La Famiglia Ricciardi - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna
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La Famiglia Ricciardi - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna
La Famiglia Ricciardi* di Antonio Vitulli Una peculiare caratteristica della società civile a Foggia, fra 600 e 700, è quella della cospicua presenza di una élite di "togati", notai, magistrati, avvocati, "officiales", legati al Foro privilegiato della Dogana delle Pecore ed ai suoi traffici. Un'indagine ancora tutta da fare questa1 che porrebbe in luce una volta di più, un altro aspetto della storia cittadina, a conferma della originalità e specificità delle sue vicende, legate alla presenza di quel potente centro di potere economico e sociale che fu la Dogana di Foggia. La storiografia sulle grandi famiglie foggiane si è occupata prevalentemente di quelle interessate all'economia pastorale ed agricola, al ceto della produzione mercantile o fondiario, ai Freda, ai Filiasi, ai Rosati, ai Pavoncelli... trascurando il versante di quelli che legarono la loro fortuna all'attività forense, alla vita pubblica. Ebbene la storia della Famiglia Ricciardi può essere guardata come esemplare di una vicenda che vede il suo affermarsi, appunto, attraverso l'attività forense con la quale riesce a raggiungere una preminente posizione sociale, prima nella pubblica amministrazione e poi in campo economico ed infine, con la ricchezza ed il prestigio, a fare quel “salto di qualità”, del quale discorreva il Colletta, nell'aristocrazia del Regno 2 . _______________ * Relazione tenuta nel Convegno di Studi: “Le istituzioni nel Mezzogiorno e l’’“opera di Francesco Ricciardi”, svoltosi a Foggia il 15 aprile 1993. Altre relazioni del Convegno, di Saverio Russo e Raffaele Colapietra, sono state pubblicate nei fascicoli precedenti di questa Rivista. 1 - Alcuni accenni alla questione, seppure riferiti all'Abruzzo, in RAFFAELE COLAPIETRA, Alle origini del notabilato meridionale: “Don ” e Dottori nella Società Pastorale del Sei e Settecento in RICERCHE DI STORIA SOCIALE E RELIGIOSA, n. 35, 1989. 2 - Questo dello “scambio” di ceti sociali fra provincia e Napoli capitale è particolarmente vivace a Foggia, più che in altre città del Regno - spesso chiuse ed isolate 81 Se infatti guardiamo al “fondatore” della famiglia, a quell’oscuro avvocato Francesco Antonio, venuto da un piccolo Casale della provincia di Salerno a Foggia e - nel giro di poche generazioni - a quel suo discendente, Alfredo, che può fregiarsi dei titoli di Conte di Camaldoli, Principe di Caivano, Marchese di Fuscaldo etc. etc. e che gestisce un ingente patrimonio proveniente, oltre che dalla famiglia, da un’attenta politica matrimoniale, non possiamo non vedere in quella dei Ricciardi un tipico “esempio” dell'ascesa di una famiglia borghese meridionale dell’“ancien regime” alla fine del Regno. L'insediamento della Famiglia Ricciardi a Foggia avvenne alla fine del 1600 o agli inizi del secolo 1700 nella persona di Francesco Antonio 3. Non conosciamo i motivi che portarono lo stesso a portarsi a Foggia, ma certamente essi vanno riferiti alle ben note e notevoli possibilità, “professionali”, che l’istituto della Dogana offriva ai forestieri. Proveniva dalla provincia di Salerno, dove egli nasce nel maggio del 1693 in un Casale di San Severino, Saregnano, feudo dei Caracciolo di Avellino. Tale provenienza - attestata da pubblici documenti dell'Archivio di Stato di Foggia - crea perplessità per quanto riguarda la tanto vantata origine della famiglia da una “stirpe patrizia di Pistoia”, provenienza che, per diversi motivi, propendiamo a credere costruita “a posteriori”, per la necessità di costituirsi un titolo di nobiltà in una società - quella foggiana agli inizi del secolo XVIII - nella quale era ancora vivo e determinante la presenza del vecchio notabilitato oligarchico 4 . _______________ nel loro piccolo mondo provinciale - la quale viveva in un strettissimo rapporto, quasi in simbiosi, con Napoli, non solo per l'economia, - Foggia mercato di approvvigionamento della Capitale - ma per la vita sociale e culturale. 3 - Il nome Ricciardi ricorre più volte nei documenti di Archivio, ingenerando spesso equivoci sulla loro appartenenza alla famiglia. Di nessuna altra famiglia foggiana invece è così ben definito l'albero genealogico come dei Ricciardi dei quali si discorre. Per gli altri Ricciardi è solo questione di omonimia. 4 - Tale patriziato pistoiese è di fatto attestato solo dalla epigrafe funeraria nella chiesa di San Domenico per Francesco Antonio Ricciardi, posto a cura del figlio Giovanni. Né il Coda, che scrive il 1728 (S. CODA, Difesa per la città di Foggia e le famiglie nobili della medesima, Napoli, 1728) a proposito del Ricciardi parla di nobiltà, ma di famiglia che si “mantengono col lustro e decoro e la professione esercitata con tutto l’onore”. Invero i dizionari nobiliari dello Spreti e del Candida Gonzaga alla famiglia Ricciardi riportano tale attestato di patrizio, ma sono opere del 900. 82 Su tale origine patrizia, ebbe poi ad adoperarsi il fervido ingegno del fantasioso e fiero discendente dei Ricciardi, Giuseppe, del quale è ben nota accanto alla intransigente fede repubblicana - la patetica debolezza per i titoli nobiliari5. L'arrivo comunque di Francesco Antonio a Foggia coincide con un periodo certamente fra i più difficili della vita cittadina. Siano negli anni del trapasso dal Viceregno spagnolo a quello austriaco e poi dell’avvento dei Borboni; negli anni della ben “nota per li cittadini ed università di Foggia” di Francesco Onofrio 6 e della vivace contestazione del vecchio sistema reggimentario oligarchico da parte del sopravveniente ceto mercantile ed intellettuale7 . Ed è in questa “nuova classe” che viene ad inserirsi il Ricciardi che troverà nell’avvocatura (fu Avvocato Fiscale della Dogana) e nell'amministrazione della cosa pubblica la sua fortuna e la piena affermazione nella società foggiana. Nel 1712 egli ha contratto matrimonio a Foggia impalmando Teresa Gervasio figlia di tale Domenico, la quale gli porta una dote, non eccezionale, ma abbastanza cospicua, di 1500 ducati oltre a proprietà di case a Foggia. Dal matrimonio ebbe quattro figli maschi e una femmina. _____________ - Si ricordi il suo adoperarsi per ottenere il titolo di Conte, che non gli spettava essendo lo stesso dovuto al fratello maggiore Giulio, e da lui ottenuto da Vittorio Emanuele II di Savoia con decreto 22.3.1863 quando era deputato di Foggia a Torino, per VIIIa legislatura, sulla base del titolo concesso nel 1779 da Vittorio Amedeo II Re di Sardegna al suo pro zio Giovanni (cfr. più innanzi). 6 - Cfr. F. ONOFRI, Note per li cittadini ed Università di Foggia in cui si dimostra di doversi mantenere in possesso dei loro Uffici gli Ufficiali che furono creati dal fu eminentissimo Cardinale Grimani e doversi anche mutare la forma del governo e Parlamento di detta Città, Napoli, 1710. 7 - Ancora un periodo della storia cittadina tutto da chiarire: quello della prima metà del secolo XVIII. Un periodo che vide grandi mutamenti politici quali il trapasso del dominio spagnolo a quello austriaco, l’avvento dei Borbone, gravi calamità naturali , il terremoto del 1731), accesi contrasti cittadini per il governo della cosa pubblica cui si è fatto cenno, crisi dell'istituzione doganale per la forte fiscalità da parte della corte di Vienna e più tardi per le iniziative dei Borbone che mutarono notevolmente la condizione amministrativa della Dogana. Comunque per tutto questo si rimanda al volume di P. DI CICCO, Il libro rosso della città di Foggia, Foggia, s.d. [ma 1965] e ai più recenti saggi di Raffaele Colapietra. 5 83 Per quanto riguarda il cursus honorum, troviamo per la prima volta il suo nome nel 1721, quale 2° Eletto dell'Università, nel 1727 quale Percettore, nel 1732 quale 4° Eletto, nel 1747 quale 1° Eletto. Egli poi coprì la carica di Mastrogiurato negli anni 1740-41 e 1751. Di quest’ultimo periodo abbiamo la fortuna di avere una interessante serie di documenti fra le carte dell'Archivio Comunale, inventariate da Pasquale Di Cicco 8, riguardanti la corrispondenza che, da primo cittadino, egli ebbe a tenere in quegli anni. Si tratta di 79 lettere indirizzate ad importanti personaggi del tempo (a Tanucci, al Cardinale Camerlengo Gonzaga, ai reggenti della Dogana, al Marchese Fogliani etc. etc.) che dimostrano come Francesco Antonio Ricciardi si era ben saputo inserire nella vita politica non solo cittadina ma del Regno. Sulle benemerenze acquisite nella pubblica amministrazione ci soccorre un singolare documento, dato dalla lapide mortuaria posta alla sua morte nella Chiesa di S. Domenico. In essa è scritto fra l’altro9 “acquistò fama di saggezza; di tenacia e di straordinario amore verso la patria, perché avendola trovata oppressa dai debiti e nell’impossibilità di pagarli, la fece risorgere con la proposta di leggi ottime per una buona amministrazione della cosa pubblica, approvate dai sette uomini all’erario. Inoltre dopo aver provveduto al pagamento delle 14.000 monete d’oro di debiti, fece lastricare con pietre quadrate le vie della città rovinate e sdrucciolevoli; infine, uomo di prodiga generosità, fornì di arredamento prezioso il tempio dell’Iconavetere e ampliò, a proprie spese la maggior parte delle mura del collegio destinato alle fanciulle orfane. Morì il 1° Giugno 1766 e fu portato alla sepoltura con grande dolore universale, poiché tutti piangevano la morte del padre della patria”. _____________ 8 - P. DI CICCO, I Documenti antichi dell’Archivio Comunale di Foggia, Foggia, 1970 (Quaderni di Foggia a cura del Comune, n. 2). 9 - Trascrivo dall’ottima traduzione di M. DI GIOIA in Foggia Sacra, V, Foggia, 1984. Sull'autore dell’epigrafe un piccolo “giallo”. Giuseppe Ricciardi nel ricordare il suo avo nella biografia sul padre riferisce che a dettare l’epigrafe fosse il Presidente della Dogana, Gargano. Si tratta di un evidente errore di omonimia: non è Giuseppe Gargani, che fu l’ultimo Governatore della Dogana negli anni dal 1795 al 1801, l’autore, quindi ben trenta anni dopo la morte di Francesco Antonio; deve trattarsi invece di Michele Gargano. 84 Come si vede, anche se le benemerenze del Nostro furono dettate dalla pietà del figlio Giovanni, certo esso dovettero avere il pubblico consenso ad affermazioni quali “lasciò fama di saggezza” di “padre della patria” etc. Oltre a quella pubblica altre sue attività stanno ad attestare il suo eccellente operare anche nel campo della vita culturale e religiosa. Egli fu infatti fra i promotori del tentativo volto ad accrescere il livello culturale della “barbarica” Foggia - per riportare l’ingiusto giudizio del Nicolini10 - con l’istituzione di quell’ “Accademia degli illuminati” coinvolgendo il nostro Celestino Galiani, tentativo purtroppo non andato a buon fine11. Infine vanno ricordati i suoi particolari rapporti con l’autorità religiosa. Egli si trovò a vivere in un momento altamente significativo della storia religiosa di Foggia e cioè quello dell’“atmosfera spiritualistica”12 determinata dalla presenza sulla cattedra vescovile di Mons. Cavalieri, nipote di Sant'Alfonso dei Liquori e del suo successore Mons. Giampietro Faccolli (al quale si deve l’effettuazione dell’importante Sinodo Diocesano del 1735) ma soprattutto dal rilancio della religiosità popolare a seguito del terremoto del 1731. Ricciardi fu ricco di doni ed attenzioni verso le autorità religiose provvedendo a sue spese al restauro del Monastero di Santa Chiara, donando un prezioso Ostenteorio alla Chiesa dell’Iconavetere. Particolare cura egli dedicò ai restauri della Cattedrale effettuati dopo il terremoto del 1731 (come deputato dei Reggimentari nel 1755)14. Il compenso a tale devozione fu quello del privilegio di ospitare nella sua casa nel dicembre 1745 addirittura Sant'Alfonso dei Liquori. Oltre alla sua vita pubblica un cenno importante merita quella famigliare. Dal suo matrimonio Francesco Antonio - come si è detto - ebbe 5 figli: i maschi Carlo, Giulio, Cesare Basilio e Giovanni ed una femmina, Elisabetta. ___________ - F. NICOLINI, Mons. Celestino Galiani, Napoli, 1931. - Cfr. T. NARDELLA, Celestino Galiani e l'Accademia degli Illuminati in ARCHIVIO STORICO PUGLIESE, Bari, 1982, pp. 453-458. 12 - L'espressione è di Raffaele Colapietra in STORIA del Mezzogiorno, VII, Roma, 1986, p. 47. 13 - Cfr. M. DI GIOIA, Il Duomo di Foggia, Foggia, s.d., p. 97. 14 - IB., Appendice II. 10 11 85 Ebbene egli con tale figliolanza ebbe un rapporto difficile e non certo esemplare. Per motivi e fatti ancora sconosciuti egli nell’anno 1747 escluse tre dei suoi figli dell’eredità, donando anzi tempo tutti i suoi beni al secondogenito Giulio, padre di Francesco 15. Ciò fu causa di un fosco dramma famigliare. Basilio, che aveva abbracciato la carriera ecclesiastica raggiungendo la carica di Abate, arrivò addirittura, spalleggiato dal fratello Carlo, ad aggredire, armato di una pistola, il padre accusandolo pubblicamente di averlo obbligato a prendere i voti e di nutrire un insano affetto per il figlio Giulio. Francesco Antonio non si peritò di reagire con durezza all’aggressione facendo arrestare il figlio “da una masnada di sbirri” - come di poi questi ebbe ad accusarlo e a farlo rinchiudendolo nel carcere ecclesiastico. I fratelli Basilio e Carlo ricorsero al Re Carlo di Borbone ma ebbero torto. I contrasti famigliari continuarono anche dopo la morte del padre, poiché i germani Basilio e Carlo, impugnarono il testamento in quanto negava loro anche la “legittirna” parte del patrimonio proveniente dai beni dotali della madre, Teresa Gervasio. Alla sua morte Francesco Antonio, avvenuta il 1 Giugno 1766, lasciò una discreta situazione patrimoniale. Il suo nome infatti ricorre negli atti della Dogana costantemente come quello di “notorio affittuario di terre salde”. Oltre tutto si trattava di terreni fra i più redditizi delle Locazioni, quelli di Castiglione, nel tenimento di Foggia. Nel testamento si parla di circa 300 versure. A lui si deve la costruzione - sia pure non nell’aspetto attuale - della casa di famiglia, il Palazzo Ricciardi - indubbia attestazione dell’acquisita posizione sociale certamente uno dei più eleganti palazzi cittadini dell'antico centro storico di Foggia. Contrariamente a quanto riferito dal Villani16 il Palazzo Ricciardi fu acquistato da Francesco Antonio agli inizi del 1700 dal duca Don Adriano __________ 15 - Cfr. ARCHIVIO DI STATO Di LUCERA, Atti del notaio Carlantonio Ricca del 26.1.1747. 16 - C. VILLANI, Cronistoria di Foggia, Foggia, 1934. 86 Brancia, “nella piazzetta di Santa Chiara” e dallo stesso “rifatto dalle fondamenta dopo la ruina del terremoto del 1731”17. *** Il “fondatore” foggiano della “dinastia” dei Ricciardi, Francesco Antonio, lasciò, come si è detto, 5 figli. Carlo - Fra i figli di Francesco Antonio, il primogenito, Carlo fu certamente quello che indipendentemente e, diremmo, a dispetto del padre, riuscì a crearsi una propria “nicchia” personale nella storia cittadina, di notevole rilevanza. Destinato in principio, come il fratello Basilio, alla carriera ecclesiastica si dedicò invece alla vita forense e pubblica succedendo degnamente al padre. Egli infatti raggiunse la carica di Mastrogiurato in Foggia nel 1764 e fu nella rappresentanza politica amministrativa cittadina negli anni 1771-72 e 1772-73. Giulio - Del secondo figlio di Francesco Antonio si è già detto. Fu a lui, secondogenito, che egli donò, ben vent’anni prima della sua morte, tutti i beni di famiglia, dal Palazzo avito, alla proprietà terriera, escludendo i fratelli da ogni beneficio, salvo la dote per la sorella Elisabetta e un vitalizio per il fratello Basilio, causa del grave dissidio famigliare. Giulio Ricciardi sposò una Elisabetta Poppi (o Poppa) appartenente ad una famiglia foggiana benestante anch’essa ben nota quale censuaria delle terre della Dogana. Da tale matrimonio nacque Francesco, futuro Conte dei Camaldoli. Basilio - Terzogenito di Francesco Antonio fu Basilio il quale fu costretto riferì poi lui in un esposto al Re Carlo di Borbone - a intraprendere la carriera ecclesiastica. _____________ 17 – Dall’atto di donazione citato, si legge: “Il Palazzo ossia casa Palazzo che possiedo in questa suddetta città in Parrocchia alla magnifica collegata Chiesa avanti la chiesa del nobile Monastero di Santa Chiara, dirimpetto la casa del S.R. don Giuseppe Fiani di Torremaggiore e al Duca di Celenza, don Diego D'Avalos e da due confinanti. 87 E’ il principale personaggio del fosco dramma famigliare al quale si è accennato. Giovanni - Giovanni l’ultimogenito della famiglia, nato a Foggia nel 1733, fu, tra i figli di Francesco Antonio, quello che raggiunse la più elevata posizione professionale e sociale e al quale il nipote Francesco, alle cui cure fu affidato giovanissimo, dovette certamente la futura affermazione nel campo della professione forense. Ci pare opportuno riguardare più da vicino le vicende di tale esponente della famiglia Ricciardi. L'ultimogenito di Francesco Antonio, Giovanni, lasciò ben presto la casa paterna trasferendosi a Napoli dove dopo essersi laureato utroque iure prese ad esercitare l’attività forense con eccellenti risultati che faranno di lui uno dei maggiori avvocati del foro napoletano raggiungendo una notevole posizione sociale. All’incirca attorno agli anni settanta lo troviamo infatti avvocato e curatore degli interessi del Regno di Sardegna a Napoli. Tale impegno a favore della corte Sabauda è attestato dalla presenza, presso l'Archivio di Stato di Torino, di una voluminosa documentazione riguardante la Corte Sabauda e i propri ambasciatori a Napoli e contiene numerosi riferimenti anche agli avvocati napoletani incaricati di curare gli interessi della corona e dei sudditi piemontesi a Napoli. Fra i legali della corte appunto l’Avvocato Ricciardi18. I riferimenti archivistici risalgono all’incirca agli anni 70 data alla quale si può far risalire l’inizio dei rapporti con la corte Sabauda che continueranno ininterrottamente per circa un decennio, quando essi vennero a raffreddarsi a causa della rottura con l’Ambasciatore piemontese a Napoli, Marchese Di Brême. Tali rapporti fra Ricciardi e la Corte Sabauda devono essere stati eccellenti se addirittura nel marzo del 1775 l’Ambasciatore piemontese, Giulio Vittorio Incisa di Camerana, appena inviato a Napoli viene ospitato nella sua casa19. ____________ 18 - Devo queste preziose notizie al Professore Raffaele Aiello e alla ricerca effettuata dalla professoressa E. Mongiano, che qui ringrazio sentitamente. 19 - Incisa giunge a Napoli nel febbraio 1775. Uomo modesto e prudente ben presto non fu reputato all'altezza del suo compito nella mondana ed intrigante Corte borbonica e fu sostituito nel 1782 dal più famoso marchese Gattinara di Brême che 88 Da una relazione dell’ambasciatore Camerana infatti, in data 14 marzo ’75 inviata a Torino, egli, dopo aver relazionato del suo arrivo a Napoli e della sua difficoltà ad orientarsi “sulle patrie costumanze delle rispettive giurisdizioni dei vari magistrati” e della necessità di servirsi dei consigli dell’Avvocato Ricciardi, riferisce sulla sua ospitalità in casa Ricciardi, della quale però è costretto ad allontanarsi: per le singolari ragioni espresse nella relazione e che ci piace riportare in quanto esse offrono una particolare “trende de vie” sulla Napoli del tempo. “Dopo di essermi fermato col mio segretario e due domestici 20 giorni compiti in casa dell’Avvocato Ricciardi e di avervi goduta della più pulita e per ogni conto civile e più obbligante ospitalità, nel giorno 3 del corrente ne sono partito e sono passato con tutta la mia gente ad una onorata locanda nel Borgo di Chiaia dove mi fermerò fino che abbia trovata casa opportuna per la mia abitazione stabile. Giusta l’ordine delle locazioni proprio di questo paese questo non potrà succedere al più presto che per la metà di maggio venturo. Egli è sorprendente come in una città di così grande ampiezza quale si è questa di Napoli, così rare siano le occasioni di trovar case convenienti ad un Ministro forestiero. Quantunque io ne fossi stato prevenuto, confesso invero non aveso saputo persuadermene e mi pareva una favola che l’Inviato Straordinario di Danimarca, al suo giungere in Napoli, avesse dovuto restare in una locanda per il corso di 6 mesi. Ora ho imparato e vado imparando a mie spese la verità. Tre del resto sono stati li motivi che mi hanno consigliato di uscire dalla casa dell’Avvocato Ricciardi. Il primo per non incontrare tante obbligazioni a suo riguardo che poi non potessi loro corrispondere. Il secondo quello di non lasciare esposto il mio segretario alle frequenti sollecitazioni dell’Avvocato suddetto di spiegarle cosa io avevo scritto e in quali termini io avevo scritto alla corte ecc. E alle sue doglianze di non comunicarvi io le lettere che riceveva da V.E. le mie credenziali ecc. Il terzo per levarmi dal caso di voler condurre l’Avvocato con me alle visite che mi occorreva di fare alle Famiglie Nobili principali di questa Città le quali, delicate sul punto, come mi è stato insinuato, non vedevano troppo volentieri il mio presentarmi ad esse in compagnia, come qui dicono di un Paglieta (sic) e che questo cercasse di introdursi, all’ombra mia e in aria di familiarità, nelle case loro. In segno 89 poi della mia riconoscenza al Signor Avvocato le ho regalato un taglio di velluto d’abito intiero e una sottoveste di stoffa d’oro ricamata, il tutto di Francia e a scelta di lui stesso ed ho con titolo di mancia lasciato il denaro conveniente per il salario di quei domestici che il suddetto signor avvocato aveva presi e tenuti a mia contemplazione per il tempo che ho dimorato in casa sua. La spesa totale è andata alle 39 zecchini in punto"20. Con la nobiltà napoletana che non vedeva di buon occhio il famigliare rapporto con l’ambasciatore, il “paglietta” Ricciardi potè prendere presto la sua rivincita perché appena qualche anno più tardi, egli sarà dalla Corte Sabauda nominato Conte. Nella difesa degli interessi del Piemonte a Napoli il maggior impegno dal Ricciardi fu profuso per una vertenza che riguardava da vicino proprio le due Case dei Borbone e dei Savoia e che fu sottoposta da Giovanni Ricciardi personalmente a S. M. Vittorio Amedeo III. Si trattava della questione, non ancora sufficientemente approfondita dagli storici, dell’eredità della Regina Bona Sforza (le cosidette - nella storiografia polacca – “somme napoletane”) riguardante la rendita proveniente per il prestito fatto dalla stessa a Filippo II Re di Spagna, nel 1566 di ben 450.000 ducati, debito e rendite che impegnarono in una lunga querelle giudiziaria la Corte di Napoli, Polonia, Spagna, Francia, Modena 21 . _______________ seppe godere dei favori di Ferdinando e Maria Carolina (Cfr. R. AIELLO, I Filosofi e la Regina, in ARCHIVIO STORICO DEL SANNIO, 1991). 20 - ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Archivi di Corte: Materie politiche relative all'Estero. Due Sicilie - Fasci vari/Lettera datata: Fascio 25. 21 - Riassumo brevemente i fatti per i quali rimandiamo al mio saggio sull’argomento di prossima pubblicazione: "Il prestito della Regina Bona Sforza sulle rendite della Dogana delle Pecore di Foggia e la lunga querelle fra Napoli, Polonia e Francia fra 500 e 700". Nell'anno 1556 Filippo II Re di Spagna e di Napoli e il suo Vicerè Duca d'Alba per far fronte alle spese di guerra contro Papa Paolo IV Carafa ebbe bisogno, come ricorda il Giannone (libro XXXIII cap. I) “di avere denari assai” e pertanto presero in prestito da Bona Sforza Regina di Polonia e Duchessa di Bari 430mila ducati. Le condizioni del prestito furono stabilite in due contratti stipulati il 15 luglio e il 10 dicembre 1556 fra il Duca D'Alba, in virtù dei pieni poteri conferitogli da Filippo II, e la Regina Bona. Per tale contratto furono concordati gli interessi in ragione del 10% annuo e con ipoteca sulle rendite della Dogana di Foggia. Data l'impossibilità di procedere all'estinzione del credito venne a crearsi una rendita a favore dei creditori di circa 50mila ducati annui da pagarsi da parte del Regno. Morta Bona Sforza il credito e le rendite furono passati in eredità alla figlia Anna 90 La singolarità della questione è data dal fatto che il debito era garantito dalle rendite della Dogana delle Pecore di Foggia, la qual cosa acquista per noi foggiani un particolare valore perché tale rendita ebbe a pesare per circa tre secoli sul bilancio doganale. Evidentemente Giovanni Ricciardi, ben a conoscenza, come foggiano, delle vicende della Dogana dovette utilizzare tali conoscenze per fare rivendicare alla Corte Sabauda, il pagamento di quella parte della cospicua rendita che era pervenuta ai Savoia a causa del matrimonio del Re di Sardegna con Maria Antonietta di Borbone, figlia del Re di Spagna, Filippo. Anche se le richieste della Corte Sabauda non ebbero una immediata soluzione l’azione intrapresa dal Ricciardi deve essere stata giudicata positivamente tanto è vero che lo stesso fu ricevuto a Torino da Vittorio Amedeo e poco dopo gli venne conferito il titolo di Conte. Purtroppo i rapporti fra Giovanni Ricciardi e la Corte di Torino furono interrotti a causa dei pessimi rapporti che vennero a crearsi fra lo stesso e il nuovo Ambasciatore Sabaudo a Napoli, Giuseppe Arborio di Gattinara, Marchese di Breme nel giugno del 1782. La rottura sorse per motivi di interesse, per un debito del Ricciardi nei confronti del Marchese, un contrasto che ebbe a sfociare in una vertenza ____________ Iagellone moglie di Bataro Re di Polonia e successivamente al figlio Sigismondo III Re di Polonia. Sigismondo III divise l’eredità donandone una metà a Ladislao I Re di Polonia e l’altra metà ai figli e figlie nate dal suo secondo matrimonio. Ci risparmiamo di riferire sui successivi passaggi di tale eredità e delle relative rendite negli anni seguenti la quale fu divisa fra i vari eredi per vie di donazioni, eredità, complicate dai numerosi cambiamenti dinastici per cui troviamo impegolati nel credito della Dogana di Foggia agli inizi del 700 i Borboni di Francia, con i Principi di Condè (per i matrimoni con la figlia di Casimiro Re di Polonia) i Gonzaga, gli Asburgo, i Gesuiti ed infine i Savoia. Tutti i presunti beneficiari naturalmente ricorrevano al Regio Fisco di Napoli per il riconoscimento dei loro diritti e pertanto si instaurò una lunga serie di cause anche per il peso dei notevoli interessi maturati in quanto il fisco in attesa delle decisioni aveva provveduto sin dall’anno 1682 a congelare i fondi. Evidentemente Ricciardi studiando le carte della Dogana ebbe a verificare la legittimità delle pretese dei Savoia all’eredità di Bona Sforza per le successioni provenienti per l’eredità di Re Casimiro ai suoi discendenti di Borbone-Spagna imparentatisi con i Savoia. La richiesta fu giudicata valida e legittima dalla corte di Torino che diede mandato a Ricciardi di tutelare i suoi interessi a Napoli. Tale richiesta non fu ritenuta infondata e della questione ebbe ad occuparsene il Tanucci in persona. 91 giudiziaria (avvocato del Ricciardi fu Nicola Vinvenzio) e addirittura con l’arresto del Ricciardi. A seguito di tale contrasto al Ricciardi fu tolta la carica di Avvocato dei Piemontesi e fu sostituito prima da Saverio Mattei e poi dall'Avvocato Borrelli22. L'odio fra il Marchese di Breme e il nostro Ricciardi continuò negli anni successivi, fino alla denunzia dello stesso (anonima), contro il Gattinara per l’accaparramento da parte dell’ambasciatore piemontese dei beni dei Gesuiti in Sicilia e rivenduti in maniera poco corretta dallo stesso e che si concluse con soddisfazione del Ricciardi in quanto i beni acquisiti dal Gattinara furono sottoposti a sequestro da parte del Vice Re di Sicilia23 . Questo quindi il Giovanni Ricciardi il quale ebbe a fare da Mentore a Napoli al giovane Francesco, un uomo di notevole posizione sociale, quindi ben introdotto negli ambienti di corte e della aristocrazia napoletana e soprattutto nel foro napoletano e che aveva addirittura raggiunto un titolo nobiliare. Si spiega così non solo l’eletta educazione che fu impartita al giovane Francesco ma il suo, come dire, facile e precoce avvio nella professione forense che gli diede ben presto fama e prestigio. Elisabetta – E’ l'unica figlia femmina di Francesco Antonio e l' unica di cui oltre al figlio prediletto Giulio, si preoccupò dotandola di 1500 ducati nell'atto di donazione fatto a favore del figlio Giulio. Elisabetta, andò sposa a Foggia ad un esponente della famiglia Garzilli. *** Ma è con la 3a generazione della famiglia Ricciardi che quella peculiare caratteristica da noi accennata, trova la sua esemplificazione. E’ col decennio napoleonico, infatti, che avviene, con incisività, quel “salto di qualità” del ceto civile “togato” - come del resto di quello mercantile che caratterizzerà la società foggiana del sec. XIX. E se è vero che il decennio francese fu, in definitiva, l'affermazione del ceto borghese voluto dai napoleonidi, l’esempio “probante” è dato ________ 22 23 - ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Carte... cit. - IB. 92 appunto dai figli di Giulio Ricciardi, di una famiglia cioè, borghese, in ascesa per meriti e capacità intellettuali. Infatti è singolare rilevare il fatto che i 4 figli maschi di Giulio, si schierarono tutti, più o meno apertamente, a favore del regime napoleonico. Un’adesione dovuta, a mio avviso, alla piena consapevolezza che il nuovo regime non poteva che esaltare la loro posizione di “uomini nuovi”, di esponenti del ceto forense proprietario, cui la “certezza del diritto” della nuova legislazione (dai Codici nepoleonici, alle leggi sulla feudalità a quella sulla Dogana ... ) aprivano nuovi e ampi spazi di potere e di guadagno. E così vedremo, da parte di Francesco, l’acquisto di una grande proprietà fondiaria sulla scorta delle leggi affrancatrici e dell’abolizione degli ordini religiosi, e l’assunzione di posti di prestigio nella pubblica amministrazione oltre che da parte di Francesco, anche dai fratelli Giambattista e Nicola. Tutto questo fu certamente basato, oltre da convenienze di “classe”, da una adesione ideologica al nuovo stato di cose, adesione che si concretizzò nell’accostarsi all’ideologia massonica e nell’identificarsi nell’opera del nuovo governo ispirata da quei “triplici diritti”, come li definì Combacerès, l’omologo francese, contemporaneo di Ricciardi, sanciti dal Codice Napoleonico - il cui atto di divulgazione nel Regno è significativamente firmato dallo stesso da Francesco Ricciardi - di “Libertà, di proprietà e di libero contratto”. *** Da Giulio Ricciardi e da Elisabetta Poppi nacquero come si è detto, 5 figli: Giovanbattista, il primogenito, Carlo che prese i voti ed intraprese la carriera ecclesiastica, il nostro Francesco, Giambattista, Nicola e una sola femmina Lucia, anch’essa votata alla vita religiosa. Francesco - Per quanto riguarda Francesco il più illustre rappresentante della famiglia, ci asterremo dal ripercorrerne le vicende, in quanto esse saranno tracciate più approfonditamente dalla relazione Feola24 anche __________ 24 - Non possiamo non esprimere il nostro disappunto per la mancata pubblicazione della relazione del prof. Feola su Francesco Ricciardi, relazione principale del Convegno, nel quale si inseriva anche il presente contributo, che viene pertanto a perdere utili e significativi riferimenti. 93 se va ricordato che non esiste ad oggi una sua biografia e che bisogna ancora ricorrere alle brevi note - quanto mai imprecise - scritte dal figlio Giuseppe. Ma ci sia consentito tuttavia soffermarci su alcuni momenti della sua vita, trattati solo en passant dalla relazione Feola e che riguardano soprattutto i rapporti con la sua città natale, Foggia, e la sua giovinezza. Come racconta il suo figlio Giuseppe a dieci anni - nel 1768 - il giovane Francesco fu condotto a Napoli per iniziare gli studi che egli compì con la guida dello zio paterno Giovanni. Il figlio Giuseppe si sofferma alquanto sugli studi compiuti dal padre, sotto la guida di eccellenti maestri, soffermandosi tuttavia più su quelli letterari che su quelli giuridici senza informarci della laurea, della iniziata carriera forense, solo ricordando che “non avea peranco fornito l'anno ventesimo quando ad aringare si fece la prima volta nei tribunali”. Siamo quindi all'incirca agli inizi degli anni ottanta. E tuttavia nulla sappiamo dei suoi studi giuridici, delle sue frequentazioni, in un periodo, quello appunto degli anni ottanta, che sappiamo fra i più fervidi e belli della storia napoletana, la Napoli, per intenderci, dei Filangieri, dei Pagano, Palmieri, Pasquale Cirillo, Cuoco, Vincenzo Russo, con i quali Ricciardi ebbe rapporti di vita e di amicizia. Anche nel decennio successivo quello fino al 1789 nessuna notizia abbiamo della sua vita. Dove esercitò egli la professione di avvocato? A Napoli, come ricorda ancora il figlio Giuseppe, citando l’elogio a lui attribuitogli da Vincenzo Ariani: “Franciscus Ricciardi in foro tonat, interque primos oratores enumerantus” come si legge nell’Elogio Funebre di Ceva-Grimaldi pubblicato negli Annali Civili o nella commemorazione di Cesare Dalba a Napoli nel 1882 in occasione della istallazione del busto a Castel Cagnano, oppure a Foggia presso il Tribunale della Dogana? Ecco una vicenda tutta da chiarire e che è quella relativa della frequentazione o meno a Foggia del Ricciardi, durante quegli anni. E qui occorre rifarsi alla ben nota testimonianza di Carlo Villani25 . Ricordiamola: _________ 25 - C. VILLANI, Scrittori ed artisti pugliesi, Trani, 1904. 94 Racconta il Villani sulla base di un manoscritto, a noi sconosciuto, di Francesco Rio 26: “Eccomi a narrarti perché Francesco Ricciardi con la sua famiglia emigrò da Foggia, sua patria. Il primo dei fratelli, D. Francesco, sommo giureconsulto presso il Tribunale della R. Dogana di Puglia, sedente in Foggia, per aver vinto una causa a favore del principe di Troia n’ebbe in compenso una vigna ed un palazzo, che è quello propriamente che col monistero e con la chiesa di s.ta Chiara formano un piccola piazza. Costui s’invaghì della signorina D. Anna Silvia Celentano, figlia di D. Liborio, primo marchese di questa famiglia. Ma la signorina disprezzò le affettuose premure del legale, e rifiutò la sua mano allorché D. Francesco la domandò in isposa al di lei genitore. Ciò si fè noto in città, ed il Ricciardi, fu beffeggiato con mille sarcasmi in riguardo al rifiuto ricevuto ed alle sue non belle forme fisiche, attribuendoglisi anche dei cattivi influssi o fascino, volgarmente detto “iettatura”. Ed a ciò si aggiunsero dei pari versi derisorii, che sovente venivano dettati su tal soggetto dal foggiano poeta e giureconsulto, suo antagonista, D. Francesco Saverio Massari27. Quindi tanto fu l’avvilimento nel quale cadde per questa persecuzione, che risolse di abbandonare la città nativa per stabilirsi in Napoli, come eseguiì con due dei suoi fratelli”. Che dire di tale racconto? Che esso suscita non poche perplessità. Tralasciando, la cattiveria riguardante la “iettatura”28, una perplessità ______________ - C. VILLANI, Scrittori ed artisti... cit, sub voce Ricciardi. - Si tratta del noto poeta estemporaneo, autore del libretto della Daunia Felice musicata da Paisiello in occasione delle nozze celebrate a Foggia di Francesco Borbone e Maria Clementina Asburgo nel 1797. Su di lui cfr. A. VITULLI, I Teatri di Foggia nei sec. XVIII e XIX, Foggia, 1993. 28 - Poco verosimile l’accusa “iettatoria”, anche per la mancanza di alcun accenno o riscontro nei pur attenti e poco scrupolosi, in materia, scrittori napoletani coevi. Controprova: l’ampia frequentazione del salotto Ricciardi a Camaldoli, i busti eretti allo stesso all’Accademia delle Scienze e ai Tribunali e i vari incarichi ai quali fu chiamato in vecchiaia quando - come ben noto ai napoletani - l'influsso specifico assume particolare virulenza. 26 27 95 ci viene dalla frase riferentesi "alla sua non bella forma fisica" che non corrisponde affatto a verità poiché è noto - come appare del resto dal busto in marmo e dal ritratto - il Ricciardi era un uomo di nobile e bella figura. Oltretutto è evidente l'inesattezza circa il Palazzo di famiglia donatogli dal Principe di Troia, che noi sappiamo già in possesso della stessa da almeno un secolo prima. Ma da tale racconto si evidenzia non solo un brusco e drammatico distacco della famiglia Ricciardi da Foggia tipo... "ingrata patria...", non esatto, per i molteplici interessi che la famiglia continuò ad avere a Foggia, ma si fa riferimento ad una presenza ed una frequentazione nella città natale della quale non abbiamo nessun altro riferimento. Da una attenta indagine sulle carte d'archivio non abbiamo potuto verificare nessuna traccia, nei processi civili, dell'attività legale legata alla Dogana. E mai possibile che il giovane, brillante avvocato del foro napoletano non esercitasse la sua attività nel foro privilegiato della Dogana? E’ indubitabile tuttavia che Francesco fosse avvocato dell'Università di Foggia. Dalla corrispondenza col fratello Gianbattista, mastrogiurato, troviamo una lettera nella quale questi, essendo Francesco stato nominato Consigliere di Stato siamo nell'anno 1806 - gli comunica la decisione del Decurionato della sua città di continuare a corrispondergli il suo stipendio "in segno di dovuta attenzione e di tutto ciò che mai potesse a questo Comune abbisognare". Il Ricciardi, "essendo ciò incompatibile con la carica che sto esercitando", rifiutò. Tuttavia non è detto che tali funzioni di avvocato del Comune il Ricciardi le esercitasse a Foggia. Questione quindi, della permanenza di Francesco a Foggia, che siamo per ora costretti a lasciare in sospeso. *** Ma un'altra questione della biografia di Francesco ci pare opportuno chiarire. Ed è quella relativa al cospicuo patrimonio che egli ebbe a costituirsi. La cosa era già stata evidenziata da Pasquale Villani, per quanto riguardava i possessi in Terra di Lavoro in Campania - nel suo volume sulla vendita dei beni dello Stato nel periodo dei Napoleonidi - dal quale 96 si rileva il nome di Ricciardi fra quelli degli alti funzionari del regime (con Arcambal, Maghella, Saliceti ... ) maggiori acquirenti dei beni acquisiti dallo Stato. Anche nella sua terra di Capitanata il Ricciardi si adopera per il possesso delle terre di censuazione29. Da un sommario esame, ho potuto verificare l'acquisto delle seguenti proprietà: 13 Carra nella zona di Amendola 30 Carra nella zona di Passo Breccioso 84 Versure in contrada Pilone già di proprietà del Capitolo di Foggia e appartenenti ai Luoghi Pii. Si tratta come si vede di una proprietà consistente di circa 700 ettari di cui una buona parte di terre arabili, ai quali vanno aggiunti i terreni e le proprietà provenienti dall'eredità paterna tra le quali tre masserie a vigneto al Quadrone delle Vigne30 . Naturalmente il processo di acquisizione della sua proprietà andrebbe ricostruito con dettaglio, ma una cosa è certa, che anche a credere, con beneficio di inventario, alla "fanfaronata" raccontata dal figlio Giuseppe della restituzione dei 50.000 ducati da lui incassati per l'acquisto dei beni di mano morta, Francesco Ricciardi seppe ben approfittare delle leggi napoleoniche, al seguito delle quali si ebbe un nuovo assetto della proprietà fondiaria nel Mezzogiorno. Questi quindi alcuni aspetti della vita di Francesco Ricciardi a Foggia che meritavano una particolare attenzione. *** Quando agli altri fratelli di Francesco diamo di seguito brevi cenni. Giovambattista – E’ il fratello maggiore di Francesco e a lui molto legato tant'è vero che alla sua morte, avvenuta il 1810, lo lasciò erede universale. __________ 29 - Per l'acquisizione dei beni in Capitanata cfr. P. Villani, La vendita dei beni di Stato nel Regno di Napoli (1800-1815). Milano, 1962. 30 - L'Archivio del Tavoliere di Puglia. Inventario a cura di Pasquale Di Cicco e Dora Musto, Roma 1970-1991, voll. 5. 97 Anche lui intraprese la carriera forense che esercitò attivamente a Foggia. Coprì diverse cariche pubbliche nel periodo borbonico. Lo troviamo poi coinvolto nei fatti della Repubblica Partenopea. Resoconta il nostro Ferdinando Villani che Giovambattista Ricciardi fu tra i delegati che l'Università inviò a Napoli per contattare i nuovi governanti repubblicani e che accompagnò a Foggia quale Commissario, Zefiro Marone31. Tuttavia non troviamo il suo nome fra i governanti che aderirono alla Repubblica e quindi anche Giambattista tenne lo stesso comportamento, come possiamo definirlo, di "adesione passiva", che tenne il fratello a Napoli verso il Governo Giacobino. Ciò gli permise di sottrarsi al "Ripurgo" e di tornare al Governo Cittadino negli anni successivi. E’ secondo eletto nel 1799-01; Percettore nel 1801-02; Mastrogiurato nel 1805-06. Di quest'ultimo periodo abbiamo la fortuna di avere, come per il suo avo Francesco Antonio, la corrispondenza, e anch'essa accuratamente inventariata da Pasquale Di Cicco e anch'essa "ahimè", "invisibile" come le altre carte dell'Archivio comunale32 . Tale corrispondenza particolarmente interessante per la storia cittadina, perché tenuta al momento del trapasso fra il regime borbonico e quello napoleonico e perché in essa ci sono riferimenti a personalità quali l'ambiguo Presidente della Dogana Gargani, a rapporti col fratello Francesco, con i maggiorenti di Foggia, i Filiasi, i De Luca, Mastrolilli, etc. Da essa ci pare utile riportare uno scambio di lettere fra l'Università di Foggia e Francesco in occasione della riferita nomina dello stesso a Consigliere di Stato. Ecco la risposta di Francesco: "Ai Rappresentanti della Città di Foggia Ill/mi Signori Rendo loro infinite grazie de' congratulamenti che si degna_____________ 31 - F. Villani, La nuova Arpi, Salerno, 1870. 32 - P.Di Cocco , I Documenti dell'Archivio... cit. 98 no di far meco per la non ambita né meritata carica a cui S.M., per sola sua clemenza, mi ha elevato. Il principale compenso che potrò avere dopo la grazia di S. M. sarà il bene della mia Patria a cui sono attaccatissimo: e mi è dolce ricevere dai miei concittadini un attestato della loro benevolenza che sommamente mi onora. Desidero da loro pregiati comandi, e pieno di rispetto mi dichiaro delle LL.SS.. Dev. Obb/mo Francesco Ricciardi Napoli lì 31 di maggio 1806 Lettera, come si vede, che non contiene nessun segno del rancore di Francesco verso la sua città ipotizzato dal Villani. In quello stesso anno Giambattista Ricciardi fu nominato Preside a Trani. Il Giornale Patrio commenta: "Addì 23 luglio 1806 - Questa mattina è tornato da Napoli il signor Giovanni Ricciardi col titolo di Preside di Trani e domani partirà per quella volta: l'intera città ha goduto del suo ascenso sì per la sua persona che per l'onore dei compaesani". Com'è noto G.B. Ricciardi occupò tale carica per poco tempo, fino all’ aprile del 1807, dal quale incarico fu dimesso da Giuseppe Bonaparte per ragioni non ben chiare e che fanno riferimento anche a quelle dell'allontanamento da Foggia di Giuseppe Poerio. Nel novembre del 1808 fu nominato membro della Gran Corte di Cassazione. Commenta il De Nicola "Ignoto uomo - Fratello di Don Francesco". Due anni dopo nel 1810 egli decedeva ancora in età giovanile. Carlo - Terzogenito di Giulio fu Carlo il quale come si è detto si dedicò alla carriera ecclesiastica. Egli, a differenza dei fratelli, dimorò permanentemente a Foggia dove raggiunse anche la carica di Canonico. Anche egli, come gli altri della sua famiglia, si schierò apertamente coi napoleonidi, come attesta il Giornale Patrio ed è lui che, come Canonico della Cattedrale, tiene, in occasione della visita a Foggia di Giuseppe Napoleone nel maggio del 1806, dopo il solenne Te Deum, un'orazione encomiastica per il novello Re di Napoli. 99 Nicola - Il più giovane dei figli di Giulio Ricciardi nato a Foggia nel 1767 è il più singolare personaggio della famiglia, non fosse altro per l'avventuroso destino occorsogli. Egli, durante la Repubblica Partenopea, si era schierato - come del resto la maggior parte dei foggiani - col movimento giacobino e quando alcuni anni dopo, nel 1803, a causa dei contrasti succeduti alla pace di Amiens fra Francia ed Inghilterra per lo sgombero di Malta, Napoleone aveva rioccupato, d'accordo questa volta col Re di Napoli, la penisola salentina, era stato interprete di una vicenda che suscitò un gran rumore nel Regno e sulla quale abbiamo particolari testimonianze. Innanzi tutto quella del lucerino Luigi Blanch che riporta l'episodio nel suo saggio sulla Storia di Napoli dal 1801 al 180633. "In Foggia fu di passaggio il Generale Verdier alla testa della prima colonna della sua Divisione. La città gli offrì un pranzo, ov'erano le autorità municipali, le regie, lo Stato Maggiore francese. Tutto passò tranquillamente e decentemente, quando alla fine del pranzo, il signor Ricciardi, di famiglia distinta, esaltato in sentimento e riscaldato dal banchetto, sotto pretesto di un brindisi al Generale, fece un discorso invitandolo a proclamare la rivolta dei patrioti che sostenuti si facevano forti di rovesciare il governo. Il generale Verdier fu sbalordito. Il colonnello Roth, Regio Commissario, lo prevenne che mandava ad arrestare il Ricciardi per farlo condurre a Napoli come reo d'aver voluto alterare la buona intelligenza esistente fra le due potenze. Il Generale francese rispose che facesse ciò che credeva, e il Ricciardi dalla tavola partì scortato per Napoli, donde fu relegato alla Favignana in Sicilia. Il generale S.t Cyr approvò la condotta di Verdier, e fu un avviso per gli esaltati ed una guarentigia per il governo. Questo primo fatto fece talmente impressione che non si rinnovò più in una occupazione di 30 mesi. La disciplina dell'esercito fu esemplare". La notizia del fatto venne riportata naturalmente dal Giornale Patrio ma con versione alquanto diversa34: ___________ 33 - L. Blanch, Scritti storici, Bari, 1945. 34 - Si tratta del noto "Giornale Patrio" della Famiglia Villani, del quale la Società Dauna di Cultura ha intrapreso la pubblicazione. Cfr. Per gli anni 1800-1810, il volume a cura di Pasquale Di Cicco, Foggia, 1983. 100 "Addì 14 luglio 1803 Quest'oggi avviene un fatto molto funesto in questa città, ed è quello di esser venuto dalla Marina a tutta fretta il tenente colonnello Rotti (sic) per procedere alla carcerazione del signor don Nicola Ricciardi, galantuomo del paese, al quale se li sono accordati pochi momenti, e subito si è fatto partire per la volta di Napoli in una canestra, accompagnato dal capitano Curci, e dodeci uomini di cavalleria. Si vuole che sia stata una denuncia andata alla Corte per aver il medesimo sparlato del Governo alla presenza del generale francese Salignac (Sic!). Questo fatto ha fatto terrore all'intiera popolazione: vi sono grandi spie. I tempi cominciano ad essere di nuovo critici, e pericolosi!". Anche il Diario di De Nicola riporta i fatti, ma anch'essi con riferimenti differenti: "A 17 luglio. È venuto da Foggia arrestato Nicola Ricciardi come reo di Stato, e si è fatto passare per Toledo quest'oggi in una carrozza con ufficiali entro che lo custodivano con dodici uomini di cavalleria che circondavano la carrozza. Il suo reato si fa consistere in essersi presentato al generale Francese in Foggia, chiedendo in nome di altri patrioti di non essere abbandonati come l'altra volta, e promettendo una seconda rivoluzione. Il generale Francese lo rimproverò dicendo, essere un cattivo cittadino, e lo denunziò al governo di Foggia che ne diede parte a Napoli. Vi sono ancora dei pazzi che vanno in cerca di malanni ". Come si vede le versioni del comportamento di Nicola Ricciardi sono alquanto diverse e vanno dall'offesa pubblica sotto i fumi delle libagioni da parte del Blanch, all'aver sparlato pubblicamente del Governo, nel Giornale Patrio, alla richiesta ai francesi di appoggiare un movimento rivoluzionario contro i Borboni, nella versione di De Nicola. Comunque sia si trattò di un comportamento maldestro, fatto in un momento sbagliato e con interlocutori sbagliati. Sbagliato il momento, per l'ordine da Parigi di evitare ogni dissipore con Napoli e sbagliato l'interlocutore essendo il San Cyr - che non era certamente il giacobino Championnet notoriamente contrario all'impresa napoleonica; se tale interlocutore fosse stato il Maresciallo Lechi ad esempio certamente Nicola Ricciardi avrebbe evitato il suo triste destino. 101 La conclusione fu come si è visto la feroce condanna senza processo del Ricciardi a Favignana. Della sua presenza nel famigerato carcere abbiamo la testimonianza di un altro illustre deportato, Guglielmo Pepe: "Passai la notte in una prigione ancor peggiore di quella di Castel del Carmine, piena d'immondizie e di calcina, ed ove trovai pure due piccoli sollievi, il non aver ferri cioè, ed un compagno d'infortunio. Era questi Nicola Ricciardi di Foggia, fratello di Francesco Ricciardi, primario e dotto avvocato, che fu poscia gran giudice, sotto il Re Murat, e conte de' Camaldoli. La mattina seguente, allacciati ambedue ad una immensa catena, detta di ponte, fummo imbarcati sopra un piccol legno della marina reale che dovea condurci al nostro destino. Il Ricciardi, di anni 36, era stato anch'esso, per sola volontà del re, senza forma di giudizio, condannato a vita alla Fossa del Marittimo, ergastolo orribile, e senza eguale in Europa"35 . Liberato dal carcere all'avvento dei napoleonidi, Nicola visse a Napoli ma non abbiamo nessuna notizia su di lui. Lucia - È l'uníca sorella di Francesco. È lei la monaca che viveva nel monastero "Tempio di San Paolo", fuori Napoli nel quale si rifugiò il giovane Giuseppe, insieme ai suoi fratelli, obbligato dalla madre a vestirsi in abiti femminili al tempo della caduta di Murat, per sottrarsi ad eventuali vendette36. *** Siamo così giunti agli anni del nostro Risorgimento nel quale la saga dei Ricciardi, che tale davvero possiamo chiamarla per le vicende vissute, per il coinvolgimento della famiglia nelle storie del tempo, vicende che davvero meriterebbero una particolare attenzione, non diciamo da parte dello storico, ma in quella parte di letterato e romanziere che sonnecchia in ognuno di noi. ____________ 35 - Memorie del Generale Guglielmo Pepe - Baudry-Parigi, 1847. 36 - G. Riccardi, Memorie Autografe di un ribelle, Parigi, 1857. 102 *** Le vicende dei figli di Francesco sono abbastanza note, e certamente rese più interessanti e drammatiche dal fervido contrasto ideologico, quasi odio, che oppose i componenti maschi della famiglia. Come sappiamo Francesco Ricciardi con Luisa Granito di Castellabate ebbe 4 figli, due maschi; Giulio e Giuseppe e due femmine, Elisabetta ed Irene. Ebbene, come è noto, un feroce antagonismo oppose il primogenito Giulio al fratello Giuseppe, insieme alla sorella Irene, divisi dalla passione politica che riempì le loro esistenze in maniera totale. Non ci soffermeremo sulle vicende di Giuseppe Ricciardi già più volte esaminate per quanto in maniera non esaustica. Esempio non unico nella storia del Regno di Napoli in quei momenti di crisi, che vide gravissime lacerazioni all'interno delle stesse famiglie; di contrasti fra fratelli e che ci fa ricordare casi analoghi come quelli dei fratelli Pisacane e Imbriani ai quali bisogna guardare con uguale rispetto quali esempio di coerenza, serietà e fedeltà al propri ideali. Ma è a Giulio, suo fratello, al quale ci pare interessante, perché meno nota, dedicare una doverosa attenzione. Giulio, primogenito di Francesco, nato a Napoli nel 1801, ereditò dal padre il titolo di conte dei Camaldoli. Egli sposò Sofia Spinelli dei principi di Cariati il cui padre Gennaro Spinelli, fu figura ragguardevole nella storia del Regno. Ufficiale napoleonico, murattiano, e che fu, come è noto, Ministro degli Esteri del Governo Serracapriola nel 1848. Giulio fu, al contrario del fratello, fedelissimo di Casa Borbone. Pari del Regno, gentiluomo di Camera d'Entrata, Gran Croce dell'Ordine Costantiniano, egli, dopo l'Unità fu a capo dell'opposizione al nuovo Regno costituendo un Comitato Borbonico e progettando addirittura l'assassinio di Silvio Spaventa allora Capo della Polizia e attentati contro Vittorio Emanuele. Scoperto fu arrestato il 6 dicembre 1861 e posto in libertà provvisoria il 23 dicembre. Il successivo 23 gennaio emigrò a Roma e fece parte della Corte borbonica in esilio. Sommo onore, fu fra i testimoni del battesimo dell'erede di Francesco II e Maria Sofia37 e morì a Napoli nel 1881. _____________ 37 - Cfr. R. Colapietra, G. Rivera ed i borbonici aquilani alla vigilia di Porta Pia, in Rassegna Storica del Risorgimento, 1983, n. I. 103 Irene - Una particolare attenzione merita anche la vita di Irene, la secondogenita di Francesco, nata a Napoli il 1803 e che fu molto legata al fratello Giuseppe. Con lui ella condivise la passione per la poesia e per il teatro e notevole è la raccolta di versi, novelle e opere teatrali che meritarono anche l'attenzione del De Sanctis come apprezzata poetessa "attorno alla Guacci" della quale Irene fu amica38. Ella sposò nel 1831, il ben noto musicista Vincenzo Capecelatro per il quale compose, appunto, i libretti delle opere e i testi di molte canzoni. Esercitò anche l'attività giornalistica inviando corrispondenze da Parigi - dove alla visse per molti anni con il marito - per il giornale "Il Lucifero" dal 1838 al 1842. Il suo salotto letterario a Napoli fu molto famoso negli anni dopo il 48 e tenuto d'occhio dalla polizia borbonica appunto per la parentela con Giuseppe Ricciardi, esule a Parigi. A tale proposito va ricordato un singolare episodio. Proprio per aver frequentato il salotto di Irene Ricciardi, Teofilo Gautier, in visita a Napoli nell'anno 1850, fu espulso, con inusitata severità, dal Regno, l'8 settembre, quale "pericoloso rivoluzionario", una taccia che invero il felice autore di Capitan Fracassa non meritava affatto 39 Irene morì a Napoli nel 1870. L'ultimogenita Elisabetta sposò il Principe di Tricase e morì a Napoli il 1875. *** La Famiglia Ricciardi della generazione successiva, continua con i soli discendenti di Giulio, unico ad avere una linea maschile. E l'erede fu Alfredo, nato a Napoli il 1834 e che aveva seguito prima i genitori nell'esilio romano e poi era tornato a Napoli ove morì nel 1892, tipico rappresentante di quella inerte e oziosa nobiltà napoletana di fine Ottocento, di cui è piena la cronaca napoletana di fine secolo e rievocata in maniera eccellente da Croce nel suo saggio su "Gli ultimi borbonici"40. ______________ 38 - Cfr. F. De Sanctis, La letteratura italiana del secolo Decimonomo, II, Torino, 1961, p. 187. 39 - Cfr. A. Capograssi, L'espulsione di Teofilo Gautier dal Regno di Napoli, in Nuova Aantologia, 1930. 40 - B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Serie Seconda, Bari, 1943. 104 Basta dire che l'elenco dei titoli di nobiltà di Alfredo Ricciardi, riportata dal Bonazzi41, occupa tutta una pagina: infatti a quello di Conte di Camaldoli, egli poteva aggiungere quelli di Principe di Sant'Arcangelo, ereditato dalla madre, di Duca di Caivano, di Marchese di Fuscaldo... etc. etc. Egli poi si imparentò, tramite i figli, con tutta la altisonante nobiltà napoletana del tempo. Anche Alfredo, come gli zii paterni, coltivò le Muse ed ebbe a pubblicare, in una delle tante Strenne di moda nel tempo, i suoi sonetti ed i suoi Carmi42. Finale certamente patetico ed alquanto deludente per la saga, durata ben due secoli, della Famiglia Ricciardi di Foggia. _____________ 41 - F. Bonazzi, Elenco dei titoli di nobiltà della provincie meridionali d'Italia, Napoli, 1891. 42 - Cfr. La Ghirlanda di Giulia. Strenna per l'anno 1875, Napoli, 1875. 105