“C`era una volta la Ferruzzi” Luigi Zingales with Alessandro Penati

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“C`era una volta la Ferruzzi” Luigi Zingales with Alessandro Penati
“C’era una volta la Ferruzzi”
Luigi Zingales with Alessandro Penati, Corriere della Sera
30 March 2001
La bocciatura in assemblea della fusione di Falck in Montedison, e i rapporti non più idilliaci tra Mediobanca e le sue
banche azioniste, segnano un ulteriore capitolo della lunga storia del dissesto Ferruzzi: uno spaccato del nostro
capitalismo e di quanto, o quanto poco, sia cambiato. La storia comincia il 4 giugno 1993: travolta da 30 mila miliardi
di debiti, la Ferruzzi, secondo gruppo industriale italiano con 300 società e 52 mila dipendenti, si dichiara insolvente.
Per mantenere il controllo con il minimo delle risorse possibile, il gruppo, come tanti altri ancora oggi in Italia, è
organizzato a piramide: le principali società operative (Edison, Himont, Eridania-Beghin Say) sono controllate da
Montedison, controllata da Ferfin, controllata dalla Serafino Ferruzzi, controllata dalla famiglia Ferruzzi. I debiti sono
conseguenza di una folle espansione, finanziata allegramente dalle banche italiane con 18 mila miliardi di prestiti
(3.200 soltanto dal San Paolo). Anche le banche estere sono e sposte per 5.500 miliardi, ma prevalentemente verso le
società operative alla base della piramide. I Ferruzzi chiedono di organizzare la ristrutturazione a Mediobanca: l' unica
istituzione in grado di imporre un accordo al sistema bancario in tempi brevi, evitando procedure fallimentari che
imporrebbero tempi biblici ai creditori e rischi penali agli amministratori. Ancora una volta, l' istituto di via
Filodrammatici svolge il ruolo di protettore delle grandi famiglie del capitalismo, e di arbitro del controllo delle
società. Mediobanca assume, di fatto, la gestione del gruppo Ferruzzi. Le banche estere chiedono di liquidare le
società holding, vendendo le società operative, generalmente sane, per pagare i debiti. Una soluzione che
salvaguarderebbe i diritti dei creditori, premiando chi ha concesso prestiti alle imprese meglio gestite. In un nostro
studio abbiamo stimato che, seguendo questa strada, l' intero gruppo Montedison e le altre maggiori società operative
(Fondiaria, Calcestruzzi, Trenno) avrebbero potuto onorare i debiti. Le due holding al vertice, Ferfin e Serafino
Ferruzzi, erano insolventi: ma due società di partecipazioni avrebbero potuto essere liquidate senza gravi danni
economici. Mediobanca, invece, punta a salvare Ferfin, per mantenere intatta la piramide e perpetuare il controllo
nella holding del gruppo, per poi pilotarlo verso azionisti graditi. Per farlo, però, deve ottenere concessioni dai
creditori di Montedison, a favore degli azionisti, il primo dei quali è Ferfin.
Il piano di ristrutturazione, dunque, trasferisce risorse dalle banche esposte con le società operative agli azionisti di
controllo Ferfin, cioè alle grandi banche italiane che, secondo il piano, hanno ricevuto azioni Ferfin in sostituzione dei
loro crediti: azionista di maggioranza relativa è il San Paolo, con il 16%. Nello studio stimiamo questo trasferimento in
1.250 miliardi, pari a quasi l' intero valore di Montedison in Borsa all' epoca. Per garantire la ristrutturazione, le banche
azioniste congelano le loro azioni fino a settembre del ' 95. Alla scadenza del blocco, Mediobanca tenta di trasferire
Ferfin in mani amiche, fondendola con Gemina. Ma le perdite inattese di quest' ultima, e lo scandalo che ne segue,
fanno saltare la fusione. Mediobanca, allora, rastrella azioni Ferfin sul mercato; altre ne compra con l' Opa
incrementale richiesta da Consob; e impone un aumento di capitale. In pochi mesi diventa primo azionista (passando
dal 3,5 al 15%) di Ferfin, ribattezzata Compart. Con circa 460 miliardi acquista una partecipazione che oggi, a prezzi di
mercato, ne vale 1.290 (senza contare un premio di controllo di almeno 400). Le grandi banche stanno a guardare. Il
San Paolo si fa sfilare la maggioranza relativa (arriverà al 7%): stimiamo che la ristrutturazione Ferfin gli sia costata
circa 750 miliardi, per una partecipazione che oggi ne vale 600. Assicurato il controllo del gruppo, si possono fare le
dismissioni: per pagare i debiti si vendono chimica, media, immobili, cemento. Rimangono però i problemi: l' agrin
dustria (oltre 60% del fatturato di gruppo) ha crescita e margini risicati; le assicurazioni stentano; la struttura
piramidale non piace al mercato (Compart e Montedison valgono fino al 30% meno delle attività che detengono). Dall'
inizio del 1994 a oggi, la performance in Borsa di Ferfin-Compart è stata di un misero 5% medio annuo: il mercato è
salito mediamente del 14%. Un problema per le banche, i cui azionisti cominciano a richiedere una maggiore
redditività: Unicredito e Mps escono nel 1999. Per evitare il rischio di scalata, si deve trovare una cordata di investitori
amici che le sostituisca. Ma Compart diventa un problema anche per Mediobanca, che non può più permettersi una
redditività così bassa sul capitale investito (-40% rispetto all' indice di Borsa dal 1994).
Assoggettandosi alle pressioni del mercato, Mediobanca smantella la piramide, fondendo Compart con Montedison,
dopo aver lanciato un' Opa totalitaria, richiesta dalle nuove norme del Testo Unico. Inoltre, si punta sull' energia dove i
margini sono più elevati (28% del fatturato nel 2000): l' acquisizione di Falck amplia la capacità di generazione elettrica
del gruppo. Per mantenere il controllo, però, tutte le operazioni vengono finanziate col debito: così, nel 2000, l'
indebitamento netto di Montedison esplode, passando da 6 mila a oltre 15 mila miliardi. Ancora una volta, per ridurre i
debiti, si devono vendere le partecipazioni non più strategiche: Ausimont viene parcheggiata in un fondo per essere
ceduta; anche il destino di Beghin-Say e Fondiaria sembra scontato, nonostante le dichiarazioni. Rimane il vecchio
problema del gruppo di controllo: il trenino degli investitori «vicini» si allunga col tempo: salgono Pesenti, Ligresti,
Caltagirone, le onnipresenti Generali, Strazzera, Zaleski. L' ultimo vagone sarebbe stato per Alberto Falck che ha
venduto in cambio di un posto in Montedison. Ma si è voluto strafare, offrendogli una partecipazione che vale 12,5 euro
per ogni azione Falck ceduta, dopo aver pagato, per lo stesso titolo, 9 euro agli azionisti di minoranza: una smaccata
violazione della par condicio per gonfiare il peso dei Falck in Montedison. Ma alcuni soci Montedison bloccano l'
operazione in assemblea, grazie alle norme del nuovo Testo Unico. Perché il mercato prevalga sulle logiche di potere,
bisogna che le grandi banche rimaste azioniste in Montedison (San Paolo, Banca di Roma e Comit-Intesa) si decidano a
mettere all' asta le loro partecipazioni, lasciando che il controllo delle società operative vada a chi sa gestirle meglio
(avrebbero dovuto farlo nel ' 93): fare gli industriali non è il loro mestiere, ed è meglio che privilegino la redditività. In
Montedison hanno già perso abbastanza. Se, finalmente, lo facessero, si scriverebbe la parola fine alla saga della
ristrutturazione Ferruzzi. E capiremmo se il capitalismo italiano è veramente cambiato.