Girogirotondo casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra. Tutti

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Girogirotondo casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra. Tutti
Girogirotondo casca il mondo,
casca la terra e tutti giù per terra.
Tutti caddero ma io restai alzato a guardare. Non volevo
spezzare quell’abbraccio. Avrei preferito girare e rigirare, all’impazzata, stretti per mano per ore, ore, ore. Ma un cerchio
alla fine prima o poi si chiude. Vidi gli altri che ridevano, ma
io provai solo rabbia e odio. Li lasciai lì a ridere nella polvere, avvolti dallo stesso vento che fischia nei canali fangosi di
questa notte. Un vento che mi urla dentro come il lamento
straziante di madri che non hanno più visto ritornare i loro
figli inghiottiti dal mare. Madri impazzite che odiano il mare
e si immaginano filastrocche di bambini portate dalle onde.
Girogirotondo casca il mondo.
È una cantilena che si fa folle e che mi scorre nella testa
come un fiotto di sangue. Sento il suo frusciare sordo, tra i
fari delle macchine, la nebbia e i pneumatici che schizzano
acqua putrida.
Non ti preoccupare mamma, sta arrivando il tuo bambino,
il tuo bambino cattivo. Ti ho sentito che mi sussurravi e mi
dicevi: Dormi, bambino, dormi. Ti prego. E allora dorma anche questa notte, questo mare e questo vento infinito.
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1.
29 Novembre 1976
Piero e Tamara erano seduti sulla loro Renault 4 blu in
quell’uggioso pomeriggio domenicale di novembre. Giubbotto di pelle nero e scarponcelli neri lui, giacca chiara scamosciata, scialle dai colori allegri, collanine e sottanona a
fiori da femminista lei. Accesero la radio. Stavano dando un
breve resoconto delle notizie più importanti dell’anno. L’omicidio del giudice Occorsio, l’arresto di Renato Curcio e la
condanna del neofascista Mario Tuti, e poi Panalugulis, Mao,
l’elezione di Zaccagnini e Craxi, lo scandalo Lockeed, le
contestazioni della sinistra extraparlamentare a Berlinguer, le
vittorie sportive di Gimondi e Panatta, lo scioglimento di Lotta Continua, il governo Andreotti.
La radio snocciolò le hit dell’anno. Ancora tu di Lucio
Battisti, Margherita di Cocciante, Ramaya, Gianni Morandi
con Me lo compri papà e un intellettualoide Francesco Guccini con l’Avvelenata. Quell’anno sarebbe stato l’ultimo per
la televisione in bianco e nero, Silvio Berlusconi era ancora
un rampante quarantenne costruttore di città satelliti a Milano 2 e Sandokan era lo sceneggiato televisivo che incollava
alla televisione migliaia di famiglie. Mentre al cinema davano Rocky, Taxy driver, King Kong e Novecento di Bernardo
Bertolucci.
– Fallo di mano di Furino, fallo di mano in area di rigore... vediamo adesso l’arbitro cosa fa... non fischia... non fischia. – La Juventus vincerà con la Roma per un gol a zero
grazie a un arbitraggio scandaloso. Lo stadio verrà devasta-
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to, ci saranno 31 feriti e 4 autobus distrutti da spranghe e bulloni.
– Hanno comprato l’arbitro, squadra di merda – disse Piero mentre sputacchiava qua e là il tabacco che gli era rimasto
attaccato alle labbra.
Piero e Tamara sentivano tutta la turbolenza di quell’anno. Lui era un giovane studente di lettere e faceva parte di un
collettivo del proletariato giovanile, lei lavorava come segretaria in un’azienda, era del collettivo femminista, una di
quelle che il 3 aprile avevano sfilato a Roma dietro a un tatzebao rosa con scritto “le donne in lotta lo gridano in coro,
vaffanculo Governo Moro”.
Si vedevano da qualche mese e si erano appartati in quel
luogo a fumarsi una canna.
– Dai scendiamo dalla macchina – fece lei.
– Dove mi vuoi portare?
– Là.
– Prendo il plaid dietro la macchina.
– Ok – fece lei accendendosi una Gauloise.
I due fecero a piedi il prato, ma erano troppo in vista,
dalla strada li avrebbero sicuramente visti.
– C’è una chiesa... lasciamo stare... sei svitata... mica lo
vorrai fare là.
– Sì.
S’incamminarono lungo il viottolo che portava verso
l’abside della chiesa.
– Ehi, guarda là.
– Dove?
– Là, dietro quel cespuglio...
– Ma ha la tonaca. È un prete...
– Corri, vai a dirgli qualcosa.
Giorgio fece uno scatto e uscì dalla macchina.
– Ma cosa sta facendo?... ehi, guardi che lo abbiamo
visto...
Quel tipo si accorse della loro presenza e si mise a correre verso l’abside, dietro il quale c’era una porta secondaria
che lo avrebbe portato in chiesa.
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IL MISSIONARIO
– A zozzone figlio di puttana. Se ti prendo ti ammazzo –
urlò Piero che smise di correre. Prese un sasso e provò a lanciarglielo contro. Quel tipo se n’era fuggito.
Rimase a fissare la chiesa e si sentì un po’ un coglione per
quella sua vigliacchieria. Qualcosa nella testa gli aveva detto
di lasciar stare, che era meglio non impicciarsi. Ritornò verso
Tamara imprecando.
– Vaffanculo stronzo maledetto. Si è nascosto il bastardo.
E ora che facciamo?
– Ma no, lascia stare, dai...
– Dai un cazzo. Adesso andiamo e lo denunciamo quel
porco...
– Ma no. Ti ho detto di lasciarlo stare. C’incasiniamo. Finisce che ci mettiamo nei guai... calmati.
– Calmo un cazzo... comunque vabbè, andiamocene – disse Piero con una smorfia di disappunto – però che palle, ’sti
questurini...
Se ne ritornarono in macchina un po’ mosci. Lui aveva
una denuncia per porto abusivo d’arma. Lo avevano trovato
con un coltello in un corteo del movimento. Quello era stato
un anno di scontri, di cortei e piazze in assetto di guerra. Non
era proprio il caso.
– Torniamocene a casa.
– Ok.
Si accesero una sigaretta e misero in moto veloci. Si sentirono un po’ stronzi, quella faccenda sfumata così alla cazzo
di cane li aveva turbati.
Lei si mise a canticchiare.
Perché questa lunga notte, non sia nera più del nero
fatti grande dolce luna e riempi il cielo intero
e perché quel suo sorriso possa ritornare ancora
splendi sole domattina come non hai fatto ancora..
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SILVIO CIAPPI
2.
Sia mio il desiderio di vedervi bagnato nel sangue del divino Agnello, che uccide la propria perversa volontà. Lava
la faccia della coscienzia e uccide il vermine di detta coscienza... il fuoco col sangue lava e consuma la ruggine nella
colpa che è un vermine che rode. Onde morto che è questo
vermine, e lavata che è la faccia dell’anima, è privata del
proprio e disordinato amore. La cagione del peccato è il proprio amore il quale nutre la perversa volontà, che si ribella
alla ragione. Dobbiamo uccidere questo perverso sentimento, il quale conduce l’anima a tanto miserabile male. Prendi
dunque il coltello che ha due tagli, l’odio e l’amore, e menalo con le mani del libero arbitrio e con esso coltello: taglia e
uccidi.
Queste parole rimbombarono nell’atrio che portava alla
cappella dell’oratorio. Quella chiesa nei mesi invernali aveva
un aspetto ancor più spettrale del solito. Sembrava custodire
misteri antichissimi testimoniati da oscure iscrizioni in latino
e da strani simboli incisi sulla pietra, come una coppia di serpenti che si avvinghiavano attorcigliati lungo i fusti delle colonne e tre volti di cavalieri crociati che fuoriuscivano urlanti dalle pietre dell’abside. Quei volti angosciati sembravano
ricordare a quelle campagne gelate dalla brina invernale un
antico terrore.
L’abate superiore indossava un lungo mantello nero. Si
avvicinò all’altare accompagnato da due accoliti che tenevano in mano pesanti candele nere. I loro passi echeggiavano tra
la piccola folla adunata, quasi a testimoniare la solennità di
quel momento.
L’altare era costituito da un blocco rettangolare di pietra
coperto da una tela di raso nero. Sull’angolo si trovavano un
incensiere e un piccolo vaso con dipinta una rosa. L’abate
guardò quel corpo nudo, che se ne stava davanti a lui, con la
testa reclinata all’indietro. – Distenditi – disse con aria imperiosa mentre annusava l’aria che sapeva d’incenso.
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IL MISSIONARIO
Padre Antonio si sdraiò per terra lungo l’abside, completamente nudo. Quella carne avrebbe fatto impressione anche
a un morto. Era livido in faccia e tremava.
Poi fu il silenzio. Lungo, glaciale.
In nomine Christii et sanctii evangelii, requiescat animam. Benedictus Sator qui tenet opera rotas. O fratres dominum orate ut ei dimittat commissa peccata. Amen.
Il Padre superiore cominciò a maneggiare con premura il
calice d’oro. Conteneva sangue, il vino dell’anima come lo
chiamavano. Il vecchio abate lo cosparse sul viso del confratello che lanciava sguardi terrorizzati verso quelle mani nodose che lo ungevano. Gli occhi erano sbarrati, un leggero
fremito cominciò a farsi strada agli angoli della labbra. Padre
Antonio si guardò attorno e per un attimo si fermò a osservare il cassettone lavorato dove erano raffigurate alcune
scene dell’Annunciazione. Quante volte aveva ammirato la
gentilezza di quelle forme. Poi vide il candelabro dorato con
teste di draghi e zampe di leoni. Quante volte lo aveva maneggiato, ripulito, quante volte aveva acceso con delicatezza
le sue candele.
Improvvisamente, da una porta laterale, si fecero avanti
tre accoliti che lo guardarono senza mostrare empatia. Le
facce erano immobili, lo sguardo assente. Lo presero per le
braccia e per le gambe e lo issarono in alto. Lo portarono con
passo cadenzato lungo la navata laterale. Si fermarono solo
per un attimo davanti all’immagine della Vergine. Poi si diressero verso il fonte battesimale, una reliquia barocca che
era stata per l’occasione riempita di sangue. Antonio capì che
era giunto il momento conclusivo di una lunga cerimonia di
espiazione.
Il padre superiore lo agguantò per i capelli immergendo il
volto nel sangue del fonte battesimale. Il vecchio domenicano ebbe un sussulto, le vene del collo iniziarono a pulsare e
cominciò ad ansimare. Venne immerso ripetutamente nel
sangue, fino a che tutto il volto non si fece rosso paonazzo.
Ebbe la tentazione di urlare, ma un fiotto di sangue gli era en-
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SILVIO CIAPPI
trato in gola. Alcune gocce scendevano nervose in rigagnoli
lungo il corpo. Fu poi bendato e portato in una cappella laterale dove era affrescato l’arcangelo Michele a cavallo, con la
spada. Passarono minuti, ma gli sembrò un’eternità. Intorno
alcune voci che non riusciva a distinguere, recitavano un
canto:
Sator Arepo Tenet Opera Rotas
Christe, cum sit hinc exire, da per Matrem me venire, ad palmam victoriae. Quando corpus morietur, fac ut animae donetur, paradisi gloria.
Sator Arepo Tenet Opera Rotas
Amen
Sator Arepo Tenet Opera Rotas
O Cristo, quando sarà il momento della morte, fammi giungere alla meta gloriosa per mano di Tua Madre. Quando il
mio corpo sarà morto, fa’ che all’anima sia donata la gloria
del paradiso.
Sator Arepo Tenet Opera Rotas.
Amen
Erano voci che conosceva, ma si distinguevano a malapena tanto erano amplificate dal brusio. Sentì poi un odore intenso di candele bruciate e d’incenso. Vide della gente che si
era disposta in cerchio attorno a lui. Cercò di dirigere lo
sguardo al di sotto della benda e di mettere a fuoco i volti. Li
riconobbe a malapena. Gelasio il giardiniere, padre Manuele,
Luciano il bibliotecario, Salvatore l’amico di preghiera. Dodici volti conosciuti che si facevano distanti, sfocati, cinici.
Poi si fece silenzio, dopodiché sentì intonare una preghiera,
probabilmente era un salmo biblico. Ancora silenzio. Poi dei
passi. Erano sicuramente quelli del padre superiore. Vide che
se ne stava alzato sopra di lui. Padre Antonio cercò di girare
la testa, mugolando. Vide che il superiore aveva le mani rivolte in alto, in segno di benedizione.
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