Leggi la relazione integrale “Alcune note su artigianato e manifattura”

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Leggi la relazione integrale “Alcune note su artigianato e manifattura”
Alcune note su artigianato e manifattura.
Nel giugno de 2009,nel mezzo della crisi finanziaria ed economica che ha investito con
particolare durezza le economie specializzate nei settori dei servizi e della finanza, Il
Financial Times ha dedicato un lungo articolo sul lavoro artigiano. La tesi suggerita è che
dopo anni di grande enfasi sulla necessità di spingere lo sviluppo e ,conseguentemente
,orientare i giovani verso il terziario innovativo,è venuto il momento di aprire una riflessione
,che coinvolga le nuove generazioni,verso il lavoro manuale e di caratteristiche artigianali.
Non è quello del FT un unico caso. Il dibattito innescato di recente da SENNET sulla figura
dell’uomo artigiano è la testimonianza di una crescente attenzione su questi temi. Proprio
questa ripresa di attenzione a livello internazionale suggerisce di riflettere anche in Italia
sul contributo che i mestieri tradizionali,soprattutto nell’ambito della manifattura, apportano
all’economia e alla società italiana.
A partire dal 2000,il nostro sistema industriale ha conosciuto un sistema evolutivo
particolarmente intenso che ha rimesso in discussione la competitività dei distretti
industriali e delle PI in generale.
A conclusione di un decennio particolarmente impegnativo,il nostro sistema ha subito una
importante trasformazione ed ha dimostrato una rinnovata capacità competitiva,
soprattutto grazie a una nuova generazione di medie imprese caratterizzate da una
dimensione internazionale e da capacità di innovazione.
In questo contesto la figura dell’artigiano appare in una condizione particolarmente
delicata :esso continua ad essere il pilastro della nostra cultura materiale ma è meno facile
comprender quale sia il contributo che esso offre effettivamente alla competitività del
nostro sistema industriale.
Le imprese artigiane sono la gran parte del nostro sistema industriale. Secondo l’ISTAT la
stragrande maggioranza del nostro tessuto industriale è formato da imprese sotto i 10
dipendeti. In generale le circa 1milione e 600 mila imprese artigiane operanti in Italia
(l’Italia è il paese europeo a più alto tasso di artigianato sul totale delle imprese) circa un
terzo sono manifatturiere,un terzo operano nelle costruzioni,un terzo nei servizi.
La quantità è un dato certamente importante ma non è il solo che va valutato. Vi è infatti
un contributo fondamentale che l’artigianato offre alla qualità dell’offerta nazionale
,soprattutto nei settori del cosi detto Made in Italy.
Come hanno sottolineato Paolo Colombo e poi Miceli, “alla base del conclamato successo
del Made in Italy,ci sono solidissime basi messe a disposizione da un affollato mondo
creativo di mestieri e maestri d’arte. Tutto ciò rappresenta un patrimonio di saperi e
competenze che va valorizzato per il VALORE che apporta all’economia nazionale .Tutto
ciò non è ancora stato fatto.
Le imprese artigiane contribuiscono,pur tra mille difficoltà e contraddizioni alla costruzione
della catena del valore che induce competitività nei settori e in dimensiono differenti.
E’ necessario uscire dall’annosa diatriba piccola –grande dimensione per impostare
politiche che ,a partire dal paese reale ,e non da quello che sarebbe necessario
se…,consentano di accrescere la nostra complessiva capacità di creare valore come
sistema Italia.
Per capire le caratteristiche del lavoro artigiano possiamo enfatizzare,con Miceli,tre
aspetti:
1 AUTONOMIA Il lavoro artigiano si struttura attorno a un insieme coerente di pratiche
manuali che concorrono alla realizzazione di un’attività o di un prodotto finito. Al contrario
che nel lavoro industriale fordista,l’artigiano comprende e governa attività diverse,alcune
relativamente complesse che producono un risultato visibile.
Il dominio di attività diverse e l’autonomia di cui gode l’artigiano costituiscono al contempo
punto di forza e di debolezza. Nei processi di produzione su larga scala è difficile per
l’artigiano superare lo scarto di qualità che lo separa dalla produzione fordista.
Per converso la dimensione autonoma rappresenta un punto di forza in quanto il lavoro
artigiano si confronta con problemi puntuali o con la produzione in serie limitate. Ciò
funziona,ovviamente se l’approccio al lavoro è imprenditoriale.
2 Relazione a differenza dell’operai, l’artigiano parla con il mercato,dialoga con
l’utilizzatore finale del bene ,in processi di continuo adattamento. E’ vero che il sistema
industriale oggi coprire, attraverso la “customizzazione”,anche la quota dei prodotti
personalizzati,che ha spinto parte dell’artigianato fuori mercato e una parte verso
produzioni più esclusive o di lusso(siano esse scarpe o motociclette). La dimensione del
dialogo diretto col cliente spinge verso una ricerca sempre più estrema e continua
evoluzione.
3 Valore culturale il lavoro dell’artigiano spinge verso una forte riconoscibilità sociale
(Sennet, Crawford). Nel caso di mestieri radicati nel loro contesto sociale questa
riconoscibilità si lega alla nozione di patrimonio culturale
Una parte di questo grande artigianato rappresenta ,oggi,nella sua evoluzione ,anche
quando opera sotto forma di società di capitali le nuove colonne di quel made in italy di
alto livello che esporta conferendo valore all’intera produzione italiana ( esempi Caovilla,
calzature del Brenta, Brioni abbigliamento uomo Abruzzo, Venini vetreria Venezia etc):
esse sono parte di quei 5000 campioni nazionali individuati da Mediobanca basati sul
lavoro e la competenza.
Il successo di questi nuovi campioni suggerirebbe di promuovere percorsi simili fra
imprese artigiane ad alto potenziale,forti di un prodotto suscettibile di essere sul mercato
in larga ,anche se non larghissima scala. Servirebbe una finanza fiduciosa e lungimirante
che potrebbe promuovere la crescita di talenti imprenditoriali ancora poco
valorizzati,sviluppandone presenza commerciale e penetrazione sui mercati internazionali.
In questo modo una parte della nostra piccola impresa potrebbe uscire dalla condizione di
nanismo che molti le imputano.
Questa ipotesi poggia sulla convinzione ,solo parziale,che le imprese artigiane debbano
misurare il proprio apporto alla creazione del valore solo crescendo dimensionalmente.
Bisogna tuttavia, in una dimensione sempre più globale dei mercati porre al centro
dell’analisi il ruolo di queste imprese all’interno delle catene del valore globali. La dinamica
di frammentazione della produzione costituisce uno dei tratti caratteristici della nuova
divisione del lavoro a livello internazionale.
Questo processo ha trasformato in modo radicale il modo in cui le imprese organizzano i
sistemi produttivi a scala globale,tanto che molti osservatori contestano gli attuali criteri di
valutazione del commercio internazionale.
L’analisi,suggerita da molti studiosi,delle catene globali del valore ha messo in evidenza la
complessità di governante dei sistemi produttivi a scala trans nazionale. La possibilità di
governare operatori relativamente autonomi,localizzati in aree molto diverse, ha consentito
anche alle imprese italiane di intraprender processi di internazionalizzazione senza
percorrere la strada degli investimenti diretti all’estero. I principali beneficiari della
possibilità di organizzare reti internazionali di produzione fondate su dispositivi non equità
sono state proprio le medie imprese italiane che hanno potuto a lungo contare
sull’accesso a nuovi mercati di subfornitura,facendo leva sul brand “made in Italy’’.
Mentre si è giustamente enfatizzato il ruolo delle nuove tecnologie e della logistica ,poco si
è compreso del ruolo di interfaccia produttivo svolto dagli artigiani nel contesto delle
catene del valore internazionale ,soprattutto nel made in Italy.
Non è qui il caso di entrare in un’analisi troppo approfondita del ruolo dell’artigianato nelle
filiere manifatturiere globali . Ne accenno a tre funzioni sinteticamente
1. Artigiano adattatore: ci si riferisce al ruolo di complemento al sistema industriale per
quanto concerne l’adattamento finale di un prodotto. Esempi nell’abbigliamento,
allestimento e arredo di alta gamma ,macchine automatiche etc
2. Artigiano traduttore: sviluppo di prodotti e collegamento tra attività di ricerca e
ideazione, la creazione di prototipi su cui sviluppare il prodotto industriale. Il caso GEOX
:produzione de localizzata,stilisti in Italia,Artigiani traduttori che passano,sempre in Italia
dal disegno al prodotto. Questa funzione è essenziale per la qualità del prodotto
finito,l’efficienza del processo produttivo. In questo senso il contributo artigiano costituisce
un fattore abilitante del made in Italy.
3. Artigiano creativo: per quanto possa apparire paradossale l’artigiano creativo prospera
proprio quando riesce a sviluppare un rapporto stabile con l’industria .Viceversa, l’artigiano
creativo concentrato nella produzione di piccole serie ha difficoltà a accedere con
successo al mercato. Quando il rapporto tra artigiano e industria si fonda su un’efficace
divisione del lavoro,fondata su una corretta gestione della proprietà intellettuale e su
un’equa ripartizione degli utili allora i problemi si risolvono (Miceli).
L’analisi sin qui condotta intende riposizionare il valore dell’artigianato manifatturiero al di
fuori degli schemi classici dell’analisi sulla micro impresa: l’artigiano non è legato ,se non
formalmente alla dimensione ,può essere egualmente tale sia quando è organicamente
parte di una organizzazione maggiore ,quando si colloca secondo una progressione di
valore in reti,filiere,distretti,cluster di imprese.
La difesa del lavoro artigiano non coincide con la difesa della azienda artigiana così come
definito dall’ordinamento giuridico nazionale. Ciò conduce a valorizzare l’artigianato ed il
lavoro artigiano anche fuori dallo schema della piccola impresa.
La prima opzione culturale ,e poi politica ,è vedere l’artigianato fuori dallo schema in cui
per tanti anni è stato racchiuso :la bottega,magari scuola,il maestro artigiano,la
dimensione da mastro Geppetto, da conservare più che da collocare in specifiche
traiettorie di sviluppo. Fin dagli anni 80 si comprese queste dinamiche e si oppose ad una
visione museale dell’artigiano come reperto da conservare,immutato nel tempo e nello
spazio economico,tutelato da vincoli piuttosto che sostenuto verso l’era della dimensione
telematica dei mercati. In quegli anni si diede la corretta interpretazione dei distretti
industriali, fino ad allora interpretati come mero decentramento produttivo, nacquero aree
attrezzate anche di servizi di terziario avanzato, consorzi tra imprese,si diede slancio alla
formazione imprenditoriale, alla promozione economica,alla contrattazione autonoma,ad
un nuovo rapporto con le istituzioni, cui si chiedevano sia politiche di settore che azioni
dirette a creare valore nei fattori della produzione, soprattutto finanza e innovazione.
Ora,dato per scontato che l’artigianato è anche micro impresa, e che quindi vive come tutti
i piccoli problemi di scala, problemi di peso amministrativo, di difficoltà finanziaria,di
difficile rapporto con la ricerca universitaria etc. serve un approccio innovativo che traendo
spunto dalle migliori pratiche (esperienze di successo) si traduca in politica.
Un primo tema su cui riflettere in modo originale è quello della formazione. Su questo
punto bisogna intervenire con urgenza viste le difficoltà che incontrano le scuole
tradizionali dei maestri d’arte, strutturate su un impianto di più di un secolo fa. In altro
scritto ho parlato di licei professionali,ove connettere il saper fare con il saper essere, ma il
fatto che l’università abbia sostanzialmente rinunciato ad esercitare un qualunque ruolo
nel settore e che istituti di alta formazione del sapere manuale.
Come DOMUS ACADEMY e NABA,siano state acquisite da investitori stranieri ,la dice
lunga sui rischi per il futuro del made in Italy.
Un secondo elemento da considerare con attenzione riguarda la promozione
dell’artigianato su scala internazionale. Se il lavoro artigiano è cruciale nel definire nuove
connessioni fra moduli delle catene del valore,è possibile allor promuovere l’artigianato in
tutte le filiere ,non solo in quelle che riguardano il made in italy. In parte è ciò che sta
succedendo
nelle
filiere
della
prototipistica
della
scarpa
sportiva
(Montebelluna),dell’occhialeria e della moda. Questi casi ci dicono che non si tratta più di
riflettere solo su possibili interventi a sostegno dell’organizzazione aziendale(peraltro
indispensabili) che ospita il lavoro artigiano, ma di pensare alle connessioni con
l’economia globale e la valorizzazione delle diverse specializzazioni nella catena del
valore delle produzioni internazionali.
Si tratta di affermare un nuovo concetto di made in Italy: puntare sulla qualità.
I distretti tradizionali sono andati in difficoltà ,prima ancora che per l’effetto Cina, per il
salto di qualità che essi dovevano compiere per passare da una fase di produzione basata
sull’esperienza,l’informalità dei rapporti, la relazione di contiguità ecc.,ad una fase
formalizzata,certificata,in cui la qualità diveniva un costo più elevato. Chi ha saputo
adattare i propri comportamenti ce l’ha fatta ad esempio Carpi versus Prato, altri hanno
dovuto soccombere o produrre pesanti riconversioni.
Siamo lontani da mastro Geppetto: se gli attrezzi sono tradizionali ciò deve essere frutto di
una scelta consapevole non dell’incapacità di slegarsi dal passato. Nonostante molti
luoghi comuni l’artigiano è capace di innovare anche quando è nella micro impresa. Lo fa
attraverso processi informali ,lo fa perché
C’è in atto stimolato dal committente (vedi macchine automatiche)o una rivalutazione
dell’atto del fare artigiano( basti vedere le campagne di Louis Vitton) anche se questo
sapere manuale oggi si realizza con il CAD CAM, il concetto di qualità che si afferma con
e oltre l’innovazione, così come si fece in Giappone negli anni 80.
Per dirla con Cipolletta: non più miglioramento continuo di uomini al servizio di un
impresa, bensì collegamento fra un patrimonio di valorie significati promossi da una
comunità e prodotti sofisticati che rispondono alle effettive esigenze della persona e delle
istituzioni.
La qualità del lavoro artigiano è la qualità che riconosce il primato dell’uomo sulla
tecnologia,della cultura sulla tecnica.
La presenza così diffusa della figura artigiana nella nostra economia presuppone azioni
per salvaguardarne ,nel senso della modernità fin qui sostenuto, l’esistenza e il
tramando,la sua proiezione nel futuro.
In termini politici tutto ciò richiede una nuova politica industriale,un new deal delle politiche
per la piccola impresa ,in grado di porsi la visione di collegare il Rinascimento all’età della
telematica.
E’ ovvio che il contesto in cui si e’ mossa la politica ma anche la rappresentanza è
abbastanza lontano da tutto questo .