TOSCANA RESTAURO

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TOSCANA RESTAURO
Segreteria Amministrativa Via G. La Pira, 4 – 50121 Firenze
PROGETTO
TOSCANA RESTAURO
Roberto Sabelli
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INTRODUZIONE
Quando si parla di restauro non si può prescindere dal considerare, oltre l’oggetto da
restaurare, anche coloro che a vario titolo contribuiscono affinché l’intervento restaurativo sia portato a
buon fine.
C’è la proprietà che finanzia ed usufruisce del bene, c’è chi progetta l’intervento e chi controlla
che sia eseguito secondo quanto stabilito, c’è infine chi materialmente lo esegue.
Esistono una serie di figure professionali, istituzionali e private che entrano in relazione con il
bene da restaurare e che concorrono a definire il quadro esigenziale e gli obbiettivi di qualità che
l’intervento deve soddisfare.
Vi sono quindi per ogni intervento di restauro esigenze da soddisfare ed obbiettivi da
raggiungere.
Al di là degli aspetti che a vario titolo investono l’istituto della tutela dei beni culturali1, il
problema della regolamentazione delle procedure di intervento su un bene vincolato necessita di
particolare attenzione, sia che si tratti di un bene pubblico, sia che si tratti di un bene privato. Sebbene
difatti un bene culturale possa essere privato ad esso è comunque riconosciuto un valore per la
collettività. A questo valore ci si riferisce quando un privato, per la tutela di un bene di sua proprietà,
richiede un contributo pubblico. In tale evenienza, a rigore di logica, tutte le procedure da adottare
dovrebbero essere di evidenza pubblica.
Senza volere addentrarci in problematiche legislative, è indispensabile porre la nostra
attenzione, se si vuole capire il panorama che negli ultimi anni ha compreso gli operatori del restauro di
beni culturali sia a livello nazionale che europeo, sulla disciplina dei lavori pubblici ed in particolare
quella sui beni tutelati ai sensi del D.Lgs. 42/2004.
Per individuare appieno quali figure professionali sono coinvolte in una procedura di appalto di
lavori di restauro, quale deve essere la loro formazione e quali devono essere le loro competenze,
dobbiamo analizzare nel suo complesso l’attuale normativa sui “contratti di appalto di lavori per il
restauro di beni culturali” 2, considerando altresì le responsabilità che un’impresa si assume verso la
collettività, prima ancora che verso la committenza.
In Toscana è indubbio che esiste una tradizione consolidata nel restauro sia di beni mobili che
immobili e che in virtù di questa tradizione si sono sviluppate una serie di competenze istituzionali e
private.
Queste hanno dato origine a centri didattici noti in tutto il mondo e ad imprese che da queste
“scuole” attingono per reperire personale specializzato da impiegare nei cantieri pubblici e privati.
E’ di fondamentale importanza pertanto fare una panoramica sulle realtà di formazione nel
campo del restauro in Toscana anche per comprendere quali potenzialità il “sistema Toscana” del
restauro può sviluppare in un ambito di intervento che sicuramente ci vede protagonisti sulla scena
internazionale.
1 Il quadro normativo di riferimento sui beni culturali è composto da:
- Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del
24 febbraio 2004 - Supplemento Ordinario n. 28: art. 29;
- Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n. 156 (Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali) GU n. 97 del 27-4-2006 Suppl. Ordinario n. 102). in particolare art. 29 ai cc. 8 ÷11.
2 - Decreto Legislativo n. 163 del 12 aprile 2006, “codice degli appalti” (pubblicato nella G.U. n. 100 del 2.5.2006), artt. 197÷205 (Titolo IV – Contratti in taluni settori – Capo
II – Contratti relativi ai beni culturali).
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Indispensabile è anche un confronto tra quanto viene offerto e quanto è attualmente richiesto,
in base anche agli aggiornamenti normativi che hanno visto il nostro Ministero per i Beni e le Attività
Culturali particolarmente attivo nel difendere alcune sue competenze.
Ci si riferisce ad esempio alle modalità di ottenimento delle qualificazioni dei professionisti,
delle imprese e del personale specializzato. Questi temi sono inoltre collegati alla necessità di
distinguere fra interventi su manufatti architettonici “generici”, benché vincolati, e interventi su
superfici decorate od oggetti mobili.
Questi temi sono inoltre collegati alla necessità (normata dalla Legge) di dover distinguere fra
interventi su manufatti architettonici “generici”, benché vincolati (DPR 34/00: categoria “opere
Generali” OG2), e quelli su superfici decorate od oggetti mobili (DPR 34/00: categoria “opere
specializzate” OS2) 3.
I CONTRATTI DI APPALTO DI LAVORI PER IL RESTAURO DI BENI CULTURALI: PROFILI GIURIDICI
L’esecuzione di lavori di restauro del patrimonio culturale implica l’applicazione di varie norme
ed il coinvolgimento di diverse figure professionali: si deve fare riferimento al “Codice dei beni culturali
e del paesaggio”, al “codice degli appalti” (d. l.vo n.42 del 22 gennaio 2004 e d. l.vo n. 163 del 12 aprile
2006), ed alle modalità per l’ottenimento delle qualificazioni dei professionisti incaricati di redigere il
progetto, come alle modalità per l’ottenimento delle qualificazioni delle imprese e del personale
specializzato.
Le esperienze di questi ultimi anni, con l’entrata in vigore di nuove norme specifiche, hanno
evidenziato problemi di competenze ed una complessità di rapporti fra i vari attori presenti in un
appalto pubblico di restauro del patrimonio culturale; sono necessarie pertanto particolari attenzioni,
soprattutto nel passaggio da una fase di studio e progettuale ad una fase esecutiva, visti i molti soggetti
coinvolti, spesso con competenze e responsabilità non adeguate al caso specifico.
Il capitolato speciale di appalto, essendo il principale strumento di regolamentazione di un
appalto, contiene tutte le specifiche riguardanti le caratteristiche del lavoro da eseguire, le modalità da
adottare ed il personale necessario per l’esecuzione dello stesso.
L’obbligo di impiegare personale “qualificato” per le opere di restauro specialistico pone
l’accento sul percorso formativo necessario ad ottenere questa qualifica e, quindi, sui diplomi rilasciati.
1. L’ambito oggettivo di riferimento.
I beni culturali ed il restauro: profili introduttivi e definitori.
I capitolati speciali, come noto, sono chiamati a formulare la disciplina del singolo rapporto
contrattuale, nel rispetto del capitolato generale (ove esistente) e, ancor prima, della normativa
riguardante l’ambito di riferimento – oggettivo e soggettivo – del contratto in questione.
In questa prospettiva, la predisposizione del capitolato speciale d’appalto per opere (pubbliche)
di scavo e restauro di beni culturali non può prescindere dalla considerazione della legislazione di
settore che limita l’autonomia delle parti nella redazione delle condizioni del contratto.
La ricognizione di tale disciplina, alla quale queste brevi note sono dedicate, richiede a sua volta
che siano sciolti due nodi definitori: la nozione di bene culturale e quella di restauro, le quali
rappresentano la cornice oggettiva nella quale si colloca il contratto di appalto sopra delineato.
3 DPR 34/00: categoria “opere Generali” OG2 e DPR 34/00: categoria “opere specializzate” OS2.
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In entrambi i casi, è risolutivo il riferimento al diritto positivo.
Secondo la disciplina delineata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, i beni artistici si
rilevano giuridicamente come beni culturali in virtù del loro particolare interesse verificato ai sensi degli
artt. 10 e seguenti. Laddove il bene appartenga ad un ente pubblico territoriale (o ad altro ente o istituto
pubblico, nonché a persone giuridiche private senza fine di lucro) tale carattere è accertato dai
competenti organi del Ministero per i beni e attività culturali (art. 11 del Codice); negli altri casi, invece,
l’interesse culturale è oggetto della dichiarazione di cui agli artt. 13 e seguenti del Codice.
La particolare qualità del bene produce, tra le altre, la conseguenza di obbligare il proprietario
del bene a garantirne la conservazione (art. 30 del Codice). Tra gli interventi conservativi sui beni
culturali è espressamente annoverato il restauro che, da un lato (e al pari dell’esecuzione di qualsiasi
opera o lavoro su siffatti beni) deve essere autorizzato dalla competente soprintendenza (artt. 21 e 31
del Codice) e, dall’altro, può essere imposto dagli organi ministeriali al proprietario, al possessore o al
detentore del bene stesso (art. 32 del Codice).
2. La disciplina applicabile ai contratti di appalto di lavori relativi a beni culturali.
Allorché un’amministrazione intenda provvedere al restauro di un bene di acclarato interesse
culturale, dovrà applicarsi la particolare disciplina dettata dalla parte II, titolo IV, capo II, del Codice
dei contratti pubblici cit., espressamente dedicata ai «contratti relativi ai beni pubblici».
L’ambito di applicazione della disciplina codicistica (per quanto attiene ai beni culturali) è
peraltro limitato ai soli appalti di lavori. L’art. 198 del Codice dei contratti riproduce (salvo il
riferimento al sopravvenuto Codice dei beni culturali) la previsione dell’art. 1 del d. l.vo n. 30 del 2004,
riferendo le disposizioni seguenti ai lavori relativi a beni di interesse culturale («al fine di assicurare
l’interesse pubblico alla conservazione ed alla protezione di detti beni e in considerazione delle loro
caratteristiche oggettive»).
L’art. 199 del Codice, riproducendo le prescrizioni di cui all’art. 3 del d. l.vo 30/2004 cit.,
prevede per gli appalti misti una disciplina parzialmente derogatoria rispetto a quella dettata dall’art. 14.
Infatti, anche i lavori che abbiano un valore economico superiore rispetto ai servizi ed alle forniture,
possono essere considerati subvalenti sul piano qualitativo (in relazione, cioè, all’oggetto dell’appalto ed
alla qualità dell’intervento) nella scelta della disciplina da applicare, purché in questo senso si sia
espresso, con provvedimento motivato, il responsabile del procedimento.
La disposizione, propriamente, attiene ai soli appalti aventi ad oggetto gli allestimenti di luoghi
di interesse culturale (come musei, archivi, biblioteche) oppure la manutenzione o il restauro di giardini
storici. Nelle altre ipotesi (quindi, per quanto qui interessa, laddove il restauro del bene culturale non si
accompagni all’installazione di un museo), trova applicazione la disciplina generale in tema di appalti
misti quale profilata dagli artt. 14 e 15 del codice. In questi casi, resta fermo che l’oggetto principale del
contratto è costituito dai lavori (con i conseguenti effetti in merito all’individuazione della applicabile
disciplina) qualora l’importo dei lavori stessi superi il cinquanta per cento del valore del contratto intero
(a meno che, viste le caratteristiche complessive e specifiche del contratto, i lavori assumano valenza
meramente accessoria rispetto ai servizi o alle forniture).
Restano ferme le necessità che l’operatore economico che concorre alla procedura di
affidamento possieda i requisiti di qualificazioni e capacità previsti dal codice per ciascuna prestazione
di lavori, servizi o forniture (ex artt. 15 e 199, comma 2, del Codice contratti), e che il criterio utilizzato
per individuare la normativa applicanda non conduca ad aggirare le disposizioni comunitarie limitando o
distorcendo la concorrenza.
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Per quanto attiene al riparto di competenze normative tra Stato e Regioni (fermi restando i
limiti derivanti dalla normativa comunitaria per gli appalti cd. sopra soglia), il Codice (art. 4, comma 3),
nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 117, comma 2, Cost., riserva alla competenza esclusiva dello
Stato la disciplina dei contratti relativi alla tutela dei beni culturali. L’art. 4 cit. non si occupa, invece,
della valorizzazione dei beni culturali, la quale, ex art. 117, comma 3, Cost., rientra nella potestà
legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni. Il confine tra tutela e valorizzazione può, tuttavia,
risultare assai incerto con riguardo alle singole fattispecie concrete, ed impone all’interprete la ricerca di
soluzioni che tengano conto della pluralità di interessi (a loro volta attratti da altri ambiti di
competenza, come la tutela della concorrenza, o l’ordinamento civile).
Nondimeno, per quanto in questa sede interessa, sembra che la nozione di restauro, proprio in
virtù dei caratteri che le sono proprie (e segnatamente delle finalità di conservazione, della episodicità e
necessità dell’intervento per la salvaguardia del bene), rientri a pieno titolo nella tutela prima ancora che
nella valorizzazione dei beni culturali, e non sembrano quindi contestabili la potestà normativa
esclusiva dello Stato e – conseguentemente – l’applicazione degli indicati articoli del Codice dei
contratti.
Le suddette disposizioni riproducono in gran parte il d. l.vo 30/2004 cit. (che aveva abrogato
parte della l. 109/1994, ed è stato a sua volta abrogato dall’art. 256 del Codice dei contratti), pur con gli
adeguamenti resi necessari dal sistema definitorio introdotto dai due codici (sui contratti e sui beni
culturali).
È ancora vigente (in attesa dell’adozione del regolamento previsto dall’art. 5 del Codice dei
contratti), il titolo XIII del d. P. R. 21 dicembre 1999, n. 554 (il quale, a sua volta, era rimasto in vita
nonostante l’art. 11 del d. l.vo 30/2004 cit. avesse prescritto l’adeguamento del suddetto regolamento
attuativo alla nuova disciplina).
Attualmente, quindi, gli appalti di lavori pubblici aventi ad oggetto beni culturali sono
disciplinati: dalle specifiche disposizioni del codice (artt. 197 - 205); dalle norme del codice
espressamente richiamate dall’art. 197 (in quanto non derogate e salva verifica di compatibilità).
3. Affidamento congiunto e affidamento unitario.
In tema di affidamento congiunto e affidamento unitario, operano i limiti previsti dall’art. 200,
che riproduce (con i necessari adeguamenti terminologici) l’art. 4 del d. l.vo 30 cit.. In ognuna delle
ipotesi contemplate dal suddetto articolo, è assegnato un ruolo decisivo al responsabile del
procedimento chiamato a valutare, con provvedimento motivato, le oggettive caratteristiche
dell’intervento che giustificano la riunione di lavori normalmente separati o, viceversa, la disgiunzione
di lavori naturalmente connessi.
Per quanto attiene alla prima ipotesi, non è possibile in via generale affidare i lavori relativi a
beni di interesse culturale congiuntamente a lavori riguardanti altre categorie di beni o altri settori. È
possibile derogare a questa disposizione solo in presenza di eccezionali esigenze di coordinamento dei
lavori, accertate dal responsabile del procedimento e fermo restando il rispetto dei requisiti di
qualificazione prescritte per gli interventi su beni speciali.
Sembra invece più agevole (nel rispetto dei meccanismi per il calcolo del valore stimato del
contratto di cui all’art. 29 del codice) affidare separatamente (previo apposito provvedimento del
responsabile) i lavori inerenti a beni culturali i quali, ancorché inseriti in un contesto (collezione o
compendio immobiliare) unitario, siano distinti per tipologia, materiali impiegati, epoca di
realizzazione, ovvero alle tecnologie da utilizzare negli interventi.
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In entrambi i casi, è previsto (art. 200, comma 3) che l’amministrazione all’atto della
predisposizione del bando o dell’invito a presentare l’offerta, richieda espressamente il possesso di tutti
i requisiti di qualificazioni previsti per la realizzazione dei lavori sui beni culturali. La precisazione
riguarda in particolar modo l’affidamento congiunto, laddove l’intervento unitario su beni non
omogenei per qualità potrebbe essere utilizzato per aggirare le norme in tema di qualificazione.
Similmente, nelle ipotesi di procedura negoziata senza bando (laddove questa sia ammissibile ex art. 57
del codice), l’amministrazione deve stabilire preventivamente i requisiti di qualificazione ai quali il
contraente deve essere conforme.
4. Qualificazione dei soggetti esecutori.
In pressoché totale corrispondenza con l’art. 5 del d. l.vo 30/2004, l’art. 201 del Codice dei
contratti rimanda al regolamento di attuazione del codice stesso la definizione del sistema di
qualificazione, ossia dei requisiti specifici richiesti ai soggetti esecutori di lavori inerenti ai beni di
interesse culturale, ad integrazione di quelli generali definiti per qualsiasi aggiudicatario.
Il suddetto regolamento è chiamato in particolare a disciplinare:
- i meccanismi di puntuale verifica (in sede di rilascio delle attestazioni di qualificazione) del possesso
dei prescritti requisiti;
- la definizione di eventuali nuove categorie di qualificazione in relazione alle specificità delle singole
classi di intervento su beni culturali;
- i contenuti e la rilevanza delle attestazioni della regolare esecuzione dei lavori in oggetto, ai fini
della qualificazione degli esecutori;
- forme semplificate per la verifica del possesso di requisiti da parte di imprese artigiane, allo scopo
di agevolarne l’accesso alla qualificazione.
Ulteriori requisiti, ad integrazione di quelli disposti con fonte regolamentare, potranno essere
individuati con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti e previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d. l.vo
281/1997.
Riprendendo quanto già disposto dall’art. 200 in tema di affidamento congiunto di lavori, l’art.
201, comma 5, ribadisce che per i lavori su beni culturali la qualificazione nella categoria di riferimento
è sempre necessaria a prescindere dall’incidenza percentuale che il valore degli interventi sui beni
tutelati assume nell’appalto complessivo.
L’INSEGNAMENTO DEL RESTAURO DEL PATRIMONIO CULTURALE PER LA QUALIFICA DI
“RESTAURATORE DI BENI CULTURALI”
Il problema dell’insegnamento del restauro è negli ultimi anni, un problema molto sentito sia a
livello nazionale che europeo e va ad inserirsi nella discussione più vasta che ha coinvolto l’istituto del
codice degli appalti, per le implicazioni che esso pone anche sul percorso formativo indispensabile
all’ottenimento della qualifica di restauratore dei beni culturali4.
4 "Tutti i documenti italiani ed europei degli ultimi anni … , sottolineano l'inderogabilità del riconoscimento della professione di restauratore . (…) Si dovrà dunque stabilire che in una società
moderna il restauro si impara a mezzo di un curriculum di studi equivalente a quello che conduce ad un diploma di laurea. Sappiamo … che si sta lavorando su quell'argomento, in un
rapporto certo non facile fra: 1) Istituti del Ministero dei Beni e le Attività culturali titolari di insegnamenti nel restauro (Istituto Centrale, Opificio, Patologia del Libro), 2) Università ed
anche … Accademie di Belle Arti ; e può darsi quindi che fra una ventina d'anni la materia sia finalmente regolamentata in maniera ragionevole, chiara e soddisfacente, e che di conseguenza
anche la promozione sociale del restauratore sia ufficialmente un fatto compiuto” (G. Bonsanti, 2001).
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Senza una chiara definizione degli obiettivi della formazione del restauratore di beni culturali
mediante una legislazione che ne garantisca, tramite un curriculum didattico omogeneo e funzionale,
un ruolo preciso e conforme al proprio compito, vengono a mancare i presupposti necessari alla
stessa definizione delle competenze e del ruolo che il restauratore deve avere per svolgere il suo
lavoro5.
Una pur rapida e sommaria ricognizione sulla situazione legislativa esistente nel settore del
restauro, relativamente alla qualificazione professionale e alla formazione scolastica, consente di rilevare
una certa confusione, soprattutto in Italia6.
In Italia l’insegnamento del restauro dei beni culturali è attualmente regolamentato dal d. l.vo
n.42 del 22 gennaio 20047 e dal d. l.vo n. 156 del 24 marzo 2006 (Disposizioni correttive ed integrative
al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione ai beni culturali; GU n. 97 del 27-4-2006 Suppl. Ordinario n. 102); in quest’ultimo, in particolare l’art. 4 c. 1, definisce le modalità di acquisizione
della qualifica di restauratore di beni culturali8.
5 Circa le figure di restauratore dei beni culturali,
si veda:
- Decreto Legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (Istituzione del Ministero per i beni e le attivita' culturali, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59) pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 250 del 26 ottobre 1998;
l’art.9: definisce quali sono le scuole di alta formazione e di studio (Istituto centrale del restauro; Opificio delle pietre dure; Istituto centrale per la patologia del libro) e quali sono i requisiti
di ammissione e le procedure di selezione del personale docente;
- Decreto Legislativo 3 agosto 2000, n. 294 (Regolamento concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni
mobili e delle superfici decorate di beni architettonici. Ministro per i Beni e le attività culturali), pubblicato su G.U. n. 246 del 20 ottobre 2000, artt.7 e 8 e Decreto Legislativo 24 ottobre
2001, n. 420 (modificazioni ed integrazioni al Dlgs. 294/2000), pubblicato su G.U. n. 280 del 1 dicembre 2001, secondo cui è “restauratore”:
a. chi ha conseguito il diploma di quattro anni presso una scuola di restauro tra quelle indicate precedentemente;
b. chi ha conseguito (alla data del 20 ottobre 2000) un diploma di restauro statale o regionale di durata non
inferiore a due anni e ha svolto lavori con responsabilità diretta nella
gestione tecnica dell’intervento per il doppio degli anno rispetto a quella scolare mancante;
c. chi ha svolto attività di restauro direttamente per un periodo di otto anni certificati;
d. chi ha conseguito (alla data del 20 ottobre 2000) un diploma di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni e ha svolto lavori con responsabilità diretta nella
gestione tecnica dell’intervento per il doppio degli anno rispetto a quella scolare mancante ovvero completi il percorso formativo secondo modalità stabilite dal Min. BB.e AA.CC.
6 Per decenni si è fatto riferimento agli articoli 9 e 12 della Legge n. 1240 del 1939, istitutiva dell' Istituto Centrale del Restauro. L'articolo 9 dice: "Per l'insegnamento del restauro è svolto
presso l'Istituto un corso triennale, al cui termine è rilasciato, a coloro che avranno sostenuto con esito favorevole le relative prove, un diploma di idoneità all'esercizio della professione di
restauratore"6. L'articolo 12 della stessa legge 1240 invece recita : 'E vietato istituire scuole di restauro senza l'autorizzazione del Ministero per l'Educazione Nazionale (oggi dei Beni e
Attività Culturali), al cui controllo è sottoposto l'insegnamento del restauro nel Regno oggi Repubblica". Ma, se qui si vieta di aprire scuole di restauro senza l'autorizzazione del Ministero
dei Beni e Attività Culturali, in nessun punto la legge rileva che possono operare come restauratori solo coloro in possesso del diploma rilasciato dall'ICR. Infatti nei concorsi per l'accesso
al ruolo di restauratore nella pubblica amministrazione il diploma rilasciato da ICR e Opd non viene considerato come esclusivo titolo di studio. Ne è dipeso, come è noto, un numero
incontrollato di corsi di restauro regionali, provinciali, sindacali, privati - aperti ogni anno in Italia. Si trattava di una situazione anomala, in parte esistente anche in Europa.
7 D. l.vo n.42 del 22 gennaio 2004Art. 29, cc. 8-11:
8. Con decreto del Ministro adottato ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 di concerto con il Ministro dell'università' e della ricerca, sono definiti i criteri ed i livelli di
qualità cui si adegua l'insegnamento del restauro.
9. L'insegnamento del restauro e' impartito dalle scuole di alta formazione e di studio istituite ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, nonché dai centri di cui al
comma 11 e dagli altri soggetti pubblici e privati accreditati presso lo Stato.
Con decreto del Ministro adottato ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988 di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università' e della ricerca, sono individuati le
modalità di accreditamento, i requisiti minimi organizzativi e di funzionamento dei soggetti di cui al presente comma, le modalità della vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche e
dell'esame finale abilitante alle attività di cui al comma 6 e avente valore di esame di Stato, cui partecipa almeno un rappresentante del Ministero, il titolo accademico rilasciato a seguito del
superamento di detto esame, che e' equiparato al diploma di laurea specialistica o magistrale, nonché le caratteristiche del corpo docente. Il procedimento di accreditamento si conclude con
provvedimento adottato entro novanta giorni dalla presentazione della domanda corredata dalla prescritta documentazione.
9-bis. Dalla data di entrata in vigore dei decreti previsti dai commi 7, 8 e 9, agli effetti dell'esecuzione degli interventi di manutenzione e restauro su beni culturali mobili e superfici decorate
di beni architettonici, nonché agli effetti del possesso dei requisiti di qualificazione da parte dei soggetti esecutori di detti lavori, la qualifica di restauratore di beni culturali e' acquisita
esclusivamente in applicazione delle predette disposizioni.
10. La formazione delle figure professionali che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione e' assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa
regionale. I relativi corsi si adeguano a criteri e livelli di qualità definiti con accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
11. Mediante appositi accordi il Ministero e le regioni, anche con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e privati, possono istituire congiuntamente centri, anche a carattere
interregionale, dotati di personalità giuridica, cui affidare attività di ricerca, sperimentazione, studio, documentazione ed attuazione di interventi di conservazione e restauro su beni culturali,
di particolare complessità. Presso tali centri possono essere altresì istituite, ove accreditate, ai sensi del comma 9, scuole di alta formazione per l'insegnamento del restauro.
All'attuazione del presente comma si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.».
8 …(omissis)... In via transitoria, agli effetti indicati all'articolo 29, comma 9-bis, acquisisce la qualifica di restauratore di beni culturali:
a) colui che consegua un diploma presso una scuola di restauro statale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, purche' risulti iscritto ai relativi corsi prima della data
del 1° maggio 2004;
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Molto si è discusso e si discute di come affrontare la necessità di un collegamento fra i Centri di
Alta Formazione per il restauro del Ministero Beni ed Attività Culturali e l’Università, con i vari corsi di
laurea che sono proliferati intorno al tema della conservazione dei beni culturali.
Per stabilire l’equipollenza del diploma di restauratore con un titolo di studio universitario
occorre un atto formale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali che coinvolga anche il Ministero
dell’ Università e Ricerca (la formazione del restauratore dovrebbe essere inquadrata nel sistema
generale dell’istruzione dopo la scuola media superiore, come si va regolamentando uniformemente in
tutta Europa).
Si deve cioè perseguire un’integrazione fra le varie competenze in campo, al fine di ottenere
una condivisione degli obbiettivi, ricercando le soluzioni di collaborazione ritenute ottimali per una
migliore attività didattica per la conservazione.
Su queste finalità si allinea il c. 2 dell’art 4 (d. l.vo n. 156/2006), che recita: «In deroga a quanto
previsto dall'articolo 29, comma 11, ed in attesa della emanazione dei decreti di cui ai commi 8 e 9 del
medesimo articolo, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto
con il Ministro, la Fondazione “Centro per la conservazione ed il restauro dei beni culturali la Venaria
b) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420, abbia conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non
inferiore a due anni ed abbia svolto, per un periodo di tempo almeno doppio rispetto a quello scolare mancante per raggiungere un quadriennio e comunque non inferiore a due anni, attività
di restauro dei beni suddetti, direttamente e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella
gestione tecnica dell'intervento, con regolare esecuzione certificata dall'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368;
c) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420, abbia svolto, per un periodo di almeno otto anni, attività di restauro dei beni suddetti, direttamente
e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento, con
regolare esecuzione certificata dall'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368.
1-bis. Può altresì acquisire la qualifica di restauratore di beni culturali, ai medesimi effetti indicati all'articolo 29, comma 9-bis, previo superamento di una prova di idoneità con valore di
esame di stato abilitante, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro da emanarsi di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, entro il 30 ottobre 2006:
a) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420, abbia svolto, per un periodo almeno pari a quattro anni, attività di restauro dei beni suddetti,
direttamente e in proprio, ovvero direttamente e in rapporto di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa con responsabilità diretta nella gestione tecnica
dell'intervento, con regolare esecuzione certificata dall'autorità preposta alla tutela dei beni o dagli istituti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368;
b) colui che abbia conseguito o consegua un diploma in restauro presso le accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale, purche' risulti iscritto ai relativi corsi prima della data
del 1° maggio 2004;
c) colui che abbia conseguito o consegua un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a due anni, purche' risulti iscritto ai relativi corsi prima della
data del 1° maggio 2004;
d) colui che consegua un diploma di laurea specialistica in conservazione e restauro del patrimonio storico-artistico, purche' risulti iscritto ai relativi corsi prima della data del 1° maggio
2004.
1-ter. Ai fini dell'applicazione dei commi 1, lettere b) e c), e 1-bis, lettera a):
a) la durata dell'attività di restauro e' documentata dai termini di consegna e di completamento dei lavori, con possibilità di cumulare la durata di più lavori eseguiti nello stesso periodo;
b) il requisito della responsabilità diretta nella gestione tecnica dell'intervento deve risultare esclusivamente da atti di data certa anteriore alla data di entrata in vigore del presente decreto
emanati, ricevuti o comunque custoditi dall'autorità preposta alla tutela del bene oggetto dei lavori o dagli istituti di cui all'articolo 9 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368; i
competenti organi ministeriali rilasciano agli interessati le necessarie attestazioni entro trenta giorni dalla richiesta.
1-quater. La qualifica di restauratore di beni culturali e' attribuita, previa verifica del possesso dei requisiti ovvero previo superamento della prova di idoneità, secondo quanto disposto ai
commi precedenti, con provvedimenti del Ministero che danno luogo all'inserimento in un apposito elenco, reso accessibile a tutti gli interessati. Alla tenuta dell'elenco provvede il Ministero
medesimo, nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, sentita una rappresentanza degli
iscritti. L'elenco viene tempestivamente aggiornato, anche mediante inserimento dei nominativi di coloro i quali conseguono la qualifica ai sensi dell'articolo 29, commi 7, 8 e 9.
1-quinquies. Nelle more dell'attuazione dell'articolo 29, comma 10, ai medesimi effetti di cui al comma 9-bis dello stesso articolo, acquisisce la qualifica di collaboratore restauratore di beni
culturali:
a) colui che abbia conseguito un diploma di laurea universitaria triennale in tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, ovvero un diploma in restauro presso le
accademie di belle arti con insegnamento almeno triennale;
b) colui che abbia conseguito un diploma presso una scuola di restauro statale o regionale di durata non inferiore a tre anni;
c) colui che, alla data di entrata in vigore del decreto del Ministro 24 ottobre 2001, n. 420, abbia svolto lavori di restauro di beni ai sensi dell'articolo 29, comma 4, anche in proprio, per
non meno di quattro anni. L'attività svolta e' dimostrata mediante dichiarazione del datore di lavoro, ovvero autocertificazione dell'interessato ai sensi del decreto del Presidente della
Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, accompagnate dal visto di buon esito degli interventi rilasciato dai competenti organi ministeriali;
d) il candidato che, essendo ammesso in via definitiva a sostenere la prova di idoneità di cui al comma 1-bis ed essendo poi risultato non idoneo ad acquisire la qualifica di restauratore di
beni culturali, venga nella stessa sede giudicato idoneo ad acquisire la qualifica di collaboratore restauratore di beni culturali.»;
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Reale” è autorizzata ad istituire ed attivare, in via sperimentale, per un ciclo formativo, in convenzione
con l'Università di Torino e il Politecnico di Torino, un corso di laurea magistrale a ciclo unico per la
formazione di restauratori dei beni culturali ai sensi del comma 6 e seguenti dello stesso articolo 29.
Il decreto predetto definisce l'ordinamento didattico del corso, sulla base dello specifico
progetto approvato dai competenti organi della Fondazione e delle università, senza nuovi o maggiori
oneri a carico della finanza pubblica».
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SCUOLE DI ALTA FORMAZIONE E STUDIO PER IL RESTAURO
Tre sono le strutture deputate in Europa per la formazione ad alto livello:
1) istituti di conservazione e ricerca
In Italia: Istituto Centrale per il Restauro, Opificio delle pietre dure, Istituto centrale per
la patologia del libro, Venaria Reale di Torino. Altri paesi, quali Belgio (con l’IRPA, l'Jnstitut
Royal du Patrimoine Artistique ) e la Francia (con l’IFROA, l'Institut Francais de restauration
des oeuvres d'art) , i usano i loro istituti di ricerca essenzialmente per tirocini pratici durante e
post diploma , un po’ come l’ICCROM a Roma. L’IFROA è assai simile all’ICR, il corso dura 4
anni e ha il vantaggio rispetto all’ICR che il suo titolo di studio è stato reso equipollente a quello
universitario.
2) istituti universitari
Comprendono Università e Politecnici, una formula diffusa un po' ovunque (Inghilterra,
Svezia, Spagna, Portogallo, Francia, Polonia).
La Sorbona - Université de Paris 1 - dal 1973 ha corsi quadriennali e rilascia un attestato in
scienza e tecnica della conservazione e del restauro dei beni culturali , nonché, dopo un quinto
anno, un diploma di studi superiori specialistici in conservazione preventiva dei beni culturali.
Entrambi sono diplomi a carattere professionale. La formazione universitaria avviene a più
livelli, tre, quattro e cinque anni- molto spesso dopo una laurea in lettere o in materia
scientifiche e in alcuni istituti termina con un dottorato di ricerca. I corsi presso le Università di
scienze applicate sono molto comuni, come in Germania e Austria , e offrono insegnamenti
tecnico-scientifici anche pratici e con una notevole componente di ricerca applicata. Questo è
un aspetto della didattica del restauro che da noi è abbastanza trascurato e richiede pertanto un
forte incremento.
3) Accademie di Belle arti
Assai diffuso anche il ricorso alle Accademie di Belle Arti in Danimarca, Germania,
Austria, Spagna , ecc., con insegnamenti sostanzialmente quinquennali. In Europa le
Accademie, a differenza che qui da noi, hanno una certa tradizione nell’insegnamento del
restauro . Assai importante è l' Accademia di Dresda, dove esiste un dipartimento che si
occupa da tempo di restauro e che prevede cinque anni di corso più una specializzazione (anche
in restauro dell’arte contemporanea). L'Accademia di Copenaghen, ad es., dispone dal 1973 di
una sezione autonoma esclusivamente dedicata al restauro che è stata strutturata da Steen
Bjarnhof. Questa sezione organizza un corso della durata di cinque anni, ma nella realtà al
termine dei primi tre viene già rilasciato un diploma di operatore. A questa prima fase ne segue
una seconda di due anni, cui si può accedere anche dopo un certo lasso di tempo - conclusa la
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quale si diviene restauratore a tutti gli effetti. Con la riforma delle Accademie italiane esisterà
probabilmente l’allineamento all’Università con il 3 + 2, e quindi anche il restauro, come corso
dì indirizzo, potrebbe comportare l’acquisizione di un primo diploma o laurea breve
(raggiungibile dopo un primo grado di formazione che potrebbe essere gestito anche dalle
Regioni con un programma concordato con l’ICR e l’OPD) e una specializzazione di due anni.
Uno degli ostacoli che potrebbero frapporsi a una soluzione del problema
dell'insegnamento del restauro al di fuori del Ministero per i Beni e le Attività Culturali riguarda
la possibilità di disporre di opere da conservare.
IN ITALIA
ISTITUTO CENTRALE PER IL RESTAURO DI ROMA (ICR)
L'Istituto Centrale per il Restauro provvede all'insegnamento del restauro nelle seguenti
aree:
− Dipinti murali, dipinti su tela, dipinti su tavola, su tessuto, su cuoio, su carta e
sculture lignee policrome;
− Metalli, ceramica, vetro, smalti, oreficerie, avorio, osso, ambra e oggetti di scavo;
− Mosaico, materiali lapidei naturali e artificiali, stucchi.
− Manufatti tessili.
L’ICR conferisce il diploma di restauratore dei beni culturali al termine di un corso di
studi quadriennale.
L'ammissione al corso è subordinata al superamento delle prove d'esame di un apposito
concorso per esami e titoli indetto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il cui bando
viene pubblicato annualmente nella Gazzetta Ufficiale.
Il numero dei posti messi annualmente a concorso è determinato nel bando, è distinto
per aree e non può essere inferiore complessivamente a diciotto.
Il corso ha carattere teorico e pratico.
Gli insegnamenti riguardano:
− discipline storiche
− discipline tecniche
− discipline chimiche
− discipline fisiche
− discipline biologiche
− discipline della tutela ecc.
− discipline della documentazione.
Le esercitazioni pratiche consistono in:
− attività pratica di restauro;
− esercitazioni che si svolgono nell'ambito dei singoli insegnamenti delle materie
scientifiche a scopo di illustrazione e integrazione della parte teorica;
− tirocini estivi di applicazione pratica in sede e fuori sede.
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− Soggiorni di studio per studenti stranieri
La frequenza delle lezioni, delle esercitazioni e delle applicazioni pratiche di restauro è
quotidiana e obbligatoria.
L'anno scolastico inizia di norma a novembre e termina ad ottobre dell'anno successivo.
I periodi di vacanze natalizie e pasquali sono fissati in conformità a quelli stabiliti dal Ministero
della P.I. per le scuole di istruzione secondaria superiore; inoltre nel periodo estivo gli allievi
dispongono di un mese di vacanza.
Esami
Al secondo, al terzo e al quarto anno si accede per idoneità, su giudizio espresso dal
Consiglio didattico al termine rispettivamente del primo, del secondo e del terzo anno. Il
giudizio di idoneità espresso al termine del quarto anno costituisce titolo di ammissione agli
esami di diploma di cui al seguente punto. Gli allievi non idonei non sono ammessi a ripetere
l'anno di corso
Esami di diploma
L'esame finale per il conseguimento del diploma consiste nella discussione della tesi sul
lavoro svolto. Il giudizio è espresso in centodecimi.
OPIFICIO DELLE PIETRE DURE DI FIRENZE (OPD)
La Scuola di restauro dell'Opificio delle Pietre Dure ha iniziato i suoi corsi nel 1978 ma
ha avuto riconoscimento giuridico solo nel 1992.
Ha durata quadriennale, con corsi articolati in tre anni di insegnamenti fondamentali e in
un anno di perfezionamento.
Per l'accesso è previsto un concorso pubblico internazionale, bandito annualmente dal
Ministero per i beni e le Attività Culturali, che individua i settori per i quali è previsto l'accesso,
essendo l'Istituto articolato in diverse specializzazioni.
I requisiti richiesti sono: possesso del diploma di istruzione secondaria superiore ed
un'età compresa fra i 18 e i 30 anni.
L'esame di ammissione consta di due prove attitudinali -una di disegno e una di tecnica
artistica e di una orale su argomenti di storia dell'arte, tecniche artistiche.
I corsi, con frequenza obbligatoria, comprendono lezioni teoriche, impartite sia da
personale interno che da esperti provenienti da Enti e istituti impegnati nella ricerca e
nell'attività di tutela e conservazione, e di esercitazioni pratiche che si svolgono all'interno dei
laboratori e in cantieri esterni.
Col superamento dell'esame finale, che consiste nella discussione di una tesi, all'allievo
viene rilasciato il diploma di restauratore di beni culturali.
(A seguito della emanazione del Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n.156, pubblicato
sul supplemento ordinario alla "Gazzetta Ufficiale" n.97 del 27 aprile 2006, recante disposizioni
correttive ed integrative al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n.42, in relazione anche
all'insegnamento del restauro presso le Scuole di Alta Formazione del Ministero nonché sul
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titolo rilasciato dalle stesse a conclusione del ciclo formativo, il concorso per l'accesso al corso
quadriennale della SAF dell'OPD per l'anno accademico 2006-2007 è stato sospeso).
VENARIA REALE DI TORINO
La Scuola di Alta Formazione e Studio (SAF) opera nell’ambito del Centro
Conservazione e Restauro "La Venaria Reale" al fine di:
− creare una comunità professionale di restauratori aperta verso le altre professionalità
− offrire un vasto sistema di formazione e di aggiornamento a tutto il settore dei Beni
culturali.
− incrementare l’attività di partnership con Università, Istituti di Alta Formazione,
Scuole, Imprese Artigiane, Grandi Imprese, Enti Pubblici di Tutela nazionali e
internazionali
− creare occupazione a livelli di eccellenza nel settore dei Beni culturali
− formare i formatori
− creare una ‘learning organization’ che sviluppi l’apprendimento attraverso modalità
organizzative e didattiche di divulgazione delle esperienze.
Per raggiungere questi obiettivi la SAF si avvale, come da Statuto, della collaborazione
con l’Istituto Centrale del Restauro, l’Opificio delle Pietre dure di Firenze e l’Istituto Centrale
per la Patologia del Libro.
Nell’A.A. 2006/2007 l’Università di Torino ha attivato, in convenzione con il Centro di
Conservazione di Venaria Reale, il Corso di laurea in Conservazione e Restauro dei Beni
Culturali. L’ordinamento didattico del corso, in attesa delle attuazioni legislative in riferimento
alle classi di laurea, fa ricorso in via transitoria alla disciplina stabilita nell’ambito della classe di
laurea 41 (laurea in Tecnologia per la Conservazione e il Restauro di Beni Culturali); e alla classe di
laurea magistrale LM 11 (Conservazione e Restauro dei beni culturali), come da elenco allegato al
D.M. 270/2004 “Disciplina Corsi di laurea magistrale”.
Il giorno 11 luglio 2006 la SAF ha ottenuto l’Accreditamento Regionale per le seguenti
macrotipologie formative:
formazione superiore (macrocat. B): Formazione superiore o percorsi formativi successivi
all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione; Formazione Tecnica Superiore
(IFTS); Alta Formazione e Master di I° e II° livello.
formazione continua (macrocat. C)
Dal 31 ottobre 2006 anche le attività formative promosse dalla SAF – come quelle dei
laboratori - godono della Certificazione ISO 9001:2000 del Sistema di Gestione Qualità.
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SCUOLE DI RESTAURO E CENTRI DI FORMAZIONE
PROFESSIONALE IN TOSCANA
1) ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI CARRARA
Via Roma, 1
54033 Carrara (MS) - Italy
tel. 0585 71658
web: http://www.accademiacarrara.it/index.php
Triennio in Conservazione e restauro del marmo
2) SCUOLA PROFESSIONALE EDILE – FIRENZE
e CENTRO EUROPEO DEL RESTAURO
Via Lorenzo il Magnifico, 8 50121 Firenze (FI)
tel. 055 4625035 fax 055 4628944
e-mail: [email protected]
web: www.scuolaedile.fi.it
Corsi annuali e biennali nel settore del Restauro
3) UIA Università Internazionale dell’Arte
Villa il ventaglio
Via delle Forbici, 24/26
50133 Firenze
tel. 055 570216 571503 fax 055 570508
e-mail: [email protected]
Corsi annuali e biennali nel settore del Restauro con attestato qualifica della Regione
Toscana
4) Istituto per l'Arte ed il Restauro
Palazzo Spinelli
Via Maggio 13
50125 Firenze
web: www.spinelli.it
Corsi triennali di Restauro dipinti su tela e tavola a Firenze
Storia dell'arte, disegno e tecniche pittoriche, restauro
conservativo, tecniche di integrazione pittorica,
restauro pittorico e di supporti lignei, doratura e restauro di opere dorate e
policrome, teoria del restauro, tecniche di indagine fotografica,
chimica, biologia, analisi scientifiche, legislazione dei Beni Culturali.
5) Libera Accademia di belle Arti
PIAZZA DI BADIA A RIPOLI, 1/A
50126 - FIRENZE
tel.
055 6530786 055 6533204
e-mail [email protected]
Corso triennale Professionale in restauro a Firenze
Laboratorio tecnico/pratico del restauro, storia dell'arte, restauro archeologico, tecnica
pittorica applicata al restauro, beni culturali e ambientali, computer grafica applicata al
restauro, chimica e degrado biologico dei materiali.
tel. 055 2756304
e-mail: [email protected]
6) La Cantoria di Bre.Mar. s.a.s.
Via Chiantigiana 158 –
50 012 Grassina - Firenze - ITALY
Tel/Fax: +39 055 644 216,
e-mail: [email protected]
7) Centro Tecnologico Del Restauro
Corso G. Matteoti 103
52031 Anghiari (AR)
tel/ fax 0575 789869
web: www.centrorestauroanghiari.it
Restauro del legno, dorature, laccature ecc.
tel. 055 2756304
e-mail: [email protected]