La nascita dell`economia politica

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La nascita dell`economia politica
Capitolo 2
La nascita dell’economia
politica
L’economia politica è una scienza “giovane”, almeno quando la si confronta
con altre discipline scienti…che, come la …sica, che ha quasi il doppio della sua
età, o come la matematica, la cui età può essere misurata in millenni anziché
in secoli. Si è soliti dire, infatti, che la data di nascita dell’economia politica
è il 1776, anno in cui viene pubblicato un libro di Adam Smith (1723-1790),
Ricerche sopra la natura della ricchezza delle nazioni (di solito abbreviato in
La Ricchezza delle Nazioni), che è considerato il primo moderno trattato di
economia. In quel libro, che ha profondamente in‡uenzato tutto il pensiero
economico successivo, sono anticipati molti dei temi su cui gli economisti
hanno continuato a ri‡ettere …no a oggi. Di uno di essi, l’idea della “mano
invisibile”, dovremo occuparci ampiamente tra poco.
Prima, però, dobbiamo chiarire un punto. Chi trovasse strano che prima
di Smith non si parlasse di economia avrebbe perfettamente ragione. Se ne
parlava da tanto tempo, …n dalla Grecia classica di Platone e Aristotele. Il
fatto è che prima di Smith (diciamo prima della seconda metà del Settecento)
la scienza economica non era una disciplina autonoma, ma una sezione della
…loso…a morale. Una volta, anche la …sica, e prima ancora persino la
matematica, erano sezioni della …loso…a: Pitagora era un …losofo; il grande
matematico Eudosso era un allievo di Platone; uno dei più importanti libri di
Aristotele era intitolato appunto Fisica, ed era “proprio”un libro di …sica, con
tanto di esperimenti. La matematica si distingue dalla …loso…a …n dall’antica
Grecia (il famoso Euclide era un matematico, non un …losofo). La …sica si
separa assai più tardi, con Galilei e Newton. Notiamo di passaggio che il
libro fondamentale di Newton è intitolato Principi matematici di …loso…a
naturale, quasi a signi…care che Newton stava fondando una scienza nuova
(anzi la “regina”delle scienze) ma non lo sapesse ancora.
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Lo stesso Smith, che oggi consideriamo il primo degli economisti, insegnava ai suoi tempi …loso…a morale all’università di Glasgow, in Scozia.
L’economia era una parte del suo programma, accanto alla teologia naturale,
all’etica e al diritto.
Pian piano questa parte del programma è divenuta sempre più importante; è uscita di tutela, ha acquistato lo spessore e la robustezza di una
scienza, appunto la prima delle scienze sociali . Come mai questo processo
di autonomizzazione si è veri…cato nel Settecento, e come mai in Inghilterra?
Rispondendo a questa domanda potremo formarci un’idea ancora più precisa
sulla natura dei problemi con cui l’economia cerca di confrontarsi e anche
sull’approccio da essa seguito per a¤rontarli.
Il capitalismo
La scienza economica nasce nel Settecento in Inghilterra perché, lì e allora,
sta giungendo a maturazione una trasformazione sociale di grande portata storica. Proprio sotto gli occhi di Smith, l’Inghilterra (e al suo seguito,
con un po’di ritardo, tutta l’Europa) sta …nendo di trasformarsi in un paese
capitalistico. Entrato ormai in crisi da qualche secolo il precedente assetto
sociale, la società feudale che aveva contrassegnato il Medio Evo, si stanno
sempre più a¤ermando nuovi modi di produzione, basati sul lavoro salariato e sulla manifattura (che anticipa il futuro della grande industria), e si
stanno sempre più a¤ermando i mercati, che sostituiscono via via l’organizzazione economica basata sul “castello”e sull’autoconsumo delle campagne.
La manifattura e i mercati rappresentano un terreno fertile per lo sviluppo
delle iniziative degli imprenditori (i “borghesi”), o comunque di chi disponga
di capitali da investire.
Qui ci interessa sottolineare che l’a¤ermazione del nuovo assetto economico non avviene in modo indolore per la società. Tra il nuovo che nasce e
il vecchio che muore vengono messi in crisi equilibri consolidati. L’assetto
sociale risulta sconvolto ed emergono problemi sociali drammatici. Ne indichiamo solo due: il problema della povertà e quello, a esso collegato, della
disoccupazione. Il primo non è certo un problema nuovo: anche le “cronache”
del Medio Evo sono piene di poveri. La novità sta semmai nel fatto che ora
la società non se ne cura.
Nel Medio Evo i poveri (per lo meno quelli risparmiati dalle guerre e
dalle malattie) erano inseriti in un assetto sociale che in qualche modo ne
perpetuava la condizione ma ne assicurava la sussistenza: i ricchi, pochi privilegiati che sono tali per nascita, dovevano averne cura. Il Medio Evo era una
società in cui la mobilità sociale era estremamente ridotta: i poveri restavano
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poveri e i ricchi restavano ricchi. Però era una società “organica”, in cui gli
uomini erano legati tra loro da rapporti di dipendenza, di responsabilità e di
amicizia (o di ostilità e di guerra).
Nel capitalismo, invece, la mobilità sociale è potenzialmente massima,
ma gli uomini entrano in rapporto tra loro soprattutto attraverso lo scambio
mercantile: ne assumono altri, fanno a¤ari tra loro o si fanno concorrenza.
Chiunque può diventare ricco, ma i poveri sono abbandonati a se stessi,
sono proletariato. Il verbo dei tempi nuovi è l’egoismo, o, per dirla con
un’espressione meno crudele, la libera iniziativa. Si vive, si consuma e si ha
successo sulla base di quel che si è in grado di guadagnare; e tanto peggio
per chi non lavora o non guadagna, per chi rimane escluso dal circuito della
produzione, dello scambio e dell’accumulazione della ricchezza.
La novità storica che è stata sommariamente delineata, lo sconvolgimento
sociale prodotto dall’avvento del capitalismo col suo carico di problemi, poneva con urgenza all’attenzione degli studiosi, dei “…loso…”, il compito di capire
dove le nuove regole del gioco avrebbero condotto la società, quali sarebbero
state in essa le prospettive dei poveri e dei disoccupati. E siccome il tessuto
connettivo del nuovo assetto sociale era costituito appunto dall’economia, è
comprensibile che lo studio di essa cominciasse ad acquistare una dimensione
autonoma, che Smith, un …losofo, la inserisse nel programma del suo corso
universitario e …nisse con lo scrivere su di essa un vero e proprio trattato.
La povertà nel Settecento: una “modesta proposta”
Un modo insolito e stimolante per farsi un’idea di quanto fosse grave il problema sociale della povertà all’epoca in cui Adam Smith fondava l’economia
politica è quello di leggere Una modesta proposta, un breve saggio scritto nel
1729 da Jonathan Swift (1667-1745), l’autore dei Viaggi di Gulliver. Appena
mascherato da un tono satirico e leggero, il testo fornisce un quadro preciso
e impressionante della situazione sociale dell’epoca, caratterizzata da una
povertà drammatica e di¤usa, nei confronti della quale si avverte il totale
disinteresse dei benestanti e dei governi.
Ma lasciamo parlare Swift. Il suo scritto si apre con queste parole: “È
cosa ben triste, per quanti passano per questa grande città o viaggiano per il
nostro Paese, vedere le strade, sia in città, sia fuori, e le porte delle capanne,
a¤ollate di donne che domandano l’elemosina seguite da tre, quattro o sei
bambini tutti vestiti di stracci, che importunano così i passanti”. E va avanti
su questo tono tra l’accorato e l’ironico, osservando che “tutti questi bambini,
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in quantità enorme”, costituiscono “un serio motivo di lamentela”, sia quando
diventano mendicanti sia quando “diventano ladri per mancanza di lavoro”.
Dopo il quadro della situazione arriva la domanda: “come è possibile
allevare questa moltitudine di bambini e provvedere loro?”. La risposta è
scontata: “nella situazione attuale questo è assolutamente impossibile”. Di
qui, appunto, la “modesta proposta” di Swift: visto che non è possibile
allevarli, i bambini poveri vanno venduti come carne da macello per le mense
dei cittadini benestanti; gli è stato assicurato infatti che “un infante sano e
ben allattato all’età di un anno è il cibo più delizioso, sano e nutriente che
si possa trovare, sia in umido, sia arrosto, al forno o lessato”, e Swift non
dubita “che possa fare lo stesso ottimo servizio in fricassea o al ragù”. Certo,
osserva il nostro autore, si tratterà di un cibo “un po’caro”, ma proprio per
questo adattissimo per i ricchi.
Swift, con la sua terribile vena satirica, illustra in ogni dettaglio la proposta, di cui sottolinea tra gli altri il “merito”di ridurre il numero dei poveri
e di assicurare un reddito, anzi un lavoro (l’allevamento dei bambini in attesa di macellarli) a quelli restanti. Tutto perfettamente in linea, appunto, col
clima culturale del nascente capitalismo, in cui l’egoismo domina la scena e
la solidarietà non ha alcuna voce.
Qualche decennio dopo Adam Smith avrebbe sostenuto che la drammatica
domanda che Swift rivolgeva agli uomini del suo tempo (che intendete fare
di fronte alla povertà di massa?) aveva una risposta sorprendente: non c’è
bisogno di far nulla; basta “lasciar fare”al mercato e alla libera iniziativa.
La mano invisibile
Adam Smith è convinto che i problemi sociali posti dall’avvento del capitalismo sono destinati a risolversi da soli. Questo perché il mercato è in grado
di coordinare le azioni economiche in modo ottimale. Come “guidato da una
mano invisibile”, esso realizza un risultato inatteso e desiderabile, quello di
rendere massima la ricchezza della società nel suo complesso, e questo senza
che nessuno si ponga un tale obiettivo. Anzi, l’idea di Smith è che il mercato
riesce meglio se nessuno cerca di interferire nel suo funzionamento. Secondo
lui conviene “lasciar fare” al mercato; l’unico aiuto che gli si può dare è,
semmai, quello di liberarlo da tutte le barriere e i regolamenti che possano
ostacolarne l’azione.
La cosa interessante è che la “mano invisibile” ottiene i suoi risultati
facendo leva sull’egoismo dei soggetti. Per esprimerci con le parole di Smith,
“non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che possiamo
attenderci il nostro pranzo, ma dalla loro considerazione del proprio inte-
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resse”. I soggetti presi in considerazione dalla scienza economica, da Smith
…no ai giorni nostri, sono egoisti e razionali . Si può dire che il modello
del soggetto economico (l’homo oeconomicus) somigli molto, per rifarsi a un
famoso esempio letterario del Settecento, a Robinson Crusoe nella sua isola
deserta.
Questi si trova nella situazione di dover utilizzare risorse scarse per risolvere innanzitutto il problema della propria sopravvivenza. Ci riesce in modo
brillante (come sa chi ha letto il romanzo), al punto che dopo qualche tempo,
divenuto più “ricco”, può decidere di dedicarsi ad altri obiettivi. Ecco allora
che distribuisce il proprio tempo tra lavoro, riposo e altre attività, e impiega
al meglio le risorse naturali, personali e materiali di cui dispone (coltivazione
della terra, allevamento del bestiame, pesca, ecc.). Insomma, passata la fase
dell’emergenza, Robinson distribuisce le sue risorse tra una pluralità di scopi.
Ci riesce perché è in grado di valutare la loro importanza relativa, di ordinare
le sue preferenze. E in questa distribuzione delle risorse scarse tra i
vari obiettivi si comporta in modo da ricavare il massimo. Robinson cerca di evitare gli errori e gli sprechi, ovvero è e¢ ciente. In breve, Robinson
risolve dei problemi economici.
Robinson era solo. Gli uomini invece sono tanti. Non c’è rischio allora
che essi, guidati dall’egoismo, …niscano col danneggiarsi a vicenda? Secondo
Smith questo rischio non c’è, sicché “ognuno, nella misura in cui non violi le
leggi della giustizia, va lasciato del tutto libero di perseguire il suo interesse
a modo suo”. Per lui, la “mano invisibile”funziona proprio in questo quadro
di libertà e di egoismo generalizzati. In che modo?
La risposta è piuttosto semplice ed è a¢ data al fatto che nel capitalismo,
come abbiamo visto, gli uomini entrano in relazione economica attraverso lo
scambio e il mercato. Lo scambio ha una caratteristica importante, quella
di essere volontario: nessuno può essere costretto a scambiare contro la sua
volontà; anzi, e¤ettuerà la sua scelta solo se pensa di guadagnarci. Perciò lo
scambio avviene solo se entrambi i contraenti se ne avvantaggiano. Passiamo
ora alla generalizzazione dello scambio, ovvero al mercato, che a questo
punto possiamo de…nire come il complesso dei meccanismi, delle istituzioni
e delle regole che consentono l’esercizio e¤ettivo degli scambi tra i soggetti
economici. La tesi di Adam Smith è appunto che nel mercato i vantaggi
dello scambio si ritrovano “in grande”, che in esso vengono e¤ettuate tutte
le transazioni che avvantaggiano i soggetti coinvolti e soltanto quelle: …nché
rimangono delle possibilità non sfruttate di guadagnare attraverso atti di
scambio, i soggetti razionali ed egoisti ne appro…tteranno.
Ciò è vero, naturalmente, se i soggetti sono davvero razionali ed egoisti.
Come vedremo nel capitolo 3, questa è un’ipotesi che gli economisti fanno
normalmente, ma non comporta che gli uomini reali siano come gli econo-
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misti li descrivono. Si potrebbe, per esempio, supporre che gli uomini siano
stupidi (invece che razionali), oppure che siano altruisti (invece che egoisti).
Al riguardo merita di essere citata la divertente classi…cazione proposta da
Carlo Maria Cipolla (1922-2000), nel suo delizioso pamphlet Allegro ma non
troppo. Egli distingue quattro categorie: sono “intelligenti” coloro le cui
scelte avvantaggiano se stessi e gli altri; sono “banditi” coloro le cui scelte
avvantaggiano se stessi svantaggiando gli altri; sono “sprovveduti” coloro le
cui scelte svantaggiano se stessi avvantaggiando gli altri; in…ne sono “stupidi” coloro le cui scelte svantaggiano se stessi svantaggiando gli altri. Come
avremo modo di approfondire, il concetto di razionalità usato dagli economisti si muove però su un altro piano; esso riguarda il modo in cui vengono
prese le decisioni, non i loro risultati.
Per concludere, l’idea smithiana della “mano invisibile”può essere sintetizzata in due a¤ermazioni: (i) il mercato è in grado di coordinare le decisioni
dei singoli soggetti (egoisti e razionali) conducendo a un risultato ordinato;
(ii) questo risultato, che nessuno si pre…gge, è il migliore possibile date le
risorse disponibili.
Adam Smith e la …loso…a inglese
Abbiamo visto che Adam Smith insegnava …loso…a prima di occuparsi a fondo
dei problemi economici. Nel 1759 aveva scritto un testo …loso…co, la Teoria
dei sentimenti morali, che si collocava all’interno di una grande tradizione
della …loso…a inglese, quella dei cosiddetti “empiristi”, i cui esponenti più
importanti sono stati Thomas Hobbes (1588-1679), John Locke (1632-1704)
e David Hume (1711-1776). La formazione …loso…ca di Smith ha fortemente
in‡uenzato le sue idee in materia economica. Prima di lui, infatti, gli empiristi inglesi stavano ri‡ettendo da tempo e con grande attenzione sul tema
delle implicazioni sociali dell’egoismo e della libertà.
L’egoismo è al centro della ri‡essione di Hobbes: nel cosiddetto “stato di
natura”, esso motiva in modo quasi esclusivo il comportamento degli uomini.
Ne conseguirebbe una rovinosa “guerra di tutti contro tutti”, se non fosse
per l’intervento coercitivo dello Stato. Per Hobbes, insomma, la società può
esistere solo se gli uomini rinunciano alla propria libertà. Hobbes è il teorico
delle monarchie assolute, le uniche in grado, secondo lui, di tenere a freno il
disgregante egoismo “naturale”degli uomini.
Troviamo un tentativo di risposta a queste tesi nelle idee di Locke. Secondo lui, nello stato di natura gli uomini sarebbero “buoni”e i contrasti di
cui parla Hobbes dipenderebbero non dalla malvagità naturale degli uomini
ma da una sorta di “avarizia” della natura, in conseguenza della quale non
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è possibile che gli uomini ottengano col loro lavoro tutto ciò di cui hanno
bisogno. Di qui, appunto, la tendenza alla sopra¤azione. In questo quadro
lo Stato non è, come in Hobbes, la fonte della società, ma il suo garante.
La presenza dello Stato non comporta alienazione di libertà da parte dei
singoli, ma garantisce a ciascuno che la sua libertà non venga compromessa
da aggressioni da parte degli altri. Lo Stato sarebbe il garante dell’ordinato
sviluppo della libera iniziativa.
Anche Hume cerca di rispondere a Hobbes, ma rinunciando a utilizzare
il concetto di “stato di natura”. Per lui, oltre ai comportamenti egoistici,
esistono anche i comportamenti virtuosi. Essi sono determinati da un “sentimento”(così si esprime Hume) opposto all’egoismo, e da lui chiamato “senso
di umanità” oppure “simpatia”. Da questo sentimento, che si a¤ermerebbe
attraverso una sorta di meccanismo evolutivo, scaturiscono appunto i giudizi
morali, che spingono gli uomini a operare per il bene degli altri.
Adam Smith si forma in un clima culturale dominato da queste tematiche.
I problemi da cui parte sono quelli dei …loso… che lo hanno preceduto. Le
sue risposte fanno leva sull’egoismo (il tema di Hobbes) e sulla libertà (il
tema di Locke). In particolare, egli considera la distinzione humiana tra
comportamenti egoistici e comportamenti virtuosi, e osserva innanzitutto che
vi sono dei comportamenti egoistici che non possono essere disapprovati dal
punto di vista morale, rispetto al quale essi risultano, per così dire, neutri:
sono appunto i comportamenti economici. A poco a poco Smith si appassiona
allo studio di questi comportamenti, e …nisce col fondare una nuova disciplina
scienti…ca.
L’in‡uenza di Adam Smith
Abbiamo parlato a lungo di Smith e della “mano invisibile”, ma non è stato tempo perso. Esso ci ha consentito di entrare nell’argomento di cui si
occupa l’economia. Ricorrendo all’esempio di Robinson Crusoe, abbiamo
visto che i problemi economici sono innanzitutto quelli dell’utilizzo e¢ ciente
(senza sprechi) di risorse scarse quando queste sono suscettibili di impieghi
alternativi. Vedremo che i soggetti economici (razionali ed egoisti) prendono
decisioni in merito a tale utilizzo sulla base delle proprie preferenze, che sono
in grado di ordinare, e dei vincoli che hanno di fronte. Un modo importante
attraverso il quale i soggetti economici interagiscono tra loro è costituito dagli
atti di scambio, che vengono consentiti e regolati dal mercato.
Ma non abbiamo parlato di Smith solo per questo motivo. Il fatto è
che la sua idea della “mano invisibile”ha profondamente in‡uenzato tutto il
pensiero economico successivo. Qualcuno ha scritto che la storia del pensiero
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economico può essere letta come la storia dei tentativi degli economisti di
comprendere come funziona un’economia fondata sul mercato. In questo
quadro, essi si possono suddividere in due grandi raggruppamenti: chi crede, e
cerca di dimostrare, che Smith aveva ragione, ovvero che la “mano invisibile”
è una proprietà dei sistemi economici reali, e chi invece non ne è convinto
a¤atto, e ritiene che nei sistemi economici reali i mercati funzionano peggio
(spesso molto peggio) di quel che pensava Smith.
Giusta o sbagliata che sia, quella della “mano invisibile” è una grande
idea, che percorre come un …l rouge tutta la storia del pensiero economico.
Stabilire se sia giusta o sbagliata, o meglio quanto sia giusta o sbagliata, è
importante. Se hanno ragione (se hanno più ragione) i suoi difensori, allora lo
Stato deve limitarsi a creare le condizioni che garantiscano il funzionamento
del mercato e, per il resto, “lasciar fare” all’autonomia dei singoli, al libero
gioco delle forze dell’economia, perché appunto non si può fare di meglio.
Se invece hanno ragione (più ragione) i suoi critici, allora ci si deve chiedere
come sia possibile intervenire per migliorare le cose: in questo caso lo Stato
deve de…nire una propria politica economica.
Chi ha ragione tra difensori e critici? In realtà, la domanda è mal posta e
va sostituita con la seguente, che è molto più utile: come si fa a stabilire chi
ha ragione? Questo equivale a porre una questione di metodo, a chiederci
come gli economisti studiano un problema economico.