Untitled - Rizzoli Libri

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ANNE ENRIGHT
LA STRADA VERDE
Traduzione di Alessandro Achilli
ROMANZO
BOMPIANI
Enright, AnnE, The Green Road
Copyright © 2016 by Anne Enright
First published in 2015 by Jonathan Cape, an imprint of Vintage,
20 Vauxhall Bridge Road, London SV1V 2SA, UK
© 2016 Bompiani / Rizzoli Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-452-8219-5
Prima edizione Bompiani settembre 2016
A Nicky Grene
PARTE PRIMA
PARTIRE
HANNA
Ardeevin, contea di Clare
1980
Più tardi, dopo che Hanna ebbe preparato un po’ di pane
tostato con formaggio fuso, sua madre la raggiunse in cucina
e riempì una borsa d’acqua calda dal grande bollitore sui fornelli.
“Fammi un favore: vammi a prendere un po’ di Solpadeine
da tuo zio,” disse.
“Sicura?”
“Ho la testa come un pallone. E chiedi a tuo zio di darti anche l’amoxicillina: vuoi sapere come si scrive? Mi sta venendo
la tosse.”
“Va bene,” ribatté Hanna.
“Tu provaci comunque,” insisté la madre gentilmente, portando al petto la borsa d’acqua calda. “D’accordo?”
I Madigan abitavano in una grande casa con un fiumiciattolo nel giardino e il nome sul cancello: Ardeevin. Ci si poteva
arrivare a piedi, oltrepassando il ponte ad arco e la stazione di
servizio ed entrando in paese.
Hanna superò i due distributori di carburante che facevano
la guardia sul piazzale, con le grandi porte aperte dell’autori9
messa e Pat Doran dentro da qualche parte a leggere l’almanacco o sdraiato nella fossa di riparazione sotto una macchina.
Vicino all’insegna CAstrol c’era un fusto da cui spuntavano
rami secchi che Pat Doran aveva rivestito con un paio di vecchi
pantaloni e di scarpe, in modo che sembrassero le gambe di un
uomo che si agitavano nell’aria in preda al panico dopo che era
caduto nel barile. Era molto realistico. La mamma diceva che
era troppo vicino al ponte e che avrebbe potuto provocare un
incidente, ma a Hanna piaceva. E le era anche simpatico Pat
Doran, che pure avevano l’ordine di evitare. Li scarrozzava in
auto a tutta velocità sul ponte e giù dall’altra parte.
Dopo la stazione di servizio di Doran c’era una fila di villette a schiera, ogni finestra delle quali aveva una propria versione di tendine o veneziane e i propri ornamenti: una barca
a vela di corno lucidato, una zuppiera color crema con fiori
artificiali, un gatto di plastica feltrata rosa. A Hanna, passando
di lì, piaceva guardarli e vedere il modo in cui si susseguivano in un ordine sempre identico. All’angolo della Main Street
c’era l’ambulatorio, nel cui atrio si trovava un’immagine fatta
di chiodi e fil di ferro. La forma si avvolgeva più volte su se
stessa e Hanna amava quel suo sembrare in movimento pur
essendo ferma: lo trovava molto scientifico. Più avanti c’erano le botteghe: il negozio di tessuti, con una grande vetrina
foderata di cellofan giallo; la macelleria, con i vassoi di carne
circondati da erba di plastica insanguinata; e, dopo il macellaio, la farmacia dello zio, che era stata del nonno prima di lui:
la Considine’s Medical Hall.
Lungo il margine superiore della vetrina era fissata una
striscia di plastica con la scritta kodAChrome Colour film; nel
mezzo, KODAK FILM in maiuscolo; e sul lato opposto era ripetuto kodAChrome Colour film. In vetrina c’era un pannello
color crema con piccole mensole su cui erano poggiate scatole
di cartone sbiadite dal sole. Il rimedio ideale per il bambino
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costipato, proclamava un’insegna in accattivanti caratteri rossi:
senokot, la scelta migliore per la costipazione.
Hanna spinse la porta, facendo suonare un campanello. Si
fermò e alzò lo sguardo per osservarlo: la spira di metallo era
piena di quella polvere che invece il campanello ogni ora si
scuoteva di dosso molte volte.
“Entra,” disse lo zio Bart. “Entra o esci.”
E Hanna entrò. Bart si trovava a proprio agio tra i clienti,
mentre una donna in camice bianco andava su e giù tra gli scaffali, ai quali Hanna non poteva mai avvicinarsi. Un tempo sua
sorella Constance stava alla cassa ma poi aveva trovato lavoro
a Dublino, lasciando un posto vacante: di lì la forte irritazione
nell’occhiata che lo zio lanciò a Hanna.
“Cosa vuole?” domandò.
“Ehm. Non mi ricordo,” rispose Hanna. “La tosse. E il Solpadeine.”
Bart ammiccò. Era una di quelle persone che riescono a fare
l’occhiolino senza muovere il resto della faccia. Un’autentica
rarità.
“Prendi una caramella per la gola.”
“Posso?” rispose Hanna. Acchiappò una scatolina metallica
di Parma Violets davanti al registratore di cassa e si sistemò su
una sedia piena di ricette.
“Solpadeine,” disse lui.
Lo zio Bart era di bell’aspetto come la mamma: avevano il fisico longilineo dei Considine. Quando Hanna era piccola, Bart
era uno scapolo rubacuori ma adesso aveva una moglie, che
non metteva mai piede in farmacia. E ne era fiero, a quanto diceva Constance. Perciò stipendiava commesse e assistenti mentre sua moglie era bandita dall’edificio per non rischiare che
le venisse da ridere di fronte alla stitichezza del parroco. Bart
aveva una moglie perfettamente inutile, senza figli e con bellissime scarpe dei colori più vari, a ciascuna delle quali era into11
nata una borsetta. Dal modo in cui guardava la moglie, Hanna
pensava che Bart potesse odiarla, ma sua sorella Constance le
aveva detto che quella prendeva la pillola, visto che potevano
disporne. E aveva aggiunto che lo facevano due volte a notte.
“A casa tutti bene?” Bart aprì una confezione di Solpadeine
e ne estrasse il contenuto.
“Sì, bene,” rispose lei.
Lo zio picchiettò sul bancone cercando qualcosa e chiese:
“Hai tu le forbici, Mary?”
In mezzo alla farmacia c’era un nuovo espositore di profumi, sciampi e balsami. Sulle mensole più in basso c’erano altre
cose e Hanna le stava osservando quando lo zio uscì dal retrobottega con le forbici. Ma Bart non finse di accorgersene: non
ammiccò neppure.
Tagliò a metà il blister.
“Dalle queste,” disse passandole il mezzo blister, che conteneva quattro pastiglie. “E consigliale di aspettare che arrivi
la tosse.”
Era una battuta, più o meno.
“Va bene.”
Hanna sapeva che a quel punto avrebbe dovuto andare ma
era distratta dalle nuove scansie. C’erano boccette di 4711 e
prodotti da bagno Imperial Leather in scatole di cartone color
crema e bordeaux. C’erano un paio di boccette di Tweed e
vari altri profumi che le erano del tutto nuovi. Tramp, recitava
un’etichetta, con un baffo spesso a mo’ di taglio della T. Sulla
mensola mediana c’erano sciampi che non tiravano in ballo la
forfora ma i raggi del sole e i capelli fluenti: Silvikrin, Sunsilk,
Clairol Herbal Essences. Sulla mensola inferiore c’erano confezioni di plastica gonfie che Hanna non sapeva identificare;
pensò che si trattasse di cotone idrofilo. Sollevò un flacone più
o meno rettangolare di Cachet di Prince Matchabelli e annusò
il punto in cui il tappo incontrava il freddo vetro.
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Si sentiva addosso gli occhi dello zio e in essi c’era qualcosa
che somigliava alla compassione. O alla gioia.
“Bart,” gli domandò. “Secondo te la mammina sta bene?”
“Santo cielo,” rispose lui. “Cosa ti viene in mente?”
La mamma di Hanna si era messa a letto. Da un paio di settimane, ormai. Dalla domenica prima di Pasqua non si vestiva
né si sistemava i capelli, ossia da quando Dan aveva annunciato
l’intenzione di farsi prete.
Dan frequentava il primo anno di università a Galway. Aveva detto che l’avrebbero lasciato arrivare fino alla laurea in
seminario. Quindi nel giro di due anni avrebbe terminato gli
studi ordinari, dopo altri cinque sarebbe diventato prete e poi
sarebbe partito per le missioni. Era già deciso tutto. Aveva dato
la notizia quando era venuto a casa per le vacanze di Pasqua; la
madre era salita in camera sua e non era più scesa. Sosteneva di
avere un dolore al gomito. Dan aveva detto che avrebbe preparato un bagaglio leggero e se ne sarebbe andato.
“Va’ a far compere,” aveva suggerito il padre a Hanna. Ma
non le aveva dato soldi e non c’era nulla che lei volesse comprare. Per di più temeva che se si fosse allontanata sarebbe
successo qualcosa, che avrebbero urlato. E che Dan non sarebbe stato lì al suo ritorno e che non ne avrebbero mai più
pronunciato il nome.
Ma Dan non era uscito, neppure per una passeggiata. Gironzolava tra le stanze, sedendosi ora qui e ora là, evitando la
cucina, accettando o rifiutando l’offerta di un tè. Hanna portava la tazza nella stanza di Dan, e un piattino con qualcosa
da mangiare sistemato ordinatamente sopra: un panino al prosciutto o una fetta di torta. A volte lui assaggiava appena il cibo
e Hanna lo finiva mentre lo riportava in cucina, e il vago sentore di raffermo del pane la faceva sentire ancora più affezionata
al fratello nel suo isolamento.
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