuovi mutui, e drenare risorse di altri mutuatari, in un processo che produce nuovi profitti per le istituzioni finanziarie e altri rendimenti per gli investitori. Il credito erogato sostiene l’attività immobiliare e la speculazione edilizia, e, più in generale, attraverso i consumi, la produzione interna e le importazioni. Quel che è accaduto con i mutui immobiliari succede con i mutui mobiliari. Analogamente, su scala più vasta e articolata, le carte di credito producono profitti e rendimenti. I loro tassi di interesse sono sensibilmente più alti per i consumatori subprime46. I crediti che derivano dal loro utilizzo vengono cartolarizzati, e generano flussi di denaro per chi emette le carte e per chi investe in asset backed securities (ABS) o in collateralized debt obbligations (CDO) derivate dalle ABS. Nelle strategie delle banche il rimborso è meno importante del permanere in attività delle carte47. «Il debito è un perpetual earning asset»48, aveva osservato nel 2005 il capo del consiglio del Comptroller of the Currency, A quel tempo 90 dei 135 milioni di detentori di carte non lo rimborsavano interamente; in media restavano pendenti 8 mila dollari49. Una famiglia giostrava con 13 carte di credito50. I titoli derivati dalle carte di credito sono meglio protetti di quelli basati sui mutui, soprattutto in conseguenza del diritto delle istituzioni finanziarie che le emettono di modificare ad libitum e a posteriori i tassi di interesse applicati ai detentori. Negli Stati Uniti «le carte di credito sono il solo prodotto il cui prezzo varia dopo che è stato acquistato. C’è qualche altro caso in cui, dopo l’acquisto, vi si chiede improvvisamente di pagare ancora?»51. Il Congresso del dopo Bush sta legiferando per regolamentare questo singolare privilegio. La strategia delle istituzioni finanziarie è di offrire per le carte di credito tassi di ingresso molto bassi, e di modificarli discrezionalmente nel tempo. Fanno anche ampio ricorso a pratiche predatorie. Il New York Times, a titolo di esemplificazione, ha citato il caso di una persona alla quale «ogni settimana per tre mesi sono arrivate offerte di carte di credito e di mutui per l’auto, che facevano esplicito riferimento alla bancarotta in cui era incorsa»52. 46 A fine 2008 era del 22,6 per cento per i subprime (indice di rischio tra 500 e 659), 15,28 per i prime (tra 660 e 759), e 10,77 per i super-prime (tra 760 e 850); un tasso "punitive" arrivava infine al 30 per cento. cfr. CardTrak. com 47 Il rimborso minimo mensile è del 2-2,5 per cento del debito. 48 G. Morgenson, "Given a Shovel, Americans Dig Deeper Into Debt", New York Times, July 20, 2008. 49 Frontline and The New York Times, "The Secret History of Credit Cards Teacher's Guide", pbs.org/Wgbh/page/... 50 F. Zakaria, "There is a Silver Lining", Newsweek, October 20, 2008 51 J.D. Scurlock, Maxed Out: Hard Times, Easy Credit, London, Harper Collins, 2007, p. 48. 52 B. Stone, "Banks Mine Data and Woo Troubled Borrowers", New York Times, October 22, 2008. 11 Nel 2007 c’è stato un milione di dichiarazioni di bancarotta, con una frequenza correlata con l'età. «Un segnale che la gente vive per anni in condizioni finanziarie stressanti, rinviando quanto più a lungo possibile il giorno della resa dei conti»53. Molti, prima di arrendersi davanti ai giudici, si indebitano a tassi che non sono usurai solo perché in diversi stati non esiste di fatto una soglia di usura. Ricorrono a payday loans, ottenendo quasi istantaneamente somme relativamente modeste da 100 a 2500 dollari - da restituire entro due settimane. Legali e non regolamentati, sono erogati da una rete diffusa di botteghe e siti internet dietro garanzia di cambiali con scadenza posticipata e di 'premi' corrispondenti a tassi di interesse annuo intorno al 400 per cento54. L. Randall Wray definisce money manager capitalism quello in cui i gestori del denaro, non trovando nell'economia reale occasioni per realizzare livelli accettabili di profitto, inventano sempre nuovi strumenti finanziari. Sottovalutando i rischi, finanziarizzano la vita quotidiana, «from credit card debt to subprime mortgages and from student loans to pork belly futures»55. L’occasione di avere beni di consumo in cambio di reddito differito funziona. Per strati sociali sempre più consistenti è il solo modo per continuare a campare. Un tempo i venditori facevano sconti pronto pagamento, ora premono per realizzare pagamenti rateali e vengono premiati dalle finanziarie. I mutui non sono più strumenti di rapporti di credito. Con la cartolarizzazione sono diventati strumenti di dispossession di redditi, per sostenere titoli che producono profitti e rendimenti. Le carte di credito sono supporti di mutui in continuo divenire, che hanno la stessa funzione. La speculazione che su quei titoli erige piramidi di altri titoli, allontana solo la visibilità del loro necessario radicamento in redditi presenti e futuri e in beni patrimoniali acquisiti con i redditi passati. Mutui e carte di credito sono componenti macroscopiche di una finanziarizzazione che agisce per la dispossession di questi redditi in ogni momento della vita delle persone. La liquidità che produce viene raccolta molecolarmente, e concentrata dal sistema finanziario, che lavora per espanderla. Alla finanziarizzazione sono sottoposte anche le imprese e gli stati. «Tutta la realtà può essere trattata nello spazio teorico e pratico della finanza»; in quanto «quota autonoma di ricchezza da cui ricavare flussi di rendimenti», deve essere protetta dal rischio, gestita e accresciuta56. David Harvey usa il termine dispossession per riferirsi ad una forma specifica di accumulazione, condizionata dalla svalutazione dei fattori di produzione, ridotti «a costo molto basso (in qualche caso a costo nullo)»57 dall’«infausta alleanza tra poteri pubblici e aspetti predatori 53 D. Thorne, E. Warren, T.A. Sullivan, Generations of Struggle, Public Policy Institute, June 1008. L. Christie,"A low, low interest rate of 396 percent", CNNMoney.com, March 3, 2008. 55 Wray, Lessons from the Subprime Meltdown, cit. 56 P.H. Dembinski, Finance servante ou finance trompeuse?, Parole et Silence, Paris, 2008, p. 86. 57 Harvey, La guerra perpetua, cit., p.125. 54 12 del capitale finanziario»58. La privatizzazione di imprese nazionali, la mercificazione di servizi pubblici, l’espropriazione e mercificazione di beni collettivi e comuni, l’abbattimento del costo del lavoro, sono tra le forme di dispossession che la rendono possibile. Questa forma di accumulazione, secondo Harvey, è diversa dalla riproduzione allargata, termine con cui definisce l’accumulazione che procede secondo la logica propria del capitale produttivo, nella sequenza di profitti e investimenti, con il credito funzionale ad essa. Con l’accumulation by dispossession verrebbe infatti mobilizzata a fini produttivi una liquidità che altrimenti rimarrebbe «inoperosa»59. Ad Harvey sembra sfuggire che questa mobilizzazione in realtà produce non solo profitti ma anche rendimenti, che ampliano la liquidità invece di ridurla. Sul suo ampliamento mette invece l’accento Giovanni Arrighi. Sostiene che, nella storia del capitalismo, ogni fase di espansione materiale - produttiva e commerciale - è seguita da una fase di espansione finanziaria, come quella attuale, in cui il capitale procede per dispossession realizzando massici processi di redistribuzione della ricchezza60. Rispetto a Harvey non solo la relazione tra accumulazione ed ampliamento della liquidità viene ribaltata, ma in questa diversa prospettiva non ci sono pratiche specifiche di accumulation by dispossession separate dalla riproduzione allargata. Una logica complessiva governa l'espansione della liquidità e l’accumulazione, svalutando capitale fisso e lavoro. IV. La finanziarizzazione L’emergere dell’autonomia degli interessi finanziari rispetto al capitale produttivo risale agli anni '70. L’ordine economico di Bretton Wood era stato caratterizzato dall’apertura al commercio e dalla convertibilità monetaria entro il sistema di cambi fissi legati al dollaro. Il movimento dei capitali era stato lasciato alle regolamentazioni nazionali, che vennero gradualmente allentate. In un vuoto regolamentare le banche avevano già creato l’eurodollaro e le eurodivise. Nel 1971, con l’inconvertibilità del dollaro, nacque un mercato dei cambi, e il loro tasso influì sul potere di acquisto delle monete nazionali, diventate attivi finanziari oggetto di speculazione61. Nel 1979 la Federal Reserve portò a livelli altissimi i tassi di interesse. Eurodollari e petrodollari fluirono a Wall Street, ponendo le basi della concentrazione del potere finanziario, sostenuto nell’espansione nel mondo dal governo statunitense e dal Fondo Monetario Internazionale. «Man mano che le barriere 58 Ivi, p.115. Ivi, p.125. 60 Cfr. Arrighi, Adam Smith a Pechino, cit., cap. 8. 61 Dembinski, Finance servante ou finance trompeuse?, cit., p. 36. 59 13 allo spostamento dei capitali venivano rimosse, i risparmi mondiali furono risucchiati dal centro e redistribuiti da lì»62. La liberalizzazione del movimento dei capitali si diffuse per contagio. I governi dei paesi sviluppati vi erano indotti dall’esigenza di affrontare la crisi fiscale. Esaurita la fase di espansione economica basata sul risparmio interno, sul moltiplicatore keynesiano, e sulle esportazioni, si rivolsero agli investitori di tutto il mondo per ottenere il finanziamento del deficit. Le politiche economiche vennero piegate alle condizioni di credito, con strategie interne di dispossession necessarie per sostenere i titoli di stato. Il Washington Consensus ha codificato queste strategie. Negli anni ’80 e ’90 l’aggiustamento strutturale è stato imposto ai paesi in via di sviluppo indebitati in maniera insostenibile a causa dell’aumento del valore del dollaro e del fallimento delle politiche interne di crescita. Nei paesi emergenti, la cui crescita stava avvenendo al riparo dalle sue incursioni, la finanza internazionale ha approfittato di circostanze a volte marginali per far esplodere il loro debito fino all'insolvenza, e per far intervenire il Fondo Monetario. Intere economie sono state svalutate e reinserite a prezzi di saldo nell'area di accumulazione globale. I governi hanno acceso nuovi prestiti per ripagare vecchi debiti rivalutati63. Le aree di accumulazione nazionale sono state così assorbite nell’area di accumulazione globalizzata. Si è sviluppata una intensa competizione interstatale per accaparrarsi i capitali mobili, e la disponibilità di forza lavoro a basso costo ha spostato verso l’Asia il centro manifatturiero mondiale. Le merci importate da qui a buon prezzo, e lo stimolo ai consumi determinato da bassi tassi di interesse, ha determinato negli Stati Uniti un’economia di lungo periodo che Soros definisce «superbolla»64, con ricorrenti periodi di effervescenza che hanno generato effetto ricchezza. «Crescita oggi nella speranza di crescita domani» è stata la politica del Tesoro e di Wall Street, fino alla crisi attuale. I dollari versati ai paesi asiatici per l’importazione di merci sono rientrati negli Stati Uniti, generando quantità enormi di liquidità, in parte assorbita da massici investimenti all’estero che hanno generato un boom produttivo. «Il capitale è stato attratto da raccapriccianti (ma quanto incantevoli!) tassi di sfruttamento del lavoro - in India, che sta emergendo come il back-office del mondo, ma soprattutto in Cina che è diventata la fabbrica del mondo, con i suoi 109 milioni di lavoratori della manifattura (nei paesi del G7 in tutto sono 53 milioni). Negli Stati Uniti il salario orario mediano nella manifattura è di 17,85 dollari. In Cina i lavoratori manifatturieri delle provincie costiere guadagnano 91 centesimi all’ora con tassi di produttività che stanno convergendo 62 63 Soros, Cattiva finanza, cit., p. 95. J.E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einaudi 2002, p.129. 14 con quelli statunitensi»65. Ma il boom produttivo non ha assorbito il boom finanziario. La liquidità alimentata dai dollari tornati alla finanza statunitense ha generato la cronica ricerca di collocamenti, di cui lo sviluppo dei titoli immobiliari e l’impennata delle materie prime sono le recenti manifestazioni speculative66. A partire dagli anni ’70, la liquidità è stata alimentata da rendite derivate dal controllo delle materie prime, dagli interessi generati dai prestiti ai governi e da quelli derivanti dalla disintermediazione bancaria, dai redditi da lavoro confluiti nei fondi pensioni e dei fondi mutui, dalla massa di profitti generati dallo sfruttamento della forza lavoro dei paesi asiatici, e da altri profitti non reinvestiti. Si tratta di liquidità che ha origine nella crisi di accumulazione, per la quale Harvey e Arrighi usano il termine di sovraccumulazione. La speculazione l’ha fatta espandere inventando attivi fittizi - plusvalenze e derivati. Operando in relativa autonomia dal sistema produttivo, il sistema finanziario ha impiegato questa liquidità per ottenere rendimenti consistenti. Dopo aver cercato di recuperare il calo dei profitti con la ristrutturazione industriale e con gli interventi di accumulation by dispossession di cui parla Harvey, i detentori di denaro hanno seguito gli obiettivi speculativi della finanza. La ricchezza fittizia che il sistema finanziario produceva, consentiva loro di avvantaggiarsi nella redistribuzione della ricchezza reale. Negli anni ’90 l’impiego della liquidità si è orientato massicciamente verso i titoli azionari. Per alzare i livelli di remunerazione, il loro calcolo non si è più riferito ai dividendi, bensì alle plusvalenze realizzabili comprando e vendendo titoli azionari. Questo ha modificato radicalmente gli obiettivi e la gestione delle imprese quotate in borsa, e, con essi, la loro stessa struttura. Prima di allora, quando la liquidità veniva investita in attività produttive, si fissava in titoli - obbligazioni e azioni - che rappresentavano parte del capitale reale. Gli investitori si attendevano dalle azioni dividendi commisurati ai profitti. Poi sono state le plusvalenze a muoverli, condizionati non dai risultati produttivi ma da aspettative e credenze di borsa, relative alla capacità delle imprese di generare ricavi futuri. «Non riuscire a conseguire almeno i tassi medi di rendimento industriale anche solo per pochi trimestri può portare alla cancellazione di contratti (…). In media i titoli azionari sono tenuti per appena un anno»67. 64 Soros, Cattiva finanza, cit., p. 93. R. Fitch, “In difesa di Washington e di Wall Street”, www.milanointernazionale.com. 66 R. Caballero, E. Farhi, P-O. Gourinchas, Financial “Whac-a-mole”: Bubbles, Commodity Prices, and Global Imbalances, Brooking Papers on Economic Activity, Fall 2008. 67 J. Crotty, “The Neoliberal Paradox: The Impact of Destructive Product Market Competition and ‘Modern’ Financial Markets on Nonfinancial Corporation Performance in the Neoliberal Era”, in G.A. Epstein, (a cura di), Financialization and the World Economy, Elgar, Cheltenham 2005, p. 92. 65 15 Per realizzare il ‘valore per l’azionista’ le grandi imprese non finanziarie, bersaglio privilegiato degli investitori, sono diventate «un fluido insieme di attivi, che i managers assemblano e dividono in funzione della valutazione dei mercati», come se gestissero un portafoglio di titoli continuamente ricombinati (filiali, linee di prodotti, tecnologie, mercati, beni intangibili)68. «Architetti del valore aggiunto», se ne appropriano in tutti i punti del sistema di impresa, fatta di centri di profitto sparsi nel mondo, che dirigono in tempo reale; usando il bastone della concorrenza e la carota del comando, prendono misure che si ripercuotono sui rapporti salariali interni al sistema, su una miriade di fornitori e distributori, e sui clienti, spinti alla fidelizzazione69. Le imprese quotate in borsa hanno puntato a rendimenti finanziari che andavano al di là del loro potenziale produttivo. Per alzare il valore azionario e pagare gli interessi sui debiti, in certi momenti hanno impegnato nel sistema finanziario più del 70 per cento del flusso di cassa70. «È evidente che quello che viene speso per acquistare azioni proprie, elargire stock options, distribuire dividendi e interessi, non è disponibile per investimenti produttivi, meno che mai per ricerca e sviluppo»71. Molti debiti sono stati fatti anche per riorganizzazioni, delocalizzazioni, esternalizzazioni, cessioni, chiusure di settori meno redditizi, fusioni ed acquisizioni, in modo da alzare il valore delle azioni in borsa, «in risposta ad una finanza che non chiede investimenti e progetti di lungo termine, ma solo rendimenti»72. Riduzione dei salari, licenziamenti, precarietà sono state le conseguenze. Il management ha fatto propri questi orientamenti non essendo remunerato in base ai risultati produttivi di lungo periodo bensì ai movimenti di breve periodo delle azioni. Le stock options, che costituiscono la parte principale della loro remunerazione, generano plusvalenze basate sulla differenza tra il prezzo che ha l’option quando viene distribuita e quello che ha al momento in cui viene esercitata. Al ‘valore per l’azionista’ hanno spinto anche i fondi pensione. I lavoratori che vi partecipano sono posti in una condizione di indifferenza rispetto alle pratiche di dispossession che colpiscono altri lavoratori, dal momento che la pensione dipende dai salari accantonati e dalle plusvalenze. Le piccole e medie imprese non quotate in borsa, guidate non dal valore azionario ma dai profitti, hanno dovuto adattarsi a questa situazione, comprimendo i costi, in primo luogo quello del lavoro. La finanziarizzazione della vita quotidiana delle persone, delle imprese, degli stati distrugge ricchezza. Questa distruzione non ha nulla a che vedere con la tesi schumpeteriana; non sostiene la 68 P.H. Dembinski, Finance servante ou finance trompeuse?, Parole et Silence, Paris 2008, p. 145. Dembinski, p. 157-63. 70 Crotty, The Neoliberal Paradox, cit., p. 99. 71 L. Gallino, Con i soldi degli altri, Einaudi, Torino 2009, p. 116. 72 M. Husson, “Finance, hyper-concurrence et reproduction du capital”, in S. de Brunhoff, F. Chesnais, G. Duménil, D. Lévy, M. Husson (a cura di), La finance capitaliste, PUF, Paris 2006, p. 217. 69 16 crescita rinnovando la tecnologia. Presenta, semmai, come fanno notare Harvey e Arrighi, alcuni tratti dell’accumulazione originaria. Marx tuttavia, al quale Harvey e Arrighi si riferiscono, intende per accumulazione originaria la sussunzione di relazioni che trasformano i mezzi di sussistenza e di produzione in capitale e i produttori in forza lavoro. La dispossession invece intacca la sfera di sussistenza e di riproduzione del proletariato quale si era configurata entro lo stato keynesiano - dal sistema di welfare alle imprese di pubblica utilità, agli spazi collettivi ancora non mercificati, ai salari. Facendo della svalutazione del capitale fisso e del lavoro la fonte di profitti e di rendimenti, la finanza peggiora ogni giorno di più le condizioni di vita nei paesi industrializzati. Alimenta una lunga crisi che ora si manifesta in maniera più acuta. 17