Contrattazione Siglato l`accordo sulla Rappresentanza tra CGIL
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Contrattazione Siglato l`accordo sulla Rappresentanza tra CGIL
La newsletter del Labor Team di EY approfondisce le novità più rilevanti in tema contrattazione collettiva, normativa, giurisprudenza e prassi. In evidenza, a) la sottoscrizione dell’Accordo Interconfederale tra CGIL, CISL, UIL e Cooperative sulla rappresentanza; b) la nuova disciplina delle mansioni dopo la modifica dell’art. 2103 c.c.: novità rilevanti; c) contrattazione nel pubblico impiego: la sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 23 luglio 2015; d) onere della prova sul superamento del limite massimo di contratti a termine stipulabili: Cassazione, sentenza n. 4764 del 10 marzo 2015; e) Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali: comunicazione telematica di “offerta di conciliazione”; f) NASPI: chiarimenti INPS - circolare n. 142 del 29 luglio 2015. Contatti Stefania Radoccia Partner, Milano +39 02 8514802 [email protected] Maria Teresa Iannella Senior Manager, Milano +39 02 8514880 [email protected] Vi auguro una buona lettura e resto, con il mio team, a Vostra disposizione per ogni ulteriore approfondimento. Matteo Pollaroli Senior Manager, Milano +39 02 8514546 [email protected] Stefania Radoccia Partner | Employment Law Department Leader Michele Faioli Contrattazione Professore/Ricercatore Diritto del Lavoro, Università Tor Vergata - Siglato l’accordo sulla Rappresentanza tra CGIL, CISL, UIL e Cooperative Roma Senior Manager, Roma +39 06 85567111 In data 28 luglio 2015 è stato sottoscritto in Roma l’Accordo Interconfederale tra CGIL, CILS, UIL e AGCI, CONFCOOPERATIVE e LEGACOOP. Tale Accordo va ad aggiornare, assorbendolo, il precedente del 18 settembre 2013. L’accordo ha lo scopo di misurare l’effettivo grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie o aderenti al Testo Unico. Ciò avviene conteggiando il numero delle lavoratrici e dei lavoratori iscritti e dei voti riportati da ciascuna organizzazione alle elezioni delle RSU. La percentuale di iscritti ad ogni organizzazione sarà sommata alla percentuale dei voti riportati e poi divisa per due. Il valore così ottenuto indicherà il grado di rappresentatività di [email protected] Cristina Colangelo Senior Manager, Torino +39 01 15165222 [email protected] ciascuna organizzazione in ogni ambito contrattuale. Un valore che servirà a conteggiare quel 5% che dà diritto ad essere ammessi al tavolo contrattuale. Il CCNL sarà considerato valido solo se sottoscritto da chi rappresenta almeno il 50% + 1 dei lavoratori e, successivamente, dagli stessi approvato secondo le modalità stabilite da ciascuna categoria. Di seguito si segnalano i punti salienti dell’Accordo: a) il documento contiene norme per la misurazione, la certificazione e la regolamentazione della rappresentanza nelle aziende. Al negoziato per il CCNL potranno così partecipare le organizzazioni sindacali che abbiano ottenuto una rappresentatività non inferiore al 5%. In assenza di piattaforme unitarie il negoziato si avvierà sulla base della piattaforma presentata dalle sigle sindacali che vantano una rappresentatività complessiva pari almeno al 50% + 1; b) i CCNL sottoscritti da organizzazioni sindacali con questa percentuale di rappresentatività, dopo una consultazione certificata dei lavoratori a maggioranza semplice, saranno efficaci ed esigibili per tutti i lavoratori e le organizzazioni. Si tratta di un’innovazione di grande portata per il sistema contrattuale italiano, che dà certezza applicativa agli accordi contrattuali; c) l’intesa stabilisce alcuni principi per la contrattazione di secondo livello, sia aziendale sia territoriale, definendo le modalità in base a cui potrà derogare o modificare norme del CCNL. Nella fase transitoria questo potrà avvenire, infatti, sia per aderire alle esigenze di specifici contesti produttivi sia per gestire crisi aziendali o investimenti, limitatamente però alle parti dei CCNL che disciplinano aspetti organizzativi (prestazioni lavorative, orari, organizzazione del lavoro) ed a condizione che gli accordi siano sottoscritti con le rappresentanze sindacali presenti in azienda e d’intesa con le organizzazioni sindacali territoriali; d) per la contrattazione territoriale, i contratti approvati da associazioni sindacali che sul territorio vantino una rappresentatività pari al 50% + 1 saranno efficaci per tutto il personale e vincolanti per tutte le organizzazioni sindacali espressione delle confederazioni firmatarie. Questi accordi, per avere effetto, dovranno però essere approvati a maggioranza semplice da una consultazione certificata tra i lavoratori. I contratti aziendali saranno efficaci, invece, se approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU o dalle RSA che raccolgano la maggioranza delle deleghe sindacali a condizione che nessuna delle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo e/o da almeno il 30% dei lavoratori non venga chiesto entro 10 giorni dalla stipula del contratto di svolgere un referendum; e) l’accordo contiene procedure e regole condivise per eventuali successive adesioni da parte di altri soggetti sia sindacali sia datoriali. Tra le compatibilità richieste la rinuncia a contratti collettivi con costi inferiori a quelli sottoscritti dalle parti firmatarie dell’intesa. Giurisprudenza Sulla contrattazione nel pubblico impiego La Corte Costituzionale con sentenza n. 178 del 23 luglio 2015 si è espressa sulla legittimità delle disposizioni con le quali lo Stato cinque anni fa, nel pieno di una crisi economico-finanziaria senza precedenti, ha deciso di sospendere la contrattazione degli aumenti retributivi nel settore pubblico. La decisione era stata presa anche in considerazione del tasso di inflazione bassissimo o nullo (quando non addirittura negativo) e degli aumenti sproporzionati che la contrattazione stessa aveva recato nel settore pubblico, rispetto a quello privato, negli anni precedenti, oltretutto in assenza di qualsiasi evidenza di un aumento di produttività. Nell’affermare l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico, tuttavia, la Corte riafferma anche alcuni principi molto rilevanti. Innanzitutto quello per cui alla contrattazione collettiva spetta non soltanto il compito di stabilire livelli minimi di trattamento, ma anche quello di valorizzare il merito individuale o di gruppo degli impiegati pubblici. In secondo luogo quello per cui lo Stato-datore di lavoro resta comunque obbligato dall’art. 81 Cost., ovviamente anche in sede di negoziazione dei trattamenti con i rappresentanti dei propri dipendenti, al rispetto del pareggio di bilancio, la Corte precisa dunque esplicitamente che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, “disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato”. In altre parole: riapertura delle trattative non significa affatto l’attivazione di un “diritto agli aumenti retributivi”. Onere della prova sul superamento del limite massimo di contratti a termine stipulabili Con sentenza n. 4764 del 10 marzo 2015, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e lavoratori assunti con un contratto a tempo determinato, fissato dalla contrattazione collettiva, è a carico del datore di lavoro, secondo quanto previsto dall’art. 3, Legge del 18 aprile 1962, n. 230, applicabile ratione temporis. La questione riguarda la violazione da parte del datore di lavoro della clausola di contingentamento stabilita dalla contrattazione collettiva, secondo quanto disposto dall’art. 23 l. 28 febbraio 1987, n. 56, vigente all’epoca dei fatti. Tale previsione consentiva l’apposizione del termine al contratto di lavoro nelle ipotesi, ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 1, L. n. 230/1962, individuate dai contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle Firmato l’Accordo di rinnovo del CCNL confederazioni maggiormente rappresentative sul piano Bancari nazionale, nei quali veniva altresì fissato il numero percentuale di lavoratori che potevano essere assunti con In data 14 luglio 2015 è stato sottoscritto a Roma l’Accordo contratto di lavoro a termine rispetto al numero di lavoratori tra ABI e DIRCREDITO-FD, FABI, FIBA-CISL, FISAC-CGIL, SINFUB, UGL CREDITO, UILCA, UNISIN, per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, con scadenza al 31 dicembre 2018. In particolare l’accordo, nelle sue principali articolazioni, prevede: a) Anima sociale e Occupazione - Individuate soluzioni di forte valenza sociale con l’obiettivo di tutelare l’occupazione e favorire l’occupabilità, in particolare dei giovani. Pertanto, è stato definito un significativo incremento del livello retributivo di inserimento professionale; confermate le attuali modalità e misure di finanziamento del Fondo per l’occupazione (Foc) con operatività prorogata a fine 2018; si costituirà, infine, un’apposita “piattaforma” informatica per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro nell’ambito del settore con specifica attenzione alla ricollocazione del personale. b) Inquadramento del personale - Relativamente alla necessità di semplificazione delle norme sul sistema degli inquadramenti viene istituito, tra le Parti, un Cantiere di lavoro per la definizione entro il 2016 di un nuovo schema di classificazione del personale che tenga conto dei mutati assetti tecnici, organizzativi e produttivi delle banche. Le Parti hanno convenuto che lo stesso tema possa riguardare eventuali intese a livello aziendale. c) Trattamento economico - Confermando la volontà di tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni, l’intesa riconosce un incremento medio a regime di 85 euro suddivisi in tre tranches euro 25,00 dall’1/10/2016; euro 30,00 dall’1/10/2017; euro 30,00 dall’1/10/2018. Settore Marittimo: rinnovato il CCNL per il personale marittimo Il 1° luglio 2015 è stato sottoscritto a Roma, presso la sede della Confederazione Italiana Armatori, tra Confitarma, Fedarlinea, Assorimorchiatori, Federimorchiatori e Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, l’accordo per il rinnovo sia della parte normativa che della parte economica dei contratti collettivi di lavoro del settore marittimo, accordo che avrà validità fino al 31 dicembre 2017. Per quanto riguarda gli incrementi retributivi le parti hanno trovato un’intesa con la quale si è cercato da un lato di dare una risposta economica soddisfacente ai lavoratori e dall’altro di rendere sostenibili per le aziende i maggiori oneri contrattuali. L’aumento retributivo, in linea con le intese interconfederali sulla materia, verrà suddiviso in tre tranches. Per la parte normativa gli elementi di maggiore spicco sono la semplificazione e razionalizzazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro per i diversi comparti del settore marittimo. In quest’ottica è stato deciso anche di accorpare i vari CCNL del settore in un Contratto Unico Collettivo Nazionale di lavoro del settore privato dell’industria armatoriale. Approfondimento Normativo impegnati a tempo indeterminato. Nella propria decisione, la Corte si sofferma sul riparto dell’onere della prova circa il rispetto della suddetta percentuale. La questione del rispetto della percentuale massima di contratti a termine stipulabili dal datore di lavoro diviene centrale nel nuovo assetto della materia, fuoriuscito dal Decreto Poletti (d.l. 20 marzo 2014, n. 34, convertito con Legge del 16 maggio 2015, n. 78) e sostanzialmente recepito nel Codice dei contratti varato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri l’11 giugno scorso (d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, in G.U. del 24 giugno 2015 n. 144, SO 34). Per quanto concerne il riparto dell’onere della prova della legittimità del termine apposto al contratto, si deve ritenere che esso continui a ricadere sul datore di lavoro in applicazione della regola generale di cui all’art. 2697 c.c., e ciò sia con riguardo al superamento della durata massima dei trentasei mesi, sia con riguardo al superamento della percentuale massima di lavoratori assunti a tempo determinato, in quanto entrambi si configurano quali elementi essenziali della fattispecie. Enti pubblici: è ammessa la ripetizione dell’indebito? La Corte d’Appello dell’Aquila ha stabilito, con sentenza n. 682 del 4 giugno 2015, che - in materia di rapporto di lavoro in regime di diritto privato alle dipendenze di enti pubblici nel caso di domanda di ripetizione dell'indebito proposta dall'amministrazione nei confronti di un proprio dipendente in relazione a somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l'erogazione sia avvenuta sine titulo, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa per la buona fede dell'accipiens che, ai sensi dell'art. 2033 c.c., sotto il profilo soggettivo riguarda soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi: non contrasta con il principio di buona fede e di tutela del ragionevole affidamento la ripetizione dell’indebito da parte della ASL, fondata sull’art. 47 quarto comma CCNL 1998/2001, in virtù del quale ai dirigenti medici a rapporto di lavoro non esclusivo, in regime extra moenia, non spetta la retribuzione di risultato (cioè collegata alla realizzazione di specifici obiettivi e/o livelli di prestazione). Tribunale di Milano: ripetitività della malattia e licenziamento per scarso rendimento Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1341 del 19 gennaio 2015, riprendendo la sentenza della Corte di Cassazione n. 18678/2014, ha riconosciuto la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media SPECIAL FOCUS - La nuova disciplina delle mansioni dopo la modifica dell’art. 2103 c.c.: novità rilevanti In via preliminare, si segnala che a fronte di un intervento così pregnante ed incidente sulla “mobilità” professionale all’interno dell’azienda, il Labor Team di EY sta realizzando una serie di progetti di riclassificazione del personale, anche tramite contrattazione aziendale. Nel decreto legislativo 81/2015 si prevede (art. 3) una totale riscrittura dell’articolo 2013 del codice civile. Le novità sono molte, ma tre in particolare vanno segnalate: viene abbandonato il criterio dell’equivalenza professionale come limite al mutamento delle mansioni e sostituito da una tutela della professionalità intesa in senso più generico, come appartenenza ad un determinato livello di inquadramento; viene disciplinata l’adibizione a mansioni inferiori; si comincia a parlare di formazione. L’abbandono del criterio dell’equivalenza sembra implicare, sul piano formale, un ampliamento dell’area della flessibilità del lavoratore. Tutte le mansioni del livello di inquadramento risultano in teoria esigibili. Il bene tutelato non è più la professionalità del lavoratore intesa nel senso elaborato dalla giurisprudenza tradizionale, bensì la “posizione” da lui occupata in azienda in ragione della categoria di inquadramento alla quale appartiene. In verità l’innovazione si lascia apprezzare sotto molteplici profili. In buona sostanza, si realizza una semplificazione della gestione aziendale, perché si crea un quadro idoneo a conferire maggiore certezza alle decisioni assunte dal datore di lavoro. Altresì, si restituisce un ruolo decisivo all’autonomia collettiva essendo innegabile che la soppressione del generico dato dell’equivalenza – che si prestava ad essere governato esclusivamente attraverso la mediazione giudiziaria – implica una restituzione di un ruolo decisivo all’autonomia collettiva. Va da sé che questa disposizione spingerà la contrattazione collettiva ad elaborare – anche nell’interesse delle aziende ad una ordinata gestione - nuovi tipi di inquadramento ed una disciplina della mobilità all’interno degli stessi, con attenzione anche alle connesse dinamiche retributive nonché agli inevitabili interventi formativi. L’esplicita previsione della possibilità dello spostamento a mansioni inferiori rappresenta un’altra eclatante novità, che sembra ripercorrere, con qualche forzatura, tracciati già realisticamente inaugurati dalla giurisprudenza. La norma opera una distinzione tra due tipi di spostamento: uno spostamento operato unilateralmente dal datore di lavoro ed uno deciso consensualmente. Il primo (lo spostamento unilaterale) viene previsto in due punti: nel comma 2 (dove viene giustificato da una “modifica degli assetti organizzativi che incide sulla posizione del lavoratore”) e nel comma 4 (che parla di “ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore” previste dalla contrattazione collettiva). In considerazione della particolare delicatezza di questo provvedimento, si è previsto che lo spostamento debba essere disposto in forma scritta, a di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione. Nel caso in oggetto il licenziamento non è pertanto meramente fondato sulla durata dei periodi di malattia fruiti da lavoratore ma sullo scarso rendimento della prestazione da lui resa in rapporto alla compagine organizzativa resistente. Va del resto rilevato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ex. art. 3 L.n.604/1966, può essere intimato, per costante giurisprudenza, per fatti relativi “all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa” concernenti, fra le varie ipotesi, anche fatti attinenti la sfera del lavoratore rilevanti sul contesto aziendale, come contestato nel caso di specie in cui i periodi di malattia goduti dal ricorrente – e le conseguenti assenze e relative modalità di comunicazione - avrebbero gravemente inciso, a detta del datore di lavoro, sul contesto e sull’organizzazione aziendale resistente. “La c.d. eccessiva morbilità, dovuta a reiterate assenze per malattia, integra gli estremi dello scarso rendimento quando la prestazione di lavoro non è più utile al datore di lavoro. In tal caso, il fatto del lavoratore – indipendentemente dalla sua colpevolezza – è oggettivamente idoneo a provocare la risoluzione del rapporto” (v. Cass. n. 10286/1996). Corte di Giustizia UE, Sez. V, sentenza 13 maggio 2015, C-392/13 La Corte, richiamando espressamente alcuni propri precedenti giurisprudenziali in merito all’interpretazione di “stabilimento”, osserva che il rapporto di lavoro si caratterizza per il vincolo esistente tra il lavoratore e il segmento aziendale nel quale esplica in concreto le sue mansioni, di talché la nozione di “stabilimento”, contenuta nell’art. 1, par. 1, co. 1, lett. a), deve essere intesa nel senso di identificare la porzione aziendale nella quale i lavoratori coinvolti dal licenziamento esercitano i loro compiti. La Corte ritiene poi, in riferimento al quesito se debbano essere computate anche le cessazioni individuali dei rapporti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato nella soglia per l’applicazione delle regole sui licenziamenti collettivi, che sussistono delle disposizioni specifiche per realizzare il controllo suesposto e che comunque risulta chiaramente dal tenore dell’art. 1, par. 2, lett. a), Direttiva 98/59/CE, che non si deve tener conto delle cessazioni individuali dei contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato qualora la cessazione avvenga alla scadenza del contratto o alla data di espletamento di tale compito. Prassi Ministero del Lavoro: operatività della comunicazione telematica di “offerta di conciliazione” Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la nota pena di nullità. Inoltre si è disposto che lo spostamento peggiorativo disposto unilateralmente, da un lato, subisca lo stesso limite posto allo spostamento orizzontale (cioè è possibile solo verso mansioni appartenenti alla medesima categoria legale) e, dall’altro lato, debba comportare la conservazione dell’inquadramento superiore e della relativa retribuzione. Il secondo tipo di spostamento (lo spostamento concordato) è disciplinato nel comma 6, dove si parla della possibilità di accordi fatti “nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita”. In questo caso le parti sono libere di ridefinire le mansioni ed il relativo trattamento corrispettivo; l’unico limite è rappresentato dal fatto che l’accordo deve essere raggiunto “nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione di cui all’articolo 76 del decreto legislativo n. 10 settembre 2003, n. 276”. Il principale nodo problematico pare essere rappresentato dalla difficoltà di distinguere tra i presupposti dei due tipi di spostamento; in particolare tra quello che sembra configurare uno jus variandi in peius in capo al datore di lavoro e quello operato su base di accordo per soddisfare l’esigenza del lavoratore a conservare l’occupazione. La difficoltà discende dal fatto che le formule utilizzate sembrano non fare i conti esplicitamente con la giurisprudenza che, nella logica della tutela della stabilità, considera doveroso – in alternativa al licenziamento – lo spostamento verso posti che siano considerabili liberi, anche inferiori (in mancanza di posti equivalenti). Diventa cruciale comprendere con precisione in cosa precisamente consista la modifica degli assetti organizzativi aziendali che giustifica l’esercizio di uno ius variandi in peius. Significativo è, poi, che il legislatore contempli l’istituto della formazione. Ben si comprende che la formazione venga tirata in ballo nel caso in cui l’adibizione venga disposta a mansioni – appartenenti allo stesso livello di inquadramento ovvero a quello inferiore – per il cui svolgimento non è sufficiente il bagaglio “professionale” posseduto dal lavoratore. Nonostante lo sforzo legislativo, ciò che non è chiaro è come si strutturi questa materia nella disciplina del rapporto di lavoro in quanto la disposizione si limita a richiamare la formazione come oggetto di un obbligo, ma non dice chi sia precisamente il portatore di quest’obbligo, aggravando l’enigma con la previsione secondo la quale “il mancato adempimento dell’obbligo non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione alle nuove mansioni”. Un ulteriore elemento di novità riguarda lo spostamento verso mansioni superiori (comma 7). Viene seguita la traccia del vecchio articolo 13 apportandovi tre modifiche ed estendendo la disciplina anche alla categoria dei quadri per i quali esisteva una apposita disciplina di questo profilo. Si è cambiata la formula che delineava la fattispecie produttiva dell’effetto della definitività dell’assegnazione alle mansioni superiori e, quindi, della promozione automatica (la promozione scattava quando l’assegnazione non fosse stata fatta in sostituzione di un lavoratore assente “con diritto alla conservazione del posto”, quindi in quei casi – ad esempio, malattia, infortunio in cui la disciplina del rapporto di lavoro avesse contemplato un limite al potere di licenziamento). Ora si è ristretta la prot. n. 3845 del 22 luglio 2015, integra la nota prot. n. 2788 del 27 maggio 2015, al fine di rendere pienamente operativa la comunicazione telematica dell’offerta di conciliazione, prevista dall’articolo 6 del Decreto Legislativo n. 23/2015 in caso di licenziamento comminato ad un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato a Tutele Crescenti. La comunicazione è dovuta solo nei casi in cui il datore di lavoro propone la conciliazione al lavoratore; anche dalle agenzie per il lavoro nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro; non va effettuata quando il rapporto di lavoro si risolve durante il periodo di prova. Inoltre, si precisa che i datori di lavoro possono effettuare tale comunicazione direttamente o per il tramite dei soggetti abilitati così individuati dalla normativa vigente. Tra questi i consulenti del lavoro, gli avvocati, i dottori commercialisti, i ragionieri e periti commerciali, sempre secondo quanto previsto dalle norme citate alla lettera precedente. Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi): chiarimenti INPS In merito alla nuova indennità di disoccupazione Naspi, sono stati forniti chiarimenti di carattere amministrativo e operativo, con la circolare INPS n. 142 del 29 luglio 2015, su aspetti specifici non disciplinati dalla precedente circolare 94. Per quanto riguarda il licenziamento con accettazione dell'offerta di conciliazione e il licenziamento disciplinare si precisa che sono da intendersi quali ipotesi di disoccupazione involontaria e pertanto ai lavoratori licenziati che rientrano in queste ipotesi è riconosciuta l’indennità Naspi. Nella circolare 142 sono contenute, inoltre, istruzioni utili sul procedimento di calcolo della durata della prestazione, sulla sua compatibilità con lo svolgimento di lavoro accessorio, di lavoro intermittente, di lavoro all’estero e con l’espletamento di cariche pubbliche elettive e non elettive. fattispecie, prevedendo che la promozione non possa scattare quando l’assegnazione delle mansioni superiori sia avvenuta “per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio”. Pur continuandosi ad affidare all’autonomia collettiva il compito di fissare il termine decorso il quale si produce la promozione, questa volta il rinvio è libero e – seguendo il modello già adottato nella disciplina dei criteri di scelta dei lavoratori nelle riduzioni di personale - la legge si limita a contemplare solo in via suppletiva il limite, elevato a sei mesi. Nella fattispecie produttiva dell’effetto promozione si è inserito un nuovo elemento: il lavoratore non deve aver espresso una volontà contraria. Quindi si è reso compromettibile a livello individuale il diritto alla promozione. 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