Recensione Joan Didion - Associazione Maria Bianchi

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Recensione Joan Didion - Associazione Maria Bianchi
LASCIAMI ANDARE
di Nicola Ferrari
Psicopedagogista, formatore
Responsabile dei servizi di sostegno
psicologico alle persone in lutto
dell’Associazione Maria Bianchi
Master in psicologia ‘Assistenza psicologica
nelle situazioni di lutto naturale e traumatico’
‘Se leggo un libro e mi sento gelare tutto il corpo, tanto che neppure il futuro
può scaldarmi, allora so che quella è poesia. Se provo la sensazione fisica che
mi stia spaccando il cervello, allora so che quella è poesia. Sono questi gli unici
due modi in cui la riconosco. Nessun altro’. Così diceva Emily Dickinson.
Questo è quello che accade a chi legge ‘L’anno del pensiero magico’: un brivido
ghiacciato, una fitta nei ragionamenti ma nessun dolore né pena. Certo: non è
un libro di poesie, se si concorda che la poesia è un insieme di frasi
discretamente brevi una sotto l’altra, a volte in rima, a volte neanche per
sogno. Lo è invece se intendiamo per poesia un pensiero, anzi no, una parte
della vita che si esprime in una forma che emoziona, fa riflettere, non ti
abbandona.
Questo libro è una meraviglia; e, come tutte le grandi fortune della vita,
difficilmente si riesce a spiegare il perché. In parte dipende certamente dalla
qualità stilistica, dall’assoluta capacità della scrittura dell’autrice, Jean Didion:
ogni pagina è leggera e intensa, immediatamente comprensibile ma mai
banale, costruita con precisione e passione. La storia raccontata poi ha
certamente una grande importanza nel determinare il risultato finale: il
racconto dell’esperienza della perdita del proprio marito non può lasciare
indifferenti. Ma d’altra parte questi due elementi di per sé non bastano:
esistono centinaia di libri ben scritti che raccontano vissuti di perdita. Ho letto
nel corso degli anni decine e decine di autobiografie di giovani vedove, orfani,
genitori che hanno perso un figlio così come i racconti di persone gravemente
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malate, poi decedute per diversissime cause.1 Mi occupo della scrittura nella
sua dimensione autobiografica realizzando una collana di libri di racconti
inediti2 di persone dolenti/terminali, ho ideato e gestisco un servizio di
sostegno psicologico alle persone in lutto tramite la comunicazione epistolare3
via mail e lettere postali. Tutte queste autobiografie hanno un’indiscutibile
valenza autoterapeutica per chi le scrive ma, per la maggioranza dei casi, non
sono
così
significative
per
il
lettore:
nel
passaggio
dalla
scrittura
dell’angosciante esperienza personale di perdita alla lettura della stessa,
qualcosa si smarrisce. Cosa c’è allora di così unico e imperdibile in questo
testo?
Io penso che sia la verità.
La spudorata, pornografica, nuda verità.
‘E’ morto vero? sentii la mia voce chiedere al dottore. Il dottore guardò
l’assistente sociale. “Okay” disse l’assistente sociale. “La signora è un osso
duro.” Mi accompagnarono tra i paraventi del cubicolo, dove giaceva John, ora
solo. Mi chiesero se volevo un prete. Dissi di sì. Un prete arrivò e disse le
parole. Lo ringraziai. Mi diedero la clip d’argento in cui John teneva la patente
e le carte di credito. Mi diedero gli spiccioli che teneva in tasca. Mi diedero il
suo orologio. Mi diedero il suo cellulare. Mi diedero una borsa di plastica in cui
dissero che avrei trovato la sua roba. Li ringraziai. “Ha i soldi per la corsa?” mi
chiese. Dissi di sì, ero un osso duro’.
Leggere questo libro è come essere accompagnati, non da semplici spettatori,
nel lungo e tormentato processo di elaborazione di Joan Didion per la perdita
Tutti questi libri sono disponibili n prestito gratuito presso la Mediateca specializzata
dell’Associazione Maria Bianchi a Suzzara (MN) che contiene 750 volumi, 80 films in dvd e vhs,
decine di opuscoli, tesi di laurea, dispense di corsi vari realizzati in Italia e all’estero. Per
informazioni: Viale Libertà 32, Suzzara (MN) 46029. Tel. e fax: 0376-532304 /
www.mariabianchi.it - e.mail: [email protected]
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La serie di libri si intitola ‘Parole discrete’: sono contenuti i testi vincitori del Bando nazionale
biennale per autobiografie inedite sui temi dell’assistenza a malati terminali e delle esperienze
personali di perdita. Sono stati realizzati a tutt’oggi tre edizioni, la quarta è prevista verso fine
2007. I libri sono disponibili esclusivamente contattando l’Associazione.
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Il servizio attivo per tutta l’Italia, prevede, tramite una metodologia standardizzata e tutelata
dalla SIAE, il rapporto individuale tra persona in lutto-operatore utilizzando mail o lettere
postali. Vari articoli in numerose riviste e capitoli di libri sono stati redatti per la presentazione
dettagliata di questa metodologia, oltre a percorsi formativi realizzati per altri gruppi e
operatori. L’Associazione ha in programma la realizzazione di un libro specifico sul tema.
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del marito. E l’immagine del cammino non è una semplice metafora: si tratta
invece di seguire, passo dopo passo, gli innumerevoli moti del cuore, della
mente e dell’anima dell’autrice che si esprime senza pudore. La sensazione non
è quella di spiare dal buco della serratura del dolore altrui, come avviene in
altri, meno ispirati testi e nemmeno di assistere a dettagliate, precisissime
cronache di eventi luttuosi (assolutamente significative per il processo di
ricostruzione che implicano per l’autore, molto meno invece per il lettore). Qui
si tratta invece di seguire un percorso che, come un vero e proprio rito di
passaggio, è anche il nostro. Quello che molti di noi hanno vissuto per la
perdita di un proprio caro, quello che altri sanno che dovranno affrontare nel
corso della vita. Seguiamo Joan Didion nelle differenti e ben conosciute fasi di
ristrutturazione esistenziale che seguono un lutto, ci accorgiamo come ogni
mutamento interiore che avvicina alla ricostruzione della propria quotidianità
sia il risultato di tutte le risorse che abbiamo accumulato nella nostra vita. La
storia di questa perdita diventa allora, e non potrebbe essere diversamente in
chi affronta ad occhi aperti la devastazione esistenziale, il ripensamento
sull’intera vita: tutto è rievocato, ogni cosa diventa nuova, intensa, irrisolta.
‘I superstiti si voltano indietro e scorgono presagi, messaggi di cui non si sono
accorti. Ricordano l’albero che è morto, il gabbiano che si è spiaccicato sul
cofano della macchina. Vivono di simboli. Leggono un significato nel fuoco di
fila di spam nel computer rimasto inattivo, nel tasto “cancella” che smette di
funzionare, nell’abbandono che si immagina generato dalla decisione di
sostituirlo. La voce della mia segreteria telefonica è ancora quella di John. Il
fatto che fosse la sua era arbitrario, dipendeva da chi era presente il giorno in
cui, l’ultima volta, la segreteria aveva dovuto essere programmata, ma se oggi
io dovessi cancellarla per registrare un altro annuncio lo farei con un senso di
tradimento.’
E poi i momenti topici, felici e critici, le grandi scelte, l’ordinarietà giornaliera,
le illusioni, gli sforzi perseguiti nel tempo e gli oggetti cari, le giornate
indimenticabili, la noia, gli scontri. Non importa che si tratti in questo caso di
libri, estati al mare, conferenze o ristoranti per noi lontani e un po’ magici.
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Joan vive lo smarrimento e l’incredulità iniziali e in seguito il bisogno di trovare
una spiegazione logica e convincente al decesso del marito; l’angoscia
esistenziale si confronta poi inevitabilmente con tutto il resto della vita che
continua a proseguire: la malattia della figlia, i libri da scrivere, la casa da
gestire, la città; i momenti in cui raggiunge parziali pacificazioni interiori si
interrompono a volte violentemente, altre volte con maggiore leggerezza, per
ritornare a pensieri ed emozioni atroci.
Tutto questo non è un racconto. Non lo è perché è presente la verità della vita
dell’autrice. Senza mistificazioni, esagerazioni, autocommiserazioni. Non c’è il
desiderio e neppure l’inconsapevole intenzione di emozionare, offrire verità
mascherate da falsa umiltà, consigliare comportamenti da adottare, indicare
via, verità e vita. È proprio questo che affascina nella lettura: un’esperienza
così personale che la riconosciamo come nostra, un vissuto così intimo che
presuppone quella forza interiore e lucidità mentale che vorremmo avere, nella
buona e nella cattiva sorte.
Non si piange leggendo di questo amore finito, è difficile che il pensiero scappi
verso l’insensatezza della vita e il tormento della perdita perché, Joan lo
testimonia, si può continuare a vivere. Non a sopravvivere. Per arrivare a
questo è necessaria però una vera e propria scelta: decidere che cosa farne
dell’assenza. Il vuoto richiede l’azione, dentro e fuori se stessi. Bisogna
scendere in campo, prendere una decisione perché chi ci ha lasciato non ha
affatto terminato di segnare profondamente la nostra vita. Potremmo allora
collocare il defunto dentro di noi per mantenerlo vivo nella memoria
e per
tramandarlo a chi amiamo; oppure si può andare alla ricerca di sostituzioni
esterne: altre persone, fatti e momenti che ancora voglio vivere proprio perché
ho imparato, nel rapporto ora finito, quanto siano significative per le mie
giornate. C’è poi un’altra possibilità: continuare a dare vita al defunto tramite
la propria esistenza. Posso continuare ad amare chi è morto, continuare a
desiderarlo, a difenderlo, a rappresentarlo com’era veramente, proseguendo a
vivere la mia vita.
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La morte non si porta via tutto. Qualunque sia la scelta che viene attuata, ce
n’è sempre una che la precede e che, ancora una volta, viene alla luce dalla
vita della Didion e dalle parole del libro.
‘So perché ci sforziamo di impedire ai morti di morire: ci sforziamo di
impedirglielo per tenerli con noi. So anche che, se dobbiamo continuare a
vivere, viene il momento in cui dobbiamo abbandonarli, lasciarli andare, tenerli
così come sono, morti. Che diventino la fotografia sul tavolo. Che diventino
solo un nome sui conti fiduciari. Che l’acqua se li porti via. Sapere queste cose
non mi rende più facile lasciare la presa, anzi, la consapevolezza che la nostra
vita insieme sarà sempre meno al centro di tutti i miei giorni mi è sembrato
oggi
in
Lexington
Avenue
un
tradimento
così
netto
che
ho
perduto
completamente la nozione del traffico in arrivo’.
Sembra un paradosso ma si può ricominciare a vivere solo mollando la presa,
permettendo al defunto di esserlo pienamente.Perché è proprio così: il morto
non muore del tutto senza il nostro esplicito e convinto consenso.
- Lasciami andare – è come se dicessero i nostri cari non più con noi.
- Lasciami andare se mi ami -.
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