SOLIDAR, Global Network e sindacati si incontrano a Rio a un

Transcript

SOLIDAR, Global Network e sindacati si incontrano a Rio a un
SOLIDAR, Global Network e sindacati si incontrano a Rio a un mese dal Summit delle
Nazioni Unite.
A Rio di Janeiro dal 22 al 24 maggio si è realizzata la Conferenza internazionale del Global
network sul ruolo del movimento sindacale nella costruzione di una nuova agenda di cooperazione
internazionale dopo il 2015, scadenza simbolica, fissata dalle Nazioni Unite per il raggiungimento
degli Obiettivi del Millennio.
Il Global Network è una rete globale, promossa nel 2001 da SOLIDAR e dalla IFWEA (International
Federation of Workers' Education Association), strutturata con coordinamenti regionali (Africa,
Asia, America latina, Medio Oriente, Europa) che coinvolgono associazioni, ong, sindacati, ed ha
come finalità la promozione dell'agenda del lavoro dignitoso ed in particolare i diritti dei lavoratori
vulnerabili e la protezione sociale.
Alla conferenza hanno partecipato 80 rappresentanti di organizzazioni sociali provenienti da 8
paesi africani: Ghana, Kenia, Mali, Namibia, Repubblica del Sud Africa, Togo, Zambia, Zimbabwe;
5 paesi delle rivoluzioni arabe: Egitto, Libano, Marocco, Palestina, Tunisia; 6 paesi asiatici:
Cambogia, Hong Kong, India, Indonesia, Pakistan, Filippine; 12 paesi latinoamericani: Argentina,
Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Salvador, Guatemala, Messico, Perù,
Uruguay; 7 paesi europei: Belgio, Finlandia, Italia, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito.
La presenza di sindacati, di associazioni di base come quelle delle lavoratrici domestiche di Perù,
Bolivia, Brasile, Costa Rica, Filippine e Sud Africa, di realtà associative di giovani e donne nate a
seguito delle rivolte in Tunisia ed Egitto, centri di assistenza e di ricerca sui temi del lavoro e dello
sviluppo sostenibile, ha prodotto un ambiente fertile per il confronto, lo scambio di informazioni, di
esperienze e proposte di cooperazione su sei temi di grande attualità, oggi centrali nel dibattito del
movimento globale in previsione della Conferenza delle Nazioni Unite di Rio+20, del prossimo
mese:
• La crisi globale, l'impatto sulla cooperazione internazionale, sull'occupazione e sulle
politiche di sviluppo sostenibile.
• L'iniziativa delle Nazioni Unite per un sistema universale di protezione sociale.
• Il ruolo e le prospettive dei nuovi attori globali: Brasile e Cina.
• Il sostegno alla campagna per la ratificazione della Convenzione 189 sul lavoro domestico.
• Il ruolo dei sindacati e della società civile nelle rivoluzioni arabe.
• La retorica della mancanza di risorse finanziarie per lo sviluppo sostenibile.
Il Brasile è stato il protagonista di molti interventi, a rimarcare il ruolo guida che questo paese ha
assunto per le popolazioni del Sud del mondo, incarnando la speranza di riscossa, di uscita dalla
povertà, di rottura dalla dipendenza economica e culturale con il sistema dominante dei paesi del
Nord, industrializzati che, fino a ieri, sembrava impossibile. La crescita economica, accompagnata
dagli investimenti nel campo sociale, la ridistribuzione della ricchezza che ha fatto uscire più di 40
milioni di persone dalla povertà, una politica internazionale caratterizzata da nuove alleanze, sud
sud, cambiano, di fatto, gli equilibri ed i riferimenti delle agenzie e delle istituzioni multilaterali. Si
aprono nuovi scenari policentrici, si plasmano progetti alternativi fondati sul protagonismo di
queste nuove potenze economiche e sociali, si generano nuovi accordi di integrazione regionale,
non esistono più egemonie o monopoli nelle relazioni e nei mercati. E' il sud del mondo che ha
fatto il suo ingresso nelle sedi istituzionali rivendicando il proprio spazio.
Questo entusiasmo e questa speranza non elimina, però, le voci critiche e non nasconde i rischi ed
i pericoli che il Brasile, come le altre nuove potenze economiche del sud, deve affrontando.
La testimonianza di Adriana Ramos, del Forum per l'Amazzonia Sostenibile, per l'appunto, ha
ricordato questi rischi e quanto sia importante l'alleanza della società civile e la pratica della
democrazia partecipativa per dare risposte adeguate. L'Amazzonia è la nuova frontiera delle
politiche di sviluppo brasiliane, per le immense potenzialità di risorse naturali, per la biodiversità,
per essere la maggiore riserva di ossigeno del pianeta, per la presenza delle popolazioni indigene,
per la necessità di integrazione e di coordinamento tra gli otto paesi che condividono questo
immenso territorio. E, non è un segreto che, ancora oggi, l'Amazzonia sia oggetto di saccheggio, di
sfruttamento selvaggio delle sue risorse, di grande concentrazione di terre nelle mani della vecchia
oligarchia latifondista discendente dalla colonia, di accaparramento di terreni da parte delle grandi
multinazionali, di disboscamento per far spazio alle commodities agro-industriali (soia, canna da
zucchero, grano, ..) ed al businness del bio-combustibile, ai mega-progetti delle vie di
comunicazione e delle centrali idroelettriche. E, non è un segreto che queste politiche provocano lo
scontro tra il governo progressista brasiliano e le organizzazioni ambientaliste, le popolazioni
indigene, le reti dell'economia familiare ed i sem terra, contadini privi dei mezzi di sussistenza. Per
queste ragioni, nel 2006 è nato il Forum dell'Amazzonia Sostenibile, una iniziativa di democrazia
dal basso, di alleanza della società brasiliana con il fine di costruire un modello di sviluppo
veramente sostenibile, che permetta l'inclusione ed il rispetto di tutte le specificità culturali, dei
diversi interessi economici, dell'uso delle risorse del territorio. Un modello di crescita in funzione
della distribuzione del benessere, rispettando il patrimonio ambientale, sradicando le forme di
sfruttamento che ancora vedono la pratica del lavoro schiavo, sostituendole con il lavoro dignitoso
e la protezione sociale. Una sfida nella sfida della crescita economica che vive il Brasile oggi. Il
Forum si è dato dei principi e dei criteri, ai quali i soggetti che vi aderiscono si debbono regolare,
rispettandoli e facendoli rispettare. L'iniziativa conta già con l'adesione di 262 soggetti, tra
istituzioni pubbliche, imprese private, multinazionali e realtà della società civile, comprese le
comunità indigene, le quilombolas degli afro-discedenti, le associazioni dei siringueiros, i sindacati.
In sintesi, 152 realtà della società civile, 92 aziende nazionali e multinazionali, 18 tra università e
centri di ricerca. Il Forum ha anche una Commissione Etica che controlla e denuncia le violazioni
contro i diritti ambientali, come è il caso di una impresa di trasformazione della cellulosa nello stato
del Marañao, oppure violazioni dei diritti del lavoro, come è il caso della impresa mineraria VALE,
che non riconosce i rimborsi del trasporto ai lavoratori che quotidianamente debbono raggiungere
le miniere. Ed è proprio grazie a questo tipo di azione di mobilitazione e di partecipazione attiva,
nella gestione delle politiche di sviluppo, che si sta ottenendo la legge che prevede la confisca dei
beni (soprattutto terre) delle imprese dove vengono denunciati condizioni di lavoro schiavo. Una
piaga, questa, che ha radici nell'epoca coloniale e che, finalmente, proprio in questi giorni, dopo
dieci anni di discussione in parlamento, sembra che il Congresso federale sia pronto a votare la
sua approvazione.
Il Forum Amazzonico ha rinnovato la richiesta, al movimento sindacale, di integrare sin da subito la
dimensione dello sviluppo sostenibile e la voce delle popolazioni amazzoniche e del movimento
ambientalista, per evitare negli appuntamenti di Rio+20, divisioni e contrasti che non farebbero
altro che favorire l'azione distruttiva e di saccheggio, a scapito del lavoro dignitoso e del rispetto
dei diritti delle popolazioni indigene e degli abitanti dell'Amazzonia. Dal Forum, parte anche una
proposta che merita un approfondimento sul tema, scottante, dell'Economia Verde e dei Green
jobs. Per il Forum “smascherare” cosa è “verde, pulito” e cosa invece è “inquinante e
sfruttamento”, significa attivare un sistema di certificazione sotto la responsabilità sociale di tutti,
per valutare l'impatto sulla salute delle persone, il rispetto del lavoro dignitoso, il rispetto
dell'ambiente. Solo così facendo si supereranno le diffidenze ed il rifiuto di molti soggetti nei
confronti di questi nuovi piani di sviluppo.
Dialogo e invito che vengono accettati dalla Confederazione Sindacale delle Americhe (CSA) che
si prepara all'appuntamento di Rio+20 partendo da una posizione critica alle proposte
dell'economia verde e del protezionismo ambientale che arrivano dal Nord. Per Rafael Freire, della
Segreteria della CSA, la definizione di economia verde è ancora troppo ambigua e abusata, non va
rifiutata ma occorre fare chiarezza, definirne i contenuti, valutarne l'impatto sui diritti del lavoro e
sulla sostenibilità ambientale, sociale, politica e culturale. Come pure, continua Rafael, occorre
essere chiari ed esprimere apertamente il dissenso verso quelle posizioni che, in nome di un
protezionismo ambientale universale, non si riconoscono i diritti delle persone nei paesi del sud del
mondo ai servizi fondamentali come l'energia elettrica, l'acqua potabile nelle case, l'accesso
all'informazione, al trasporto e ad avere un lavoro dignitoso. In altre parole, si chiede ai paesi
industrializzati di riconoscere la propria responsabilità storica e quindi di riconoscere il diritto allo
sviluppo (sostenibile) alle popolazioni ed alle nazioni non industrializzate. Infine, per Rafael, la
chiave sta nella pratica della democrazia partecipativa e nell'alleanza e nell'unità tra sindacati e
movimenti e tra gli stessi sindacati.
Ed è proprio a partire da queste basi che a Rio, ma anche negli altri appuntamenti dell'agenda
globale, occorrerà individuare i punti di convergenza tra Nord e Sud, per costruire una alternativa e
i nuovi paradigmi di società e di modello economico, prendendo atto e riconoscendo che i punti di
partenza e le condizioni sono molto diverse da un continente all'altro, che la crisi è un evento
straordinario per il Nord, strutturale e cronica per molti paesi del Sud e già vissuta ed evitata per il
momento dai paesi emergenti. Per cui, anche per il movimento sindacale occorre pensare a
strategie differenziate da regione a regione, per conseguire quella solidarietà e quella reciprocità
da contrapporre alla competizione ed agli egoismi.
Un commento a parte va fatto per la testimonianza e la lotta delle lavoratrici domestiche,
rappresentate alla conferenza del Global Network con una folta e vivace delegazione, organizzata
sotto la sigla del Sindacato Internazionale delle lavoratrici domestiche, affiliato alla IUF
(International Union Federation). Queste sindacaliste, provenienti dai diversi continenti, hanno
ricordato il successo conseguito a Ginevra lo scorso anno, con l'approvazione della Convenzione
189, per molte di loro un sogno trasformatosi in realtà, frutto della lotta e dei sacrifici di anni per
veder riconosciuti i loro diritti di donne, di madri e di lavoratrici. Una serie toccante di testimonianze
che hanno infiammato di orgoglio e di gioia la conferenza, nel sentire le storie di queste lavoratrici,
i rischi che hanno corso per organizzarsi in sindacato, le rinunce e le violazioni che hanno subito,
le aspettative che hanno riposto in questa convenzione, definita da loro come “una vittoria della
civiltà”. L'importanza di questa convenzione è più che evidente nei numeri e nelle denunce: oltre 9
milioni di lavoratrici domestiche in Brasile, 480.000 in Perù, 137.000 in Bolivia, 50.000 peruane
migrate in Cile. Condizioni di lavoro infra-umane; molte di queste donne non percepiscono il
minimo salariale previsto nei rispettivi paesi, sono “cama adentro” cioé vivono, lavorano, dormono
nella casa dove prestano la loro prestazione di lavoro, tutta una vita al servizio, senza accesso
all'istruzione, senza alcun diritto, con il rischio ed il ricatto di essere messe alla porta, sulla strada,
cacciate, subendo abusi e senza orario di lavoro, sempre a disposizione. Lavoratrici invisibili, non
riconosciute, vite al servizio di altri, moderna schiavitù. Ora lottano per la ratifica della Convenzione
189, al fianco della Confederazione Sindacale Internazionale, con la campagna “12 by 12”, il cui
obiettivo sono 12 ratifiche entro il 2012. (Campagna che vede come unico sindacato italiano attivo
la nostra FILCAMS). Il primo paese a ratificare la convezione è stato l'Uruguay. Il Brasile sembra
intenzionato a farlo ma deve modificare la propria costituzione per recepire alcuni articoli della
convenzione. E l'invito che ci viene fatto è che i sindacati italiani si attivino e facciano tutte le
pressioni possibili affinché il nostro governo ratifichi la convenzione. Anche per noi sarebbe un
buon segno di civiltà.