La Famiglia Ricciardi - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna

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La Famiglia Ricciardi - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna
La Famiglia Ricciardi*
di
Antonio Vitulli
Una peculiare caratteristica della società civile a Foggia, fra 600 e 700, è
quella della cospicua presenza di una élite di "togati", notai, magistrati, avvocati,
"officiales", legati al Foro privilegiato della Dogana delle Pecore ed ai suoi
traffici.
Un'indagine ancora tutta da fare questa1 che porrebbe in luce una volta
di più, un altro aspetto della storia cittadina, a conferma della originalità e
specificità delle sue vicende, legate alla presenza di quel potente centro di potere
economico e sociale che fu la Dogana di Foggia.
La storiografia sulle grandi famiglie foggiane si è occupata
prevalentemente di quelle interessate all'economia pastorale ed agricola, al ceto
della produzione mercantile o fondiario, ai Freda, ai Filiasi, ai Rosati, ai
Pavoncelli... trascurando il versante di quelli che legarono la loro fortuna
all'attività forense, alla vita pubblica.
Ebbene la storia della Famiglia Ricciardi può essere guardata come
esemplare di una vicenda che vede il suo affermarsi, appunto, attraverso
l'attività forense con la quale riesce a raggiungere una preminente posizione
sociale, prima nella pubblica amministrazione e poi in campo economico ed
infine, con la ricchezza ed il prestigio, a fare quel “salto di qualità”, del quale
discorreva il Colletta, nell'aristocrazia del Regno 2 .
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* Relazione tenuta nel Convegno di Studi: “Le istituzioni nel Mezzogiorno e l’’“opera
di Francesco Ricciardi”, svoltosi a Foggia il 15 aprile 1993. Altre relazioni del Convegno, di
Saverio Russo e Raffaele Colapietra, sono state pubblicate nei fascicoli precedenti di questa
Rivista.
1 - Alcuni accenni alla questione, seppure riferiti all'Abruzzo, in RAFFAELE
COLAPIETRA, Alle origini del notabilato meridionale: “Don ” e Dottori nella Società Pastorale
del Sei e Settecento in RICERCHE DI STORIA SOCIALE E RELIGIOSA, n. 35, 1989.
2 - Questo dello “scambio” di ceti sociali fra provincia e Napoli capitale è
particolarmente vivace a Foggia, più che in altre città del Regno - spesso chiuse ed isolate
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Se infatti guardiamo al “fondatore” della famiglia, a quell’oscuro
avvocato Francesco Antonio, venuto da un piccolo Casale della provincia di
Salerno a Foggia e - nel giro di poche generazioni - a quel suo discendente,
Alfredo, che può fregiarsi dei titoli di Conte di Camaldoli, Principe di Caivano,
Marchese di Fuscaldo etc. etc. e che gestisce un ingente patrimonio proveniente,
oltre che dalla famiglia, da un’attenta politica matrimoniale, non possiamo non
vedere in quella dei Ricciardi un tipico “esempio” dell'ascesa di una famiglia
borghese meridionale dell’“ancien regime” alla fine del Regno.
L'insediamento della Famiglia Ricciardi a Foggia avvenne alla fine del
1600 o agli inizi del secolo 1700 nella persona di Francesco Antonio 3.
Non conosciamo i motivi che portarono lo stesso a portarsi a Foggia,
ma certamente essi vanno riferiti alle ben note e notevoli possibilità,
“professionali”, che l’istituto della Dogana offriva ai forestieri.
Proveniva dalla provincia di Salerno, dove egli nasce nel maggio del
1693 in un Casale di San Severino, Saregnano, feudo dei Caracciolo di Avellino.
Tale provenienza - attestata da pubblici documenti dell'Archivio di Stato
di Foggia - crea perplessità per quanto riguarda la tanto vantata origine della
famiglia da una “stirpe patrizia di Pistoia”, provenienza che, per diversi motivi,
propendiamo a credere costruita “a posteriori”, per la necessità di costituirsi un
titolo di nobiltà in una società - quella foggiana agli inizi del secolo XVIII - nella
quale era ancora vivo e determinante la presenza del vecchio notabilitato
oligarchico 4 .
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nel loro piccolo mondo provinciale - la quale viveva in un strettissimo rapporto, quasi in
simbiosi, con Napoli, non solo per l'economia, - Foggia mercato di approvvigionamento
della Capitale - ma per la vita sociale e culturale.
3 - Il nome Ricciardi ricorre più volte nei documenti di Archivio, ingenerando
spesso equivoci sulla loro appartenenza alla famiglia. Di nessuna altra famiglia foggiana
invece è così ben definito l'albero genealogico come dei Ricciardi dei quali si discorre. Per gli
altri Ricciardi è solo questione di omonimia.
4 - Tale patriziato pistoiese è di fatto attestato solo dalla epigrafe funeraria nella
chiesa di San Domenico per Francesco Antonio Ricciardi, posto a cura del figlio Giovanni.
Né il Coda, che scrive il 1728 (S. CODA, Difesa per la città di Foggia e le famiglie nobili della
medesima, Napoli, 1728) a proposito del Ricciardi parla di nobiltà, ma di famiglia che si
“mantengono col lustro e decoro e la professione esercitata con tutto l’onore”.
Invero i dizionari nobiliari dello Spreti e del Candida Gonzaga alla famiglia
Ricciardi riportano tale attestato di patrizio, ma sono opere del 900.
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Su tale origine patrizia, ebbe poi ad adoperarsi il fervido ingegno del
fantasioso e fiero discendente dei Ricciardi, Giuseppe, del quale è ben nota accanto alla intransigente fede repubblicana - la patetica debolezza per i titoli
nobiliari5.
L'arrivo comunque di Francesco Antonio a Foggia coincide con un
periodo certamente fra i più difficili della vita cittadina.
Siano negli anni del trapasso dal Viceregno spagnolo a quello austriaco e
poi dell’avvento dei Borboni; negli anni della ben “nota per li cittadini ed università
di Foggia” di Francesco Onofrio 6 e della vivace contestazione del vecchio
sistema reggimentario oligarchico da parte del sopravveniente ceto mercantile
ed intellettuale7 .
Ed è in questa “nuova classe” che viene ad inserirsi il Ricciardi che
troverà nell’avvocatura (fu Avvocato Fiscale della Dogana) e
nell'amministrazione della cosa pubblica la sua fortuna e la piena affermazione
nella società foggiana.
Nel 1712 egli ha contratto matrimonio a Foggia impalmando Teresa
Gervasio figlia di tale Domenico, la quale gli porta una dote, non eccezionale,
ma abbastanza cospicua, di 1500 ducati oltre a proprietà di case a Foggia.
Dal matrimonio ebbe quattro figli maschi e una femmina.
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- Si ricordi il suo adoperarsi per ottenere il titolo di Conte, che non gli spettava
essendo lo stesso dovuto al fratello maggiore Giulio, e da lui ottenuto da Vittorio
Emanuele II di Savoia con decreto 22.3.1863 quando era deputato di Foggia a Torino, per
VIIIa legislatura, sulla base del titolo concesso nel 1779 da Vittorio Amedeo II Re di
Sardegna al suo pro zio Giovanni (cfr. più innanzi).
6 - Cfr. F. ONOFRI, Note per li cittadini ed Università di Foggia in cui si dimostra di
doversi mantenere in possesso dei loro Uffici gli Ufficiali che furono creati dal fu eminentissimo
Cardinale Grimani e doversi anche mutare la forma del governo e Parlamento di detta Città, Napoli,
1710.
7 - Ancora un periodo della storia cittadina tutto da chiarire: quello della prima
metà del secolo XVIII. Un periodo che vide grandi mutamenti politici quali il trapasso del
dominio spagnolo a quello austriaco, l’avvento dei Borbone, gravi calamità naturali , il
terremoto del 1731), accesi contrasti cittadini per il governo della cosa pubblica cui si è fatto
cenno, crisi dell'istituzione doganale per la forte fiscalità da parte della corte di Vienna e più
tardi per le iniziative dei Borbone che mutarono notevolmente la condizione
amministrativa della Dogana. Comunque per tutto questo si rimanda al volume di P. DI
CICCO, Il libro rosso della città di Foggia, Foggia, s.d. [ma 1965] e ai più recenti saggi di
Raffaele Colapietra.
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Per quanto riguarda il cursus honorum, troviamo per la prima volta il
suo nome nel 1721, quale 2° Eletto dell'Università, nel 1727 quale Percettore,
nel 1732 quale 4° Eletto, nel 1747 quale 1° Eletto.
Egli poi coprì la carica di Mastrogiurato negli anni 1740-41 e 1751.
Di quest’ultimo periodo abbiamo la fortuna di avere una interessante
serie di documenti fra le carte dell'Archivio Comunale, inventariate da Pasquale
Di Cicco 8, riguardanti la corrispondenza che, da primo cittadino, egli ebbe a
tenere in quegli anni.
Si tratta di 79 lettere indirizzate ad importanti personaggi del tempo (a
Tanucci, al Cardinale Camerlengo Gonzaga, ai reggenti della Dogana, al
Marchese Fogliani etc. etc.) che dimostrano come Francesco Antonio Ricciardi
si era ben saputo inserire nella vita politica non solo cittadina ma del Regno.
Sulle benemerenze acquisite nella pubblica amministrazione ci soccorre
un singolare documento, dato dalla lapide mortuaria posta alla sua morte nella
Chiesa di S. Domenico.
In essa è scritto fra l’altro9 “acquistò fama di saggezza; di tenacia e di
straordinario amore verso la patria, perché avendola trovata oppressa dai debiti
e nell’impossibilità di pagarli, la fece risorgere con la proposta di leggi ottime
per una buona amministrazione della cosa pubblica, approvate dai sette uomini
all’erario. Inoltre dopo aver provveduto al pagamento delle 14.000 monete
d’oro di debiti, fece lastricare con pietre quadrate le vie della città rovinate e
sdrucciolevoli; infine, uomo di prodiga generosità, fornì di arredamento
prezioso il tempio dell’Iconavetere e ampliò, a proprie spese la maggior parte
delle mura del collegio destinato alle fanciulle orfane. Morì il 1° Giugno 1766 e
fu portato alla sepoltura con grande dolore universale, poiché tutti piangevano
la morte del padre della patria”.
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8 - P. DI CICCO, I Documenti antichi dell’Archivio Comunale di Foggia, Foggia, 1970
(Quaderni di Foggia a cura del Comune, n. 2).
9 - Trascrivo dall’ottima traduzione di M. DI GIOIA in Foggia Sacra, V, Foggia,
1984.
Sull'autore dell’epigrafe un piccolo “giallo”. Giuseppe Ricciardi nel ricordare il suo
avo nella biografia sul padre riferisce che a dettare l’epigrafe fosse il Presidente della
Dogana, Gargano. Si tratta di un evidente errore di omonimia: non è Giuseppe Gargani,
che fu l’ultimo Governatore della Dogana negli anni dal 1795 al 1801, l’autore, quindi ben
trenta anni dopo la morte di Francesco Antonio; deve trattarsi invece di Michele Gargano.
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Come si vede, anche se le benemerenze del Nostro furono dettate dalla
pietà del figlio Giovanni, certo esso dovettero avere il pubblico consenso ad
affermazioni quali “lasciò fama di saggezza” di “padre della patria” etc.
Oltre a quella pubblica altre sue attività stanno ad attestare il suo
eccellente operare anche nel campo della vita culturale e religiosa.
Egli fu infatti fra i promotori del tentativo volto ad accrescere il livello
culturale della “barbarica” Foggia - per riportare l’ingiusto giudizio del
Nicolini10 - con l’istituzione di quell’ “Accademia degli illuminati” coinvolgendo il
nostro Celestino Galiani, tentativo purtroppo non andato a buon fine11.
Infine vanno ricordati i suoi particolari rapporti con l’autorità religiosa.
Egli si trovò a vivere in un momento altamente significativo della storia
religiosa di Foggia e cioè quello dell’“atmosfera spiritualistica”12 determinata
dalla presenza sulla cattedra vescovile di Mons. Cavalieri, nipote di Sant'Alfonso
dei Liquori e del suo successore Mons. Giampietro Faccolli (al quale si deve
l’effettuazione dell’importante Sinodo Diocesano del 1735) ma soprattutto dal
rilancio della religiosità popolare a seguito del terremoto del 1731.
Ricciardi fu ricco di doni ed attenzioni verso le autorità religiose
provvedendo a sue spese al restauro del Monastero di Santa Chiara, donando
un prezioso Ostenteorio alla Chiesa dell’Iconavetere.
Particolare cura egli dedicò ai restauri della Cattedrale effettuati dopo il
terremoto del 1731 (come deputato dei Reggimentari nel 1755)14.
Il compenso a tale devozione fu quello del privilegio di ospitare nella sua
casa nel dicembre 1745 addirittura Sant'Alfonso dei Liquori.
Oltre alla sua vita pubblica un cenno importante merita quella famigliare.
Dal suo matrimonio Francesco Antonio - come si è detto - ebbe 5 figli:
i maschi Carlo, Giulio, Cesare Basilio e Giovanni ed una femmina, Elisabetta.
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- F. NICOLINI, Mons. Celestino Galiani, Napoli, 1931.
- Cfr. T. NARDELLA, Celestino Galiani e l'Accademia degli Illuminati in
ARCHIVIO STORICO PUGLIESE, Bari, 1982, pp. 453-458.
12 - L'espressione è di Raffaele Colapietra in STORIA del Mezzogiorno, VII, Roma,
1986, p. 47.
13 - Cfr. M. DI GIOIA, Il Duomo di Foggia, Foggia, s.d., p. 97.
14 - IB., Appendice II.
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Ebbene egli con tale figliolanza ebbe un rapporto difficile e non certo
esemplare.
Per motivi e fatti ancora sconosciuti egli nell’anno 1747 escluse tre dei suoi
figli dell’eredità, donando anzi tempo tutti i suoi beni al secondogenito Giulio,
padre di Francesco 15.
Ciò fu causa di un fosco dramma famigliare.
Basilio, che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica raggiungendo la carica
di Abate, arrivò addirittura, spalleggiato dal fratello Carlo, ad aggredire, armato di
una pistola, il padre accusandolo pubblicamente di averlo obbligato a prendere i
voti e di nutrire un insano affetto per il figlio Giulio.
Francesco Antonio non si peritò di reagire con durezza all’aggressione
facendo arrestare il figlio “da una masnada di sbirri” - come di poi questi ebbe ad
accusarlo e a farlo rinchiudendolo nel carcere ecclesiastico.
I fratelli Basilio e Carlo ricorsero al Re Carlo di Borbone ma ebbero torto.
I contrasti famigliari continuarono anche dopo la morte del padre, poiché i
germani Basilio e Carlo, impugnarono il testamento in quanto negava loro anche la
“legittirna” parte del patrimonio proveniente dai beni dotali della madre, Teresa
Gervasio.
Alla sua morte Francesco Antonio, avvenuta il 1 Giugno 1766, lasciò una
discreta situazione patrimoniale. Il suo nome infatti ricorre negli atti della Dogana
costantemente come quello di “notorio affittuario di terre salde”. Oltre tutto si
trattava di terreni fra i più redditizi delle Locazioni, quelli di Castiglione, nel
tenimento di Foggia. Nel testamento si parla di circa 300 versure.
A lui si deve la costruzione - sia pure non nell’aspetto attuale - della casa di
famiglia, il Palazzo Ricciardi - indubbia attestazione dell’acquisita posizione sociale certamente uno dei più eleganti palazzi cittadini dell'antico centro storico di Foggia.
Contrariamente a quanto riferito dal Villani16 il Palazzo Ricciardi fu
acquistato da Francesco Antonio agli inizi del 1700 dal duca Don Adriano
__________
15 - Cfr. ARCHIVIO DI STATO Di LUCERA, Atti del notaio Carlantonio Ricca del
26.1.1747.
16 - C. VILLANI, Cronistoria di Foggia, Foggia, 1934.
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Brancia, “nella piazzetta di Santa Chiara” e dallo stesso “rifatto dalle fondamenta
dopo la ruina del terremoto del 1731”17.
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Il “fondatore” foggiano della “dinastia” dei Ricciardi, Francesco Antonio,
lasciò, come si è detto, 5 figli.
Carlo - Fra i figli di Francesco Antonio, il primogenito, Carlo fu certamente
quello che indipendentemente e, diremmo, a dispetto del padre, riuscì a crearsi una
propria “nicchia” personale nella storia cittadina, di notevole rilevanza.
Destinato in principio, come il fratello Basilio, alla carriera ecclesiastica si
dedicò invece alla vita forense e pubblica succedendo degnamente al padre.
Egli infatti raggiunse la carica di Mastrogiurato in Foggia nel 1764 e fu nella
rappresentanza politica amministrativa cittadina negli anni 1771-72 e 1772-73.
Giulio - Del secondo figlio di Francesco Antonio si è già detto. Fu a lui,
secondogenito, che egli donò, ben vent’anni prima della sua morte, tutti i beni di
famiglia, dal Palazzo avito, alla proprietà terriera, escludendo i fratelli da ogni
beneficio, salvo la dote per la sorella Elisabetta e un vitalizio per il fratello Basilio,
causa del grave dissidio famigliare.
Giulio Ricciardi sposò una Elisabetta Poppi (o Poppa) appartenente ad una
famiglia foggiana benestante anch’essa ben nota quale censuaria delle terre della
Dogana. Da tale matrimonio nacque Francesco, futuro Conte dei Camaldoli.
Basilio - Terzogenito di Francesco Antonio fu Basilio il quale fu costretto riferì poi lui in un esposto al Re Carlo di Borbone - a intraprendere la carriera
ecclesiastica.
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17 – Dall’atto di donazione citato, si legge: “Il Palazzo ossia casa Palazzo che possiedo
in questa suddetta città in Parrocchia alla magnifica collegata Chiesa avanti la chiesa del nobile
Monastero di Santa Chiara, dirimpetto la casa del S.R. don Giuseppe Fiani di Torremaggiore e
al Duca di Celenza, don Diego D'Avalos e da due confinanti.
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E’ il principale personaggio del fosco dramma famigliare al quale si è
accennato.
Giovanni - Giovanni l’ultimogenito della famiglia, nato a Foggia nel 1733, fu,
tra i figli di Francesco Antonio, quello che raggiunse la più elevata posizione
professionale e sociale e al quale il nipote Francesco, alle cui cure fu affidato
giovanissimo, dovette certamente la futura affermazione nel campo della
professione forense.
Ci pare opportuno riguardare più da vicino le vicende di tale esponente della
famiglia Ricciardi.
L'ultimogenito di Francesco Antonio, Giovanni, lasciò ben presto la casa
paterna trasferendosi a Napoli dove dopo essersi laureato utroque iure prese ad
esercitare l’attività forense con eccellenti risultati che faranno di lui uno dei maggiori
avvocati del foro napoletano raggiungendo una notevole posizione sociale.
All’incirca attorno agli anni settanta lo troviamo infatti avvocato e curatore
degli interessi del Regno di Sardegna a Napoli. Tale impegno a favore della corte
Sabauda è attestato dalla presenza, presso l'Archivio di Stato di Torino, di una
voluminosa documentazione riguardante la Corte Sabauda e i propri ambasciatori
a Napoli e contiene numerosi riferimenti anche agli avvocati napoletani incaricati di
curare gli interessi della corona e dei sudditi piemontesi a Napoli.
Fra i legali della corte appunto l’Avvocato Ricciardi18.
I riferimenti archivistici risalgono all’incirca agli anni 70 data alla quale si può
far risalire l’inizio dei rapporti con la corte Sabauda che continueranno
ininterrottamente per circa un decennio, quando essi vennero a raffreddarsi a causa
della rottura con l’Ambasciatore piemontese a Napoli, Marchese Di Brême.
Tali rapporti fra Ricciardi e la Corte Sabauda devono essere stati eccellenti se
addirittura nel marzo del 1775 l’Ambasciatore piemontese, Giulio Vittorio Incisa di
Camerana, appena inviato a Napoli viene ospitato nella sua casa19.
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18 - Devo queste preziose notizie al Professore Raffaele Aiello e alla ricerca effettuata
dalla professoressa E. Mongiano, che qui ringrazio sentitamente.
19 - Incisa giunge a Napoli nel febbraio 1775. Uomo modesto e prudente ben presto
non fu reputato all'altezza del suo compito nella mondana ed intrigante Corte borbonica e fu
sostituito nel 1782 dal più famoso marchese Gattinara di Brême che
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Da una relazione dell’ambasciatore Camerana infatti, in data 14 marzo ’75
inviata a Torino, egli, dopo aver relazionato del suo arrivo a Napoli e della sua
difficoltà ad orientarsi “sulle patrie costumanze delle rispettive giurisdizioni dei vari
magistrati” e della necessità di servirsi dei consigli dell’Avvocato Ricciardi, riferisce
sulla sua ospitalità in casa Ricciardi, della quale però è costretto ad allontanarsi: per
le singolari ragioni espresse nella relazione e che ci piace riportare in quanto esse
offrono una particolare “trende de vie” sulla Napoli del tempo.
“Dopo di essermi fermato col mio segretario e due domestici 20 giorni compiti in
casa dell’Avvocato Ricciardi e di avervi goduta della più pulita e per ogni conto civile e più
obbligante ospitalità, nel giorno 3 del corrente ne sono partito e sono passato con tutta la
mia gente ad una onorata locanda nel Borgo di Chiaia dove mi fermerò fino che abbia
trovata casa opportuna per la mia abitazione stabile. Giusta l’ordine delle locazioni
proprio di questo paese questo non potrà succedere al più presto che per la metà di maggio
venturo. Egli è sorprendente come in una città di così grande ampiezza quale si è questa di
Napoli, così rare siano le occasioni di trovar case convenienti ad un Ministro forestiero.
Quantunque io ne fossi stato prevenuto, confesso invero non aveso saputo persuadermene e
mi pareva una favola che l’Inviato Straordinario di Danimarca, al suo giungere in
Napoli, avesse dovuto restare in una locanda per il corso di 6 mesi. Ora ho imparato e
vado imparando a mie spese la verità. Tre del resto sono stati li motivi che mi hanno
consigliato di uscire dalla casa dell’Avvocato Ricciardi. Il primo per non incontrare tante
obbligazioni a suo riguardo che poi non potessi loro corrispondere. Il secondo quello di non
lasciare esposto il mio segretario alle frequenti sollecitazioni dell’Avvocato suddetto di
spiegarle cosa io avevo scritto e in quali termini io avevo scritto alla corte ecc. E alle sue
doglianze di non comunicarvi io le lettere che riceveva da V.E. le mie credenziali ecc. Il
terzo per levarmi dal caso di voler condurre l’Avvocato con me alle visite che mi occorreva
di fare alle Famiglie Nobili principali di questa Città le quali, delicate sul punto, come mi
è stato insinuato, non vedevano troppo volentieri il mio presentarmi ad esse in compagnia,
come qui dicono di un Paglieta (sic) e che questo cercasse di introdursi, all’ombra mia e in
aria di familiarità, nelle case loro. In segno
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poi della mia riconoscenza al Signor Avvocato le ho regalato un taglio di velluto d’abito
intiero e una sottoveste di stoffa d’oro ricamata, il tutto di Francia e a scelta di lui stesso
ed ho con titolo di mancia lasciato il denaro conveniente per il salario di quei domestici che il
suddetto signor avvocato aveva presi e tenuti a mia contemplazione per il tempo che ho
dimorato in casa sua. La spesa totale è andata alle 39 zecchini in punto"20.
Con la nobiltà napoletana che non vedeva di buon occhio il famigliare
rapporto con l’ambasciatore, il “paglietta” Ricciardi potè prendere presto la sua
rivincita perché appena qualche anno più tardi, egli sarà dalla Corte Sabauda
nominato Conte. Nella difesa degli interessi del Piemonte a Napoli il maggior
impegno dal Ricciardi fu profuso per una vertenza che riguardava da vicino
proprio le due Case dei Borbone e dei Savoia e che fu sottoposta da Giovanni
Ricciardi personalmente a S. M. Vittorio Amedeo III.
Si trattava della questione, non ancora sufficientemente approfondita dagli
storici, dell’eredità della Regina Bona Sforza (le cosidette - nella storiografia polacca
– “somme napoletane”) riguardante la rendita proveniente per il prestito fatto dalla
stessa a Filippo II Re di Spagna, nel 1566 di ben 450.000 ducati, debito e rendite
che impegnarono in una lunga querelle giudiziaria la Corte di Napoli, Polonia,
Spagna, Francia, Modena 21 .
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seppe godere dei favori di Ferdinando e Maria Carolina (Cfr. R. AIELLO, I Filosofi e la Regina,
in ARCHIVIO STORICO DEL SANNIO, 1991).
20 - ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Archivi di Corte: Materie politiche relative
all'Estero. Due Sicilie - Fasci vari/Lettera datata: Fascio 25.
21 - Riassumo brevemente i fatti per i quali rimandiamo al mio saggio sull’argomento
di prossima pubblicazione: "Il prestito della Regina Bona Sforza sulle rendite della Dogana delle Pecore
di Foggia e la lunga querelle fra Napoli, Polonia e Francia fra 500 e 700". Nell'anno 1556 Filippo II
Re di Spagna e di Napoli e il suo Vicerè Duca d'Alba per far fronte alle spese di guerra contro
Papa Paolo IV Carafa ebbe bisogno, come ricorda il Giannone (libro XXXIII cap. I) “di avere
denari assai” e pertanto presero in prestito da Bona Sforza Regina di Polonia e Duchessa di
Bari 430mila ducati. Le condizioni del prestito furono stabilite in due contratti stipulati il 15
luglio e il 10 dicembre 1556 fra il Duca D'Alba, in virtù dei pieni poteri conferitogli da Filippo
II, e la Regina Bona. Per tale contratto furono concordati gli interessi in ragione del 10% annuo
e con ipoteca sulle rendite della Dogana di Foggia.
Data l'impossibilità di procedere all'estinzione del credito venne a crearsi una rendita a
favore dei creditori di circa 50mila ducati annui da pagarsi da parte del Regno.
Morta Bona Sforza il credito e le rendite furono passati in eredità alla figlia Anna
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La singolarità della questione è data dal fatto che il debito era garantito
dalle rendite della Dogana delle Pecore di Foggia, la qual cosa acquista per noi
foggiani un particolare valore perché tale rendita ebbe a pesare per circa tre
secoli sul bilancio doganale.
Evidentemente Giovanni Ricciardi, ben a conoscenza, come foggiano,
delle vicende della Dogana dovette utilizzare tali conoscenze per fare
rivendicare alla Corte Sabauda, il pagamento di quella parte della cospicua
rendita che era pervenuta ai Savoia a causa del matrimonio del Re di Sardegna
con Maria Antonietta di Borbone, figlia del Re di Spagna, Filippo.
Anche se le richieste della Corte Sabauda non ebbero una immediata
soluzione l’azione intrapresa dal Ricciardi deve essere stata giudicata
positivamente tanto è vero che lo stesso fu ricevuto a Torino da Vittorio
Amedeo e poco dopo gli venne conferito il titolo di Conte.
Purtroppo i rapporti fra Giovanni Ricciardi e la Corte di Torino furono
interrotti a causa dei pessimi rapporti che vennero a crearsi fra lo stesso e il
nuovo Ambasciatore Sabaudo a Napoli, Giuseppe Arborio di Gattinara,
Marchese di Breme nel giugno del 1782.
La rottura sorse per motivi di interesse, per un debito del Ricciardi nei
confronti del Marchese, un contrasto che ebbe a sfociare in una vertenza
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Iagellone moglie di Bataro Re di Polonia e successivamente al figlio Sigismondo III Re di
Polonia. Sigismondo III divise l’eredità donandone una metà a Ladislao I Re di Polonia e
l’altra metà ai figli e figlie nate dal suo secondo matrimonio.
Ci risparmiamo di riferire sui successivi passaggi di tale eredità e delle relative
rendite negli anni seguenti la quale fu divisa fra i vari eredi per vie di donazioni, eredità,
complicate dai numerosi cambiamenti dinastici per cui troviamo impegolati nel credito
della Dogana di Foggia agli inizi del 700 i Borboni di Francia, con i Principi di Condè (per i
matrimoni con la figlia di Casimiro Re di Polonia) i Gonzaga, gli Asburgo, i Gesuiti ed
infine i Savoia.
Tutti i presunti beneficiari naturalmente ricorrevano al Regio Fisco di Napoli per il
riconoscimento dei loro diritti e pertanto si instaurò una lunga serie di cause anche per il
peso dei notevoli interessi maturati in quanto il fisco in attesa delle decisioni aveva
provveduto sin dall’anno 1682 a congelare i fondi.
Evidentemente Ricciardi studiando le carte della Dogana ebbe a verificare la
legittimità delle pretese dei Savoia all’eredità di Bona Sforza per le successioni provenienti
per l’eredità di Re Casimiro ai suoi discendenti di Borbone-Spagna imparentatisi con i
Savoia. La richiesta fu giudicata valida e legittima dalla corte di Torino che diede mandato a
Ricciardi di tutelare i suoi interessi a Napoli. Tale richiesta non fu ritenuta infondata e della
questione ebbe ad occuparsene il Tanucci in persona.
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giudiziaria (avvocato del Ricciardi fu Nicola Vinvenzio) e addirittura con
l’arresto del Ricciardi.
A seguito di tale contrasto al Ricciardi fu tolta la carica di Avvocato dei
Piemontesi e fu sostituito prima da Saverio Mattei e poi dall'Avvocato
Borrelli22.
L'odio fra il Marchese di Breme e il nostro Ricciardi continuò negli anni
successivi, fino alla denunzia dello stesso (anonima), contro il Gattinara per
l’accaparramento da parte dell’ambasciatore piemontese dei beni dei Gesuiti in
Sicilia e rivenduti in maniera poco corretta dallo stesso e che si concluse con
soddisfazione del Ricciardi in quanto i beni acquisiti dal Gattinara furono
sottoposti a sequestro da parte del Vice Re di Sicilia23 .
Questo quindi il Giovanni Ricciardi il quale ebbe a fare da Mentore a
Napoli al giovane Francesco, un uomo di notevole posizione sociale, quindi
ben introdotto negli ambienti di corte e della aristocrazia napoletana e
soprattutto nel foro napoletano e che aveva addirittura raggiunto un titolo
nobiliare.
Si spiega così non solo l’eletta educazione che fu impartita al giovane
Francesco ma il suo, come dire, facile e precoce avvio nella professione forense
che gli diede ben presto fama e prestigio.
Elisabetta – E’ l'unica figlia femmina di Francesco Antonio e l' unica di
cui oltre al figlio prediletto Giulio, si preoccupò dotandola di 1500 ducati
nell'atto di donazione fatto a favore del figlio Giulio. Elisabetta, andò sposa a
Foggia ad un esponente della famiglia Garzilli.
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Ma è con la 3a generazione della famiglia Ricciardi che quella peculiare
caratteristica da noi accennata, trova la sua esemplificazione.
E’ col decennio napoleonico, infatti, che avviene, con incisività, quel
“salto di qualità” del ceto civile “togato” - come del resto di quello mercantile che caratterizzerà la società foggiana del sec. XIX.
E se è vero che il decennio francese fu, in definitiva, l'affermazione del
ceto borghese voluto dai napoleonidi, l’esempio “probante” è dato
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- ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Carte... cit.
- IB.
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appunto dai figli di Giulio Ricciardi, di una famiglia cioè, borghese, in ascesa
per meriti e capacità intellettuali.
Infatti è singolare rilevare il fatto che i 4 figli maschi di Giulio, si
schierarono tutti, più o meno apertamente, a favore del regime napoleonico.
Un’adesione dovuta, a mio avviso, alla piena consapevolezza che il
nuovo regime non poteva che esaltare la loro posizione di “uomini nuovi”, di
esponenti del ceto forense proprietario, cui la “certezza del diritto” della nuova
legislazione (dai Codici nepoleonici, alle leggi sulla feudalità a quella sulla
Dogana ... ) aprivano nuovi e ampi spazi di potere e di guadagno.
E così vedremo, da parte di Francesco, l’acquisto di una grande
proprietà fondiaria sulla scorta delle leggi affrancatrici e dell’abolizione degli
ordini religiosi, e l’assunzione di posti di prestigio nella pubblica
amministrazione oltre che da parte di Francesco, anche dai fratelli Giambattista
e Nicola.
Tutto questo fu certamente basato, oltre da convenienze di “classe”, da
una adesione ideologica al nuovo stato di cose, adesione che si concretizzò
nell’accostarsi all’ideologia massonica e nell’identificarsi nell’opera del nuovo
governo ispirata da quei “triplici diritti”, come li definì Combacerès,
l’omologo francese, contemporaneo di Ricciardi, sanciti dal Codice
Napoleonico - il cui atto di divulgazione nel Regno è significativamente firmato
dallo stesso da Francesco Ricciardi - di “Libertà, di proprietà e di libero
contratto”.
***
Da Giulio Ricciardi e da Elisabetta Poppi nacquero come si è detto, 5
figli: Giovanbattista, il primogenito, Carlo che prese i voti ed intraprese la
carriera ecclesiastica, il nostro Francesco, Giambattista, Nicola e una sola
femmina Lucia, anch’essa votata alla vita religiosa.
Francesco - Per quanto riguarda Francesco il più illustre rappresentante
della famiglia, ci asterremo dal ripercorrerne le vicende, in quanto esse saranno
tracciate più approfonditamente dalla relazione Feola24 anche
__________
24 - Non possiamo non esprimere il nostro disappunto per la mancata
pubblicazione della relazione del prof. Feola su Francesco Ricciardi, relazione principale del
Convegno, nel quale si inseriva anche il presente contributo, che viene pertanto a perdere
utili e significativi riferimenti.
93
se va ricordato che non esiste ad oggi una sua biografia e che bisogna ancora
ricorrere alle brevi note - quanto mai imprecise - scritte dal figlio Giuseppe.
Ma ci sia consentito tuttavia soffermarci su alcuni momenti della sua vita,
trattati solo en passant dalla relazione Feola e che riguardano soprattutto i
rapporti con la sua città natale, Foggia, e la sua giovinezza.
Come racconta il suo figlio Giuseppe a dieci anni - nel 1768 - il giovane
Francesco fu condotto a Napoli per iniziare gli studi che egli compì con la
guida dello zio paterno Giovanni.
Il figlio Giuseppe si sofferma alquanto sugli studi compiuti dal padre,
sotto la guida di eccellenti maestri, soffermandosi tuttavia più su quelli letterari
che su quelli giuridici senza informarci della laurea, della iniziata carriera forense,
solo ricordando che “non avea peranco fornito l'anno ventesimo quando ad
aringare si fece la prima volta nei tribunali”.
Siamo quindi all'incirca agli inizi degli anni ottanta.
E tuttavia nulla sappiamo dei suoi studi giuridici, delle sue frequentazioni,
in un periodo, quello appunto degli anni ottanta, che sappiamo fra i più fervidi
e belli della storia napoletana, la Napoli, per intenderci, dei Filangieri, dei
Pagano, Palmieri, Pasquale Cirillo, Cuoco, Vincenzo Russo, con i quali Ricciardi
ebbe rapporti di vita e di amicizia.
Anche nel decennio successivo quello fino al 1789 nessuna notizia
abbiamo della sua vita.
Dove esercitò egli la professione di avvocato? A Napoli, come ricorda
ancora il figlio Giuseppe, citando l’elogio a lui attribuitogli da Vincenzo Ariani:
“Franciscus Ricciardi in foro tonat, interque primos oratores
enumerantus” come si legge nell’Elogio Funebre di Ceva-Grimaldi pubblicato
negli Annali Civili o nella commemorazione di Cesare Dalba a Napoli nel 1882
in occasione della istallazione del busto a Castel Cagnano, oppure a Foggia
presso il Tribunale della Dogana?
Ecco una vicenda tutta da chiarire e che è quella relativa della
frequentazione o meno a Foggia del Ricciardi, durante quegli anni.
E qui occorre rifarsi alla ben nota testimonianza di Carlo Villani25 .
Ricordiamola:
_________
25
- C. VILLANI, Scrittori ed artisti pugliesi, Trani, 1904.
94
Racconta il Villani sulla base di un manoscritto, a noi sconosciuto, di
Francesco Rio 26:
“Eccomi a narrarti perché Francesco Ricciardi con la sua famiglia emigrò da
Foggia, sua patria. Il primo dei fratelli, D. Francesco, sommo giureconsulto presso il
Tribunale della R. Dogana di Puglia, sedente in Foggia, per aver vinto una causa a
favore del principe di Troia n’ebbe in compenso una vigna ed un palazzo, che è quello
propriamente che col monistero e con la chiesa di s.ta Chiara formano un piccola
piazza. Costui s’invaghì della signorina D. Anna Silvia Celentano, figlia di D.
Liborio, primo marchese di questa famiglia. Ma la signorina disprezzò le affettuose
premure del legale, e rifiutò la sua mano allorché D. Francesco la domandò in isposa
al di lei genitore. Ciò si fè noto in città, ed il Ricciardi, fu beffeggiato con mille sarcasmi
in riguardo al rifiuto ricevuto ed alle sue non belle forme fisiche, attribuendoglisi anche
dei cattivi influssi o fascino, volgarmente detto “iettatura”. Ed a ciò si aggiunsero dei
pari versi derisorii, che sovente venivano dettati su tal soggetto dal foggiano poeta e
giureconsulto, suo antagonista, D. Francesco Saverio Massari27. Quindi tanto fu
l’avvilimento nel quale cadde per questa persecuzione, che risolse di abbandonare la
città nativa per stabilirsi in Napoli, come eseguiì con due dei suoi fratelli”.
Che dire di tale racconto?
Che esso suscita non poche perplessità.
Tralasciando, la cattiveria riguardante la “iettatura”28, una perplessità
______________
- C. VILLANI, Scrittori ed artisti... cit, sub voce Ricciardi.
- Si tratta del noto poeta estemporaneo, autore del libretto della Daunia Felice
musicata da Paisiello in occasione delle nozze celebrate a Foggia di Francesco Borbone e
Maria Clementina Asburgo nel 1797. Su di lui cfr. A. VITULLI, I Teatri di Foggia nei sec.
XVIII e XIX, Foggia, 1993.
28 - Poco verosimile l’accusa “iettatoria”, anche per la mancanza di alcun accenno o
riscontro nei pur attenti e poco scrupolosi, in materia, scrittori napoletani coevi.
Controprova: l’ampia frequentazione del salotto Ricciardi a Camaldoli, i busti eretti allo
stesso all’Accademia delle Scienze e ai Tribunali e i vari incarichi ai quali fu chiamato in
vecchiaia quando - come ben noto ai napoletani - l'influsso specifico assume particolare
virulenza.
26
27
95
ci viene dalla frase riferentesi "alla sua non bella forma fisica" che non corrisponde
affatto a verità poiché è noto - come appare del resto dal busto in marmo e dal
ritratto - il Ricciardi era un uomo di nobile e bella figura.
Oltretutto è evidente l'inesattezza circa il Palazzo di famiglia donatogli dal
Principe di Troia, che noi sappiamo già in possesso della stessa da almeno un
secolo prima.
Ma da tale racconto si evidenzia non solo un brusco e drammatico distacco
della famiglia Ricciardi da Foggia tipo... "ingrata patria...", non esatto, per i
molteplici interessi che la famiglia continuò ad avere a Foggia, ma si fa riferimento
ad una presenza ed una frequentazione nella città natale della quale non abbiamo
nessun altro riferimento.
Da una attenta indagine sulle carte d'archivio non abbiamo potuto verificare
nessuna traccia, nei processi civili, dell'attività legale legata alla Dogana.
E mai possibile che il giovane, brillante avvocato del foro napoletano non
esercitasse la sua attività nel foro privilegiato della Dogana?
E’ indubitabile tuttavia che Francesco fosse avvocato dell'Università di
Foggia.
Dalla corrispondenza col fratello Gianbattista, mastrogiurato, troviamo una
lettera nella quale questi, essendo Francesco stato nominato Consigliere di Stato siamo nell'anno 1806 - gli comunica la decisione del Decurionato della sua città di
continuare a corrispondergli il suo stipendio "in segno di dovuta attenzione e di
tutto ciò che mai potesse a questo Comune abbisognare".
Il Ricciardi, "essendo ciò incompatibile con la carica che sto esercitando",
rifiutò.
Tuttavia non è detto che tali funzioni di avvocato del Comune il Ricciardi le
esercitasse a Foggia.
Questione quindi, della permanenza di Francesco a Foggia, che siamo per
ora costretti a lasciare in sospeso.
***
Ma un'altra questione della biografia di Francesco ci pare opportuno
chiarire.
Ed è quella relativa al cospicuo patrimonio che egli ebbe a costituirsi.
La cosa era già stata evidenziata da Pasquale Villani, per quanto riguardava i
possessi in Terra di Lavoro in Campania - nel suo volume sulla vendita dei beni
dello Stato nel periodo dei Napoleonidi - dal quale
96
si rileva il nome di Ricciardi fra quelli degli alti funzionari del regime (con
Arcambal, Maghella, Saliceti ... ) maggiori acquirenti dei beni acquisiti dallo Stato.
Anche nella sua terra di Capitanata il Ricciardi si adopera per il possesso
delle terre di censuazione29.
Da un sommario esame, ho potuto verificare l'acquisto delle seguenti
proprietà:
13 Carra nella zona di Amendola
30 Carra nella zona di Passo Breccioso
84 Versure in contrada Pilone già di proprietà del Capitolo di Foggia e
appartenenti ai Luoghi Pii.
Si tratta come si vede di una proprietà consistente di circa 700 ettari di cui
una buona parte di terre arabili, ai quali vanno aggiunti i terreni e le proprietà
provenienti dall'eredità paterna tra le quali tre masserie a vigneto al Quadrone delle
Vigne30 .
Naturalmente il processo di acquisizione della sua proprietà andrebbe
ricostruito con dettaglio, ma una cosa è certa, che anche a credere, con beneficio di
inventario, alla "fanfaronata" raccontata dal figlio Giuseppe della restituzione dei
50.000 ducati da lui incassati per l'acquisto dei beni di mano morta, Francesco
Ricciardi seppe ben approfittare delle leggi napoleoniche, al seguito delle quali si
ebbe un nuovo assetto della proprietà fondiaria nel Mezzogiorno.
Questi quindi alcuni aspetti della vita di Francesco Ricciardi a Foggia che
meritavano una particolare attenzione.
***
Quando agli altri fratelli di Francesco diamo di seguito brevi cenni.
Giovambattista – E’ il fratello maggiore di Francesco e a lui molto legato
tant'è vero che alla sua morte, avvenuta il 1810, lo lasciò erede universale.
__________
29 - Per l'acquisizione dei beni in Capitanata cfr. P. Villani, La vendita dei beni di Stato nel
Regno di Napoli (1800-1815). Milano, 1962.
30 - L'Archivio del Tavoliere di Puglia. Inventario a cura di Pasquale Di Cicco e Dora
Musto, Roma 1970-1991, voll. 5.
97
Anche lui intraprese la carriera forense che esercitò attivamente a Foggia.
Coprì diverse cariche pubbliche nel periodo borbonico.
Lo troviamo poi coinvolto nei fatti della Repubblica Partenopea.
Resoconta il nostro Ferdinando Villani che Giovambattista Ricciardi fu tra i
delegati che l'Università inviò a Napoli per contattare i nuovi governanti
repubblicani e che accompagnò a Foggia quale Commissario, Zefiro Marone31.
Tuttavia non troviamo il suo nome fra i governanti che aderirono alla
Repubblica e quindi anche Giambattista tenne lo stesso comportamento, come
possiamo definirlo, di "adesione passiva", che tenne il fratello a Napoli verso il
Governo Giacobino.
Ciò gli permise di sottrarsi al "Ripurgo" e di tornare al Governo Cittadino
negli anni successivi.
E’ secondo eletto nel 1799-01; Percettore nel 1801-02; Mastrogiurato nel
1805-06.
Di quest'ultimo periodo abbiamo la fortuna di avere, come per il suo avo
Francesco Antonio, la corrispondenza, e anch'essa accuratamente inventariata da
Pasquale Di Cicco e anch'essa "ahimè", "invisibile" come le altre carte dell'Archivio
comunale32 .
Tale corrispondenza particolarmente interessante per la storia cittadina,
perché tenuta al momento del trapasso fra il regime borbonico e quello
napoleonico e perché in essa ci sono riferimenti a personalità quali l'ambiguo
Presidente della Dogana Gargani, a rapporti col fratello Francesco, con i
maggiorenti di Foggia, i Filiasi, i De Luca, Mastrolilli, etc.
Da essa ci pare utile riportare uno scambio di lettere fra l'Università di
Foggia e Francesco in occasione della riferita nomina dello stesso a Consigliere di
Stato.
Ecco la risposta di Francesco:
"Ai Rappresentanti della
Città di Foggia
Ill/mi Signori
Rendo loro infinite grazie de' congratulamenti che si degna_____________
31 - F. Villani, La nuova Arpi, Salerno, 1870.
32 - P.Di Cocco , I Documenti dell'Archivio... cit.
98
no di far meco per la non ambita né meritata carica a cui S.M., per sola sua clemenza, mi ha
elevato. Il principale compenso che potrò avere dopo la grazia di S. M. sarà il bene della mia
Patria a cui sono attaccatissimo: e mi è dolce ricevere dai miei concittadini un attestato della loro
benevolenza che sommamente mi onora.
Desidero da loro pregiati comandi, e pieno di rispetto mi dichiaro delle LL.SS..
Dev. Obb/mo
Francesco Ricciardi
Napoli lì 31 di maggio 1806
Lettera, come si vede, che non contiene nessun segno del rancore di
Francesco verso la sua città ipotizzato dal Villani.
In quello stesso anno Giambattista Ricciardi fu nominato Preside a Trani.
Il Giornale Patrio commenta: "Addì 23 luglio 1806 - Questa mattina è
tornato da Napoli il signor Giovanni Ricciardi col titolo di Preside di Trani e
domani partirà per quella volta: l'intera città ha goduto del suo ascenso sì per la sua
persona che per l'onore dei compaesani".
Com'è noto G.B. Ricciardi occupò tale carica per poco tempo, fino all’
aprile del 1807, dal quale incarico fu dimesso da Giuseppe Bonaparte per ragioni
non ben chiare e che fanno riferimento anche a quelle dell'allontanamento da
Foggia di Giuseppe Poerio.
Nel novembre del 1808 fu nominato membro della Gran Corte di
Cassazione.
Commenta il De Nicola "Ignoto uomo - Fratello di Don Francesco".
Due anni dopo nel 1810 egli decedeva ancora in età giovanile.
Carlo - Terzogenito di Giulio fu Carlo il quale come si è detto si dedicò alla
carriera ecclesiastica.
Egli, a differenza dei fratelli, dimorò permanentemente a Foggia dove
raggiunse anche la carica di Canonico.
Anche egli, come gli altri della sua famiglia, si schierò apertamente coi
napoleonidi, come attesta il Giornale Patrio ed è lui che, come Canonico della
Cattedrale, tiene, in occasione della visita a Foggia di Giuseppe Napoleone nel
maggio del 1806, dopo il solenne Te Deum, un'orazione encomiastica per il
novello Re di Napoli.
99
Nicola - Il più giovane dei figli di Giulio Ricciardi nato a Foggia nel 1767 è il
più singolare personaggio della famiglia, non fosse altro per l'avventuroso destino
occorsogli.
Egli, durante la Repubblica Partenopea, si era schierato - come del resto la
maggior parte dei foggiani - col movimento giacobino e quando alcuni anni dopo,
nel 1803, a causa dei contrasti succeduti alla pace di Amiens fra Francia ed
Inghilterra per lo sgombero di Malta, Napoleone aveva rioccupato, d'accordo
questa volta col Re di Napoli, la penisola salentina, era stato interprete di una
vicenda che suscitò un gran rumore nel Regno e sulla quale abbiamo particolari
testimonianze.
Innanzi tutto quella del lucerino Luigi Blanch che riporta l'episodio nel suo
saggio sulla Storia di Napoli dal 1801 al 180633.
"In Foggia fu di passaggio il Generale Verdier alla testa della prima colonna
della sua Divisione. La città gli offrì un pranzo, ov'erano le autorità municipali, le
regie, lo Stato Maggiore francese. Tutto passò tranquillamente e decentemente,
quando alla fine del pranzo, il signor Ricciardi, di famiglia distinta, esaltato in
sentimento e riscaldato dal banchetto, sotto pretesto di un brindisi al Generale, fece
un discorso invitandolo a proclamare la rivolta dei patrioti che sostenuti si facevano
forti di rovesciare il governo. Il generale Verdier fu sbalordito.
Il colonnello Roth, Regio Commissario, lo prevenne che mandava ad
arrestare il Ricciardi per farlo condurre a Napoli come reo d'aver voluto alterare la
buona intelligenza esistente fra le due potenze. Il Generale francese rispose che
facesse ciò che credeva, e il Ricciardi dalla tavola partì scortato per Napoli, donde
fu relegato alla Favignana in Sicilia. Il generale S.t Cyr approvò la condotta di
Verdier, e fu un avviso per gli esaltati ed una guarentigia per il governo. Questo
primo fatto fece talmente impressione che non si rinnovò più in una occupazione
di 30 mesi. La disciplina dell'esercito fu esemplare".
La notizia del fatto venne riportata naturalmente dal Giornale Patrio ma con
versione alquanto diversa34:
___________
33 - L. Blanch, Scritti storici, Bari, 1945.
34 - Si tratta del noto "Giornale Patrio" della Famiglia Villani, del quale la Società Dauna
di Cultura ha intrapreso la pubblicazione. Cfr. Per gli anni 1800-1810, il volume a cura di
Pasquale Di Cicco, Foggia, 1983.
100
"Addì 14 luglio 1803
Quest'oggi avviene un fatto molto funesto in questa città, ed è quello di esser venuto
dalla Marina a tutta fretta il tenente colonnello Rotti (sic) per procedere alla carcerazione del
signor don Nicola Ricciardi, galantuomo del paese, al quale se li sono accordati pochi momenti,
e subito si è fatto partire per la volta di Napoli in una canestra, accompagnato dal capitano
Curci, e dodeci uomini di cavalleria. Si vuole che sia stata una denuncia andata alla Corte per
aver il medesimo sparlato del Governo alla presenza del generale francese Salignac (Sic!).
Questo fatto ha fatto terrore all'intiera popolazione: vi sono grandi spie. I tempi cominciano ad
essere di nuovo critici, e pericolosi!".
Anche il Diario di De Nicola riporta i fatti, ma anch'essi con riferimenti
differenti:
"A 17 luglio. È venuto da Foggia arrestato Nicola Ricciardi come reo di Stato, e si è
fatto passare per Toledo quest'oggi in una carrozza con ufficiali entro che lo custodivano con
dodici uomini di cavalleria che circondavano la carrozza. Il suo reato si fa consistere in essersi
presentato al generale Francese in Foggia, chiedendo in nome di altri patrioti di non essere
abbandonati come l'altra volta, e promettendo una seconda rivoluzione. Il generale Francese lo
rimproverò dicendo, essere un cattivo cittadino, e lo denunziò al governo di Foggia che ne diede
parte a Napoli. Vi sono ancora dei pazzi che vanno in cerca di malanni ".
Come si vede le versioni del comportamento di Nicola Ricciardi sono
alquanto diverse e vanno dall'offesa pubblica sotto i fumi delle libagioni da
parte del Blanch, all'aver sparlato pubblicamente del Governo, nel Giornale
Patrio, alla richiesta ai francesi di appoggiare un movimento rivoluzionario
contro i Borboni, nella versione di De Nicola.
Comunque sia si trattò di un comportamento maldestro, fatto in un
momento sbagliato e con interlocutori sbagliati. Sbagliato il momento, per
l'ordine da Parigi di evitare ogni dissipore con Napoli e sbagliato l'interlocutore
essendo il San Cyr - che non era certamente il giacobino Championnet notoriamente contrario all'impresa napoleonica; se tale interlocutore fosse stato
il Maresciallo Lechi ad esempio certamente Nicola Ricciardi avrebbe evitato il
suo triste destino.
101
La conclusione fu come si è visto la feroce condanna senza processo del
Ricciardi a Favignana.
Della sua presenza nel famigerato carcere abbiamo la testimonianza di
un altro illustre deportato, Guglielmo Pepe:
"Passai la notte in una prigione ancor peggiore di quella di Castel del
Carmine, piena d'immondizie e di calcina, ed ove trovai pure due piccoli sollievi, il non
aver ferri cioè, ed un compagno d'infortunio. Era questi Nicola Ricciardi di Foggia,
fratello di Francesco Ricciardi, primario e dotto avvocato, che fu poscia gran giudice,
sotto il Re Murat, e conte de' Camaldoli. La mattina seguente, allacciati ambedue ad
una immensa catena, detta di ponte, fummo imbarcati sopra un piccol legno della
marina reale che dovea condurci al nostro destino. Il Ricciardi, di anni 36, era stato
anch'esso, per sola volontà del re, senza forma di giudizio, condannato a vita alla
Fossa del Marittimo, ergastolo orribile, e senza eguale in Europa"35 .
Liberato dal carcere all'avvento dei napoleonidi, Nicola visse a Napoli
ma non abbiamo nessuna notizia su di lui.
Lucia - È l'uníca sorella di Francesco.
È lei la monaca che viveva nel monastero "Tempio di San Paolo", fuori
Napoli nel quale si rifugiò il giovane Giuseppe, insieme ai suoi fratelli, obbligato
dalla madre a vestirsi in abiti femminili al tempo della caduta di Murat, per
sottrarsi ad eventuali vendette36.
***
Siamo così giunti agli anni del nostro Risorgimento nel quale la saga dei
Ricciardi, che tale davvero possiamo chiamarla per le vicende vissute, per il
coinvolgimento della famiglia nelle storie del tempo, vicende che davvero
meriterebbero una particolare attenzione, non diciamo da parte dello storico,
ma in quella parte di letterato e romanziere che sonnecchia in ognuno di noi.
____________
35 - Memorie del Generale Guglielmo Pepe - Baudry-Parigi, 1847.
36 - G. Riccardi, Memorie Autografe di un ribelle, Parigi, 1857.
102
***
Le vicende dei figli di Francesco sono abbastanza note, e certamente rese
più interessanti e drammatiche dal fervido contrasto ideologico, quasi odio, che
oppose i componenti maschi della famiglia.
Come sappiamo Francesco Ricciardi con Luisa Granito di Castellabate
ebbe 4 figli, due maschi; Giulio e Giuseppe e due femmine, Elisabetta ed Irene.
Ebbene, come è noto, un feroce antagonismo oppose il primogenito
Giulio al fratello Giuseppe, insieme alla sorella Irene, divisi dalla passione
politica che riempì le loro esistenze in maniera totale.
Non ci soffermeremo sulle vicende di Giuseppe Ricciardi già più volte
esaminate per quanto in maniera non esaustica.
Esempio non unico nella storia del Regno di Napoli in quei momenti di
crisi, che vide gravissime lacerazioni all'interno delle stesse famiglie; di contrasti
fra fratelli e che ci fa ricordare casi analoghi come quelli dei fratelli Pisacane e
Imbriani ai quali bisogna guardare con uguale rispetto quali esempio di
coerenza, serietà e fedeltà al propri ideali.
Ma è a Giulio, suo fratello, al quale ci pare interessante, perché meno
nota, dedicare una doverosa attenzione.
Giulio, primogenito di Francesco, nato a Napoli nel 1801, ereditò dal
padre il titolo di conte dei Camaldoli. Egli sposò Sofia Spinelli dei principi di
Cariati il cui padre Gennaro Spinelli, fu figura ragguardevole nella storia del
Regno. Ufficiale napoleonico, murattiano, e che fu, come è noto, Ministro degli
Esteri del Governo Serracapriola nel 1848.
Giulio fu, al contrario del fratello, fedelissimo di Casa Borbone.
Pari del Regno, gentiluomo di Camera d'Entrata, Gran Croce
dell'Ordine Costantiniano, egli, dopo l'Unità fu a capo dell'opposizione al
nuovo Regno costituendo un Comitato Borbonico e progettando addirittura
l'assassinio di Silvio Spaventa allora Capo della Polizia e attentati contro
Vittorio Emanuele. Scoperto fu arrestato il 6 dicembre 1861 e posto in libertà
provvisoria il 23 dicembre. Il successivo 23 gennaio emigrò a Roma e fece
parte della Corte borbonica in esilio. Sommo onore, fu fra i testimoni del
battesimo dell'erede di Francesco II e Maria Sofia37 e morì a Napoli nel 1881.
_____________
37 - Cfr. R. Colapietra, G. Rivera ed i borbonici aquilani alla vigilia di Porta Pia, in
Rassegna Storica del Risorgimento, 1983, n. I.
103
Irene - Una particolare attenzione merita anche la vita di Irene, la
secondogenita di Francesco, nata a Napoli il 1803 e che fu molto legata al
fratello Giuseppe.
Con lui ella condivise la passione per la poesia e per il teatro e notevole è
la raccolta di versi, novelle e opere teatrali che meritarono anche l'attenzione del
De Sanctis come apprezzata poetessa "attorno alla Guacci" della quale Irene fu
amica38. Ella sposò nel 1831, il ben noto musicista Vincenzo Capecelatro per il
quale compose, appunto, i libretti delle opere e i testi di molte canzoni. Esercitò
anche l'attività giornalistica inviando corrispondenze da Parigi - dove alla visse
per molti anni con il marito - per il giornale "Il Lucifero" dal 1838 al 1842.
Il suo salotto letterario a Napoli fu molto famoso negli anni dopo il 48 e
tenuto d'occhio dalla polizia borbonica appunto per la parentela con Giuseppe
Ricciardi, esule a Parigi.
A tale proposito va ricordato un singolare episodio.
Proprio per aver frequentato il salotto di Irene Ricciardi, Teofilo
Gautier, in visita a Napoli nell'anno 1850, fu espulso, con inusitata severità, dal
Regno, l'8 settembre, quale "pericoloso rivoluzionario", una taccia che invero il
felice autore di Capitan Fracassa non meritava affatto 39 Irene morì a Napoli
nel 1870.
L'ultimogenita Elisabetta sposò il Principe di Tricase e morì a Napoli il
1875.
***
La Famiglia Ricciardi della generazione successiva, continua con i soli
discendenti di Giulio, unico ad avere una linea maschile. E l'erede fu Alfredo,
nato a Napoli il 1834 e che aveva seguito prima i genitori nell'esilio romano e
poi era tornato a Napoli ove morì nel 1892, tipico rappresentante di quella
inerte e oziosa nobiltà napoletana di fine Ottocento, di cui è piena la cronaca
napoletana di fine secolo e rievocata in maniera eccellente da Croce nel suo
saggio su "Gli ultimi borbonici"40.
______________
38 - Cfr. F. De Sanctis, La letteratura italiana del secolo Decimonomo, II, Torino, 1961,
p. 187.
39 - Cfr. A. Capograssi, L'espulsione di Teofilo Gautier dal Regno di Napoli, in Nuova
Aantologia, 1930.
40 - B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Serie Seconda, Bari, 1943.
104
Basta dire che l'elenco dei titoli di nobiltà di Alfredo Ricciardi, riportata
dal Bonazzi41, occupa tutta una pagina: infatti a quello di Conte di Camaldoli,
egli poteva aggiungere quelli di Principe di Sant'Arcangelo, ereditato dalla
madre, di Duca di Caivano, di Marchese di Fuscaldo... etc. etc. Egli poi si
imparentò, tramite i figli, con tutta la altisonante nobiltà napoletana del tempo.
Anche Alfredo, come gli zii paterni, coltivò le Muse ed ebbe a
pubblicare, in una delle tante Strenne di moda nel tempo, i suoi sonetti ed i suoi
Carmi42.
Finale certamente patetico ed alquanto deludente per la saga, durata ben
due secoli, della Famiglia Ricciardi di Foggia.
_____________
41 - F. Bonazzi, Elenco dei titoli di nobiltà della provincie meridionali d'Italia,
Napoli, 1891.
42 - Cfr. La Ghirlanda di Giulia. Strenna per l'anno 1875, Napoli, 1875.
105