Giovanni Cucci Abitare lo spazio della fragilità Oltre la
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Giovanni Cucci Abitare lo spazio della fragilità Oltre la
nella stessa collana Giovanni Cucci Abitare lo spazio della fragilità Oltre la cultura dell’homo infirmus Giovanni Cucci Dipendenza sessuale online La nuova forma di un’antica schiavitù Giovanni Cucci Paradiso virtuale o Infer.net? Rischi e opportunità della rivoluzione digitale Diego Fares Aperti alle sfide Proposte per la formazione alla vita religiosa e sacerdotale Diego Fares Il profumo del pastore Il vescovo nella visione di Papa Francesco Francesco Evangelii gaudium Testo integrale e commento de «La Civiltà Cattolica» Francesco Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune Testo integrale e commento de «La Civiltà Cattolica» Mario Imperatori Il cammino pasquale di Gesù Dalla risurrezione alla parusia Antonio Spadaro (a cura di) La famiglia è il futuro Tutti i documenti del Sinodo straordinario 2014 Antonio Spadaro (a cura di) La famiglia oltre il miraggio Tutti i documenti del Sinodo ordinario 2015 Il catalogo Àncora aggiornato si trova su www.ancoralibri.it Pierre de Charentenay Filippine Arcipelago asiatico e cattolico Immagine di copertina: Il Santo Niño di Cebu, statua raffigurante Gesù Bambino, molto venerato dal popolo filippino. Titolo originale: Les Philippines, archipel asiatique et catholique Traduzione dal francese di Roberta Leone © 2016 ÀNCORA S.r.l. ÀNCORA EDITRICE Via B. Crespi, 30 - 20159 Milano Tel. 02.345608.1 - Fax 02.345608.66 [email protected] www.ancoralibri.it N.A. 5608 ISBN 978-88-514-1689-8 Stampa: Àncora Arti Grafiche - Milano Questo libro è stampato su carta certificata FSC , che salvaguarda le foreste, in uno stabilimento grafico con Catena di Custodia certificata FSC (Forest Stewardship Council ). ® ® Introduzione Sulle Filippine non mancano le immagini da cartolina, tanto più che il paese sta diventando una popolare meta turistica1. Si vedranno, giustapposte, le spiagge e le palme da cocco, la megalopoli di Manila, un’economia dinamica, una corruzione generalizzata, frequenti calamità naturali, terremoti e cicloni2, le rivolte armate comuniste e quelle musulmane, la prostituzione, i lavoratori filippini in esilio sulle terre e le navi di tutto il mondo, senza contare le schermaglie con la Cina al largo delle isole contese. L’immagine è confusa. Ne consegue che l’opinione pubblica internazionale ha una conoscenza minima di questo paese. Quando dico che torno nelle Filippine, sento rispondermi: «Potrai utilizzare il tuo spagnolo». Errore, perché – fatta eccezione per una piccola minoranza – la lingua spagnola è scomparsa per far posto all’inglese; conseguenza, questa, della volontà degli Stati Uniti di imporre la loro lingua. La Spagna ha certamente lasciato tracce – tra cui la religione cattolica – ma non la lingua. I colonizzatori si sono dunque succeduti in quest’arcipelago popolato da numerosi gruppi indigeni, vissuti in autarchia per secoli. Strutturate sui poteri tradizionali del clan e della famiglia, le popolazioni locali hanno mantenuto la loro lingua e la loro cultura nonostante le invasioni. Sono state in grado di resistere Più di 5 milioni di turisti internazionali nel 2013. Come il tifone Haiyan (localmente chiamato Yolanda), che nel novembre 2013 ha distrutto numerose regioni. 1 2 5 agli influssi esterni mentre accoglievano questi mondi stranieri e, in particolare, la cultura americana. Ma le Filippine sono una creazione artificiale del re di Spagna, e gli spagnoli non hanno mai rappresentato più dell’1% della popolazione (contro il 30% in America Latina). Su questa base l’occupazione americana ha introdotto l’inglese, ma anche l’idea di cittadinanza, che è venuta a sovrapporsi all’identità locale. Occupate per tre secoli da colonizzatori spagnoli e per cinquant’anni dagli statunitensi, le Filippine si interrogano sulla propria identità. Il più occidentalizzato di tutti i paesi asiatici a motivo della lunga presenza europea e americana, unica nazione cattolica di questo vasto continente, l’arcipelago indugia tra le sue radici: quelle delle isole tropicali indiane, quelle della colonia spagnola, quelle dell’occupazione americana. Un percorso diacronico, tracciato nelle linee proposte dallo storico filippino Horacio de la Costa, ci svelerà le fasi di costruzione dell’identità filippina, storia turbolenta e tormentata come quella di una lotta permanente, come una pila di strati sociali e culturali che si sovrappongono l’un l’altro senza mescolarsi e rivelando, qua e là, le tracce degli strati precedenti. Il risultato è un fenomeno unico, un equilibrio tra il locale e lo straniero, «una cultura ibrida», come già la definì de la Costa nel 19703. De la Costa spiega che l’identità filippina è la diversità, con una base derivata dalla razza malese, un contributo rilevante della Cina4 e l’arrivo di due colonizzatori successivi, spagnoli e americani. Di questo passato non ci si sbarazza. Occorre integrare le varie fasi, in particolare le radici malesi, trovandosi le Filippine nella regione malese dell’Asia, accanto a Indonesia e Malesia e di fronte a regioni cinesi e indiane. Questi paesi hanno lingue simili: H. de la Costa, Selected essays on the Filipino and his problems today, a cura di R.M. Paterno, Philippine Province of the Society of Jesus - Ateneo de Manila University, Manila, 2002, p. 59. 4 «Molti di noi hanno sangue cinese nelle vene, gli stessi Rizal e Aguinaldo» (ibid.). 3 6 bahasa, malese, tagalog e molte altre. L’arcipelago integrerà poi gli apporti occidentali, da cui l’espressione «cultura ibrida». Questa è la questione filippina: una società duale. Ma la dualità assume un’altra forma, visto che le Filippine sono l’unico paese cattolico del continente asiatico. L’appartenenza all’Asia non è in dubbio, data la sua posizione, ma l’appartenenza religiosa ne fa il paese più vicino all’Occidente cristiano in un mondo che è anche buddista, musulmano, indù, scintoista eccetera. Una strana doppia appartenenza, all’Oriente e all’Occidente, che può far sospettare che le due facce non siano né l’una del tutto asiatica né l’altra davvero occidentale. Fatto ancor più grave, secondo l’analisi di Horacio de la Costa, le Filippine sono una società spaccata. Gli americani hanno innestato il loro sistema sul portato degli spagnoli, senza riconoscere l’inizio di una riflessione e di una letteratura locale. Con le loro scuole e università «hanno sviluppato nelle nostre isole una società gravemente divisa, da un lato quelli che avevano ricchezza, una lunga scolarizzazione e che erano in grado di leggere e scrivere in inglese; dall’altro, quelli il cui metodo di lavoro era quello dell’era di Lakandula5, che comunicavano nelle lingue native e il cui reddito era inferiore a 1.000 pesos l’anno»6. Non è stata una divisione tra classi sociali, «ma come una frattura sismica che corre molto in profondità sotto la superficie; si tratta di una frattura psicologica che attraversa la personalità stessa del filippino. […] Abbiamo gusti americani e scale di valori americane, mentre le nostre competenze sono essenzialmente “pinoy”»7. Il risultato è un senso di fallimento e di inadeguatezza nella popolazione. Il grande storico filippino si interroga, poi, sulla possibilità dei filippini di nutrire fiducia in se stessi. Come possono costruire una nazione? Nome del capo di un gruppo etnico che viveva nella regione di Manila nel XVI secolo. 6 Ibid., p. 281. 7 Ibid., p. 283. Pinoy è un termine colloquiale per «filippino». 5 7 A questa frattura culturale se ne aggiunge una economica, sempre attuale. Su 100 milioni di abitanti, circa 12 milioni non hanno sufficiente cibo quotidiano e 45 milioni vivono con 2 dollari al giorno. Al tempo stesso, le grandi famiglie e le classi superiori godono di un tenore di vita equivalente o superiore a quello di americani o europei, con frequenti viaggi all’estero e condizioni di vita molto confortevoli. Come costruire una nazione segnata da così tante fratture? È la domanda cui cercheremo di rispondere nel fare un percorso storico, politico e religioso. Perché bisogna parlare di religione, nel contesto filippino. Qui non ci sono cultura e politica senza religione, anche se Chiesa e Stato sono giuridicamente separati. Il cattolicesimo è stato impiantato a fondo nella popolazione dell’arcipelago, anche se il cristianesimo resta, in molte parti dell’Asia, la religione dell’uomo bianco. Gli spagnoli hanno voluto evangelizzare attraverso il patronato regio per cristianizzare e umanizzare le loro colonie8. Sono riusciti a fare delle Filippine l’unico grande paese cattolico dell’Asia9. Questa identità segna ogni abitante dell’arcipelago. L’attuale instabilità politica e sociale, le esitazioni e le lentezze economiche, uniche in un’Asia caratterizzata dal dinamismo e dalla stabilità, possono essere spiegate in gran parte dalla difficoltà di far convivere queste lunghe occupazioni straniere con i legami, troppo stretti, con identità e mentalità locali. Il passaggio attraverso la storia appare qui indispensabile, considerando la presenza e il ruolo dei fattori educativi, linguistici e religiosi, elementi chiave di una cultura. Un grande momento, nella storia recente, è stata la rivoluzione non violenta del 1986 contro Marcos; dedicheremo del tempo Cf H. de la Costa, «Faith, justice and development, a human perspective», in Id., Selected essays…, cit., p. 347. Il patronato è un sistema in cui le autorità civili hanno avuto una responsabilità nella diffusione della fede, con l’aiuto delle autorità religiose. 9 Una significativa minoranza musulmana esiste da secoli nel sud-ovest dell’isola di Mindanao. 8 8 a questo momento decisivo, un tratto dell’identità nazionale e primo importante tentativo di trovare un’unità simbolica. Le vecchie corruzioni venivano rigettate nell’oblio per trovare una Repubblica ringiovanita, ristrutturata su valori vicini alla tradizione cattolica. Lo Stato di diritto doveva prendere il primo posto in un governo filippino indipendente. Questa fase di rinnovamento è svanita e i vecchi demoni sono tornati, ma il 1986 resta una speranza, un riferimento che anima tutti i tentativi di unità nazionale. Il presente e il futuro sono ancora in gioco in questo riferimento al periodo Marcos e al suo rovesciamento: l’attuale presidente è il figlio di Corazón (Cory) Aquino, vincitrice sul dittatore, mentre il figlio di Marcos, senatore della Repubblica, aspetta in imboscata che le circostanze gli siano favorevoli per riportare la famiglia al potere. L’arcipelago delle Filippine non smette di essere conteso tra queste due figure, attratto dal rispetto del diritto ma sempre tentato dall’ordine dittatoriale. 9 1 Storia e cultura Tutto inizia su isole da sogno nel Mar della Cina, battute, a ogni stagione dei monsoni (da luglio a novembre), da uragani di grande violenza. Abitanti o signori della terra, come volentieri chiamano se stessi, i filippini sono di origine malese (venuti dalla Malesia due o trecento anni prima di Cristo). Come gli spagnoli li descrivono al loro arrivo, sono piccoli uomini dalla pelle scura, negrillos, che vivono sulle montagne e nel fitto dei boschi. Sono vestiti di un pareo e braccialetti e, se pure non hanno né legge né scrittura, sono molto religiosi. Raggruppati in barangay, complessi da 30 a 100 famiglie, formano una comunità solida, guidata non dall’erede di una dinastia di capi, ma dal più competente, colui che ha accumulato più ricchezza e con qualsiasi mezzo. Quanto alla gerarchia, gli spagnoli paragonano la loro struttura sociale a quella del Medioevo europeo, con signori, uomini liberi e schiavi. Le isole del paradiso Gli abitanti dell’arcipelago credono nel dio Bathala, creatore e signore di tutti, che ha inviato molti angeli o ministri, gli añitos, ai quali si devono portare offerte. Dopo la morte, le loro anime scendono nella terra, perché fa meno caldo che in aria. Sono sepolti con tutti i loro beni, e i signori con i loro schiavi, cosa che permette loro di avere chi li serva nell’aldilà. Questi piccoli uomini bruni mangiano bene e bevono molto, in particolare ai funerali. Nelle altre occasioni, ballano e cantano 11 volentieri. Sono artigiani di grande abilità tecnica per i tessuti come per i gioielli. Sanno costruire barche e commerciano tra le isole, ma anche con il mondo esterno, fino alla Cina. Quando un commerciante arriva dal mare, non scende a terra, ma suona il tamburo per chiamare le persone a raggiungerlo in acqua e acquistare i suoi prodotti. Si discute di prezzi o di scambi e, se sorge una controversia, il capo della barangay stessa deve risolvere la lite. Alla fine del XV secolo inizia una nuova avventura: un nobile musulmano, Sarip Kabungsuwan, si lancia nel Mar della Cina con un gran numero di sudditi su diverse imbarcazioni. I venti li disperdono e la truppa approda in vari punti dell’isola di Mindanao. Arrivato a Tinundan, l’emiro Kabungsuwan impone la sua religione sulle popolazioni locali, terrorizzandole con le armi. Molto rapidamente, la regione delle isole Sulu si converte e diventa un sultanato. Nel corso del XVI secolo sbarcano i primi spagnoli e incontrano uno dei re di Mindanao. Immediatamente instaurano un commercio, cosa che interessa al re, disposto a dare oro in cambio di fucili e di polvere da sparo. Spiega che comprerà porcellane cinesi e, in cambio, darà loro oro e cera d’api. Il passato spagnolo Il 16 marzo 1521, dopo aver attraversato tutto il Pacifico, attraverso il quale ha cercato di raggiungere la Spagna oltre le coste americane, Magellano approda al fiorente porto di Cebu, dove è ricevuto dal re del luogo, Raja Humabun, che molto presto si converte e accetta di diventare vassallo del re di Spagna. Ma il suo vassallo, Lapu Lapu, si oppone. Desideroso di imporre la propria volontà e di marcare le linee del suo territorio, Magellano decide di dare una lezione a Lapu Lapu e, allo stesso tempo, di convincere Humabun della propria superiorità. Dopo una feroce battaglia, che si svolge in parte in acqua, Magellano è vittima del suo avversario. Ancora oggi si vede, nella piccola isola di fronte alla città di Cebu, una grande 12