full text - Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

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Giordano Sivini
Dispossession: il motore di una lunga crisi
in Il ritorno dell’economia politica: Saggi in ricordo di Fernando Vianello, a cura di Giovanni
Bonifati e Annamaria Simonazzi, Roma, Donzelli, giugno 2010, pp. 285-300.
È opinione diffusa che il crollo dell'economia sia originato da una crisi, quella dei subprime,
interna al sistema finanziario. Così, però, si limita lo sguardo alla voracità e all'ottusità delle banche
e alle connivenze delle agenzie di rating nella produzione e circolazione di titoli basati sui mutui
subprime, che si sono rivelati tossici. Spostando l'attenzione sui mutuatari e sulle ragioni delle loro
insolvenze, si vede, invece, che, all’origine del blocco dell'afflusso di cassa delle rate di mutui che
dovevano remunerare i titoli derivati da quei mutui, c’è una crisi sociale.
Per affrontare il problema del rapporto tra questa crisi e quella finanziaria propongo di
utilizzare il concetto di dispossession1, avanzato da David Harvey, uno studioso non economista. La
liquidità finanziaria si riduce - dice Harvey - se viene investita in attività produttive che danno
adeguati livelli di profitto, e questa condizione si verifica quando, con il concorso delle autorità
politiche, vengono attuate forme di dispossession che svalutano capitale fisso e lavoro. Giovanni
Arrighi, sociologo, sostiene invece che in ogni fase storica di espansione finanziaria, come quella
attuale, il capitale liquido agisce per dispossession provocando un aumento della liquidità.
Nel caso dei subprime, la dispossession riguarda i mutuatari, costretti a comprimere le
condizioni di vita e ad ipotecare il reddito del lavoro futuro. L’accumulazione si materializza nei
profitti dei settori edilizio e bancario e, attraverso i consumi, dell’intera economia, ma la
mobilizzazione della liquidità è finalizzata ai rendimenti che gli investitori si attendono da titoli
basati su mutui, che ne costituiscono le garanzie reali sottostanti.
Da qui mi sono mosso, per un lavoro in fieri basato sull’ipotesi che negli ultimi trent’anni, per
compensare il calo dei profitti, il capitale abbia sistematicamente operato con molteplici pratiche di

Università della Calabria, [email protected]
Dispossession è stato tradotto con ‘espropriazione’ in D. Harvey, La guerra perpetua, Il Saggiatore, Milano 2006; con
‘esproprio’ in D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, Il Saggiatore, Milano 2007; con ‘spoliazione’ in G. Arrighi,
Adam Smith a Pechino, Feltrinelli, Milano 2007.
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1
dispossession, dapprima finalizzate all’accumulazione poi, sempre più, all’espansione della
liquidità. Su questo mi soffermo nell’ultimo paragrafo. Nel primo invece analizzo il sistema dei
subprime come dispositivo di dispossession che ha agito sulla vita quotidiana2. Nel secondo tratto
del sistema finanziario statunitense, per evidenziarne la potenza e il sostegno politico che riceve dal
governo. Nel terzo riconfiguro il concetto di dispossession.
I. I subprime
I mutui subprime avevano cominciato a diffondersi sotto Clinton. Bush ne aveva fatto un
pilastro di politica economica e di consenso, sollecitando le istituzioni finanziarie a realizzare,
traendone profitto, l’inclusione differenziata dei ceti meno abbienti nel mondo dei consumi.
Negli Stati Uniti è un procedimento possibile perché i meno abbienti sono schedati. Tre grandi
compagnie private classificano tutti i consumatori in base alla loro storia finanziaria (redditi, entità
e fonti dei crediti, puntualità nel rimborso dei debiti), e assegna a ciascuno un punteggio, che,
riflettendo la sua credit history, si ritiene definisca il rischio di insolvenza. Vi si fa riferimento per
qualsiasi tipo di finanziamento, dal prestito personale, alla carta di credito, al mutuo immobiliare.
Se è inferiore a 620 punti il consumatore ricade nella categoria dei subprime; da 660 a 900 in quella
prime; chi non è in condizione di essere valutato rientra nella categoria Alt A per la quale le
condizioni possono essere oggetto di negoziazione. Con questi e altri dati personali, vengono
preparate e vendute liste di nominativi con specifici profili. Sono definite trigger lists. Servono da
‘innesco’ a campagne di marketing ben mirate, persino relative a persone già indebitate «con
propensione statistica ad acquistare nuovo credito nel giro di 90 giorni»3. Come dice William
Brennan, un avvocato specializzato in abusi sui mutui, «nel nostro paese abbiamo una financial
apartheid»4.
A metà degli anni '90 i mutui immobiliari subprime avevano un valore complessivo di 90
miliardi di dollari; tre anni dopo il valore era raddoppiato; ed era aumentato il numero di agenzie
che concedevano mutui. Con lo sgonfiamento della bolla tecnologica, le istituzioni finanziarie si
sono riversate sul mercato della casa e sulla cartolarizzazione dei mutui immobiliari5. La loro
2
Il materiale di questo paragrafo è una sintesi di G. Sivini, “I mutui subprime e le attività predatorie del capitale
finanziario negli Stati Uniti”, in Foedus, n.20, 2008, pp. 61-73.
3
R. Stone, "Bank Mine Data and Woo Troubled Borrowers", in New York Times, October 22, 2008.
4
T.L. O'Brien, “Lowering the Credit Fence; Big Players Are Jumping Into Risky Loan Business”, New York Times,
December 13, 1997.
5
Congressional Research Service, The U.S. Financial Crisis: The Global Dimension with Implications for U.S. Policy,
CRS Report for Congress, November 10, 2008.
2
attività era facilitata dal basso tasso di interesse, e dal fatto che le abitazioni aumentavano di prezzo
anno dopo anno, stimolando l’indebitamento.
I mutui subprime e quelli Alt A si diffusero rapidamente. Sul totale dei mutui immobiliari,
erano il 9-10 per cento tra il 2001 e il 2003; salirono al 24 nel 2004, al 32 nel 2005, al 33 nel 2006,
per scendere al 27 per cento nel 2007, quando si stava profilando la crisi. Li avevano sottoscritti un
milione di persone fino al 2002, un milione e mezzo nel 2003, due milioni e duecento mila nel
2004, tre milioni e 300 mila nei due anni successivi. Bush annunciava l’avvento della ownership
society6. In realtà, in gran parte dei casi i mutui non avevano a che fare con l'acquisto di immobili.
Servivano a coprire precedenti mutui immobiliari e a far fronte a bisogni di denaro. «Indebitarsi con
le proprie case è stato un modo sensato per riempire i buchi dei bilanci familiari»7. Con i mutui
subprime e con altre forme di credito al consumo, le istituzioni finanziarie svolgevano una funzione
ben remunerata di intervento sociale, nel vuoto di iniziative di governo. Nell'era di Bush, tra il 2000
e il 2007, l’indebitamento delle famiglie era passato da 5,5 a 11,0 trilioni di dollari8.
Nel 2004 il mercato dei mutui cominciò ad incontrare difficoltà a causa dell'aumento dei tassi
di interesse. Il prezzo delle case continuò però a salire, e gli istituti che li erogavano si impegnarono
in campagne aggressive, confidando sul fatto che le insolvenze sarebbero state coperte
dall'espropriazione degli immobili. «I mediatori passavano di casa in casa. Bussavano. Lasciavano
lettere nelle cassette postali, chiamavano al telefono… Erano dappertutto»9.
Si generalizzarono le pratiche di predatory lending, con allettanti condizioni di rimborso che
prescindevano dalla solvibilità dei mutuatari. Negli 'stated income loans’, detti anche 'liars loans'
(erano 'bugiardi' più della metà dei mutui subprime del 2006) non risultava il reddito dei mutuatari;
nei 'nina' ('no income, no assets') loans non era indicato neppure il valore patrimoniale
dell’immobile ipotecato. Il sistema più diffuso per la determinazione delle rate di mutuo - il 91 per
cento dei casi nel 2006 - prevedeva rate fisse per i primi due o tre anni, e tassi di interesse variabili
in quelle successive. Con i mutui balloon si pagavano solo gli interessi, mentre il rimborso del
debito principale - il balloon, appunto - veniva rinviato alla stipula di un futuro nuovo mutuo.
Penalità per i ritardi nei pagamenti e per l’estinzione anticipata del rapporto, tasse e costi di
assicurazione venivano aggiunti fuori contratto.
I mediatori erano premiati se facevano sottoscrivere mutui onerosi. «Gli interessi dei
finanziatori e degli agenti erano allineati, nel senso che entrambi potevano beneficiare
finanziariamente del collocamento di prestiti fatti a condizioni più elevate di quelle suggerite nei
6
D. Baker, "The Economy", Harper's Magazine, June 2007.
E. Schloemer, W. Li, K. Ernst, K. Keest, Losing Ground: Foreclosures in the Subprime Market and Their Cost to
Homeowners, Center for Responsible Lending, December 2006.
8
G. Soros, Cattiva finanza, Fazi, Roma 2008, p. 86.
7
3
prontuari»10. Su un subprime il mediatore riceveva una commissione del 1,88 per cento sul valore
del mutuo, contro l’1,48 su un mutuo normale; la Century Financial Corporation, garantiva un
premio del 2 per cento del valore del mutuo se gli interessi applicati ai mutuatari erano dell'1,25 per
cento più alti della norma11.
Greenspan, presidente della Federal Reserve, sapeva che le pratiche predatorie erano diffuse.
Era stato sollecitato ad intervenire, ma si era corazzato dietro il principio del libero mercato 12. In un
discorso aveva anche sottolineato che i consumatori americani traevano benefici dall'offerta di
prodotti alternativi ai tradizionali mutui a tasso fisso. Era febbraio 2004, poco prima che facesse
portare i tassi di interesse, in tempi successivi ravvicinati, dall'1 al 5,25 per cento, facendo lievitare
a livelli insostenibili i tassi variabili13.
Le persone indebitate furono costrette a dar fondo ad ogni sorta di risorse, proprie, di parenti e
conoscenti, ma, sempre più spesso, il pignoramento delle case diventò inevitabile, e con il
peggioramento della situazione economica, travolse anche i mutui prime, soprattutto quelli a tasso
variabile. Dal 2006 l'andamento del mercato immobiliare si era invertito, e le banche non furono più
in grado di contare sull'aumento del valore degli immobili per recuperare i crediti con le vendite
all’asta.
Le azioni legali, che erano state 400 mila nel 1993, sono diventate 700 mila nel 2004, un
milione 300 mila nel 2006, un milione 650 mila nel 2007, due milioni 300 mila nel 200814. Tra il
2006 e il 2007 sono state espropriate due milioni di case, e altrettante erano state previste per il
2008 e 200915. Tra le cause di insolvenza, la principale (41,5 per cento) riguarda la contrazione del
reddito familiare per la perdita di un posto di lavoro; pesano poi (38,4 per cento) altri eventi inattesi,
dalla rottura delle relazioni familiari, alle malattie, ai decessi 16.
Le conseguenze della espropriazione della casa sono drammatiche. «La perdita non riguarda
solo il posto in cui si vive e, con esso, una parte significativa della propria ricchezza; riduce anche
le capacità di contrarre nuovi prestiti e impedisce l’acquisto e persino l’affitto di una nuova
9
N. D. Schwartz,”Can the Mortgage Crisis Swallow a Town?”, New York Times, September 2, 2007.
W. Apgar, A. Bendimerad, R.S. Essene, Mortgage Market Channels and Fair Lending: An Analysis of HMDA Data,
Joint Center for Housing Studies, Harvard University, April 25, 2007.
11
R. Brooks, R. Simon, “As Housing Boomed, Industry Pushed Loans to a Broader Market”, Wall Street Journal,
December 5, 2007.
12
P. Krugman, "A Catastrophe Forehold", New York Times, October 26, 2007.
13
Il rilievo sul comportamento di Greenspan è del senatore C. J. Dodd, nell’intervento introduttivo al U.S. Senate
Committee on Banking, Housing and Urban Affairs on "Mortgage Market Turmoil: Causes and Consequences", March
22, 2007.
14
“Foreclosure activity increases 81 percent in 2008”, RealtyTrac.com, January 15, 2009.
15
Voluntary Loan Modification, Center for Responsible Lending, January 30, 2008.
16
Statement of J.M.Robbins, chairman of the Mortgage Bankers Association, before the Subcommittee on Financial
Institutions and Consumer Credit, U.S. House of Representative, on “Subprime Predatory Lending”, March 27, 2007.
10
4
abitazione»17. Quando le famiglie espropriate sono costrette ad andarsene, le case, sempre più
spesso invendute, rimangono abbandonate, e tutto il quartiere si deteriora. La crisi, in origine più
acuta nelle aree in cui le minoranze nere ed ispaniche hanno maggior peso, si è estesa al ceto medio.
Alle istituzioni finanziarie interessava che si facessero mutui per cartolarizzarli. Gli investitori
«facevano pressioni per imporre costi più alti ai mutuatari, e chi erogava i prestiti rispondeva
positivamente a queste pressioni»18. «Tassi di interessi più alti e oneri aggiuntivi nel caso di
rimborsi anticipati generavano prezzi più alti quando i mutui venivano venduti»19. «I titoli subprime
erano particolarmente appetiti dagli investitori, perché, dati i maggiori interessi che i mutuatari
pagavano, erano più remunerativi dei prime, anche se i rischi erano maggiori»20.
«Predisponendo i mutui per venderli rapidamente non si prestava attenzione al fatto che
venissero rimborsati. I maghi della finanza rendevano facile il trasferimento dei rischi»21. Appunto
per spalmare i rischi, i mutui provenienti da diverse fonti venivano assemblati in pools, che davano
luogo a titoli, mortgage baked securities (MBS). Questi erano suddivisi in tranches (senior,
mezzanine, equity), cui le agenzie di rating assegnavano valutazioni diverse, la più alta ai titoli
senior, e via via calando a quelli delle tranches subordinate, in ordine inverso rispetto ai rischi in
cui potevano incorrere nel caso si fossero assottigliati i flussi di denaro provenienti dai mutuatari.
Più alti erano i rischi, più alti i rendimenti.
In una situazione di grande liquidità, l’emissione dei titoli consentiva di rastrellare in
continuazione nuovi fondi per accendere nuovi mutui. Le pratiche predatorie erano incentivate da
questa sete di titoli.
Fino a che i prezzi delle case crescevano, bastava pignorarle e metterle all’asta per recuperare
le perdite. «Le insolvenze ed i pignoramenti erano stati accettati, anno dopo anno, senza che la
reputazione dei titoli e le finanze delle banche venissero danneggiate»22. Quando si erano
generalizzate le pratiche predatorie, le agenzie di rating avevano solo chiesto una migliore
protezione degli investitori nella composizione dei pools e questo aveva generato un’ulteriore
pressione sui costi che gravavano sui mutuatari subprime23.
17
Sheltering Neighborhoods from the Subprime Foreclosure Storm, Joint Economic Committee Special Report, 2007.
Ivi.
19
K. C. Engel, P. A. McCoy, “Turning a Blind Eye: Wall Street Finance of Predatory Lending”, Fordham Law Review,
vol. LXXV, 2007, p. 122.
20
V. Bajaj, R. Nixon, “Subprime Loans Going From Boon to Housing Bane”, New York Times, December 6, 2006.
21
F. Norris, “A Bad Loan by Any Other Name”, New York Times, November 23, 2007.
22
K. Eggert, Professor of Law, before the Subcommittee on Securities, Insurance, and Investments on “Subprime
Mortgage Market Turmoil: Examining the Role of Securitization”, April 17, 2007.
23
Engel, McCoy, Turning a Blind Eye, cit., p. 119.
18
5
II. Le banche
Negli anni '90, sotto la presidenza di Clinton, la finanza statunitense era stata
deregolamentata24. Il Gramm-Leach-Bliley Financial Services Modernization Act (1999) aveva
cancellato la separazione tra funzioni di deposito, di investimento, di intermediazione e di
assicurazione, imposta nel 1933 alle banche dal Glass-Steagall Act a tutela dei risparmiatori. Era
stato anche consentito loro di operare, indipendentemente dal rapporto tra patrimonio ed
esposizione finanziaria, attraverso società fuori bilancio. Il successivo Commodity Futures
Modernization Act (2000) aveva escluso dalla regolamentazione i titoli trattati fuori borsa. Sotto la
presidenza di Bush erano state rallentate le attività delle agenzie preposte alla sorveglianza del
sistema bancario, ed era stato consentito alle banche di investimento di regolarsi da sé. Per far
approvare queste misure di deregolamentazione le istituzioni finanziarie avevano speso tra il 1998 e
il 2008 oltre 5 trilioni di dollari, in contributi a esponenti politici e in attività ufficiali di lobbying;
nel 2007 vi erano addette 3 mila persone25.
In questo contesto Wall Street aveva concertato la trasformazione su larga scala dei mutui
immobiliari in titoli, agendo tramite società appositamente costituite per gestire le operazioni fuori
bilancio, le special purpose entities (SPE) o conduits. Avevano poi usato questi titoli come garanzia
per altre attività, in particolare la commercial paper, realizzate ancora fuori bilancio. Tramite propri
structured investment vehicles (SIV) facevano operazioni a breve, a basso tasso di interesse, per
ottenere liquidità che investivano in titoli che davano interessi maggiori, e che garantivano la stessa
commercial paper26. «Perchè non iscrivete in bilancio i SIV?», aveva chiesto il presidente del
comitato per i Financial Services della Camera dei Rappresentanti all'amministratore delegato della
Citigroup, una tra le più importanti banche commerciali. Gli fu spiegato che dovevano farlo per
sostenere la concorrenza con le banche di investimento che non avevano il vincolo di commisurare
l’attività all'entità dei depositi27.
Per moltiplicare l'offerta, le tranches mezzanine ed equity delle MBS vennero riassemblate in
pools, che, con l’aggiunta di strumenti di tipo assicurativo, dettero origine a collateralized debt
obbligations (CDO), divise a loro volta in tranches (senior, mezzanine, equity) con diversi livelli di
rischio. Reiterando questo processo vennero creati CDO al quadrato e CDO al cubo, nonchè CDO
sintetici, composti da CDO e da CDS (credit default swaps). Si formò una piramide di titoli
24
T. A. Canova, "Legacy of the Clinton Bubble", Dissent, LV, n. 3, 2008.
I passi della deregolamentazione e i costi sostenuti per ottenerla sono analizzati in "Sold Out: How Wall Street and
Washington Betrayed America", www.wallstreetwatch.org, March 2009.
26
G. Morenson, J. Anderson, “Subprime Problems Spread Into Commercial Loans”, New York Times, August 15, 2007.
27
N.D. Schwartz, J. Creswell, "Searching for the cause of the crisis on Wall Street", International Herald Tribune,
March 24, 2008.
25
6
sovrapposti, che facevano riferimento ad un stesso pool o gruppo di pools di mutui, e questi mutui
erano la sola e sempre più remota attività sottostante i titoli, che avrebbe dovuto garantire il flusso
di cassa che gli investitori si attendevano.
I credit defaut swaps furono determinanti per consentire le operazioni di leverage con cui i
titoli vennero moltiplicati. Sono strumenti che coprono i rischi di chi presta il denaro. Le istituzioni
finanziarie che li emettono si accollano, dietro compenso, i rischi di deprezzamento e di insolvenza
relativi a qualsiasi tipo di attività (debiti, azioni, valute, tassi di interesse, derivati). Circolano
liberamente fuori borsa. «In una tipica relazione CDS, un hedge fund vende protezione ad una
banca, che a sua volta la vende ad un'altra banca, e la relazione continua, spesso in circolo»28. «Un
CDS può passare per 15 o 20 mani, e in caso di default, la parte assicurata non sa se chi è
responsabile del pagamento ha le risorse per farlo»29. Nella situazione di crisi sono diventati «the
world's largest casino»30.
«What created this monster?»31, è la domanda del New York Times, a proposito dei derivati.
Alan Blinder, già vice direttore della Federal Reserve, con un dottorato in economia all’MIT, aveva
detto di averne solo una modesta comprensione; George Soros aveva deciso di non occuparsene,
non riuscendo a capire come realmente operano; Warren Buffet li aveva definiti armi finanziarie di
distruzione di massa.
È ormai acquisito che i derivati sono una «Greenspan legacy»32. L’allora presidente della
Federal Reserve aveva celebrato la loro libertà di movimento fuori borsa33, sostenendo le iniziative
di un pugno di grandi banche di investimento, the big five. Con questi strumenti erano riuscite a far
convergere su di esse gran parte dell’enorme liquidità esistente, promettendo alti rendimenti. Negli
anni del boom immobiliare avevano realizzato per ogni dollaro investito 25 centesimi di profitto,
metà girato ai propri dirigenti. Anche le banche commerciali si erano inserite in questo sistema e,
assieme a quelle di investimento, avevano esteso la scala delle operazioni attraverso le società fuori
bilancio, che agivano come intermediarie. Concedevano linee di credito garantite dalle attività da
loro stesse intraprese, e producevano profitti senza esporre le banche col proprio capitale. Shadow
banking system è stata definita la rete di SPE, SIV e hedge funds legati a queste grandi banche, con
la City londinese come appendice, egualmente non sottoposta a controlli.
28
Wikipedia, Credit default swap.
J. Morrisey,"Credit Default Swaps: The Next Crisis?", Time, March 17, 2008.
30
N. Varchaver, K. Benner, "The $55 trillion question", CNNMoney.com, September 30 2008.
31
N. D. Schwartz, J. Creswell, "What Created This Monster?", New York Times, March 23, 2008.
32
P. S. Goodman, “Taking Hard New Look at a Greenspan Legacy”, New York Times, October 9, 2008.
33
Cfr., p. es. “Remarks by Chairman Alan Greenspan on Corporate Governance”, at the 2003 Conference on Bank
Structure and Competition, Chicago, May 8, 2003.
29
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Il sistema è entrato in crisi quando la rovina di milioni di mutuatari ha alterato i flussi di cassa
destinati agli investitori. «Ha funzionato bene fino a quando i titoli erano considerati sicuri e liquidi,
il che assicurava che anche la carta commerciale e gli altri titoli emessi per finanziare i loro acquisti
erano sicuri e liquidi»34. Poi c’è stato il crollo, con un effetto domino, che ha coinvolto la
commercial paper e i money funds ad essa collegati, bloccando il credito a breve. Per i money funds,
prima della stretta creditizia la regola era: «Vi do un milione di dollari domani, se me ne date 999
mila oggi», e ogni giorno venivano negoziati centinaia di miliardi di dollari. Dopo la stretta, «le
banche sono state costrette a pagare tassi usurari per ottenere denaro. E anche in questo modo non
riuscivano ad avere in prestito più di 50 o 100 milioni. Che nel nostro mercato è come niente. E'
troppo poco. Le banche normalmente possono raccogliere miliardi in un batter d'occhio»35.
Milioni di persone avevano perso la casa senza far notizia, quando, dopo una sequenza di
eventi cui non venne dato gran peso, nella primavera del 2007 erano arrivati i segnali della crisi. Ci
fu la bancarotta di una finanziaria specializzata in subprime e di due hedge funds della Bear Stearns,
una delle cinque grandi banche di investimento. Questa, a sua volta, l’anno successivo venne
salvata da JPMorgan, un'altra banca di investimento, che la acquistò con 29 miliardi di dollari avuti
in prestito dalla Federal Reserve. Se fosse andata a picco avrebbe trascinato altre istituzioni, perchè
deteneva CDS per 2,5 trilioni di dollari. Fannie Mae e Freddie Mac, due grosse imprese private
controllate dal governo che si occupavano di erogare mutui immobiliari, vennero sottoposte a
controllo governativo per evitare un fallimento coperto da CDS. Anche l'American International
Group (AIG) fu salvato per prevenire le ripercussioni sui CDS che la grande compagnia assicurativa
deteneva in tutto il mondo 36. Fallì nvece nel settembre 2008 Lehman Brothers, facendo deflagrare
il sistema. Bank of America acquistò Merrill Linch, che era sull'orlo del fallimento. Con la chiusura
di Lehman Brothers e l'assorbimento di Merrill Lynch, le banche di investimento si erano ridotte a
due, Goldman Sachs e Morgan Stanley. Anch'esse, tuttavia, per sopravvivere, dovettero
trasformarsi in banche commerciali, sottoponendosi ai controlli delle agenzie governative. Ebbero
però il permesso di continuare per alcuni anni i loro abituali affari. Altri istituti bancari e finanziari,
di dimensioni pi ridotte, chiusero o furono salvati dall'intervento pubblico.
Il mondo della finanza venne travolto dagli strumenti che aveva creato e che aveva
disseminato ovunque nel mondo. Nella situazione di bassi tassi di interesse e di credito facile le
istituzioni finanziarie avevano guadagnato, facendo ampio ricorso all'indebitamento per collocare la
larga messe di derivati presso una molteplicità di soggetti che, attratti dai rendimenti, li avevano
34
L.R. Wray, Lessons from the Subprime Meltdown, Levy Economics Institute, Working Paper no. 522L, p.13.
A. Davidson, A. Blumberg, "The Week America's Economy Almost Died", npr, October 30, 2008.
36
G. Morgenson, "Behind Insurer's Crisis, Blind Eye to a Web of Risk", New York Times, September 28, 2008.
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acquistati senza sapere di che cosa si trattasse. Si erano semplicemente fidati delle valutazioni delle
agenzie di rating37.
La crisi dei titoli subprime, pur costituendo una parte relativamente modesta del mercato
finanziario globale, aveva alimentato una vasta spirale a causa dello stretto intreccio di relazioni
debitorie tra i detentori e i gestori di capitali. Fino allora, la condivisione di principi
esasperatamente fiduciari - in un contesto tuttavia segnato da concorrenzialità, scontri e invidie aveva consentito alle banche, con le loro SPE e SIV, i loro hedge funds e i loro fondi di
investimento, di realizzare profitti in proprio e di espandere i rendimenti degli investitori. Adesso,
sopportavano perdite per mutui che avevano finanziato e acquistato, e per titoli che detenevano;
dovevano anche restituire il denaro preso in prestito per moltiplicare operazioni e profitti. La leva
che avevano usato era 15 volte superiore al patrimonio nel caso delle grandi banche di deposito, e
fino a 40 volte nel caso delle banche di investimento38.
Gli investitori istituzionali si ritirarono, e vendettero i titoli in portafoglio per paura che
svalutassero. Le azioni in borsa crollarono, provocando un effetto domino. Nei bilanci non solo
vennero iscritte le perdite, ma anche svalutate le attività patrimoniali, perchè la regola mark to
market imponeva fossero iscritte ai prezzi correnti di mercato. Al crollo della borsa contribuì il
saccheggio operato da alcuni hedge funds con speculazioni allo scoperto su titoli di imprese che
rischiavano di fallire. Le compagnie di assicurazione si trovarono nell'impossibilità di fornire
alternative ai MBS e CDO diventati tossici con cui garantivano i CDS che avevano emesso.
Bush e Bernanke, il presidente della Federal Reserve successore di Greenspan, si sono
preoccupati di soccorrere il sistema bancario non per la funzione che dovrebbe svolgere
nell'economia, ma per gli interessi che ad esso fanno capo. La Federal Reserve e il Tesoro,
accettando anche titoli tossici a garanzia dei prestiti, hanno fornito liquidità non solo alle banche ma
ad enti non bancari e non regolamentati che fino ad allora non avevano accesso alla banca centrale39.
La liquidità creata non è stata condizionata alla ripresa dell'erogazione del credito. «È
responsabilità del governo stabilire i termini e le condizioni per l'uso di questi soldi. Sono soldi della
gente, ma sono dati senza vincoli», aveva rilevato David M. Walker, che un tempo era Federal
Comptroller of the Currency. Il Comptroller in carica, John C. Dugan, aveva risposto: «Per i prestiti
non è possibile imporre espressamente questi carichi [alle banche]; tuttavia l'economia lavora in
modo tale che è loro interesse farvi fronte»40.
37
Sul ruolo delle agenzie di rating cfr. p.es. P. Dacrema, La crisi della fiducia, Etas, Milano 2008.
“Morgan Stanley and Goldman: Lending is Dead. Long Live Lending", Wall Street Journal, September 22, 2008.
39
N. Roubini, “A Generalized Run on the Shadow Financial System", Nouriel Rubini's Global Economonitor, March
17, 2008.
40
L. Story, E. Dash, "Banks Are Likely to Hold Tight to Bailout Money", New York Times, October 17, 2008.
38
9
Il Tesoro, dopo la Pearl Harbour finanziaria della Lehman Brother, si era fatto attribuire dal
Congresso poteri assoluti di spesa per 700 miliardi di dollari. Il piano prevedeva l’acquisto con
fondi pubblici di titoli tossici dalle banche, i cui i bilanci sarebbero stati sgravati consentendone la
ricapitalizzazione. Ma il piano non era stato ancora approvato, quando il segretario al Tesoro
Paulson annunciò la sua reale intenzione: «Come prima cosa, metteremo il capitale nelle banche».
Dopo l'approvazione, spiegò che formulare esplicitamente questa proposta avrebbe richiesto altro
tempo, e che probabilmente il Congresso non l’avrebbe accolta favorevolmente41.
Il suo obiettivo non era di mettere le banche in condizione di ristabilire prima possibile i
rapporti con l'economia reale erogando crediti. Puntava invece su una ristrutturazione oligopolistica
dell'intero sistema bancario42. Si trattava di «far emergere un pugno di grandi istituti globali capaci
di occuparsi di un ampio spettro di affari insieme ad alcune imprese di consulenza per gli
investimentidi borsa»43. Sulla scena sarebbero rimasti altri giocatori, hedge funds e fondi privati di
investimento, poco regolati, per occuparsi di chi ha ingenti somme di denaro da far fruttare.
Nell'era di Obama, Bernanke continua a lavorare per tutelare gli interessi del sistema
finanziario. Il Presidente vi si rapporta tramite uno staff segnato dall'esperienza clintoniana, che non
sembra preoccuparsi di limitare il dominio della finanza44. Nel luglio 2009 il New York Times
annuncia: «Two Giants Emerge From Wall Street Ruins»: Goldman Sachs e JPMorgan45.
III. Dispossession
La frenesia speculativa ha alimentato la bolla edilizia e il circuito della cartolarizzazione dei
titoli immobiliari, ma le attività sottostanti i titoli tossici hanno la concretezza dei mutui e dei
mutuatari. Il mondo della finanza ha guadagnato finché l’aumento dei prezzi delle case è stato
sostenuto dalla domanda di nuovi mutui, e il rifinanziamento dei mutui preesistenti ha supplito alle
difficoltà dei mutuatari di far fronte ai debiti. Poi, la gente stremata ha cessato di alimentare profitti
e rendimenti.
La cartolarizzazione è stata celebrata come mezzo per aprire a strati sociali prima esclusi
l'opportunità di accedere ad ogni sorta di consumi. Non è stata però pensata per questo, bensì per
41
J. Nocera, E.L. Andrews, "Struggling to Keep Up as Crisis Raced On”, New York Times, October 23, 2008.
M. Landler, E. Dash, "Drama Behind a $250 Billion Banking Deal”, New York, Times, October 15, 2008.
43
J. Drew, C. Kang, N. Trejos, “Cultural and Structural Shifts Rise Out of Risk-Taking Titan’s Hard Fall”, Washington
Post, September 21, 2008.
44
Cfr. p.es. M. Hirsh, “Wall Street dig in. The old system refuses to change. Is Obama getting the message?”,
Newsweek, April 10, 2009.
45
G. Howley, “Two Giants Emerge From Wall Street Ruins”, New York Times, July 17, 2009.
42
10
accelerare l’indebitamento come fonte di guadagni. A fronte del credito che le istituzioni finanziarie
erogano, sta il debito di chi lo riceve. Sul debito vengono caricati gli oneri della cartolarizzazione:
profitti per le istituzioni finanziarie e rendimenti per coloro che investono in titoli. La vendita dei
titoli mobilita la liquidità che serve ad erogare crediti per accendere nuovi mutui, e drenare risorse
di altri mutuatari, in un processo che produce nuovi profitti per le istituzioni finanziarie e altri
rendimenti per gli investitori. Il credito erogato sostiene l’attività immobiliare e la speculazione
edilizia, e, più in generale, attraverso i consumi, la produzione interna e le importazioni.
Quel che è accaduto con i mutui immobiliari succede con i mutui mobiliari. Analogamente, su
scala più vasta e articolata, le carte di credito producono profitti e rendimenti. I loro tassi di
interesse sono sensibilmente più alti per i consumatori subprime46. I crediti che derivano dal loro
utilizzo vengono cartolarizzati, e generano flussi di denaro per chi emette le carte e per chi investe
in asset backed securities (ABS) o in collateralized debt obbligations (CDO) derivate dalle ABS.
Nelle strategie delle banche il rimborso è meno importante del permanere in attività delle carte47. «Il
debito è un perpetual earning asset»48, aveva osservato nel 2005 il capo del consiglio del
Comptroller of the Currency, A quel tempo 90 dei 135 milioni di detentori di carte non lo
rimborsavano interamente; in media restavano pendenti 8 mila dollari49. Una famiglia giostrava con
13 carte di credito50.
I titoli derivati dalle carte di credito sono meglio protetti di quelli basati sui mutui, soprattutto
in conseguenza del diritto delle istituzioni finanziarie che le emettono di modificare ad libitum e a
posteriori i tassi di interesse applicati ai detentori. Negli Stati Uniti «le carte di credito sono il solo
prodotto il cui prezzo varia dopo che è stato acquistato. C’è qualche altro caso in cui, dopo
l’acquisto, vi si chiede improvvisamente di pagare ancora?»51. Il Congresso del dopo Bush sta
legiferando per regolamentare questo singolare privilegio.
La strategia delle istituzioni finanziarie è di offrire per le carte di credito tassi di ingresso
molto bassi, e di modificarli discrezionalmente nel tempo. Fanno anche ampio ricorso a pratiche
predatorie. Il New York Times, a titolo di esemplificazione, ha citato il caso di una persona alla
quale «ogni settimana per tre mesi sono arrivate offerte di carte di credito e di mutui per l’auto, che
facevano esplicito riferimento alla bancarotta in cui era incorsa»52.
46
A fine 2008 era del 22,6 per cento per i subprime (indice di rischio tra 500 e 659), 15,28 per i prime (tra 660 e 759), e
10,77 per i super-prime (tra 760 e 850); un tasso "punitive" arrivava infine al 30 per cento. cfr. CardTrak. com
47
Il rimborso minimo mensile è del 2-2,5 per cento del debito.
48
G. Morgenson, "Given a Shovel, Americans Dig Deeper Into Debt", New York Times, July 20, 2008.
49
Frontline and The New York Times, "The Secret History of Credit Cards Teacher's Guide", pbs.org/Wgbh/page/...
50
F. Zakaria, "There is a Silver Lining", Newsweek, October 20, 2008
51
J.D. Scurlock, Maxed Out: Hard Times, Easy Credit, London, Harper Collins, 2007, p. 48.
52
B. Stone, "Banks Mine Data and Woo Troubled Borrowers", New York Times, October 22, 2008.
11
Nel 2007 c’è stato un milione di dichiarazioni di bancarotta, con una frequenza correlata con
l'età. «Un segnale che la gente vive per anni in condizioni finanziarie stressanti, rinviando quanto
più a lungo possibile il giorno della resa dei conti»53. Molti, prima di arrendersi davanti ai giudici, si
indebitano a tassi che non sono usurai solo perché in diversi stati non esiste di fatto una soglia di
usura. Ricorrono a payday loans, ottenendo quasi istantaneamente somme relativamente modeste da 100 a 2500 dollari - da restituire entro due settimane. Legali e non regolamentati, sono erogati da
una rete diffusa di botteghe e siti internet dietro garanzia di cambiali con scadenza posticipata e di
'premi' corrispondenti a tassi di interesse annuo intorno al 400 per cento54.
L. Randall Wray definisce money manager capitalism quello in cui i gestori del denaro, non
trovando nell'economia reale occasioni per realizzare livelli accettabili di profitto, inventano sempre
nuovi strumenti finanziari. Sottovalutando i rischi, finanziarizzano la vita quotidiana, «from credit
card debt to subprime mortgages and from student loans to pork belly futures»55. L’occasione di
avere beni di consumo in cambio di reddito differito funziona. Per strati sociali sempre più
consistenti è il solo modo per continuare a campare.
Un tempo i venditori facevano sconti pronto pagamento, ora premono per realizzare
pagamenti rateali e vengono premiati dalle finanziarie. I mutui non sono più strumenti di rapporti di
credito. Con la cartolarizzazione sono diventati strumenti di dispossession di redditi, per sostenere
titoli che producono profitti e rendimenti. Le carte di credito sono supporti di mutui in continuo
divenire, che hanno la stessa funzione. La speculazione che su quei titoli erige piramidi di altri
titoli, allontana solo la visibilità del loro necessario radicamento in redditi presenti e futuri e in beni
patrimoniali acquisiti con i redditi passati.
Mutui e carte di credito sono componenti macroscopiche di una finanziarizzazione che agisce
per la dispossession di questi redditi in ogni momento della vita delle persone. La liquidità che
produce viene raccolta molecolarmente, e concentrata dal sistema finanziario, che lavora per
espanderla. Alla finanziarizzazione sono sottoposte anche le imprese e gli stati. «Tutta la realtà può
essere trattata nello spazio teorico e pratico della finanza»; in quanto «quota autonoma di ricchezza
da cui ricavare flussi di rendimenti», deve essere protetta dal rischio, gestita e accresciuta56.
David Harvey usa il termine dispossession per riferirsi ad una forma specifica di
accumulazione, condizionata dalla svalutazione dei fattori di produzione, ridotti «a costo molto
basso (in qualche caso a costo nullo)»57 dall’«infausta alleanza tra poteri pubblici e aspetti predatori
53
D. Thorne, E. Warren, T.A. Sullivan, Generations of Struggle, Public Policy Institute, June 1008.
L. Christie,"A low, low interest rate of 396 percent", CNNMoney.com, March 3, 2008.
55
Wray, Lessons from the Subprime Meltdown, cit.
56
P.H. Dembinski, Finance servante ou finance trompeuse?, Parole et Silence, Paris, 2008, p. 86.
57
Harvey, La guerra perpetua, cit., p.125.
54
12
del capitale finanziario»58. La privatizzazione di imprese nazionali, la mercificazione di servizi
pubblici, l’espropriazione e mercificazione di beni collettivi e comuni, l’abbattimento del costo del
lavoro, sono tra le forme di dispossession che la rendono possibile.
Questa forma di accumulazione, secondo Harvey, è diversa dalla riproduzione allargata,
termine con cui definisce l’accumulazione che procede secondo la logica propria del capitale
produttivo, nella sequenza di profitti e investimenti, con il credito funzionale ad essa. Con
l’accumulation by dispossession verrebbe infatti mobilizzata a fini produttivi una liquidità che
altrimenti rimarrebbe «inoperosa»59. Ad Harvey sembra sfuggire che questa mobilizzazione in
realtà produce non solo profitti ma anche rendimenti, che ampliano la liquidità invece di ridurla.
Sul suo ampliamento mette invece l’accento Giovanni Arrighi. Sostiene che, nella storia del
capitalismo, ogni fase di espansione materiale - produttiva e commerciale - è seguita da una fase di
espansione finanziaria, come quella attuale, in cui il capitale procede per dispossession realizzando
massici processi di redistribuzione della ricchezza60. Rispetto a Harvey non solo la relazione tra
accumulazione ed ampliamento della liquidità viene ribaltata, ma in questa diversa prospettiva non
ci sono pratiche specifiche di accumulation by dispossession separate dalla riproduzione allargata.
Una logica complessiva governa l'espansione della liquidità e l’accumulazione, svalutando capitale
fisso e lavoro.
IV. La finanziarizzazione
L’emergere dell’autonomia degli interessi finanziari rispetto al capitale produttivo risale agli
anni '70. L’ordine economico di Bretton Wood era stato caratterizzato dall’apertura al commercio e
dalla convertibilità monetaria entro il sistema di cambi fissi legati al dollaro. Il movimento dei
capitali era stato lasciato alle regolamentazioni nazionali, che vennero gradualmente allentate. In un
vuoto regolamentare le banche avevano già creato l’eurodollaro e le eurodivise. Nel 1971, con
l’inconvertibilità del dollaro, nacque un mercato dei cambi, e il loro tasso influì sul potere di
acquisto delle monete nazionali, diventate attivi finanziari oggetto di speculazione61. Nel 1979 la
Federal Reserve portò a livelli altissimi i tassi di interesse. Eurodollari e petrodollari fluirono a Wall
Street, ponendo le basi della concentrazione del potere finanziario, sostenuto nell’espansione nel
mondo dal governo statunitense e dal Fondo Monetario Internazionale. «Man mano che le barriere
58
Ivi, p.115.
Ivi, p.125.
60
Cfr. Arrighi, Adam Smith a Pechino, cit., cap. 8.
61
Dembinski, Finance servante ou finance trompeuse?, cit., p. 36.
59
13
allo spostamento dei capitali venivano rimosse, i risparmi mondiali furono risucchiati dal centro e
redistribuiti da lì»62.
La liberalizzazione del movimento dei capitali si diffuse per contagio. I governi dei paesi
sviluppati vi erano indotti dall’esigenza di affrontare la crisi fiscale. Esaurita la fase di espansione
economica basata sul risparmio interno, sul moltiplicatore keynesiano, e sulle esportazioni, si
rivolsero agli investitori di tutto il mondo per ottenere il finanziamento del deficit. Le politiche
economiche vennero piegate alle condizioni di credito, con strategie interne di dispossession
necessarie per sostenere i titoli di stato.
Il Washington Consensus ha codificato queste strategie. Negli anni ’80 e ’90 l’aggiustamento
strutturale è stato imposto ai paesi in via di sviluppo indebitati in maniera insostenibile a causa
dell’aumento del valore del dollaro e del fallimento delle politiche interne di crescita. Nei paesi
emergenti, la cui crescita stava avvenendo al riparo dalle sue incursioni, la finanza internazionale ha
approfittato di circostanze a volte marginali per far esplodere il loro debito fino all'insolvenza, e per
far intervenire il Fondo Monetario. Intere economie sono state svalutate e reinserite a prezzi di saldo
nell'area di accumulazione globale. I governi hanno acceso nuovi prestiti per ripagare vecchi debiti
rivalutati63.
Le aree di accumulazione nazionale sono state così assorbite nell’area di accumulazione
globalizzata. Si è sviluppata una intensa competizione interstatale per accaparrarsi i capitali mobili,
e la disponibilità di forza lavoro a basso costo ha spostato verso l’Asia il centro manifatturiero
mondiale. Le merci importate da qui a buon prezzo, e lo stimolo ai consumi determinato da bassi
tassi di interesse, ha determinato negli Stati Uniti un’economia di lungo periodo che Soros definisce
«superbolla»64, con ricorrenti periodi di effervescenza che hanno generato effetto ricchezza.
«Crescita oggi nella speranza di crescita domani» è stata la politica del Tesoro e di Wall Street, fino
alla crisi attuale.
I dollari versati ai paesi asiatici per l’importazione di merci sono rientrati negli Stati Uniti,
generando quantità enormi di liquidità, in parte assorbita da massici investimenti all’estero che
hanno generato un boom produttivo. «Il capitale è stato attratto da raccapriccianti (ma quanto
incantevoli!) tassi di sfruttamento del lavoro - in India, che sta emergendo come il back-office del
mondo, ma soprattutto in Cina che è diventata la fabbrica del mondo, con i suoi 109 milioni di
lavoratori della manifattura (nei paesi del G7 in tutto sono 53 milioni). Negli Stati Uniti il salario
orario mediano nella manifattura è di 17,85 dollari. In Cina i lavoratori manifatturieri delle
provincie costiere guadagnano 91 centesimi all’ora con tassi di produttività che stanno convergendo
62
63
Soros, Cattiva finanza, cit., p. 95.
J.E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, Torino, Einaudi 2002, p.129.
14
con quelli statunitensi»65. Ma il boom produttivo non ha assorbito il boom finanziario. La liquidità
alimentata dai dollari tornati alla finanza statunitense ha generato la cronica ricerca di collocamenti,
di cui lo sviluppo dei titoli immobiliari e l’impennata delle materie prime sono le recenti
manifestazioni speculative66.
A partire dagli anni ’70, la liquidità è stata alimentata da rendite derivate dal controllo delle
materie prime, dagli interessi generati dai prestiti ai governi e da quelli derivanti dalla
disintermediazione bancaria, dai redditi da lavoro confluiti nei fondi pensioni e dei fondi mutui,
dalla massa di profitti generati dallo sfruttamento della forza lavoro dei paesi asiatici, e da altri
profitti non reinvestiti. Si tratta di liquidità che ha origine nella crisi di accumulazione, per la quale
Harvey e Arrighi usano il termine di sovraccumulazione. La speculazione l’ha fatta espandere
inventando attivi fittizi - plusvalenze e derivati.
Operando in relativa autonomia dal sistema produttivo, il sistema finanziario ha impiegato
questa liquidità per ottenere rendimenti consistenti. Dopo aver cercato di recuperare il calo dei
profitti con la ristrutturazione industriale e con gli interventi di accumulation by dispossession di cui
parla Harvey, i detentori di denaro hanno seguito gli obiettivi speculativi della finanza. La ricchezza
fittizia che il sistema finanziario produceva, consentiva loro di avvantaggiarsi nella redistribuzione
della ricchezza reale.
Negli anni ’90 l’impiego della liquidità si è orientato massicciamente verso i titoli azionari.
Per alzare i livelli di remunerazione, il loro calcolo non si è più riferito ai dividendi, bensì alle
plusvalenze realizzabili comprando e vendendo titoli azionari. Questo ha modificato radicalmente
gli obiettivi e la gestione delle imprese quotate in borsa, e, con essi, la loro stessa struttura. Prima di
allora, quando la liquidità veniva investita in attività produttive, si fissava in titoli - obbligazioni e
azioni - che rappresentavano parte del capitale reale. Gli investitori si attendevano dalle azioni
dividendi commisurati ai profitti. Poi sono state le plusvalenze a muoverli, condizionati non dai
risultati produttivi ma da aspettative e credenze di borsa, relative alla capacità delle imprese di
generare ricavi futuri. «Non riuscire a conseguire almeno i tassi medi di rendimento industriale
anche solo per pochi trimestri può portare alla cancellazione di contratti (…). In media i titoli
azionari sono tenuti per appena un anno»67.
64
Soros, Cattiva finanza, cit., p. 93.
R. Fitch, “In difesa di Washington e di Wall Street”, www.milanointernazionale.com.
66
R. Caballero, E. Farhi, P-O. Gourinchas, Financial “Whac-a-mole”: Bubbles, Commodity Prices, and Global
Imbalances, Brooking Papers on Economic Activity, Fall 2008.
67
J. Crotty, “The Neoliberal Paradox: The Impact of Destructive Product Market Competition and ‘Modern’ Financial
Markets on Nonfinancial Corporation Performance in the Neoliberal Era”, in G.A. Epstein, (a cura di), Financialization
and the World Economy, Elgar, Cheltenham 2005, p. 92.
65
15
Per realizzare il ‘valore per l’azionista’ le grandi imprese non finanziarie, bersaglio privilegiato
degli investitori, sono diventate «un fluido insieme di attivi, che i managers assemblano e dividono
in funzione della valutazione dei mercati», come se gestissero un portafoglio di titoli continuamente
ricombinati (filiali, linee di prodotti, tecnologie, mercati, beni intangibili)68. «Architetti del valore
aggiunto», se ne appropriano in tutti i punti del sistema di impresa, fatta di centri di profitto sparsi
nel mondo, che dirigono in tempo reale; usando il bastone della concorrenza e la carota del
comando, prendono misure che si ripercuotono sui rapporti salariali interni al sistema, su una
miriade di fornitori e distributori, e sui clienti, spinti alla fidelizzazione69.
Le imprese quotate in borsa hanno puntato a rendimenti finanziari che andavano al di là del
loro potenziale produttivo. Per alzare il valore azionario e pagare gli interessi sui debiti, in certi
momenti hanno impegnato nel sistema finanziario più del 70 per cento del flusso di cassa70. «È
evidente che quello che viene speso per acquistare azioni proprie, elargire stock options, distribuire
dividendi e interessi, non è disponibile per investimenti produttivi, meno che mai per ricerca e
sviluppo»71. Molti debiti sono stati fatti
anche per riorganizzazioni, delocalizzazioni,
esternalizzazioni, cessioni, chiusure di settori meno redditizi, fusioni ed acquisizioni, in modo da
alzare il valore delle azioni in borsa, «in risposta ad una finanza che non chiede investimenti e
progetti di lungo termine, ma solo rendimenti»72. Riduzione dei salari, licenziamenti, precarietà sono
state le conseguenze.
Il management ha fatto propri questi orientamenti non essendo remunerato in base ai risultati
produttivi di lungo periodo bensì ai movimenti di breve periodo delle azioni. Le stock options, che
costituiscono la parte principale della loro remunerazione, generano plusvalenze basate sulla
differenza tra il prezzo che ha l’option quando viene distribuita e quello che ha al momento in cui
viene esercitata. Al ‘valore per l’azionista’ hanno spinto anche i fondi pensione. I lavoratori che vi
partecipano sono posti in una condizione di indifferenza rispetto alle pratiche di dispossession che
colpiscono altri lavoratori, dal momento che la pensione dipende dai salari accantonati e dalle
plusvalenze. Le piccole e medie imprese non quotate in borsa, guidate non dal valore azionario ma
dai profitti, hanno dovuto adattarsi a questa situazione, comprimendo i costi, in primo luogo quello
del lavoro.
La finanziarizzazione della vita quotidiana delle persone, delle imprese, degli stati distrugge
ricchezza. Questa distruzione non ha nulla a che vedere con la tesi schumpeteriana; non sostiene la
68
P.H. Dembinski, Finance servante ou finance trompeuse?, Parole et Silence, Paris 2008, p. 145.
Dembinski, p. 157-63.
70
Crotty, The Neoliberal Paradox, cit., p. 99.
71
L. Gallino, Con i soldi degli altri, Einaudi, Torino 2009, p. 116.
72
M. Husson, “Finance, hyper-concurrence et reproduction du capital”, in S. de Brunhoff, F. Chesnais, G. Duménil, D.
Lévy, M. Husson (a cura di), La finance capitaliste, PUF, Paris 2006, p. 217.
69
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crescita rinnovando la tecnologia. Presenta, semmai, come fanno notare Harvey e Arrighi, alcuni
tratti dell’accumulazione originaria. Marx tuttavia, al quale Harvey e Arrighi si riferiscono, intende
per accumulazione originaria la sussunzione di relazioni che trasformano i mezzi di sussistenza e di
produzione in capitale e i produttori in forza lavoro. La dispossession invece intacca la sfera di
sussistenza e di riproduzione del proletariato quale si era configurata entro lo stato keynesiano - dal
sistema di welfare alle imprese di pubblica utilità, agli spazi collettivi ancora non mercificati, ai
salari. Facendo della svalutazione del capitale fisso e del lavoro la fonte di profitti e di rendimenti, la
finanza peggiora ogni giorno di più le condizioni di vita nei paesi industrializzati. Alimenta una
lunga crisi che ora si manifesta in maniera più acuta.
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