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Via@ - rivista internazionale interdisciplinare de turismo
L’infimo culturale e l'immaginario turistico - L'aneddoto nelle
guide di viaggio
Hécate Vergopoulos
«A
importante della mediazione, e riesce a plasmare
enormemente gli immaginari turistici. A partire dal
modo in cui questo peculiare oggetto del discorso si
manifesta in uno di questi tipi di mediazioni
turistiche, ovvero nelle guide stampate, questo
articolo si propone di elaborare alcune piste di
comprensione e di interpretazione legate a questi
piccoli oggetti culturali che definiscono, di gran
lunga, il regime dell'infimo turistico. Lo sguardo che
rivolgiamo all'aneddoto è soprattutto semiologico e
comunicativo nel senso che si cerca di mettere in
rilievo il gioco dei valori e delle rappresentazioni –
l'immaginario – che accompagna la mediazione
degli oggetti dell'infimo attraverso l'analisi delle
loro manifestazioni scritturali.
parte i suoi cortei selvaggi, luoghi di
eiaculazione morale, la Spagna della Guide Bleu,
come faceva notare Roland Barthes, non conosce
che uno spazio, una fitta trama, attraverso qualche
vuoto considerevole, di un susseguirsi di chiese, di
sacrestie, di retabli, di croci scolpite, (la Famiglia e il
Lavoro), di ritratti romani, di navate e di crocefissi di
grandezza naturale (1957, p. 123). Il semiologo
metteva allora in rilievo il fatto che la cultura,
rappresentata attraverso il dispositivo della
mediazione, sembrava definirsi come una somma di
oggetti monumentali, o ancora come «un corpus di
opere», per riprendere l'espressione di Jean Claude
Passeron (1991). Dieci anni più tardi, Jules Gritti,
studiava in modo recidivo una guida della stessa
collana per analizzare a fondo la logica imperativa
del «dover vedere» (1967), avendo come corollario
ciò che si potrebbe chiamare un «dover sapere».
Ancora una volta, l'autore sottolineava che la
cultura turistica, quale si manifesta attraverso il
dispositivo della mediazione, si organizza in
particolar modo attorno ai suoi imprescindibili.
Gli aneddoti qui studiati sono stati prelevati da un
corpus di guide di viaggio selezionate per la loro
diversità editoriale1. Sono stati presi in
considerazione secondo il criterio della loro
struttura: ci interesseremo quindi in modo
particolare all'aneddoto preso nella sua forma
linguistica e non iconica, come l'ha fatto, per
esempio, Christian Moncelet nel suo studio
sull'aneddoto fotografico (1990). Cominceremo, in
un primo momento, a presentare ciò che gli
aneddoti dei dispositivi di mediazione possiedono di
specifico rispetto agli aneddoti turistici in generale.
Ci soffermeremo in particolare sul rapporto con
l'autenticità che essi cercano di istituire. In un
secondo tempo, ragioneremo sul modo in cui questi
oggetti discorsivi vengono qualificati, dai dispositivi
stessi, come degli oggetti insignificanti o inessenziali
dal punto di vista socioculturale. Per ultimo,
cercheremo di comprendere con esattezza questa
ambiguità
apparente
dell'aneddoto,
preso
contemporaneamente dal gioco dell'autentico e da
quello dell'inessenziale. Cercheremo in questo
modo di identificare quali siano le problematiche di
questa ricostruzione della «verità» delle culture
attraverso l'insignificanza dei dettagli aneddotici.
La cultura turistica, nonostante tutto, non si
costruisce solo ed esclusivamente attorno a questi
oggetti che «meritano la sosta» oppure a quelli che
bisogna «assolutamente vedere». Si gioca anche su
una somma di oggetti infimi che si
contraddistinguono per la loro insignificanza
socioculturale. Il turismo prende allora un volto
singolare, quello della mediazione e della pratica di
questi piccoli oggetti che non sembrano godere
della stessa aura delle opere monumentali, e che
valgono precisamente per quello che sono. Questo
è almeno ciò che l'articolo auspica di mettere in
luce a partire da un tipo peculiare di oggetto infimo:
l'aneddoto.
Quest'ultimo è ricorrentemente presente in una
miriade di dispositivi della mediazione turistica.
Scritto nei testi delle guide stampate, evocato
succintamente dalle guide turistiche, o dissimulato
nei cartelli espositivi, esso sembra passare
inosservato mentre in realtà occupa una parte
L'aneddoto e l'autenticità
L'aneddoto è una forma discorsiva di carattere
narrativo che si contraddistingue, il più delle volte,
per la sua brevità (Huglo, 1997). Una delle sue
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verrà raccontato, costituisce quello che possiamo
definire gli «aneddoti ricordo» o
«aneddoti
testimoniali», ovvero dei racconti scritti in prima
persona singolare – o plurale – che narrano uno o
più episodi di un viaggio personale. In altri termini,
l'aneddoto rinvia in questo contesto alla sfera del
ricordo e possiede alcune regole della scrittura
autobiografica. Nel condividere le loro esperienze di
viaggio, i viaggiatori sono invitati a prendere la
parola per (rap-)presentarsi agli occhi di un
eventuale lettore: essi si raccontano nel raccontare
le loro peripezie.
specificità, quando circola nel mondo del turismo, è
che appare come un oggetto desiderato. Croccante
o piccante, si intrufola nelle orecchie di coloro che
partono o danza sotto i loro occhi; è saporito,
bramato e, difatti, molto spesso portato a casa
come un ricordo. Il caso è che rappresenta
contemporaneamente un modo di fare viaggio per i
turisti che raccontano sé stessi tramite gli aneddoti
e un modo di fare cultura per gli attori della
mediazione turistica. Così, quando si parla di un
aneddoto turistico, è conveniente distinguere, da
una parte, l'aneddoto desiderato dai turisti (sotto
forma di un ricordo di viaggio) e, dall'altra,
l'aneddoto desiderato dai dispositivi turistici (che
prende forma all'interno dell'esercizio della
mediazione). Nelle righe che seguono, ci
proporremo di precisare questa distinzione al fine di
dimostrare che questo desiderio di aneddoto,
quando prende forma attraverso la mediazione,
mette in discussione la «profondità» dello sguardo
turistico (Urbain, 2002 [1991]) che permetterebbe
di accedere «all'autenticità» delle culture visitate
(MacCannell, 1999 [1976]).
Questi aneddoti testimoniali non sono i soli,
comunque, ad essere desiderati dal mondo del
turismo. Ne esistono di un secondo genere. Ciò che
li caratterizza, è che prendono corpo nel cuore
stesso dell'esercizio della mediazione turistica. In
altri termini, non dicono nulla di un viaggio già
effettuato, ma anticipano il viaggio, invitano alla
partenza o arricchiscono l'esperienza in corso. Così,
in Le Guide du Routard della Scozia, possiamo
leggere a proposito della visita, a Edimburgo, dello
yacht reale Britannia: «Una volta imbarcati, da
vedere: gli appartamenti reali, ma anche la sala
macchine, i quartieri dell'equipaggio, la camera
dell'Ammiraglio (dal momento che il capitano
veniva sempre scelto fra gli ammiragli della Royal
Navy)… il tutto abbellito da commenti e aneddoti
storici! Dai, uno piccolo per il piacere: la regina non
si spostava mai senza le sue cinque tonnellate di
bagagli! (Gloaguen, 2008, p. 127). O ancora, in Le
Petit Futé di New York, a proposito del Lower East
Side Tenement Museum, viene precisato che «la
visita guidata […] è punteggiata dagli aneddoti e dal
racconto accattivante di questi immigrati» (Auzias &
Labourdette, 2005 p. 274). In definitiva, un esperto
della mediazione turistica (Le Guide du Routard
oppure Le Petit Futé) valorizza in questo contesto il
fatto che un attore turistico (il mediatore del yatch
royal o il Lower East Side Tenement Museum)
abbia scelto di includere numerosi aneddoti alla
mediazione che lui stesso propone.
L'aneddoto ricordo e l'aneddoto mediazionale
Se diciamo che l'aneddoto è desiderato dal mondo
del turismo in genere, è perché troviamo, in una
grande varietà di dispositivi turistici, dei richiami
alla narrazione di aneddoti. I blog ne sono pieni,
come lo dimostra quello di una viaggiatrice, Miss
Potin, la quale non esita, ovviamente dopo essersi
dedicata lei stessa a farlo, a chiedere ai suoi lettori
di condividere i loro racconti aneddotici2 oppure il
blog Un jour, un voyage, che incita i suoi lettori a
scrivere dei «biglietti» nei post per raccontare i loro
aneddoti di viaggio, siano essi immaginari,
coinvolgenti, divertenti, poetici, infantili o lirici3.
Ma i blog non sono i soli ad avere la prerogativa del
desiderio di aneddoti. Le case editrici sembrano,
anch'esse, essere sensibili a questo genere di forma
narrativa. Infatti, Publibook propone agli eventuali
scrittori-viaggiatori dilettanti di prendere la penna
per raccontare i loro viaggi mettendo l'accento
soprattutto sugli eventuali aneddoti che essi
intendano condividere: «Siete appena tornati dal
viaggio, la testa ancora piena d'immagini e il libro di
bordo ricolmo di appunti, di impressioni, di
aneddoti, di testimonianze. Nutrite il desiderio di
prolungare il sogno, di fissarlo nero su bianco? […]
Publibook si offre di prendersi cura del vostro
manoscritto» (Auzias & Labourdette, 2007, p. 316).
Questo tipo di aneddoti chiaramente non
appartiene al mondo del ricordo personale, bensì a
quello dei processi di mediazione. A partire da ora ,
lo distingueremo dall'aneddoto testimoniale
qualificandolo come mediazionale o storico. Si
contraddistingue dal fatto che sembri potere
apportare un plus valore alla mediazione turistica
nel senso che sarebbe in possesso di un certo valore
turistico e/o più generalmente culturale. Appare
così come una sorta di garanzia di buona qualità
della mediazione. Questo ci spiega perché tanto Le
Guide du Routard che Le Petit Futé lo mettano in
Che sia tramite i blog o tramite la casa editrice
menzionati prima, ciò che è desiderato e ciò che
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pubblicare (questi racconti) durante la vita degli
autori dei fatti. Non potrei sottrarmi allo spionaggio
che si farebbe a grande scala attorno a me; e nel
caso in cui fossi scoperto, non potrei sottrarmi alla
morte più atroce. Non sarebbe nemmeno possibile
far affidamento alla discrezione dei parenti più
stretti. » (Procopio, 1856, p. 3-5).
rilievo quando partecipi all'esercizio di mediazione
di un'attrazione o di un luogo turistico.
Questo dimostra inoltre che alle guide stesse piace
far sapere che ricorrono abbondantemente agli
aneddoti, come lo illustra la guida de La
Bibliothèque du voyageur che, presentando il suo
percorso del «gran tour degli Stati Uniti», precisa:
«La guida descrive la storia di ciascuna regione
visitata, fornisce delle indicazioni per potervisi
recare, dà spazio agli aneddoti comici, dipinge un
ritratto degli abitanti, sottolinea le curiosità al
riparo dei sentieri battuti e, nel momento in cui sia
necessario, non esita a denunciare la volgarità di
certe attrazioni turistiche.» (Collectif, 2001, p. 13).
Sembra quindi che l'aneddoto crei valore e diventi
un autentico argomento di vendita nel senso che
apporterebbe un'informazione specifica e diversa
da quelle fornite dalla storia, dai ritratti o dalle
informazioni pratiche.
Gli aneddoti sono quindi, fin dalle loro origini, dei
racconti che evocano un universo di storie segrete e
sotterranee che si opporrebbe, il più delle volte, a
quello della grande Storia. È anche quanto ci
conferma uno degli eredi di Procopio di Cesarea,
Antoine Varillas quando scrive: «Lo storico
considera quasi sempre gli uomini in pubblico;
mentre invece lo scrittore di aneddoti li esamina
solo nel privato. Gli uni credono di compiere il
proprio dovere, nel momento in cui li dipingono
come erano nell'esercito, o nei tumulti delle città; e
gli altri cercano a tutti i costi di farsi aprire la porta
del loro Studio. Gli uni li vedono in cerimonia, e gli
altri in conversazione; gli uni si attaccano
principalmente alle loro azioni, e gli altri vogliono
essere testimoni della loro vita interiore, e assistere
alle ore più private dei loro svaghi. In poche parole,
gli uni hanno per oggetto solo il comando e
l'autorità, e gli altri costruiscono la propria fortuna
attraverso quello che succede in segreto e in
solitudine. (Varillas, 1689 [1685], p. 4).
In definitiva, possiamo distinguere due tipi di
aneddoti: quelli che adottano lo stile della
testimonianza e quelli che hanno luogo
nell'esercizio della mediazione. I primi sono stati
oggetto di numerose ricerche, condotte per
esempio da Marie-Christine Gomez-Géraud e
Philippe Antoine (2001), da Alain Montandon (1990)
o ancora da Dominique Jullien (1993) mentre invece
i secondi non hanno saputo fare altrettanto per
attirare l'attenzione. Nelle righe che seguono,
renderemo loro infine giustizia, cercando di capire
più precisamente che tipo di informazioni e di valori
gli aneddoti storici o mediazionali portino con sé.
Gli aneddoti portano, dunque, con sé, una sorta di
potenzialità: se i fatti di cui riferiscono sono restati
nascosti fino ad ora, è probabile che non siano
conformi alle norme; hanno dunque un carattere di
estraneità, di mistero e/o di segreto e che, in
questo senso, meritano il nostro interesse (Hadjadj,
1990, p. 10). In modo generale, gli aneddoti hanno
un certo gusto culturale proprio perché si
oppongono al sapere istituzionale. Difatti, quando
vengono mobilitati dal dispositivo della mediazione,
possiamo dire che procedono e partecipano al
regime dell'autenticità turistica (MacCannell, 1999
[1978]), non solo nel senso in cui accertano degli
avvenimenti, ma nel senso in cui , aprendo le porte
a un «turismo della profondità» (Urbain, 2002
[1991]), lasciano intravedere una sorta di strato più
intimo delle culture: quello che concerne la vita
privata dei personaggi e dei luoghi, la loro verità in
quanto uomini o in quanto spazi, che si sottrae al
regime pubblico ed ufficializzato del sapere
istituzionalizzato.
L'aneddoto storico e l'autenticità
È da notare in primo luogo che ogni aneddoto
sembri ricollegarsi a tutti gli aneddoti primordiali
dei quali la storia abbia conservato traccia. È a
Procopio di Cesarea, biografo e storico
dell'imperatore Giustiniano, al quale dobbiamo la
formazione di questo termine nel VI secolo d. C.
Proviene dal greco ekdotos, aggettivo verbale che
deriva da ekdidomai, «produrre all'esterno,
pubblicare» (Rey, 1992, p. 74) a cui è stato aggiunto
una a- privativa seguita da una n di congiunzione. In
sostanza, anekdote significa, in primo luogo, ciò che
non è stato pubblicato; ovvero «inedito». Questo
termine, è stato utilizzato da Procopio di Cesarea
per designare un testo che lui non era intenzionato
a pubblicare se non dopo la morte dell'Imperatore e
di sua moglie, Teodora. Nel testo in questione,
raccontava delle storie di relazioni, di gelosia, di liti
e di complotti che implicavano la coppia imperiale.
«Non sarebbe possibile, così scrive, poter
Come i racconti e le leggende che analizza Michel
de Certeau, gli aneddoti non apparterrebbero
quindi all'universo delle «categorie sociali che, loro
sì, "fanno la storia"» e la dominano (1990 [1980],
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per servirla. La coscienza dello stereotipo è l'ultima
difesa posseduta da una società volta al
livellamento verso il basso e all'automazione. Cerca
di segnalare il pericolo per impedirgli di propagarsi
indebitamente […]. In questo caso, possiamo dire
che lo stereotipo sia diventato ai nostri giorni una
delle grandi ossessioni dei tempi moderni»
(1991:11).
43) Essi circolano, in modo informale, e tanto la loro
traiettoria culturale che i fatti che raccontano
appartengono ai discorsi ed agli immaginari dei
popoli, e non a quelli delle loro istituzioni, ovvero
«dietro le quinte», secondo il termine di Erving
Goffman (1973 [1956]), nella loro storicità e/o
contemporaneità.
Questo
universo
di
rappresentazioni associate all'aneddoto spiega
indubbiamente come mai, nelle guide dette
«culturali» – come la Guide Bleu che riposa su una
logica mediazionale magistrale e istituzionale –, i
fatti aneddotici, anche se numerosi, non vengono
identificati come tali, mentre invece nelle guide
dette «pratiche» – come Routard che cerca di
creare una «simpatica» complicità libertaria –, la
tendenza consiste, al contrario, a introdurre
l'enunciato aneddotico designandolo in quanto tale.
Insomma, la nozione di stereotipo è una nozione
sociostorica, vale a dire «culturale». Si è forgiata nel
corso del tempo e così come la conosciamo oggi,
peggiorativa
e
nefasta,
contraddistingue
(solamente) la nostra modernità e lo sguardo che
quest'ultima porta sugli schemi pre-costituiti e
riproducibili. Lo stereotipo non contiene quindi
dentro sé qualcosa di morale. E se, al giorno d'oggi,
lo condanniamo, questo giudizio non è altro che
culturale. È questa la coscienza della stereotipia:
l'insieme dei valori socioculturali che vertono sulla
pratica della produzione degli stereotipi. Bisogna
riconoscere
all'aneddoto
questo
stesso
investimento di valori socioculturali distinguendo,
da un lato, la forma discorsiva e, dall'altro, la
coscienza o le rappresentazioni a cui vanno
associate;
distinguere
quindi
l'aneddoto
dall'aneddotica.
L'aneddotico e «l'effetto della gravità»
La
seconda
caratteristica
degli
aneddoti
mediazionali si trova in rapporto con quello che
possiamo definire «l'effetto della gravità». Allo
scopo di spiegare ciò che si nasconde dietro questa
espressione, conviene innanzitutto distinguere
l'aneddoto dall'aneddotica, ovvero dissociare il
racconto dai valori che circolano con esso. Per fare
questo, ritorniamo a una ricerca specifica, quella di
Ruth Amossy sullo stereotipo, che si prende cura di
differenziare da una parte una forma discorsiva e
dall'altra le rappresentazioni a cui vanno associate.
A partire da questo lavoro, giustificheremo la
pertinenza della suddetta distinzione fra aneddoto
e aneddotico. In un secondo tempo, preciseremo
questa seconda nozione mettendo in rilievo i valori
che la caratterizzano. Infine, proporremo una
definizione specifica dell'aneddotico come strategia
editoriale e discorsiva dell'elusione del grave.
L'aneddoto come valore socioculturale
Per quanto concerne l'aneddotica, è opportuno, per
poterla meglio identificare proprio come si
manifesta nei dispositivi della mediazione turistica,
fare una breve sosta. Se prendiamo il caso delle
guide di viaggio in particolare, possiamo osservare
che si presentano come dei testi complessi.
Impiegano un'infinità di forme di scrittura (uso del
grassetto, del corsivo, cambi tipografici, ma anche
di immagini, disegni, schemi, mappe, cartine,
sommari, indici, ecc.). Ciascuna di queste strutture
occupa un posto singolare e definisce una funzione
specifica del testo. Così, il corsivo sta spesso a
significare le informazioni pratiche; il grassetto
rinvia regolarmente a delle logiche di
manipolazione dell'opera nel senso che un termine
in grassetto nel corpo del testo sarà, nella maggior
parte dei casi, presente anche nell'indice del
volume; i titoli ed i sottotitoli permettono, quanto a
loro, di gerarchizzare l'informazione e di renderla
leggibile e/o visibile. Questi tipi di scrittura
semiotizzano il modo in cui il turista, nella sua
funzione di lettore, possa apprendere dal testo, dal
punto di vista cognitivo o manuale. Essi mostrano,
in altri termini, il modo in cui la guida debba essere
letta e il modo in cui il lettore/viaggiatore debba
L'aneddoto e l'aneddotico
Nella sua opera Les Idées reçues. Sémiologie du
stéréotype (1991), Ruth Amossy spiega che bisogna
separare lo stereotipo dalla coscienza della
stereotipia. Dunque, lo stereotipo o luogo comune
esiste da molto tempo. Tuttavia, nell'Antichità, era
valorizzato, sotto forma di topos, per la sua efficacia
retorica mentre invece al giorno d'oggi, gli vengono
riconosciuti solamente degli effetti di eccessiva
semplificazione: «Lo stereotipo [come oggetto
investito da valori negativi] non è un concetto
teorico assoluto ed eterno, ma una nozione
proveniente dall'epoca moderna e fatta su misura
n°1 – 2012 – Gli immaginari turistici
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«inessenziale» dell'informazione trasmessa. Questo
termine definisce un valore socioculturale e non,
ben evidentemente, un valore semiologico. Diremo
dunque che l'inessenziale si caratterizza come un
insieme di oggetti del discorso il cui status possa
sembrare ambiguo: sono secondari, ma pur sempre
presenti; non sono, comunque fondamentali,
altrimenti attribuiremmo loro una forma grafica che
ci permetterebbe di contraddistinguerli al primo
sguardo. Quindi non sono fondamentalmente utili
poiché non vengono messi in rilievo, ma non sono
nemmeno completamente inutili dal momento che
sono comunque presenti, ed in modo alquanto
ricorrente.
interpretare le informazioni che gli vengano
affidate.
Per quel che concerne gli aneddoti, possiamo
notare alcune costanti nella maniera in cui le guide
li semiotizzano. Prendiamo l'esempio di Grace
Church, presentata nella Guide Vert di New York e a
proposito della quale apprendiamo: «Fondata in
origine dalla parrocchia della Trinità nel 1808,
questa chiesa episcopale fu costruita nel 1846 da
James Renwick, il quale concepì successivamente i
progetti della cattedrale di Saint Patrick.
Rimarchevole per l'acutezza del profilo delle guglie,
Grace Church è un buon esempio di stile neogotico.
Nel 1863, P.T. Barnum riuscì a convincere il rettore
a celebrarvi il matrimonio di due nani del suo circo:
Charles S. Stratton, conosciuto anche come Tom
Pollice, e Larvina Warren.» (Brabis, 2005, p. 183).
Quello che stupisce alla lettura del brano (ma che si
indovina solo difficilmente attraverso questa
trascrizione), è innanzitutto il fatto che l'aneddoto
del matrimonio dei foranei di piccola taglia venga
qui
semiotizzato
come
un'informazione
appartenente al corpo del testo. Detto altrimenti,
che non venga messo in rilievo da un titolo o da un
sottotitolo, ma che si manifesti invece secondo la
logica del testo diciamo «normale». Non forma
oggetto peraltro di un intero paragrafo a parte.
Viene, al contrario, inserito in un'unità di testo che
lo incorpora.
L'aneddotica come strategia dell'elusione del grave
L'aneddoto appare allora come un oggetto
culturalmente inessenziale nell'ambito dell'esercizio
della mediazione turistica. Questa posizione
socioculturale dell'oggetto chiarifica la questione
precedente sull'aneddotica. Quest'ultima, così
circoscritta, contraddistingue non solo gli aneddoti,
ma anche altri oggetti del discorso come le
leggende oppure le voci. In genere, possiede la
proprietà di poter alleggerire il referente di un
discorso del suo «effetto della gravità» nel senso
che non si interessa affatto al «grave», ma a
qualcosa che si trova nelle sue vicinanze.
Prendiamo, un esempio tratto dalla guida Routard
della Scozia in cui si trova scritto: «Piccolo
aneddoto: è proprio a Perth che, nel 1539, John
Knox, il celebre riformista, pronuncia il primo dei
suoi discorsi incendiari antipapisti». (Gloaguen,
2008, p. 237). Ricordiamo che John Knox (15141572) è considerato come il fondatore o il
riformatore della Chiesa scozzese. Ora, in questo
brano, non ci si interessa molto all'uomo in
questione. Ciò che costituisce il nocciolo
dell'informazione, è il luogo in cui avrebbe fatto la
sua prima dichiarazione apertamente antipapista. In
altri termini, il centro di gravità dell'informazione si
sposta facendone oscillare l'interesse dal
personaggio storico ed emblematico al luogo
presumibilmente investito dallo spazio del suo
discorso. Si produce quindi un'informazione che
bada affatto alla pesantezza della gravità storica,
ma riposa bensì su qualcosa che si mantiene, al
margine, proprio lì accanto.
Questo trattamento editoriale dell'aneddoto è
quasi sistematico in tutte le guide di viaggio.
L'aneddoto, in generale, si riassume alla
formulazione di una semplice asserzione che viene a
sommarsi ad un corpo di testo senza un formato
degno di nota. Nel migliore dei casi, viene
annunciato e identificato come tale per mezzo di
formule consacrate («per l'aneddoto» o «secondo
l'aneddoto»), e nel peggiore, viene semplicemente
aggiunto o assimilato all'informazione principale. In
entrambi i casi comunque, appare per quel che ha
di più «infra-ordinario», per riprendere il termine di
Georges Perec concettualizzato da Emmanuël
Souchier (1998), ossia l'insieme di ciò che si
manifesta nel testo, ma che non si vede. L'infraordinario caratterizza specialmente ciò che
Emmanuël Souchier chiama «l'enunciazione
editoriale», vale a dire il modo in cui parla il testo
considerato nella sua materialità – ovvero il modo
in cui parla «l'immagine del testo» – allo stesso
tempo del testo considerato dal punto di vista
linguistico.
Con l'aneddotica, entriamo nel dominio del piacere
del dettaglio superfluo ma intrigante, dello
zuccherino informativo che si oppone allo spessore
storico ed istituzionale come lo dimostra, fra l'altro,
il brano menzionato prima tratto da Routard che,
Questa maniera di editorializzare l'aneddoto rinvia a
quello che chiameremo il carattere propriamente
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discorso.
Infine,
proporremo
un
quadro
interpretativo che ci permetterà di comprendere
quali siano le problematiche legate alla trasmissione
di un oggetto del discorso inessenziale nella pratica
turistica.
trattandosi dello yacht reale e sottolineando il fatto
che l'escursione proposta dalla guida sia
punteggiata di aneddoti, non esita a offrirne uno ai
suoi lettori «per il piacere» (Gloaguen, 2008, p.
127). Quindi, il regime dell'aneddotica è quello delle
piccole informazioni supplementari veramente
inessenziali che vengono ad aggiungersi all'edificio
culturale, come una ciliegina sulla torta
L'aneddoto fra anonimato ed autorevolezza
Marie-Pascale Huglo e Claire de Ribaupierre che
hanno entrambe studiato l'aneddoto in modo
generale, vale a dire non interessandosi
specialmente alla sua presenza nei dispositivi della
mediazione turistica, hanno rilevato il fatto che si
tratta di un oggetto del discorso che non solo
possiede la proprietà di essere «iterabile» (Huglo,
1997), ma che, inoltre, è sottoposto ad un'intensa
circolazione. Così, l'aneddoto «viene ripreso senza
sosta, trasformato, adattato» (Ribaupierre, 2007,
p.7).
È precisamente ciò che ci conferma, in negativo,
questo passaggio di una cronaca di Jacques Leduc,
cineasta del Quebec. Quest'ultimo, partito a
Ramallah per partecipare alla realizzazione del film
di Tahani Rached Soraida, une femme de Palestine
uscito nel 2004, ci presenta al suo ritorno una
cronaca in una rivista di cinema intitolata 24 images
in cui scrive: «I miei ricordi di questo viaggio, del
resto molto recenti, non hanno niente di
aneddotico: sono tutti emotivi, di un'emozione
tenace come un mal di denti, e ogni volta che mi
invitano a parlarne provo nuovamente lo stesso
disagio. L'aneddoto, la buona storia durante le
riprese da raccontare al ritorno di questo viaggio
non ha niente a che vedere con l'aneddoto, ma
tutto con la vita quotidiana. Si riassume
costantemente alle misure arbitrarie che prende
l'esercito israeliano nel paese che occupa, la
Palestina» (2005). Se il cineasta si rifiuta di vedere
nel suo viaggio l'aneddotico, è proprio perché
quest'ultimo rinvia a un universo di cose frivole,
senza importanza. Questo ci conferma dunque, che
l'aneddotico si gioca in una strategia tesa ad evitare
l'effetto della gravità dell'informazione nel senso
che si attiene precisamente all'inessenziale.
Malgrado la sua diffusa circolazione, l'aneddoto
riesce sempre a sorprenderci «Si ripete, ma non
stanca mai» Ribaupierre, 2007, p. 7). Il fatto è che
porta con sé un'implicazione tacita: per poter
esistere in quanto tale, deve essere raccontato in
modo che possa colpire il bersaglio. Ovvero, che
l'aneddoto ingaggia l'istanza del discorso e lo mette
alla prova di un' arte del dire. Pur essendo anonimo,
deve anche apparire come il lavoro di un autore
veritiero. Questa aporia, Claire de Ribaupierre la
solleva e la riassume scrivendo: «Paradossalmente,
l'aneddoto è contemporaneamente molto marcato,
personificato da chi lo racconta, ed anonimo, in
qualche sorta collettivo.» (2007, p. 12).
Il paradosso che solleva Claire de Ribaupierre è di
pura facciata. In effetti, questa oscillazione fra
enunciazione personale ed enunciazione collettiva è
la condizione degli oggetti sottomessi alla
ripetizione, quindi alla variazione se vogliamo
credere a Marcel Detienne (1981): sono un bene di
tutti, ma ognuno lo fa suo enunciandolo. Detto
altrimenti, possiamo dire che è proprio grazie al
fatto che circola che l'aneddoto è un oggetto
culturale che si afferma come il risultato di un
processo contemporaneamente anonimo ed
autoriale. È quindi per il fatto che «cambia di mano,
come cambia di bocca» (Ribaupierre, 2007, pag . 11)
che l'aneddoto può essere abitato, durante il tempo
della sua enunciazione, da chi lo dice. Nel
raccontare l'aneddoto, ogni autore vi imprime il
proprio stile, e appropriandosene, enuncia il proprio
modo di comprendere il mondo e di prendervi
parte. «L'aneddoto permette di dare un senso, di
appropriarsi del mondo, di farlo proprio e di non
La produzione del discorso
L'aneddoto offre quindi la possibilità di penetrare
l'autenticità delle culture mostrandone i
«retroscena» anche se contemporaneamente si fa
notare come un oggetto del discorso caratterizzato
per la sua insignificanza socioculturale. Non ci
sarebbe, dunque, una sorta di paradosso nel voler
fondare la verità sul minuscolo o sul dettaglio?
Come mai il turismo si gioca questa carta? È a
queste due domande a cui apporteremo degli
elementi di risposta nelle righe che seguono,
soffermandoci innanzitutto sullo status ambiguo
dell'oratore di aneddoti che deve saper firmare
l'enunciato e cancellarne allo stesso tempo la firma
al fine di rendere il racconto appropriabile da parte
altrui. Questa prima tappa ci permetterà di dare
rilievo al fatto che l'aneddoto è un oggetto del
discorso volto alla circolazione, e che i dispositivi
della mediazione turistica che lo convocano
desiderano farne oggetto di una trasmissione del
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esserne quindi espropriato: è un atto
individuazione.» (Ribaupierre, 2007, p. 35).
turista nello spazio da visitare possa costituire un
racconto e che il turista sia l'eroe del suo stesso
racconto. La guida, in modo particolare, che lavora
l'emergenza ventura di un «racconto del viaggio»
(2003 [1998], p. 276), cerca di affermarsi come un
dispositivo della trasmissione dei racconti ed in
generale del discorso. Possiamo anche pensare
all'aneddoto mediazionale come a uno di questi
oggetti del discorso che il turista porti con sé per
raccontarlo o per fonderlo nel suo racconto di
viaggio.
di
Ha dunque questo di specifico: che appare al
mondo come un essere culturale di circolazione
(Jeanneret, 2008) che appartiene a tutti ed è quindi
appropriabile da parte di ognuno. Raccontare
l'aneddoto, equivale a mettere in circolazione un
essere che postula il suo silenzio e il suo segreto, la
sua marginalità e la sua singolarità e che a ogni
enunciazione esso fonda, nuovamente, un modo di
stare al mondo che lo rimette in circolazione. La
scommessa delle ultime righe sarà quella di
dimostrare che lo stesso discorso vale per
l'aneddoto turistico, in modo particolare quello
mediazionale o storico: la sua destinazione turistica
e culturale sarà quindi quella di circolare
assicurando a chiunque lo porti con sé un'
autorevolezza sociale.
L'aneddoto sul mercato linguistico
Possiamo chiederci per quale motivo l'aneddoto,
soprattutto se viene considerato e qualificato come
inessenziale, partecipi a questo esercizio della
trasmissione del discorso. In altri termini, possiamo
interpellarci sul valore di questo processo di
mettere in circolazione degli esseri del discorso
propriamente inessenziali. Per avviare la riflessione,
torniamo a Pierre Bourdieu e in particolare al modo
in cui ha abbordato il linguaggio (1977; 2002 [1977];
2002 [1978]).
L'aneddoto e la trasmissione dei discorsi turistici
Quando ci interpelliamo su cosa succeda dopo il
viaggio, ci si concentra spesso sulla questione del
racconto. Rachid Amirou dimostra infatti che la
terza fase del viaggio (quella del ritorno, che
succede a quella della partenza e a quella del
soggiorno) riposa su una socializzazione specifica
che si gioca in particolare nella narrazione del
viaggio (1995). Anche Jean-Didier Urbain condivide
questa concezione del viaggio che dura dopo che il
turista abbia abbandonato il suolo straniero per
ritrovare il suo ambiente socioculturale di
appartenenza e la cui forma sia quella del racconto
(Urbain, 2008).
Secondo il sociologo, possiamo considerare gli atti
di linguaggio come atti economici nel senso in cui
esisterebbe un «mercato linguistico» fatto di
scambi e di valori sociali, specialmente simbolici.
Prendere la parola, equivale quindi a prendere un
rischio simbolico ed allo stesso tempo a tentare di
realizzare un plusvalore. La situazione comunicativa
partecipa alla definizione di questo mercato. Sapere
valutare l'occasione discorsiva di una situazione
sociale è quindi una delle competenze del soggetto
sociale parlante. Produrre un discorso, non significa
dunque semplicemente esporre un prodotto
grammaticale, ma piuttosto un prodotto discorsivo
dal momento che il linguaggio e le situazioni del
discorso sono sociali.
Più esattamente, ciò che Jean-Didier Urbain
difende, è l'idea che il racconto non venga tanto ad
aggiungersi al viaggio solamente una volta che il
turista sia rientrato a casa sua, quanto che vi
partecipi fin dall'inizio. Infatti, secondo lui, «credere
che la finzione o, nel significato più ampio del
termine, il racconto, siano degli artifici puramente
letterari aggiunti alla realtà del viaggio, una fioritura
narrativa a posteriori, un'invenzione da poeta, da
romanziere o da
retore, è un'illusione»
(2003)[1998], p. 288). Il racconto accompagna il
viaggio dall'inizio alla fine. Sotto forma di progetto,
di programma, o persino di ricordo, il racconto è
sempre presente nella mente di chi viaggia.
Il linguaggio di Pierre Bourdieu è, in genere, una
prassi sociale. È un gesto all'interno del mondo
sociale nel senso che è «fatto per essere parlato» ed
è «fatto per essere parlato a proposito» (1977, p.
18). Manipolare il linguaggio equivale dunque a
manifestare (deliberatamente o meno) una certa
intelligenza del sociale e dei rapporti di forza
simbolica che lo compongono così come a un certo
posizionamento in questo sociale. È insomma,
esplicitamente o implicitamente, un dirsi
socialmente. Ora, secondo Piere Bourdieu, agire nel
sociale, per mezzo del gesto o della parola,
corrisponde a entrare in un processo di
«distinzione». Prendere la parola, è, in definitiva, un
cercare di distinguersi. Equivale a mostrare la
In questo modo, possiamo considerare il turismo in
generale e più precisamente le guide come degli
universi volti a rendere il mondo intrigante. Lo
modellano, lo rendono più complesso e lo
dispongono in modo tale che la deambulazione del
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corrisponderebbe
dunque
a
distinguersi
dichiarando il proprio gusto per il lusso, ed inoltre,
per un dispositivo della mediazione, ad affidare un
prodotto discorsivo di lusso (distintivo) al turista.
Ciò equivale a potersi autodefinire come un
«mondano» piuttosto che un «dotto», vale a dire a
identificarsi come un soggetto sociale che,
esagerando estremamente, preferisce «gioire senza
comprendere» piuttosto che «comprendere senza
sentire» (Bourdieu, 1979, p. 9) 4.
propria intelligenza del sociale e ad agirvi
esattamente in funzione di questa intelligenza e
delle proprie pretensioni.
Per ritornare all'aneddoto, se questo si presenta
attraverso l'esercizio della mediazione turistica, è
probabile che, sul mercato linguistico, questo tipo di
enunciati produca un certo vantaggio. Allo stesso
modo, se viene affidato ai lettori/viaggiatori, è per
permettere loro di trarne un certo profitto in alcune
situazioni venture del discorso. In altri termini,
seguendo Pierre Bourdieu, possiamo considerare
che l'aneddoto sia inizialmente un prodotto degli
autori delle guide di viaggio e che venga poi affidato
ai lettori/viaggiatori come un oggetto discorsivo di
distinzione. Ora, la specificità dell'aneddoto nelle
guide è che questo non sia necessario all'avventura
turistica. Questo è quanto ci rivela per l'appunto il
suo trattamento aneddotico. Esistono dunque, nel
turismo in genere e nelle guide in particolare, degli
esseri culturali che necessitano di essere visti o
conosciuti (gli imprescindibili che le guide di brevi
soggiorni mettono come punto d' onore) ed altri
invece il cui ritrovamento è dell'ordine del lusso nel
senso che sono, per l'appunto, aneddotici.
Conclusione
Lo studio dell'aneddoto nei dispositivi di
mediazione permette innanzitutto di mettere in
luce il fatto che le rappresentazioni e gli immaginari
turistici in circolazione non siano limitati all'universo
del monumentale e dell'imprescindibile delle «cose
da vedere». Questi procedono anche dagli
inessenziali del turismo, e dalla cultura in genere.
Questi piccoli oggetti che compongono l'infimo
sono indubbiamente più difficili da cogliere rispetto
agli imprescindibili per il fatto che si manifestano
sotto
le
sembianze
dell'infra-ordinario.
Ciononostante, partecipano in egual misura
all'elaborazione degli immaginari turistici per mezzo
dei dispositivi di mediazione.
La «necessità» ed il «lusso» devono essere qui intesi
nel senso che Pierre Bourdieu attribuisce loro.
Quest'ultimo, per definirli, fa notare che
«l'autentico principio delle differenze che si
osservano nel campo del consumo e non solo in
questo, è l'opposizione fra il gusto del lusso (o della
libertà) ed il gusto della necessità» (1979, p. 198). Il
gusto della necessità è chiaramente quello che si
lascerebbe dettare dal bisogno, ovvero da ciò che
garantisce la dignità umana in quanto sociale, ed il
gusto del lusso, quello che non si lascerebbe dettare
in nessun caso da tale bisogno, ma piuttosto dal
semplice piacere che procura il possesso, la
sperimentazione o persino il contatto. Si tratta qui
di una rappresentazione di questi due tipi di gusto
dal momento che, in realtà, la scelta di un gusto
piuttosto che l'altro è resa «necessaria» dal sociale.
Se fanno cultura nel mondo del turismo, è anche
grazie al fatto che vengono qualificati come oggetti
privi di significato. È, in altri termini, proprio per il
motivo che appaiono al margine degli imperativi
culturali che vengono desiderati sia dagli attori della
mediazione che dai turisti stessi. Questa esistenza al
margine conferisce loro un certo sapore
socioculturale. Opponendosi ai discorsi istituzionali,
gli oggetti dell'infimo apparterrebbero quindi alla
verità dei popoli; si sarebbero aperti un cammino
informale attraverso la piccola storia ed in questo
senso rivelerebbero qualcosa dell'autenticità delle
culture da cui provengono.
Questi piccoli oggetti che prendono forma
aneddotica nel testo vengono affidati al sociale, dai
dispositivi della mediazione turistica, al fine di
circolarvi. Il motore di questa circolazione – la sua
ragione d'essere effettuata – è che gli enunciati a
cui si fa ricorso apportano un beneficio a chi li
riproduce. Questo profitto di ordine simbolico viene
anticipato dai dispositivi come il risultato di
un'intelligenza
sociale
delle
situazioni
di
comunicazione o se vogliamo di una competenza
linguistica in quanto sociale. L'oratore di aneddoti
storici venturi potrà, da una parte, provare che ha
saputo toccare la profondità e l'autenticità delle
culture che ha visitato da turista e, dall'altra, farsi
Per quanto concerne l'aneddoto mediazionale, una
volta fornite le sue modalità di apparizione
all'interno delle guide di viaggio, può essere
accomunato ai prodotti di lusso. Con questo voglio
dire che la sua enunciazione e soprattutto le
specificità editoriali che lo esprimono stabiliscono
proprio una distanza rispetto alla necessità turistica.
Dicendo – o leggendo – l'aneddoto, usciamo dai
circuiti e dalle liste degli imprescindibili (il Louvre a
Parigi e la Gioconda al Louvre, l'Acropoli ad Atene o
la Karl-Marx-Allee e l'isola dei musei a Berlino). Fare
la
scelta
dell'enunciazione
aneddotica,
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riconoscere come un mondano nel senso in cui,
sapendo compiere la distinzione fra l'imperativo
della necessità e l'apparente futilità dell'infimo, ha
saputo fare la scelta della seconda.
all'informazione
topografica
e
pratica
«prolungamento della 9ª e della 10ª Avenue a
partire da Central Park al livello della 59ª Street»
[Auzias & Labourdette, 2005, p. 296]),
un'informazione inessenziale e insignificante.
Anche se infimi, questi aneddoti tendono a
occupare un posto sempre più importante nei
dispositivi della mediazione turistica come lo
dimostra, per esempio, la versione attualizzata del
2010 della guida Petit Futé di New York che,
presentando il Lincoln Center, riprende parola per
parola quella del 2005, a differenza di una piccola
parentesi ma comunque alquanto significativa:
«costruito negli anni '60 fra la Columbus e
Amsterdam Avenue (per l'aneddoto, vi è stato
girato il film West Side Story, prima della distruzione
dei vecchi quartieri poveri che poi il Centro ha
rimpiazzato), il Lincoln Center è sede delle maggiori
istituzioni della vita artistica e culturale della scena
americana
e
internazionale.»
(Auzias
&
Labourdette, 2010, p. 304), preferendo dunque
Dunque, in generale, questi contributi alla nozione
di aneddoto pensato nella sua inessenzialità e nella
sua insignificanza permettono di offrire delle piste
di interpretazione chiarificando l'attuale profusione
di prodotti cosiddetti «insoliti». Questi ultimi
giocano in effetti la carta del mai saputo (My little
Paris [Collectif, 2010]), del segreto e del nascosto
(Paris secret et insolite [Trouilleux & Lebar, 2009],
Paris Caché [Lepic, 2009]), dell'inconsueto (Paris
Décalé [Briand, 2009]) o ancora del piccante (Paris
Coquin [Béraud & Hermange, 2008]); altrettante
modalità di esistenza di oggetti che poggiano e
fondano il loro valore e la loro singolarità
sull'opposizione che erigono di fronte al regime
dell'imperativo e delle «cosa da vedere»5.
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NOTE
1 Si tratta di sette guide (per alcuni «culturali» – la Guide Bleu, la Guide Vert, la guida La Bibliothèque du
voyageur e la guida Voir –; per altri «pratiche» – Le Guide du Routard, la Lonely Planet e Le Petit Futé) che
vertono su due destinazioni, New York e la Scozia.
2 Vedi : http://misspotin.wordpress.com/
3 Vedi : http://unjourunvoyage.viabloga.com/
4 È da notarsi come la scelta terminologica e le definizioni proposte da Pierre Bourdieu siano peggiorative. Il
motivo di questa scelta è dovuto alla volontà dell'autore nel voler denunciare le pretensioni universali di
ognuno di questi rapporti con la cultura (la loro neutralità) piuttosto che a un eventuale giudizio di queste
modalità di appropriazione e di acquisizione della cultura.
5 COLLECTIF, My little Paris, Paris, Chêne, 2010 ; TROUILLEUX Rodolphe et LEBAR Jacques, Paris secret et
insolite, Paris, Parigramme, 2009 ; LEPIC Alice, Paris caché, Paris, Parigramme, 2009 ; BRIAND Cécile, Paris
décalé, Paris, Lonely Planet, 2009 ; HERMANGE Aurélia et BERAUD Diana, Paris coquin, Paris, First, 2008.
PER CITARE QUESTO ARTICOLO
Riferimento elettronico :
Hécate Vergopoulos, L'infimo culturale e l'immaginario turistico. L'aneddoto nelle guide di viaggio, Via@, Gli
immaginari turistici, n°1, 2012, postato il 16 marzo 2012.
URL : http://www.viatourismreview.net/Article3_IT.php
AUTORE
Hécate Vergopoulos
Hécate Vergopoulos è titolare di un Dottorato in Scienze dell'informazione e della comunicazione. Le sue
ricerche riguardano il turismo e, in modo più esatto, la mediazione turistica e le guide di viaggio. A partire dallo
studio di diversi dispositivi, lei cerca di mettere in luce il modo in cui le rappresentazioni ed i valori turistici
emergono e circolano nel sociale e nella cultura.
TRADUZIONE
Bureau de Traduction de l'Université
Université de Bretagne occidentale - Brest
http://www.univ-brest.fr/btu/
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