Anziani all`aria aperta per migliorare la qualità della vita

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Anziani all`aria aperta per migliorare la qualità della vita
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Assistere gli anziani
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Collana diretta da Maria Luisa Raineri
Jane Gilliard e Mary Marshall (a cura di)
Anziani
all’aria aperta
per migliorare la qualità della vita
Indice
Assistere gli anziani: presentazione della collana
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Introduzione (Jane Gilliard e Mary Marshall)
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Capitolo primo
Demenza, natura e dimensione spirituale (Malcolm Goldsmith)
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Capitolo secondo
La luce del sole (David McNair)
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Capitolo terzo
La demenza e il ciclo delle stagioni (Neil Mapes)
41
Capitolo quarto
Il Centro Forget Me Not (Lynda Hughes)
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Capitolo quinto
Per una nuova armonia: demedicalizzare e riportare alla natura
(Peter Whitehouse, Danny George, Johanna Wigg e Brett Joseph)
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Capitolo sesto
Si sta meglio in fattoria: l’esperienza olandese (Simone De Bruin,
Simon Oosting, Marie-José Enders-Slegers e Jos Schols)
89
Capitolo settimo
Nessun tetto sulla testa… solo il cielo (James McKillop)
105
Capitolo ottavo
Attività con gli animali (Marcus Fellows e Ann Rainsford)
111
Capitolo nono
Giardinaggio e demenza (I membri del Park Club e Rachael Litherland)
121
Capitolo decimo
Orti in città (Lorraine Robertson)
129
Capitolo undicesimo
Creatività all’aperto (Claire Craig)
139
Capitolo dodicesimo
Una montagna terapeutica: il Centro AlzheimUr (Murcia, Spagna)
(Halldóra Arnardóttir e Javier Sánchez Merina)
151
Capitolo tredicesimo
Tre voci (Scottish Dementia Working Group)
159
Capitolo quattordicesimo
Arne Naess: una riflessione (Peter Whitehouse)
161
Capitolo quindicesimo
Anziani immigrati: testimonianze da una comunità Punjabi
(Manjit Kaur Nijjar)
165
Capitolo sedicesimo
Riflessioni conclusive (Jane Gilliard e Mary Marshall)
173
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Assistere gli anziani
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«Assistere gli anziani»: come, nella vita di ogni giorno, possiamo aiutare
chi non è più autosufficiente a migliorare la qualità della sua vita? E come,
eventualmente, può aiutarsi lui per primo? Una serie di volumetti pratici,
destinati a tutti coloro che, per lavoro, per volontariato o per legami familiari
si occupano dell’assistenza diretta a persone anziane in difficoltà.
Presentazione della collana
Oggi una parte consistente della vita di chi ha più di 65 anni (l’anzianità
«anagrafica») non è molto diversa dalla vita attiva degli adulti. Nel contempo,
però, sempre più persone arrivano a un’età più avanzata e sperimentano sulla
propria pelle le patologie tipiche dell’invecchiamento, assieme alla perdita progressiva delle proprie energie e capacità.
Accanto a loro, ne fanno esperienza anche coniugi, figli, nipoti e i tanti
operatori assistenziali che si trovano ogni giorno a prendersi cura di chi non è
più autosufficiente.
Spesso si tende a dare per scontato, quasi fosse ineluttabile, il rapporto
di causa-effetto tra la patologia o la menomazione legata all’età e l’handicap
(cioè lo svantaggio) che ne deriva. Tuttavia, lo svantaggio legato a una o più
patologie non dipende soltanto dalla presenza delle patologie in se stesse e dalla
possibilità di guarirle o di contrastarne l’aggravamento attraverso opportuni
trattamenti sanitari.
Dipende anche — in misura consistente — dal contesto di vita: cioè
dall’ambiente fisico in cui l’anziano trascorre le sue giornate, da quanto e come
questo ambiente corrisponde alle sue mutate esigenze; e dalle persone che popolano tale ambiente, dalla loro capacità di mettersi nei suoi panni, da quanto
sanno comunicare con lui in modo rispettoso e rassicurante, da come riescono
ad aiutarlo nell’adattarsi a un mondo che può apparire progressivamente più
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
difficile, faticoso e doloroso da affrontare, o complicato, oppure confuso, incomprensibile e minaccioso.
Dunque, ci sono fondamentalmente due strade da percorrere per aiutare
una persona anziana non autosufficiente a stare meglio: le cure in senso sanitarioriabilitativo, da un lato, e l’accudimento finalizzato a costruirle attorno un
ambiente supportivo (fisico e relazionale), dall’altro.
Talvolta corriamo il rischio di dare la priorità ai trattamenti sanitari,
mentre invece questi due tipi di aiuto andrebbero considerati di pari importanza e dignità. Quando la persona è circondata da un ambiente non
facilitante, allora anche le terapie sono più difficili da realizzare e hanno
minore effetto. Inoltre, nei tanti casi di patologie degenerative in cui sarebbe
irrealistico pensare a terapie che realizzino un miglioramento consistente, il
benessere della persona si costruisce soprattutto aiutandola a adattarsi alle sue
nuove e mutevoli condizioni: se l’ambiente è supportivo, questo adattamento
avviene con minore fatica.
Costruire un ambiente in grado di sostenere la persona significa soprattutto
intervenire nella quotidianità: la qualità della vita passa dal significato che
assumono i gesti di ogni giorno, e può venire annullata se si finisce per occuparsi
solo delle necessità funzionali.
Il volume che il lettore ha tra le mani fa parte di una collana dedicata,
appunto, all’assistenza quotidiana agli anziani. La collana è destinata a tutti
coloro che, per lavoro, per volontariato o per legami familiari e affettivi si occupano dell’assistenza diretta a persone anziane in difficoltà. Si tratta di una serie
di testi in cui il filo conduttore sta nel proporre risposte alla domanda: come,
nella vita di ogni giorno, possiamo aiutare la persona anziana a migliorare
la qualità della sua vita, pur in presenza di un’irreversibile diminuzione di
capacità? E come eventualmente può aiutarsi lei per prima?
Questo libro propone una rassegna interessante di possibili idee per
rispondere a queste domande, legate dal filo conduttore del contatto con la
natura e della vita all’aria aperta. «L’aria fresca sul viso» non rientra fra i
bisogni assistenziali in senso stretto, ma tuttavia è una necessità fortemente
avvertita da molti di noi, ed è forse per tutti un aspetto significativo della
qualità della vita.
Seguendo il racconto di tanti diversi progetti e di tutto un ventaglio di
esperienze, il lettore potrà cogliere come basta talvolta qualche semplice occasione
Presentazione della collana
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all’aperto per cambiare il tono di una giornata e, di conseguenza, alleviare anche
la fatica di chi assiste, accanto a quella di chi viene assistito.
Maria Luisa Raineri
Università Cattolica di Milano e di Brescia
Introduzione
Jane Gilliard e Mary Marshall
In che senso parliamo di natura?
Come descrivereste il brivido di gioia che vi attraversa quando sentite
cantare un merlo dalla cima di un albero in un pomeriggio invernale? O il
senso di meraviglia che suscita in voi un tramonto sul mare? O la confortante
morbidezza delle orecchie vellutate di un cane? O il piacere dell’assaporare
dei mirtilli appena colti? O l’intensità dei ricordi, che quasi vi impedisce di
trattenere le lacrime, quando sentite l’odore di un falò? O il benessere profondo che vi dà una passeggiata autunnale fra le foglie cadute? E naturalmente
anche le sensazioni meno positive, come l’ansia suscitata dalla violenza del
vento, o il disagio di un freddo pungente o di trovarsi bagnati fradici sotto
la pioggia. Come possiamo comunicare l’impressione che queste esperienze
siano un’affermazione della vita? Anzi, che siano fondamentali per sentirsi
vivi, per sentirsi parte del grande disegno universale?
Nella nostra società materialista, sembra quasi che a permettersi di
parlare delle esperienze sensoriali ed emotive della natura possano essere
tutt’al più i poeti o le persone religiose. E in effetti, c’è chi pensa che Dio
e la natura siano la stessa cosa. Il resto di noi si sente quasi imbarazzato a
scrivere di queste cose o a comunicarne l’importanza. A volte abbiamo la
sensazione che coloro che parlano o scrivono riguardo alla religione si siano
egoisticamente impossessati del linguaggio della natura.
E questo ci fa esitare, quando vogliamo parlare e scrivere di quanto
per noi due sia importante stare all’aperto per affrontare la vita quotidiana.
Quando abbiamo bisogno di pensare, camminiamo. Se vogliamo sgombe-
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
rare la mente o dare sollievo a un sentimento di frustrazione o irritazione,
usciamo. Passeggiare nel bosco, circondate da alberi molto più vecchi di
noi, ci fa sentire più calme. La nostra vita trae grande giovamento da una
passeggiata sulla spiaggia, con le onde che lambiscono dolcemente la sabbia
quando il cielo è sereno, o che si infrangono con fragore sulla costa quando
c’è vento. Entrambe abbiamo la passione della storia naturale, in particolare
amiamo fare bird-watching e studiare i fiori, e non ci è possibile immaginare
una vita in cui ci venga preclusa la quiete degli spazi aperti, la possibilità di
contemplare la flora e gli uccelli selvatici.
In un certo senso, sembra quasi un controsenso lavorare a un libro che
parla di demenza e rapporto con la natura, quando noi stessi, mammiferi,
facciamo parte della natura. Tutti noi viviamo in un mondo naturale, con
il cielo sopra di noi e la terra sotto. La pioggia cade su tutti noi e il sole ci
riscalda. Tutti siamo abituati a vedere gli alberi, perfino nelle città caotiche,
dove non manca mai qualche platano o ciliegio. Le persone che soffrono di
demenza vivono in questo stesso mondo, e allora perché sentiamo l’esigenza
di scrivere questo libro? La risposta è che siamo preoccupate che chi soffre di
demenza spesso non abbia la possibilità di rapportarsi con il mondo naturale.
Spesso queste persone trascorrono tutto il loro tempo in spazi chiusi. Circa
un terzo dei pazienti con demenza vive in residenze assistenziali (National
Audit Office 2007). Trascorrono la maggior parte del tempo in ambienti
con luce artificiale. La quantità di aria fresca che possono respirare è limitata
da finestre a ribalta. Una ricerca della SCRC/MWC (Scottish Commission
for the Regulation of Care/Mental Welfare Commission) dimostra che il
50% delle persone con demenza alloggiate in residenze assistenziali non esce
mai all’aperto, e un ulteriore 25% esce di rado (Care Commission/Mental
Welfare Commission 2009), ovvero probabilmente si reca in giardino.
Tuttavia gli autori commentano che i giardini sono sottoutilizzati, nonostante siano progettati specificamente per i pazienti con demenza. Anche
le persone con demenza che vivono in casa spesso non se la sentono più di
uscire, o magari sono i loro parenti ansiosi a scoraggiarli in questo senso. Si
crea una situazione in stridente contrasto con quella dei detenuti, che per
legge hanno diritto a un’ora d’aria al giorno.1
Prison Rules 1999, sezione 30: «Qualora le condizioni climatiche lo consentano e ciò non
pregiudichi la priorità di mantenere l’ordine e la disciplina, al detenuto sarà concessa
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Introduzione
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Non poter uscire all’aperto è un’eventualità futura che ci fa rabbrividire.
E ci preoccupa altrettanto l’idea che, se anche ci venisse concesso di stare
in giardino, sarebbe una possibilità limitata solo alle giornate con un clima
ideale, e non avremmo mai l’opportunità di sentire il vento o la pioggia sul
viso, o di calpestare la coltre di neve sotto i nostri piedi. Oltretutto, non
ci sarebbe mai permesso di uscire dal giardino e andare in quei luoghi più
selvatici che amiamo tanto.
Stare all’aperto offre una ricca combinazione di stimoli multisensoriali
ed emozioni. Chi non si sente pervaso da sensazioni, sentendo la pioggia
scorrere sul viso o inspirando l’odore della terra quando inizia a piovigginare?
Vediamo i bambini meravigliarsi di fronte al mondo naturale, ed è
possibile che con la vecchiaia diventi più facile ritrovare un contatto con
tutto questo. A nostro avviso non si può negare che la natura assuma sempre più importanza man mano che gli anni passano, e forse ciò è tanto più
vero quando le capacità cognitive vacillano, e i sentimenti e le emozioni
sono ancora più intensi. Peter Whitehouse e i suoi colleghi descrivono
un progetto che coinvolge sia i bambini sia le persone affette da demenza
nell’apprendimento e apprezzamento della natura.
Ci sono tante persone, come gli agricoltori e i pescatori, che trascorrono tutta la vita all’aperto. Per altri, le attività all’aperto sono un’importante
passione: ad esempio per chi ama la vela, l’equitazione, l’escursionismo,
il bird-watching. La percezione di sé di queste persone è profondamente
legata al mondo esterno. Ma in fondo tutti noi trascorriamo molto tempo
all’aperto, anche solo per compiere azioni quotidiane come aspettare l’autobus o attraversare il parco per andare da qualche parte, e anche per noi
tale esperienza fa parte del nostro essere. Potremmo affermare che le persone
devono necessariamente restare in contatto con la natura per sentirsi complete. John Zeisel (2011) dice che tutti noi siamo «programmati» per avere
bisogno di un contatto con la natura, il che spiega chiaramente quanto,
nel Ventunesimo secolo, sia repressiva l’assistenza ai pazienti con demenza.
È possibile parlare di questa esigenza verso la natura anche in termini
strumentali. Tutti noi, per mantenerci in salute, abbiamo bisogno di aria
fresca, di luce solare, di attività fisica, di respirare correttamente. Molte
l’opportunità di trascorrere del tempo all’aperto almeno una volta al giorno, per una
durata ritenuta ragionevole in base alla situazione».
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
attività all’aperto si svolgono in gruppo e migliorano la nostra personalità
sociale. Tali motivazioni sono davvero importanti, e risulta molto più facile
parlare di queste che non dell’importanza sensoriale ed emotiva dello stare
all’aperto. Forse dovremmo enfatizzare le ragioni pragmatiche dello stare
all’aperto se il nostro obiettivo è convincere i professionisti che è fondamentale. In particolare i progetti Enhancing the Healing Environment
(EHE),2 volti a migliorare l’ambiente dei reparti ospedalieri di degenza in
acuzie per i pazienti con demenza, si propongono spesso di portare un po’
di natura negli ospedali.
La demenza
Finora abbiamo espresso la nostra preoccupazione per il fatto che alle
persone con demenza non sia consentito il contatto con la natura di cui
hanno desiderio e necessità, ma vogliamo fermarci per un momento per
dare qualche informazione ai lettori che non hanno esperienza nell’assistere i malati di demenza. «Demenza» è un termine generico che indica un
gruppo di malattie degenerative del cervello, fra cui il morbo di Alzheimer,
la demenza vascolare e la demenza da corpi di Lewy. È nostra opinione
che le persone con danni cerebrali dovuti all’alcolismo abbiano in comune
numerose esperienze ed esigenze con chi è affetto da demenza (sebbene la
loro condizione non sia, rigorosamente parlando, degenerativa). I sintomi
comuni della demenza comprendono problemi di memoria (specialmente
ricordi recenti), difficoltà di ragionamento e di apprendimento. Le persone
con demenza sono per la maggior parte anziani, dunque soffriranno anche
di disturbi legati all’invecchiamento, in genere difficoltà visive e uditive,
che sono particolarmente problematici perché la demenza impedisce a chi
ne soffre di comprenderli e affrontarli. Ci possono essere numerosi altri disturbi, ma l’evoluzione della malattia varia da un individuo all’altro, quindi
eviteremo di generalizzare.
Circa il 3% dei malati di demenza ha meno di 65 anni e deve affrontare
problematiche particolari, legate ad esempio al posto di lavoro e alla cura
dei figli. In termini numerici, la demenza sta aumentando rapidamente,
Si veda: www.enhancingthehealingenvironment.org.uk.
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Introduzione
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poiché è associata soprattutto all’età e stiamo assistendo a un invecchiamento demografico. Intorno ai 65 anni una persona su 20 soffre di demenza;
sopra gli 85 anni il rapporto è di uno su tre o su quattro. Assicurarsi che
le competenze e le esperienze in materia vengano condivise è una priorità
urgente. In questo libro abbiamo cercato di offrire varie idee per permettere
a persone con difficoltà di qualsiasi livello di stare a contatto con la natura,
tuttavia alcune delle attività, come le passeggiate in collina, sono chiaramente
indicate solo per quanti siano fisicamente più in forma.
Questo libro
L’obiettivo di questo libro è far prendere coscienza di una realtà:
a volte perfino le cure migliori escludono il contatto con la natura, che
secondo tutti coloro che hanno collaborato alla stesura di queste pagine è
un’esigenza innata per chiunque. Ci proponiamo di fornire alcuni esempi
di modalità utili a far godere della natura a chi soffre di demenza, con l’intento di ispirare e spronare i pazienti stessi, i loro parenti e chiunque abbia
interesse per l’argomento.
Più che una presentazione tematica, questo lavoro è una raccolta di
idee e progetti interessanti in cui ci siamo imbattute. Il nostro obiettivo
nella scelta degli autori era trovare delle persone che non avessero mai scritto
prima, quanto meno su questo argomento, includendo anche persone affette da demenza. Abbiamo contattato alcuni nostri conoscenti con questo
problema. James McKillop, Brian e June Hennell e Trevor Jarvis si sono resi
disponibili per offrire un contributo, insieme ai membri dell’ottimo Scottish
Dementia Working Group e del Centro Forget Me Not di Swindon. Siamo
inoltre riconoscenti a Hawker Publications per averci concesso di utilizzare
due poesie di John Killick, tratte dalla sua raccolta Dementia Diary (Killick,
2009). Molti dei nostri autori, in particolare Rachael Litherland e i membri
del Park Club, hanno utilizzato citazioni di persone affette da demenza.
Manjit Nijjar presenta le voci e le opinioni di alcuni caregiver asiatici.
Abbiamo incontrato gli altri autori parlando con tanta gente, informandoci su persone di cui avevamo letto o sentito parlare e contattando
alcuni oratori di conferenze che avevamo seguito. I nostri autori provengono
da background diversi e hanno adottato approcci differenti per il proprio
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
contributo: era ciò che ci proponevamo, ritenendo che una raccolta più ricca
fosse più stimolante per il pensiero laterale e l’immaginazione. Sappiamo di
avere omesso alcuni argomenti interessanti: nonostante gli sforzi non siamo
riusciti a trovare nessuno che scrivesse di uccelli selvatici, alberi, luoghi silenziosi, stelle, spiagge e nuoto (ma siamo sicure che esistono progetti anche in
questa direzione). Probabilmente ci sono anche altri aspetti della natura che
sono oggetto di lavori validi, ma abbiamo dovuto sottostare a vincoli legati
al tempo, al numero di pagine e alle nostre stesse conoscenze. Sappiamo che
ci sono molti progetti sul giardinaggio, l’orticoltura e le piante in genere, e,
dato che su questi argomenti esistono già molti libri e articoli, vi abbiamo
dedicato un solo capitolo, scritto principalmente da persone con demenza.
Inizieremo esaminando le argomentazioni pratiche a favore del trascorrere più tempo all’aperto. Ci sono buone motivazioni che riguardano
la salute fisica: David McNair si concentra sulla vitamina D, il gruppo
escursionistico di Swindon sull’attività fisica. Stare all’aperto è utile anche
per gestire meglio le difficoltà intellettive, e molti nostri autori sottolineano
questo aspetto. Faremo due esempi: stare all’aperto può aiutare a orientarsi
fra i cicli stagionali, come evidenzia Neil Mapes, mentre David McNair
parla di miglioramento dei ritmi circadiani.
Su un piano più filosofico, Malcolm Goldsmith suggerisce che il bisogno di natura è innato in tutti noi. Peter Whitehouse e i suoi colleghi ci
aiutano a capire che dobbiamo riconsiderare la nostra visione della demenza
e della natura e allinearla maggiormente al moderno concetto di sostenibilità. Tutti i capitoli parlano dell’esigenza fondamentale di relazionarsi con
la natura, anche quando descrivono un progetto particolare.
L’eterogeneità delle esperienze professionali dei nostri autori ha
contribuito a produrre un approccio eclettico verso questo argomento. La
maggior parte di loro sottolinea il potenziale utilizzo della natura per alcune attività cruciali per il benessere delle persone con demenza, la cui vita è
spesso caratterizzata da una noia profonda e debilitante. Marcus Fellows e
Ann Rainsford, ad esempio, notano come gli animali si prestino bene per le
attività con i loro pazienti con demenza, e Lorraine Robertson fa un discorso
analogo riguardo al coltivare l’orto. De Bruin e colleghi offrono un’utile
descrizione del concetto alla base del movimento delle fattorie sociali, che
unisce attività agricole e salute, spiegando quali implicazioni può avere per
i pazienti con demenza.
Introduzione
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I nostri autori provengono da ambienti molto diversi, e ciò porta ad
approcci decisamente differenti sull’argomento. Ad esempio, Claire Craig,
che scrive di attività creative, è un’insegnante di terapia occupazionale.
Halldóra Arnardóttir è una storica dell’arte e suo marito e collega Javier
Sánchez Merina è architetto: il loro contributo tratta dell’inclusione della
natura nella progettazione di edifici. Un gruppo di persone con demenza
parla dell’amore per il giardino e Peter Whitehouse ci racconta di Arne
Naess, che aveva un legame molto profondo con la natura ed era anche
affetto da demenza.
Infine, ammettiamo di aver omesso uno dei motivi più importanti per
cui le persone con demenza dovrebbero stare a contatto con la natura: la
natura offre qualcosa da osservare, e può essere divertente. Forse non abbiamo
trattato a sufficienza il valore di intrattenimento che caratterizza il contatto
con la natura. Terminiamo questo capitolo introduttivo con un frammento
poetico di Norman MacCaig per esprimere il piacere dell’osservare:
Every day I see from my window
pigeons, up on a roof ledge – the males
are wobbling gyroscopes of lust.
Ogni giorno dalla mia finestra vedo dei
piccioni, su un cornicione – i maschi
sono trottole volteggianti di voluttà.
(Norman MacCaig, Wild Oats)
Bibliografia
Care Commission e Mental Welfare Commission (2009), Remember I’m still me,
Edimburgo, Mental Welfare Commission.
Killick J. (2009), Dementia Diary: Poems and Prose, Londra, Hawker.
McCaig E. (2005), Wild Oats: The Poems of Norman MacCaig, Edimburgo, Polygon.
National Audit Office (2007), Improving Services and Support for People with Dementia, Londra, NAO.
Zeisel J. (2011), I’m Still Here: A Breakthrough Approach to Understanding Someone
Living with Alzheimer’s, Londra, Piatkus.
Capitolo quinto
Per una nuova armonia
Demedicalizzare e riportare alla natura
Peter Whitehouse, Danny George, Johanna Wigg e Brett Joseph
Le difficoltà che la demenza pone dinnanzi a individui, famiglie,
comunità e al mondo nel suo insieme sono talmente grandi da imporci di
usare la nostra saggezza collettiva più profonda. Dobbiamo impegnarci con
tutto il nostro essere — mente, corpo e spirito — per fronteggiare queste
sfide avvilenti con delle risposte umane significative, e dobbiamo sviluppare
un ordine di priorità accompagnato da un sano scetticismo nei confronti
delle promesse della medicina e della tecnologia di trovare la soluzione definitiva all’invecchiamento del cervello. Nella stessa definizione di saggezza è
intrinseco il saper riconoscere i limiti: i limiti della nostra capacità umana di
inquadrare e risolvere i problemi, oltre che i limiti delle risorse che la natura
ci offre anche se cerchiamo di custodirla con responsabilità. Analogamente
alla demenza, che è caratterizzata da una disabilità cognitiva sufficiente a
interferire con le attività quotidiane, i nostri abituali modelli di consumo
illimitato e produzione di rifiuti stanno interferendo drammaticamente
con il funzionamento degli ecosistemi che supportano la nostra presenza
collettiva sul pianeta, e la nostra specie sta iniziando a rendersene conto.
La strada per il futuro deve necessariamente promuovere l’impegno sociale degli anziani e la salute delle comunità in generale. Dobbiamo contrastare
il positivismo dogmatico (l’eccessiva fiducia nella scienza e nella tecnologia)
e combattere l’eccesso di medicalizzazione nella gestione della demenza. Gli
scienziati corrono costantemente il rischio di perdere di vista l’umiltà, professando di sapere più di quanto sanno. Gli echi ottimistici della neuropsichiatria
praticata da Alois Alzheimer più di cento anni fa risuonano ancora nelle aule
universitarie e nei laboratori farmaceutici. Ironicamente, l’immaginazione dei
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
nostri scienziati può essere annebbiata dal potere seducente delle tecnologie
visive: nel 1910 era un colorante citoplasmatico che creava una ricca immagine
al microscopio, oggi è una tomografia PET. Queste tecnologie, pur offrendo
dei modi nuovi per visualizzare funzioni cerebrali complesse, tendono a distogliere l’attenzione dalle fondamentali attività dell’adattamento umano, laddove
parole e racconti contano tanto quanto i neuroni e il cervello nell’ottica di
una migliore qualità della vita: per chi soffre di demenza, ma in realtà anche
per tutti noi. Dobbiamo «rinaturalizzare» le persone con demenza e noi stessi,
abbracciando le relazioni intime e benefiche che emergono quando viviamo
in armonia con la natura anziché cercare di controllarla. Il nostro uso della
parola «rinaturalizzare», che deriva dalla più familiare «naturalizzare», non è
casuale. Questo termine viene usato per indicare:
1. Il concedere il diritto di cittadinanza; 2. L’entrare nell’uso o nel gergo
comune; 3. Il conformare con la natura; 4. Il far sì che una pianta si ambienti
come se fosse autoctona. (Merriam-Webster, 2011)
La parola «rinaturalizzare» ci sembra adatta per denotare il processo
del ristabilire una relazione che un tempo esisteva, e invita ad apprezzare più
attentamente le sovrapposizioni di significato. Nello specifico, si tratta della
richiesta di conferire alle persone con demenza piena cittadinanza nelle loro
comunità, sia attraverso la socializzazione con altri esseri umani che attraverso
il contatto sempre più profondo con la comunità più generale della vita e
della Terra stessa. Tutti noi potremmo trarre vantaggi da questo percorso. Più
avanti, useremo il termine «postmoderno» in riferimento all’attuale contesto
culturale in cui si collocano i problemi posti dalla demenza, soprattutto per
indicare che nella società sono in corso grandi cambiamenti, di natura e
portata tali da preannunciare la fine di un’era e l’inizio di un’altra.
Il potere curativo della natura
Tante culture indigene e le cosiddette medicine complementari e alternative riconoscono alla natura il potere di guarire. Al contrario, la medicina
allopatica occidentale tende a vedere la natura come nemica, con l’intelletto
umano che combatte l’invasione aliena della malattia nel corpo e nella mente.
Il potere curativo è percepito come insito nella figura del medico in quanto
esperto. La persona malata non riveste un grande ruolo, tutt’al più quello
Per una nuova armonia
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di un destinatario passivo di ciò che il medico somministra. Oltretutto, per
quanto gli approcci terapeutici improntati al prendersi cura possano benissimo
venire associati alle terapie della medicina scientifica occidentale, tali approcci
vengono spesso poco considerati (ad esempio, non sono riconosciuti dai servizi
sanitari pubblici e neppure vengono rimborsati dalle compagnie assicurative)
di fronte alla seduzione di pratiche invasive potenti e costose.
Oggi, però, stiamo vivendo un periodo di rapidi cambiamenti per la
società, l’ambiente e le tecnologie, con implicazioni culturali di vasta portata. All’interno di quest’ampia trasformazione culturale può rientrare anche
una nuova concezione della demenza. Gli ambiti dell’ecologia umana, della
terapia orticolturale e della paesaggio-terapia vengono riconosciuti sempre
più spesso come aree legittime della scienza e pratica sanitaria (Honari e
Boleyn, 1999). Si stanno accumulando dati di segno positivo per vari approcci specifici, in particolare quelli che si concentrano sui meccanismi di
attenzione e rilassamento (Devlin e Arneil, 2003; Sternberg, 2009). Inoltre, sempre più spesso nelle strutture sanitarie si applicano i principi della
progettazione architettonica e paesaggistica. Progettare degli spazi fisici che
agevolino chi soffre di demenza è un obiettivo particolarmente complesso,
data la variabilità, per forma e gravità, delle difficoltà cognitive. Anche gli
ambienti destinati alla formazione, sia per i bambini che per gli adulti, stanno
ricevendo più attenzione dal punto di vista del design. Infine, il movimento
dell’eco-edilizia sta influenzando molti nuovi progetti di costruzione, con
l’intento di ridurre l’impronta ecologica del nostro ambiente costruito.
In questo capitolo illustreremo dei modi per vivere più in armonia con
noi stessi e per mantenere al centro delle nostre comunità la responsabilità
ambientale e il desiderio di migliorare costantemente. Vedremo come questo
è d’aiuto sia per chi ha difficoltà cognitive associate all’invecchiamento sia
per tutti noi. Ci baseremo su approcci qualitativi e quantitativi, su narrazioni
e dati oggettivi, per delineare l’immagine del cambiamento che a nostro
avviso occorre apportare.
La Canonica sul mare
The Vicarage by the Sea («La Canonica sul mare») ha la finalità di
sviluppare un contesto in cui le persone che convivono con malattie neu-
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
rologiche debilitanti possano avere una vita ricca e migliore insieme ai loro
pari, ai familiari e al personale. Un elemento intrinseco per la creazione
di questo contesto è la presenza del mondo naturale, che include gli animali da compagnia, come cani e gatti. Inoltre, i residenti hanno sempre
la possibilità di stare all’aperto. Possono avere un contatto con la natura
quando lo ritengono opportuno e quando scelgono di farlo. La missione
della Canonica riconosce la necessità e il desiderio umano di godere della
bellezza della natura e delle sue proprietà terapeutiche, indipendentemente
dall’età o dalla malattia.
Nell’America della metà degli anni Novanta, i modelli assistenziali a
lungo termine per la demenza erano soprattutto istituzionalizzati, a porte
chiuse, e con un contatto minimo se non assente con il mondo naturale. La
Canonica, fondata nel 1998, ha introdotto molte caratteristiche distintive,
fra cui quella di favorire l’interesse dei residenti verso il mondo naturale.
La Canonica si trova all’interno di un paesaggio rurale, in mezzo ai boschi,
con vista sull’Oceano Atlantico (figura 5.1). Ci sono dei bei giardini fioriti
e tanti animali selvatici da osservare.
Fig. 5.1 La Canonica sul mare. Foto: Cheryl Golek.
Durante i primi anni di apertura, molti ospiti si sono trasferiti nella
struttura insieme ai propri animali, e si è venuto a creare un ambiente molto
stimolante per tutti. Passare da un ambiente domestico a uno istituzionale
può essere traumatico (Danermark e Ekstrom, 1990; Fisher, 1990). Essere
costretti a dire addio al proprio amato animale è un ulteriore trauma per
gli anziani, già confusi dal cambiamento di ambiente. La Canonica, per
Per una nuova armonia
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sua filosofia, è votata a sviluppare il benessere psicologico e sociale dei suoi
ospiti, valorizzando gli effetti terapeutici e di conforto del contatto con il
mondo naturale. Se è vero che per chi convive con la demenza l’istituzionalizzazione è un evento difficile e pieno di stress (Lander, Brazill e Landrigan,
1997; Robertson, Warrington e Eagles, 1993), per gli ospiti della Canonica
lo stress e l’ansia sono attutiti dalla possibilità confortante di tenere con sé
il proprio animale da compagnia (figura 5.2).
Fig. 5.2
Un ospite della Canonica
con il suo cane.
Foto: Cheryl Golek.
Veronica si è trasferita alla Canonica con la sua fedele Ginny, un labrador color miele. Ginny accompagnava la sua padrona ovunque. Quando
Veronica usciva a fare una passeggiata, il suo cane la seguiva. Ginny è
stata la sua compagna in ogni contesto e in ogni stato d’animo. Quando
Veronica si sentiva ansiosa, Ginny le stava vicino offrendole amore e
attenzioni incondizionati. Dopo una passeggiata e un po’ di carezze al
suo cane, Veronica era visibilmente più rilassata.
Alice si è trasferita con Harry, il suo welsh corgi. Mentre il cane girava
per la residenza per controllare che fosse tutto a posto, Alice sorvegliava
il suo fedele amico. Mostrava un’evidente soddisfazione nel badare al
cane e alle sue esigenze. Se il cane abbaiava, lei si scusava con gli altri,
dimostrandosi una padrona responsabile.
Flora si è trasferita nella Canonica con due bassotti, Myrna e Leanne.
Le due cagnoline erano come figlie per Flora. Le coccolava quando era
agitata, correva fuori con loro quando era felice, le amava molto. Questi
cani hanno permesso a Flora di assumere un ruolo materno che appagava
visibilmente il suo senso di identità.
Capitolo undicesimo
Creatività all’aperto
Claire Craig
Gli spazi aperti significano libertà, aria fresca, divertimento, clima di
festa, gioco, tranquillità, contemplazione, ristoro, picnic, avventura, scoperta,
crescita, cambiamento, grigliate, stagioni, sole, amore, gocce di pioggia.
Qualche anno fa, dopo un viaggio a Barcellona e ispirati dall’architettura di Gaudí, decidemmo di trasformare il nostro terreno sul retro in un
giardino d’artista. Anziché continuare a dipingere la ringhiera con i soliti
marroni e verdi, abbiamo adottato un approccio più estroso: blu brillanti,
gialli accesi e rossi. Un mosaico fatto di cocci di piastrelle e stoviglie rotte
adornava il garage, e per terra abbiamo steso del ghiaino colorato. Da un
giorno all’altro era tutto trasformato. Eravamo molto soddisfatti di noi
stessi e desideravamo mostrare la nostra opera: invitammo amici e vicini a
un’«inaugurazione di gala» con una grigliata. Spontaneamente nacque una
conversazione sugli spazi aperti in generale e siamo rimasti entusiasti ma
anche sorpresi di sentire i racconti dei nostri vicini sulle loro creazioni. Un
nostro caro amico, uno stimato professore, raccontò che aveva trasformato il
suo giardinetto in un villaggio ferroviario in miniatura, con tanto di stazioni
e binari. «Una volta fingevo che fosse per i figli», ci confidò, «ma in realtà
loro se ne sono andati di casa più di dieci anni fa. Quello spazio è diventato
il mio paradiso». Un’altra amica ci descrisse come aveva trasformato una
rimessa per gli attrezzi in una capanna da spiaggia: «Avevamo tanti bei ricordi
di quando, da giovani, stavamo seduti a guardare il mare a Scarborough,
così quando ci siamo entrambi ammalati e non potevamo più viaggiare
abbiamo deciso di portare un angolino di Scarborough a Barnsley. Anche
adesso ogni tanto lui mi guarda e dice: “Hilda, prepari qualcosa da bere?”
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Anziani all’aria aperta per migliorare la qualità della vita
e ci sediamo in fondo al giardino sulle nostre sedie a sdraio, ad ascoltare la
radio e immaginare di sentire l’odore del mare».
Gli spazi aperti offrono tante opportunità per iniziative creative. Per
certi aspetti, essi possono essere un luogo in cui esprimere la creatività. Il
giardinaggio e la progettazione di un giardino sono attività estremamente
creative che promuovono l’espressione di sé attraverso la scelta e la disposizione di varie piante e cespugli, l’uso di combinazioni di colori e profumi
o l’ideazione di un tema per il giardino (verdure, fiori, frutta, erbe aromatiche). Quando le persone si trasferiscono in un nuovo ambiente, gli spazi
aperti possono offrire un senso di continuità e orientamento, e aiutarle a
sentirsi «ancorate». Questo spazio potrebbe essere un luogo in cui esporre
opere d’arte, sculture, mosaici e dipinti, o fungere da sfondo per drammatizzazioni e spettacoli.
Gli spazi aperti possono anche ispirare la creatività, offrendo temi o
soggetti per dipinti, fotografie o opere letterarie. Un aspetto significativo è
che, dato che per gli spazi aperti utilizziamo parametri diversi rispetto agli
interni, le attività che di solito sono considerate troppo «confusionarie» e
inaccettabili per l’interno (in genere quelle che utilizzano pittura o terra
e acqua) appaiono accettabili all’aperto, il che permette agli individui di
sfruttare al massimo la componente sensoriale dei materiali e, letteralmente,
«sporcarsi le mani».
Per cominciare, vorrei invitarvi a riflettere per qualche istante sul vostro
rapporto con la natura e i modi in cui potreste utilizzare gli spazi esterni.
Provate a fare questo esercizio.
•Avete un giardino o un cortile? Se sì, che cosa dice di voi questo spazio?
Riflette qualche aspetto della vostra personalità?
•Sfogliate un album fotografico. Prendete nota di quante immagini sono
ambientate all’aperto. Come vi sentite guardando queste immagini?
•Siete mai stati ispirati a dipingere o disegnare un paesaggio o a scrivere
un brano per descriverlo?
•La nostra concezione degli spazi aperti cambia con il passare del tempo.
Come avete utilizzato lo spazio nelle diverse fasi della vostra vita? Ad esempio, quando eravate più giovani, magari associavate gli spazi aperti al gioco;
da adolescenti potevano essere il luogo del corteggiamento, dell’amore e
del romanticismo; oggi potreste associare gli spazi aperti al lavoro di fatica
(coltivazione) o allo svago, all’autoespressione o all’identità.