MONTALBANO ELICONA (Cenni Storici)
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MONTALBANO ELICONA (Cenni Storici)
MONTALBANO ELICONA Montalbano Elicona, caratteristico comune di circa 3.220, sorge a 907 metri sopra il livello del mare. Il suo territorio si estende ad Est verso il limite dei Nebrodi coi Peloritani, a Sud verso l’Etna, ad Ovest verso la catena dei Nebrodi, a Nord verso il Tirreno. E’ uno dei più antichi e suggestivi centri dei Nebrodi, ricco di storia, di arte e di tradizioni, tanto da essere stato annoverato tra i 128 comuni che fanno dei borghi più belli d’Italia. Le piccole casette del borgo, chiara parte di impostazione medievale, situate su speroni di roccia, affioranti e addossate l’una alle altre, danno origine ad un intricato dedalo di pittoreschi vicoli che circondano il maestoso palazzo svevo-aragonese, chiese e palazzi signorili. Montalbano è stato testimone di importanti vicende storiche, ed ha costituito fido rifugio per diversi regnanti siciliani, che ivi si recavano per motivi di salute o per sfuggire alla peste che, in un certo periodo della storia della Sicilia, decimò migliaia di uomini. Per quanto riguarda l’etimologia del nome, le opinioni formulate sono varie. Alcuni credono che derivi dalle voci arabe “Al” e “Blank”, che significano “luogo eccellente”; altri pensano che derivi da “Mons Albus” per indicare le alture innevate su cui sorge l’abitato,durante il periodo invernale; altri ancora affermano che derivi dal nome di un coraggioso commilitone musulmano “Munt Alban” da cui poi Montalbano. La tesi araba, comunque, sembra la più probabile, sia per le vicende storiche sotto le quali tutta la zona settentrionale fu soggetta durante il dominio arabo in Sicilia, sia per la quantità di nomi arabi lasciati da quel dominio, sia perchè la parola risponde alle condizioni di fertilità del luogo L’appellativo Elicona, invece, risale alla colonizzazione greca. Furono i Dori che pensando al mitico monte delle Muse, chiamarono Helikon (= tortuoso) il luogo, che si trovava vicino ad un torrente, coincidente con l’altura sul quale sorse il borgo medievale di Montalbano. Questo nome venne menzionato per la prima volta dal matematico e geografo Claudio Tolomeo, nel II sec. d. C., nella sua "Introduzione geografica". La prima notizia ufficiale di Montalbano, si ha verso la metà del sec. XII, nel celebre Libro di Re Ruggero del geografo arabo Al-Idrisi. Nel libro, sicuramente portato a termine prima del 1154 (data della morte di Ruggero committente e dedicatario dell’opera) Montalbano viene descritto così “”Da Randazzo a Montalbano corrono venti miglia, la rocca di Montalbano, posta in mezzo ad alte montagne, è aspra assai a salirvi e a scenderne. Non ha pari per l’abbondanza del bestiame. Del miele e d’ogni altro prodotto agrario…..” Montalbano, dunque, essendo all’epoca dei normanni, un centro agricolo di una certa consistenza, sorse prima dell’arrivo di questi, (tesi sostenuta da alcuni storici) probabilmente in epoca saracena e normanni poiché i hanno occupato l’isola intorno all’850-900, la data di nascita della cittadina dovrebbe farsi risalire tra il 925- 950. Inizialmente, la dominazione araba portò, a Montalbano, come nel resto della Sicilia, trasformazioni economiche, sociali, culturali che si ripercossero nei secoli successivi. Ovunque vi fu una crescita della produzione e del benessere. Le tasse furono basse, equamente distribuite, diversi provvedimenti incentivavano la piccola proprietà. La condizione degli schiavi venne migliorata, caratterizzata dalla possibilità per coloro che si convertivano alla fede musulmana di ottenere la libertà. Fu data ai cristiani la possibilità di continuare a professare la loro religione, anche se era proibito loro di costruire chiese, fare processioni, portare la croce o suonare le campane. Si realizzarono nuove strutture urbane, nuovi stili di vita, si diffuse la cultura classica, soprattutto quella aristotelica, progredirono gli studi di medicina, la chimica, l’idraulica. Segni evidenti del dominio arabo a Montalbano si trovano sia nel lessico, sia nelle nuove produzioni, da loro introdotte. Termini come carciòfuri, tàiu, sciàrra, zargàru, màrgiu, nomi delle contrade come Saracìni, Mustàffi, Taffùri. Produzioni come quella del miele, della coltivazione della canna da zucchero, le tecniche dell’irrigazione, della lavorazione della seta, ne costituiscono una testimonianza accreditata L’ondata musulmana diventò nel corso del tempo sempre più massiccia, tanto da investire l’Italia e l’Europa meridionale. Nella sola Sicilia, se ne contavano oltre mezzo milione. Una simile situazione preoccupò la Chiesa di Roma che rifacendosi ad una “presunta” donazione di Costantino, reclamò la propria signoria su varie zone del territorio peninsulare e sulla Sicilia. Quando il periodo di grande floridezza musulmana iniziò il suo declino, il popolo, stanco e sopraffatto dalle lotte intestine che lo travagliavano, iniziò a ribellarsi. Il papato, alla guida di Nicolò II, intervenne immediatamente, sostegno ai Normanni, chiedendo gruppi soldati di ventura scesi nel di nostro territorio per brama di preda, audacia, crudeltà, assetati di bottino e di terre. Questi capeggiati da Ruggero d’Altavilla e Roberto, detto il Guiscardo, figli del normanno Tancredi d’Altavilla, iniziarono la sua avanzata verso la Sicilia, forti dell’investitura ricevuta dal papa per le conquiste del Meridione Ruggero conquistò l’isola contemporaneamente alla liberazione dai greci dell’Italia Meridionale ad opera del fratello Guiscardo. La conquista della Sicilia avvenne partendo da Messina (espugnata nel 1061). Proseguendo lungo la costa settentrionale, i normanni, dalla piana di Milazzo, si inoltrarono verso l’interno. Obbligatoriamente, per attraversare la valle dell’Elicona in direzione di Randazzo, Maniace, Cesarò, dovettero espugnare la rocca di Montalbano. La loro avanzata lasciò dietro macerie e città fumanti. Castelli, villaggi, casolari vennero distrutti, gli abitanti fatti prigionieri, le donne e i bambini venduti come schiavi. Con l’espugnazione normanna di Palermo nel 1071, la dominazione musulmana poté considerarsi conclusa. Il dominio di Ruggero, insignito con il titolo di conte di Sicilia e Calabria si caratterizzò per la grande versatilità. Pur ridando alla Sicilia la sua impronta cristiana, fondando vescovati, elargendo beni e concessioni, pur accogliendo le richieste della Chiesa di Roma, fu tollerante sia verso i bizantini che professavano il culto ortodosso, sia verso i Musulmani superstiti. Montalbano, in questo periodo, grazie anche al contributo della colonia lombarda, venuta al seguito di Ruggero nel 1061, visse una nuova era di prosperità, che troverà il suo culmine con Federico II d’Aragona. La cittadina si arricchì di torri, si ricostruirono le porte urbiche danneggiate, affidando ad esse delle specifiche mansioni (La porta posta nella parte alta dell’attuale via Mastropaolo venne designata come porta di terra, per l’uscita e l’entrata delle merci e dei prodotti sottoposti a dazio). Le fortificazioni vennero consolidate. Montalbano diventò possedimento demaniale, sotto il diretto controllo della corona rimanendovi anche sotto gli svevi. I confini dell’ “oppidum et terra Montis Albani” vennero nuovamente delimitati con cippi di pietra infissi ai punti limite. Vennero riconosciuti agli abitanti i diritti di pascolo, di legnatico su determinate zone boschive, sulle terre demaniali e sulle terre comuni. I titoli di possesso dei beni immobili vennero, nella maggior parte dei casi, ipoteticamente riconosciuti . Vi fu un lento ma costante aumento della produzione con il passaggio da un’agricoltura di sussistenza ad un’agricoltura di profitto. Montalbano intensificò il traffico nel litoraneo tirrenico e ionico con scambi con Patti, Tindari, Oliveri, Milazzo, Messina. Forti dell’aiuto dei lombardi, venne favorita l’esportazione dei prodotti verso il continente. Si barattarono cereali, bestiame,pelli, lana, prodotti delle colture arabe (canna da zucchero, miele, seta) di cui Montalbano era molto ricca. La dinastia di Ruggero, il Gran Conte venne continuata dal figlio Ruggero II che diventò re di Sicilia nel 1130. Questi, continuando l’opera del padre ebbe il gran merito di far convivere tradizioni e culture diverse, che dettero alla Sicilia un periodo di prosperità e benessere. Si assistette ala rinascita della cristianità con la riapertura degli edifici di culto cristiani. Quelli che durante la dominazione araba erano stati distrutti o trasformate in mosche vennero ricostruiti e consacrati. Fu proprio sotto il dominio normanno che i cristiani di Montalbano finalmente poterono far risuonare nuovamente le campane (era vietato dagli arabi, come le processioni) e gioire nuovamente del loro suono che proveniva dai tetti delle chiese di S. Caterina, Spirito Santo, S. Michele, S. Nicola, S. Bartolomeo. Ma la situazione mutò dal 1154 con la morte di Re Ruggero. Il clima di grande versatilità e tolleranza che aveva contraddistinto il dominio normanno mutò. In tutta la Sicilia esplosero manifestazioni di intolleranza nei confronti dei musulmani, le loro case e i loro beni vennero saccheggiati, alcuni vennero uccisi. Testimonianze di queste intolleranze sono presenti anche a Montalbano, nelle campagne infatti sono numerosi i cùbburi, casotti a pianta rotonda e falsa cupola, dove i musulmani furono costretti ad isolarsi . La dinastia normanna si concluse con il matrimonio della figlia di Ruggero II, Costanza d’Altavilla con Enrico di Hohenstaufen, il futuro imperatore Enrico VI. Ad Enrico VI successe il figlio Federico II di Svevia, che nel 1208 diventò re della Sicilia. Questi rimasto orfano all’età di due anni venne affidato alla tutela del papa Innocenzo III, che sperava di poterlo controllare. Ma Federico, ben presto, si liberò dalla tutela del papa e, appena quindicenne, si sposò con Costanza, figlia del re d’Aragona Pietro II. Montalbano, durante il regno di Federico II, era un piccolissimo centro ma, sicuramente aveva una sua importanza, come si evince da una lettera, del 1211, di Papa Innocenzo III, dove venne ratificata una donazione che l’Imperatore Federico II fece alla sua prima moglie Costanza d’Aragona, morta il 23 giugno del 1222, a Catania, a causa di una febbre perniciosa “Montem Albanum cum omnibus casali-bus et tementis eorum” Montalbano con tutti i casali e tenimenti suoi…”. In questa occasione Federico donò alla moglie, oltre Montalbano le terre di Baronia, Oliveti, S, Maria, Taormina ed altre. L’ usanza che i Re donassero alle loro mogli parte delle loro baronie o feudi era stata introdotta dai normanni, e fu successivamente detta “Camera delle Regine Siciliane”. Sicuramente, tali donazioni, avevano anche un carattere politico, i territori, che per anni avevano subito usurpazioni da parte dei feudatari, venivano così reintegrati nel demanio regio. I vassalli e la chiese furono obbligati a presentare i titoli dei loro privilegi, e l’amministrazione della giustizia fu restituita ai magistrati della corona ed inoltre, Federico II, si riservò il controllo di tutte le fortificazioni presenti nel territorio. Il castello di Montalbano passò così dalle mani dei feudatari a quelle di un governatore nominato dalla regina. La politica federiciana ebbe sulla cittadina effetti positivi e negativi . I nuovi ordinamenti sicuramente proteggevano dalle dissipazioni, dalle ingiustizie, dagli abusi che soprattutto il popolo aveva subito. L’agricoltura fu incentivata, furono distribuite terre incolte per poter essere dissodate e seminate, furono vietati i sequestri ai contadini degli animali ed attrezzi agricoli, fu incoraggiato l’allevamento del baco da seta, fu creato un consiglio di giurati che si occupava dell’amministrazione locale. Ma il paese restò socialmente e culturalmente diviso. Nella parte alta, dove era situato il castello e nelle vicinanze, vi erano i signori, nella parte bassa gli artigiani, i contadini, braccianti, pastori. Differenze erano presenti nel modo di vestire, nel parlare, nei comportamenti, nei riti. Inoltre, la politica di accentramento condotta da Federico, gli causò l’inimicizia dei nobili e della gran parte del clero, che si sentirono danneggiati dalla mancanza delle grosse fette di decime e tributi. Ovunque si diffuse il malcontento, anche la chiesa romana guardava con sempre più diffidenza l’operato di Federico. Nel cercare di placare gli animi, questi fece redigere, sembra proprio da Montalbano, un gruppo di leggi (note come costituzioni Melfitane) e convocò nel 1231 a Melfi i maggiorenti affinché l’approvassero. Ma le costituzioni Melfitane, riducevano ogni forma di autonomia, ed invece di placare gli animi li inasprirono. Fu guerra, soprattutto con la chiesa di Roma. Facendo leva sui malcontenti delle popolazioni locali che ritenevano le costituzioni di Melfi lesive dei diritti dei vassalli, il papato intervenne. Approfittando della lontananza di Federico II( impegnato ad assediare Viterbo, roccaforte papale) Messina, Catania, Siracusa, Capizzi, Nicosia, Centurie, Troina si ribellarono alla signoria degli Svevi. Anche Montalbano nel 1233 aderì alla rivolta. La cittadina si trovò divisa. I militi del presidio e i sostenitori di Federico si asserragliarono nella fortezza, e resistettero nonostante rimasero senza le riserve di grano o altre vettovaglie, che vennero depredati dai rivoltosi. Quando seppero dell’imminente arrivo delle forze dell’imperatore, i rivoltosi, cercarono di bloccare l’esercito, rafforzando le mura della cinta esterna. Le forze di Federico occuparono i punti strategici, parte si accamparono al Serru u Seggiu, sorvegliando la via della Colla, parte a S. Todaro e Chianu i Cigàri. Le conseguenze furono disastrose, Montalbano (totaliter destructus) dovette subire le ire dell’imperatore Federico che placò la rivolta con inaudita ferocia: distrusse il castello e le case, mettendone a bando gli abitanti, i superstiti dovettero trasferirsi parte ad Augusta, parte a Palermo ed Agrigento. Altri furono costretti a lavorare come schiavi. Fu proprio grazie a questi ed al forte attaccamento alla loro terra, che Montalbano poté risorgere. Il loro coraggio, la loro determinatezza, dette loro, la forza di rimettere in piedi le loro case, e lentamente, tra difficoltà enormi, con grande laboriosità, sacrifici, si prodigarono a far risorgere il paese. Certo, che ben poca cosa avrebbero potuto fare, se non avessero ricevuto anche il forte sostegno dato dallo stesso Federico che, consapevole dell’importanza strategica di Montalbano, ( la sua posizione di crocevia tra la costa ionica e la tirrenica e tra quest’ultima e l’interno della Sicilia) lo inserì in un piano di consolidamento delle fortezze siciliane contribuendo così, non solo a ricostruire il paese ma, a fortificarlo ulteriormente. Tra gli interventi di fortificazione rientrò anche il castello. Vennero erette soprattutto delle muraglie a protezione delle scorte, e delle riserve d’acqua delle cisterne, rivelatesi più deboli durante la rivolta del 1233. La morte dell’imperatore dette inizio ad una profonda crisi del potere che si protrasse per decenni. Discordie civili, vendette tra famiglie rivali, bande armate, scombussolarono l’ordine così faticosamente ricostruito. I baroni siciliani appoggiarono allora il figlio di Federico, Manfredi, che, nel 1258 venne proclamato re. Questi, quattro anni dopo, consolidò, il suo potere dando in sposa la figlia Costanza a re Pietro III d’Aragona. Montalbano, nel frattempo, era passata dal privilegio del regio demanio, alla giurisdizione di un signore feudale. Ciò si evince dalla presenza, alla cerimonia nuziale di Pietro III di e Costanza che doveva avere luogo a Montpellier, in Linguadoca, del conte di Montalbano, Bonifacio Anglono, zio materno di Manfredi Montalbano in quegli anni continuò la sua opera di ricostruzione. Nel 1262, riacquistato il suo antico splendore, venne elevata al rango di contea. A questo periodo è da attribuire la Torre del fondaco, i cui resti si possono ammirare ancora oggi presso l’Argimusco. Morto Bonifacio Anglona, Montalbano passò nuovamente al Demanio regio. Nel frattempo, il papa, offrì l’investitura a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che, sostenuto diplomaticamente e finanziatamene dalla chiesa, l’accettò e occupò il Regno di Sicilia. Manfredi venne sconfitto e morì sul campo di battaglia nel 1266. Gli angioini nel 1270 continuarono l’opera di consolidamento del paese. Tra i segni che questi lasciarono a Montalbano si annoverano alcuni apporti linguistici, difficili comunque da identificare con precisione. Le vessazioni, ritorsioni angioine, crearono malcontenti e insofferenza ovunque. Di questa situazione ne approfittarono i fautori della dinastia precedente che evocarono come legittimo successore al regno di Sicilia, il re Pietro III, in quanto sposo di Costanza, figlia di Manfredi. I siciliani insorsero con la guerra del Vespro nel 1282 e chiesero a Pietro d’Aragona di intervenire. Questi alle pressanti richieste del popolo siciliano sbarcò a Marsala e in poco tempo conquistò la Sicilia. Alla sua morte avvenuta nel 1285 successe al trono il figlio Federico, il quale, arrivato in Sicilia appena decenne, divenne re dell’Isola, col titolo di Re di Trinacria. L’elezione di Federico fu veramente singolare e unica nella storia della Sicilia, per la prima volta un re venne eletto in base alla decisione presa dai rappresentanti della nazione contro un diritto di successione e investitura dall’alto. A Pietro III, infatti, successe, in un primo momento, il primogenito Giacomo, il quale, maggiormente interessato agli affari del regno di Aragona, nominò viceré di Sicilia il giovane fratello Federico, e contemporaneamente temendo le ritorsioni dal papato, intratteneva accordi segreti con il re di Napoli, preparandosi a restituirgli la Sicilia. Il progetto di Giacomo, uscito allo scoperto, allarmò i baroni e l’intera popolazione siciliana, i quali, alla fine del 1295, convocarono un parlamento a Catania, dove, proclamarono il fratello Federico, re della Sicilia. La risposta del papato non tardò ad arrivare: interdisse immediatamente Federico e si preparò ad intervenire con le armi. Accanto alla Chiesa di Roma si schierò anche il fratello di Federico, Giacomo, e l’ammiraglio Ruggero di Lauria, prima fedele a Federico. Lo scontro avvenne nel 1299 nel mare di Capo d’Orlando, Federico ne uscì sconfitto e fu costretto a retrocedere. Tutto sembrava perso, ma i siciliani non si arresero, il desiderio di proteggere la propria terra, la paura delle ritorsioni angioine, animarono le schiere dei soldati, rallentando così, con tutti i mezzi e sistemi che disponevano, la marcia degli invasori. La conquista della Sicilia non si rivelò così facile come previsto. La resistenza fu tale, che, Federico, sostenuto dal popolo, raccolse le poche forze rimastegli e con coraggio e determinazione creò le condizioni per una trattativa. Il trattato di pace venne firmato nel 1302 a Caltabellotta. Dagli accordi presi, sembrò che non ci fossero ne vinti ne vincitori, ma Federico riuscì a conservare l’Isola, anche se a titolo personale. Le condizioni impostegli furono pesanti ma non vennero rispettate. La Sicilia alla sua morte doveva ritornare agli Angioini, Federico non doveva fregiarsi del titolo di re di Sicilia, che rimaneva agli angioini, ma di Re di Trinacria. Inoltre dovette prendere in moglie la figlia del suo antagonista Carlo II, Eleonora d’Angiò, e restituire a Ruggero di Lauria il castello di Aci e le roccaforti di Castiglione, Francavilla, Roccella, Novara e Tripi. Federico anche se teoricamente accettò le condizioni impostegli dalla pace di Caltabellotta, non le applicò, egli infatti non si riconobbe mai nel titolo di re di Trinacria e forte del motto “Rex Siciliane sumus et manebimus” continuò a chiamarsi re della Sicilia. Inoltre annullò la clausola della temporalità, associando il primogenito Pietro al Regno “Nos Fredericus Dei gratia Rex Siciliane et inclitus Rex Petrus Secundus Siciliane Rex”. La pace di Caltabellotta, più che definire la fine dell’ostilità, costituì una tregua. Federico II riprese a ricostruire e rinforzare le difese sia terrestri che marine della Sicilia. Per fronteggiare le posizioni cedute al Lauria, si affidò per il versante etneo, a Catania e Randazzo e per il versante tirrenico a Montalbano. In questo contesto Montalbano accrebbe la sua importanza, diventando base militare insostituibile. Fu proprio durante il periodo aragonese che la cittadina conobbe il periodo di massimo splendore. Il legame che Federico aveva con Montalbano non era solo militare, ma sentimentale. Egli, predilesse Montalbano, i ricordi che lo accompagnarono risalivano all’infanzia, quando spesso vi sostava insieme alla madre durante i viaggi della regina da Palermo a Messina. Il nome Montalbano è indissolubilmente legato a quello del re Federico d’Aragona. Questi, invasato dall’aria, dallo splendido orizzonte, amò talmente la posizione in cui sorgeva Montalbano che abbellì e rinnovò il castello (dichiarato monumento nazionale). Lo fortificò ulteriormente costruendovi una cinta muraria e trasformò il nuovo corpo svevo da fortezza a reggia. L’opera di ristrutturazione fu talmente incisiva che alcuni storici, ne hanno attribuito la fondazione allo stesso Federico. Il Fazello nel “DE rebus Siculis” dice “ Mons ALBANUS est oppidum <<a Fredericio secondo Siciliane rge conditum – muro cintum –ubi regias aedes lapide quadrato conspicuas a fundamentis erexit>>. La tesi più probabile è, invece, che la costruzione dell’imponente castello non sia avvenuta ex-novo, ma su costruzioni arabe e normanni già preesistenti. Per quanto riguarda l’oppidum muro cintum, citato dal Fazello, si sa che in esso si accedeva per 4 porte: Porta Reale a Sud, Gian Guarino a ovest, Porta di terra a est, Portella a nord. Ogni porta aveva una sua funzione: dalla prima entrava Federico, la seconda prendeva il nome da un guerriero che morì difendendone l’ingresso, la terza era una porta segreta e dalla quarta vi entravano i popolani. Il castello servì a Federico II per rendere più comodo e agevole il suo soggiorno, infatti, egli soleva spesso recarvisi per curare una malattia di cui era affetto, la podagra. A Montalbano infatti vi era un’acqua che scorgava della Fonte Tirone, che per le sue sostanze oleaginose era ritenuta salutare per malattie simili. Questa fontana esiste ancora sa 150 metri dall’abitato. Dal castello di Montalbano, nel 1311 Federico emanò le norme per l’elezione delle cariche amministrative della città di Palermo, che rappresentarono le più antiche norme elettorali della storia europea. E’ in quegli anni che il castello divenne “regias aedes”. Sempre dal castello il re ammoniva quei religiosi che sobillando la popolazione, osteggiavano la monarchia intromettendosi negli affari dello Stato. Re Federico II fece di Montalbano uno dei campi di prova di nuove esperienze religiose che, ispirandosi ad una chiesa caratterizzata dalla povertà evangelica, contrastava quella gerarchica della Curia romana, mettendone a nudo la corruzione del clero, i riti, la lettura. Egli istituì scuole di insegnamento evangelico accessibili a tutti, ricchi e poveri. Aprì istituti per accogliere gli orfani, ospedali per i vecchi e gli infermi. Molte delle chiese sorte a Montalbano che si fanno risalire al XVI-XVII sec, sembra che in realtà fossero rifacimenti, ristrutturazioni di edifici nati proprio durante il regno aragonese. Ma la guerra, evitata con la pace di Caltabellotta, esplose nel 1312, con la discesa di Arrigo VII di Lussemburgo. Questi antipapale, antiangioino, vessillifero delle sorti ghibelline, non poteva non affiancarsi a Federico. Ma Arrigo VII morì, probabilmente avvelenato, gli angioini riattaccarono allora Federico, devastando l’intera fascia costiera e zone interne dell’isola. Federico oppose ogni sua resistenza ma, oramai stanco e ammalato, morì nel 1336. Il Fazello, così descrive il suo ultimo tragitto: <<Arrivato a Enna dove con sommo suo contento egli soleva star la state, essendo d’età di sessantacinque anni, stanco della vecchiezza e delle continue fatiche, s’ammalò di gravissima infermità; ond’egli, conosciuta la gravezza e il pericolo della malattia, si fece portare in lettiga a Catania. Ma crescendo il male nel viaggio, si condusse a fatica a Paternione, et entrato in san Giovanni di Hierusalem, ch’era vicino al castello, avendo secondo l’uso dei veri Cristiani presi i Sacramenti ecclesiastici, l’anno quarantesimo del suo regno, e di nostra salute MCCCXXXVI, addì 25 di giugno, passò di questa presente vita; et fu Principe di tal conditione, che per le belle doti dell’animo suo, e per haver conservato l’Isola con grandissime fatiche, e per haver abbellite città, e fatti molti benefici, i Siciliani gli sono molto obbligati. Mentre che egli era ammalato, apparve una Cometa in Cielo, che pronosticava la sua morte. Fu condotto il suo corpo a Catania, e riposto di notte nella fortezza principale della città, chiamata del Orsino: e la mattina poi fu portato nella chiesa di Sant’Agata, dove dai Siciliani gli furon fatte le esequie Reali: al cui sepolcro fu fatto questo distico latino, che anchor oggi vi si vede: “Sicanie populi maerent, coedestia gaudent Numina, terra gemit, Rex Fredericus obit” >> Il progetto di Federico, di creare uno stato monarchico con un organico corpo di leggi, un efficiente ordinamento giudiziario, autonomie locali, la speranza di un regno in cui la pace regnasse sovrana, emerse dal testamento da lui lasciato. In esso sono frequenti le frasi “pacis tranquillitas” o “pax firma in regno nostro” desideri che si infransero con la sua morte. Con la morte di Federico II, naufragò per Montalbano il sogno di affermarsi come “città reale”, luogo di residenza privilegiato dal re, paese modello. Ebbe inizio per la cittadina un periodo di lenta cadenza che dette i suoi primi sintomi già durante il regno di Pietro II, successo al padre al Regno di Sicilia. La cittadina affidata, al secondogenito Giovanni d’Aragona, figlio di Federico II, duca di Randazzo, signore di Francavilla e Troina, perse ogni agevolazione tributaria e facilitazione negli scambi che il re aveva precedentemente concesso. Pietro II morì dopo appena sei anni di regno, lasciando come successore il piccolo Ludovico e come tutore e vicario del trono, il fratello Giovanni, barone di Montalbano. Ma anche Giovanni venne meno da lì a pochi anni (1348) di peste a Mascali. Prima di morire, nominò tutore e vicario Blasco Alagona, uomo di fiducia di Federico II e della moglie, tanto da essere stato da loro nominato esecutore testamentario. La scelta di Giovanni fu ponderata e responsabile, Ludovico avendo dieci anni non poteva affrontare un trono continuamente avversato dagli interessi baronali, allo stesso tempo non poteva fidarsi dei nobili di quel tempo, non poteva fare affidamento neanche sulla madre, perchè amica col Palizzi, conte di Novara. La scelta non poteva non ricadere che su Blasco, il quale estraneo alle questioni siciliane gli sembrò sicuramente il più idoneo a mantenere in quei momenti salde le basi del regno. Dopo la morte di Giovanni, nel 1348, il re Ludovico e la madre Elisabetta si ritirarono a Montalbano per consiglio del medico Tantuneto o Tartureti. In Sicilia si diffondeva sempre più la peste, e quindi, nessun luogo sembrava più idoneo, per la salubrità dell’aria e lontano da ogni centro di contagio. La regina non vedeva di buon occhio Blasco Alagona e, temendo che volesse usurpare il regno al piccolo Ludovico, intraprese durante il suo soggiorno a Montalbano trattative private con Matteo Palazzi, che voleva diventare signore dell’isola. L’incontro tra i Palazzi e la Regina avvenne alla riviera di Patta, ubicata sotto Montalbano. Le contese tra Blasco d’Alagona e Palizzi divennero sempre più gravi, e vi furono numerosi scontri. Nel 1350 si ebbe una breve tregua perché il Blasco Alagona in cambio di Baronia, rinunziò a Montalbano che insieme a Bufera passò sotto la dipendenza del Palizzi. Questo scambio però durò poco tempo, perché il Palizzi fu ucciso poco tempo dopo in una rivolta a Messina, per cui la Contea passò nuovamente a Blasco. Intanto si accese la lotta fra i Chiaramonti ed i Catalani e per l’intromissione di Nicolò Cesareo, del partito dei Chiaramonti vennero in aiuto, contro i catalani, gli angioini. Egli intanto occupava Messina e chiamava presso di sé Luigi Re di Napoli facendogli intravedere l’occupazione dell’isola. Luigi infatti venne in Sicilia il 24 dicembre 1356. Cesario meritava una ricompensa e Luigi di Napoli gli diede il titolo di conte di Montalbano, Naso e Tripi. Nel frattempo morì anche Ludovico e la corona venne ereditata dal fratello Federico detto il Semplice Montalbano, centro degli scontri tra la parte degli angioni e la parte aragonese, passerà diverse volte, ora a Luigi, ora a Federico III. Da lì a poco tempo, Montalbano si ribellò. Così Michele da Piazza raccontò l’avvenimento: << Essendo Blasco Alagona signore del Castllo di Montalbano, recatosi sul posto, aveva rimosso il capitano della rocca Giovanni Arlotto, e lo aveva rimpiazzato con uno del suo seguito. Il risentimento, formentato dal capitano destituito, stava assumendo aspetti preoccupanti. Allora Blasco, temendo il peggio, manda a dire in segreto al nuovo capitano di attirare con un pretesto l’Arlotto nella rocca, catturarlo e inviarglielo sotto buona scorta a Catania. L’operazione procede secondo l’ordine dato. Se non che, la notte del 22 febbraio 1356, che era quella stabilita per il trasferimento del prigioniero, il drappello aveva percorso appena tre miglia quando un gruppo capeggiato dal figlio di Arlortto, che si era nascosto presso una strettoia, irruppendo gridando “Mòranu li trajturi et viva lu re e lu populu”. I militi della scorta, presi alla sprovvista, abbandonano il prigioniero e si danno alla fuga. Due di essi rimangono uccisi, gli altri si salvano disperdendosi nella campagna. Che altro dire? Giovanni Arlotto e il gruppo che lo ha liberato tornano in paese e precorrono le vie gridando “All’erta cittadini, stiamo uniti nella gioia. Il padre di tutti, Giovanni Arlotto, ha scampato la morte”. Tutti insieme allora si dirigono al castello, lo prendono d’assalto, catturano il capitano che Blasco aveva imposto e spoglio di ogni bene lo cacciano fuori dall’abitato>> Montalbano si troverà, così, ad avere contemporaneamente due titolari: uno di diritto Blasco Alagona legato alla dinastia aragonese e l’altro Nicolò Cesareo legato agli angioini. Ma anche questa seconda occupazione della Contea durò poco perché, il Cesareo, la lasciò al suo legittimo possessore Blasco e successivamente passò al figlio Artale” Gli storici parlano di una tregua tra catalani e chiaramonti che durò fino al 1358. Infatti nel 1359 Vinciguerra Alagona occupò Montalbano e questo irritò il Cesareo che corse a liberarlo e dopo averlo fatto, incendiò e saccheggiò tutte le terre che si trovavano tra Patti e Milazzo Nel 1372 venne raggiunta la pace tra gli angioini di Napoli e gli Aragonesi di Sicilia, l’isola rimase alla casa d’Aragona e il sovrano Federico il Semplice venne riconosciuto come re di Sicilia. Ma anche gli angioini reclamarono il titolo, che verrà dato alla regina Giovanna di Napoli, per cui si ebbero due regni di Sicilia e due Sicilie: una al di là del faro e una al di qua del faro. Ambedue i regni erano soggetti all’autorità del papa e a lui dovevano rendere obbedienza Nel frattempo, morì Federico il Semplice, nel 1377, e con lui si concluse la dominazione aragonese in Sicilia. Unica erede al regno era la figlia Maria, andata sposa a Martino, figliuolo di Martino il Vecchio di Castiglia. Maria aveva appena 14 anni alla morte del padre ed era stata raccomandata ad Artale Alagona, che la teneva nel suo castello a Catania. Pensava di darla in sposa al duca di Milano. Ma venne rapita dal suo avversario Raimondo Moncada, conte di Augusta, che la condusse prima a Licata e poi Catalogna dove, nel 1300, venne data in sposa a Martino il Giovane per contraddistinguerlo dal padre, detto il Vecchio, fratello del re d’Aragona Pietro IV e duca di Monblanco. La Sicilia allora era governata da quattro vicari Artale Alagona, Manfredi Chiaramente, Francesco Ventimiglia e Guglielmo Peraltra, che governavano la Sicilia in nome della principessa Maria Questo fu uno dei periodi più terribili della Sicilia, ogni vicario, imponeva proprie tasse e si impadroniva arbitrariamente delle terre demaniali. I due sovrani Martini (padre e figlio) vennero in Sicilia a prendere possesso del regno. I baroni siciliani temendo di perdere il potere che avevano man mano conquistato nel regno si coalizzarono contro. Due dei quattro vicari, Francesco Ventimiglia e Peraltra si schierarono con i Martini, gli altri due vicari si opposero. Quest’ultimi furono decapitati e i loro beni confiscati e dati parte ai Moncada e parte ad altri baroni che avevano sostenuto la nuova dinastia. Poiché, Martino il Vecchio, occupava e dominava la Sicilia in nome del figlio, iniziò a distribuire i feudi secondo le proprie idee e, dopo aver promulgato un decreto nella Rocca Orsina di Catania, nel quale Artale era considerato un inetto, gli toglieva la contea di Montalbano per darla a Berengario Cruillas, nel dicembre del 1393. Ma vi rimase poco perché, Montalbano, il 25 settembre 1396, venne dato a Tommaso Romano barone di Cesarò che aveva reso grandi servigi alla corona, aiutando la dinastia anche con sovvenzioni di denaro. Da reggia, il castello scade a palazzotto feudale. La signoria dei Romano che, partendo dal 1396, durerà fino al 1500-1550, iniziò il suo dominio con Tommaso, come compare in un diploma di infeudazione tratto da una memoria dell’avvocato Onofrio Basile, nella causa contro i gesuiti che cercavano di usurpare lo stato di Montalbano si legge “Concedimus benemerito atque contiguo Thomas Romano terram e castrum Muntisalbani cum vassalli set vassallagis….non ostante quod dicta terra olim antiquo tempore fuerat de Demanio….etiam quod per principes predecessores nostros dicta terra Muntisalbani iamdiu in feudum, et baroniam aliquibus fuerit riversa….et demum ad amnus curiae nostrae fuerit riversa….et si in dictis terra et castro et eorum territoriis, et pertinentiis aliqua iura possessionis, et bona per Siciliae reges predecessores nostros vel per nos concessa fuerint, ea teneant et possidean”t, ecc. Dal 1396, Montalbano divenne feudo, nel possesso dei quali nei secoli si alternano varie famiglie. Si aprì un periodo grigio per il paese. La Contea sottoposta all’arbitrio e allo strapotere dei signori visse una situazione di profonda crisi: vessazioni, divieti, abusi, caratterizzarono la vita economica e sociale di Montalbano. Il governo locale passò di mano in mano ai diversi signori che non avevano nessun interesse per promuovere il territorio, ma solo quello di sfruttarlo per il proprio tornaconto Dalla signoria dei Romano dopo due secoli alla fine del 500 passa a Filippo Bonanni Edifici storici di prestigio Castello E’ il fabbricato più insigne del luogo, monumento di alto valore culturale, dove può leggersi tuta la storia del paese. Posto su un poggio sul quale in precedenza era stata eretta normanno- una piccola fortezza sveva (ricordata da Edrisi nel 1150 circa) e’ l’unico esempo di palazzo trecentesco sopravvissuto in Sicilia. Nato come presidio difensivo fu edificato su preesistenti bizantine ed arabe. Distrutto da Federico II, “lo stupor mundi”, fu ricostruito da Federico II d’Aragona che lo trasformò in regiae aedes. Il castello fu luogo di cura e riposo, ma anche di sollazzo, Federico II d’Aragona, vi soggiornava spesso in compagnia del dotto medico, astrologo, diplomatico Arnaldo di Villanova, qui sepolto nel 1311. Costituito in alto da una piazzaforte normannasveva e in basso dal palatium fortificato svevo-aragonese è posto su un basamento a scarpa. Il complesso ha forma quadrilatera con ampia corte centrale, occupata in gran parte dallo sperone calcareo su cui si impianta la precedente fortezza, un recinto presidiato sui lati corti da due torri, l'una rettangolare, l’altra pentagonale. Il palazzo trecentesco si eleva su due livelli, il primo segnato da alte e sottili bifore, il secondo, coronato da sporto merlato, con 18 grandi ed eleganti finestre sui muri perimetrali al di sopra delle feritoie sveve e un numero considerevole di portali e porte. All'interno vasti ambienti, definiti da robusti muri incisi da eleganti portali in pietra, individuano le zone deputate alla guardia, ai magazzini, alla rappresentanza, agli alloggi reali. Molto interessante è la Chiesa palatina, della Trinità, che sorge nella corte appoggiata al corpo meridionale: un volume cubico aperto sul davanti da un grande arco, è coperto con una volta ribassata, impostata su archetti a pennacchi. Al suo interno vi è la cappella reale con cupola di stile bizantino, caratterizzata da tre absidi, di cui le due laterali sono ricavate direttamente nello spessore delle mura . Al centro di essa, davanti all’altura vi è un sarcofago di pietra, dove si pensa vi siano i resti mortali di Arnaldo da Villanova, medico di fiducia, amico e consigliere del monarca aragonese morto nel 1310. e’ circondato da viuzze medievali che si aggrovigliano in continui saliscendi Per quanto riguarda le chiese non ho notizia degli arredi e delle opere che contengono Chiese dello Spirito Santo 1310 ad un’unica navata con tre altari San Sebastiano…………… San Biagio………………. Chiesa di S. Barbara. Prende il nome dal villaggio omonimo vicino alla chiesa. Oggi rimangono pochi ruderi. Chiesa di San Michele. Semidistrutta dal terremoto del 1978 è chiusa al culto da oltre mezzo secolo Pochi resti della chiesa di S. Antonio e di San Giovanni Santa Caterina d’Alessandria risale al 1393. e’ la chiesa più vicina al castello. Mirabile è il portale romanico, interessanti anche il merlo “ghibellino e le due velette per le campane ai terminali del tetto. All’interno vi sono pregevoli dipinti,come quello della “Cena Domini” della scuola di Guido Reni e una statua marmorea della Santa, che viene attribuita alla scuola del Cagini Ruderi della chiesa trifora del XIII secolo, che sorgeva in contrada Monacale e custodiva una statuetta in alabastro della Madonna del Salterio, capolavoro dell’arte classica gotica La Chiesa Madre edificata nel Medioevo, fin dal XII sec, è dedicata a S. Nicola, patrono di Montalbano. Ristrutturata nel 1645 vi è stato affiancato un imponente campanile con pregevoli campane di bronzo. Mirabile è un armadio settecentesco con capitelli di stile dorico e corinzio scolpiti da Antonio Lembo di Novara di Sicilia L’interno della chiesa conserva, oltre ad alcuni quadri antichi, pregevoli opere d’arte: • Un crocifisso ligneo del 400 • Il tabernacolo e la statua di S. Nicola, attribuiti al Cagini • Un baldacchino ligneo barocco del 700 attribuito allo scultore Francesco Terranova di Sant’Angelo di Brolo • Un dipinto raffigurante l’Ultima Cena attribuito alla scuola di Guido Reni • Una tela dell’Assunta • Un bassorilievo della Samaritana al pozzo di Giacobbe del 1680 La chiesa di San Domenico, elevata a Santuario in onore della Madonna della Provvidenza. Autrice di numerosi miracoli è venerata particolarmente dai cittadini di Montalbano, ma attira pellegrini anche dai paesi vicini. Al suo interno è possibile ammirare la bellissima statua lignea della Madonna del 1730 Molto particolari sono i due portali di casa Milici, opera dello scalpellino montalbanese Don giovanni del 1700, e casa Ballarino, di Iradi del 1600. ambedue i portali sono stati dichiarati dalla Sovrintendenza monumenti nazionali Lingua : il gruppo lombardo, venne al seguito del Conte Ruggero e lasciò traccia nel lessico e nella fonetica del dialetto di Montalbano. La lingua durante il 1130 si trasformò: sia la lingua ufficiale (un polilinguismo misto di arabo, greco, latino, francese), sia la parlata comune, il cui impasto si arricchì di nuove acquisizioni fonetiche, lessicali, morfologiche, sintattiche. Qui si potrebbero includere alcuni esempi di lingua lombarda…………… MANIFESTAZIONI ED EVENTI Le Vie del Medioevo ( 7 agosto-12 agosto) La manifestazione, inserita nel Circuito dei Castelli e dei Borghi Medievali (POR 2000-2006, Misura 2.02, Azione D), ha segnato l’apertura delle Feste Aragonesi, che annualmente si svolgono, a Montalbano, nella seconda settimana di agosto. Si è realizzato un grande evento artistico multidisciplinare nel borgo medievale “Le Città invisibili” con la partecipazione di botteghe e mestieri medievali, con animazioni, duelli, cavalieri, cartomanti e fattucchiere Ha fatto seguito la suggestiva rievocazione storica dell’ingresso di Re Federico II d’Aragona in “Castrum et terram Montis Albani” Oltre trecento figuranti, in costume medievale, hanno animato le vie del paese e dell’antico borgo con una fantasmagorica mirandola di colori, suoni e canti medievali, animati dai gonfaloni dei quartieri, dagli sbandieratori e i musici . I nobili del luogo, nei loro ricchi costumi si sono sfidati per la conquista del palco, deliziose donzelle ricavavano delicate note e suoni medievali da cimbali e tamburelli; il dono al re da parte di Ferrante, principe di Maiorca, di due falconi di montagna, a testimonianza della passione del re per la caccia, che esercitava sul piano dell’Argimusco ; i giocolieri si sono impegnati in fantastici ed avvincenti giochi, i popolani hanno presentato i prodotti della terra al re, il quale dopo la consegna delle chiavi della città si è ritirato nella sua “regia aedes”. 24 AGOSTO Nella ricorrenza della festa, i montalbanesi presenti abitualmente in paese e molti di quelli che sono lontani ritornano per onorare e venerare la Madonna Maria SS della Divina Provvidenza. Numerosi sono i fedeli che arrivano in pellegrinaggio da ogni parte della Sicilia per assistere alla celebrazione della Santa Messa e per seguire la processione che vede la statua della Madonna, ornata degli ori votivi e posta su una vara di fiori , percorrere le vie del paese, seguita da innumerevoli fedeli, molti dei quali scalzi a soddisfare un voto. La processione si conclude a tarda sera con una fiaccolata e con la ricollocazione del Simulacro sull’altare maggiore, momento questo di intensa commozione e sentita partecipazione popolare. E’ dal 1522 che i montalbanesi riservano questo culto particolare alla Madonna , prima sotto il titolo di Maria SS del Salterio o del Rosario , successivamente sotto quello di Maria SS della Divina Provvidenza. Ai riti sacri, già da parecchi anni, si accompagnano spettacoli all’aperto, musica , danze e prosa. Festa di San Nicola (6 dicembre) Festa della Madonna del Salterio ( 2 luglio) PRESEPE VIVENTE Molto suggestiva è la rappresentazione del Natale, momento in cui oltre cento figuranti, giovani e meno giovani, danno vita a un presepe vivente. Allestito nel quartiere Serro, uno dei più antichi di Montalbano, il presepe vivente fa rivivere, ai numerosi visitatori, lo straordinario evento della Natività, in un atmosfera di profonda emozione e di sentita partecipazione. Premiato nel 2000 quale "miglior presepe vivente della Sicilia". Ambienti, attività e personaggi sono fedelmente ricostruiti all'interno di alcune casette, oggi disabitate, ma un tempo rifugio sicuro per le famiglie numerose e saldamente unite. Riappaiono i tanti mestieri del passato montalbanese, egregiamente interpretati da figuranti i cui costumi richiamano alla memoria quell'angolo di terra araba che diede i natali al Figlio di Dio. Il boscaiolo, i pastori, i vasai, i sellai, le tessitrici, tutti intenti a svolgere il loro lavoro, mentre la tenue luce dei lumini, il suggestivo suono delle cornamuse e le voci di un coro natalizio guidano i visitatori verso la capanna della Natività, ultima tappa di un percorso di fede cristiana. VENERDI’ SANTO Molto particolare nella Settimana Santa è il pomeriggio del Venerdì Santo, allorché un folto corteo, preceduto dagli angioletti (bambini vestiti di bianco), dall’Addolorata, dai Giudei con i loro costumi colorati, e dalle Confraternite religiose con i ceri spenti, contraddistinte dai relativi stendardi, dalle donne vestite a lutto, dagli apostoli che portano sulle spalle la bara vuota, coperta da un bianco lenzuolo, parte dalla Basilica Minore alla volta del Monte Calvario. Il corteo percorre le strade del paese e si inerpica sulle pendici del monte, fino alla sommità. La folla muta, ascolta in religioso silenzio l’orazione funebre ed assiste alla deposizione dalla croce del Cristo morto. Il corteo prosegue verso la Matrice , tutti seguono la bara sulla stradina in discesa, portando piccole casse funebri illuminate da ceri e adornate di fiori. Le musiche meste scandiscono i passi quieti di persone commosse e di madri raccolte in preghiera che camminano a piedi nudi, incuranti del residuo freddo invernale e delle asperità della strada: sui loro volti c’è il voto nutrito di speranza. Fiaccole ondeggianti accompagnano il rito funebre che prelude alla Resurrezione della Pasqua. ECONOMIA Economia……….da integrare Montalbano è un centro prevalentemente agricolo. Prodotti principali sono nocciole…………………………………. l’uva, i cereali, castagne, noci, ricotta , pecorino. Ma è famoso soprattutto per la provola. Oggi si propone come stazione climatica a spiccata vocazione turistica, lo scorso anno si sono registrate circa 10.000 GASTRONOMIA…. E specialità “La tradizione gastronomica di questo borgo è tutta legata all’antico mondo contadino e pastorale. Una cucina fatta di ingredienti semplici e genuini come la nostra pasta e fagioli, fave a macco … e i maccheroni. Piatti comuni ma che acquistano un sapore unico, grazie all’aggiunta di alcuni ingredienti, come il finocchio selvatico e a scurcilla ( cotica di maiale) nella pasta e fagioli ; u sutta e suvra ( lardo e carne ) , e ricotta a forno , grattugiata nei maccheroni al sugo di maiale. Particolare è la lavorazione dei maccheroni per la quale viene impiegato un sottilissimo ma resistente bastoncino di giunco. Secondi piatti privilegiati : arrosti di carni suine ed ovine . Ottimi i prodotti della pastorizia : ricotta ( fresca , salata ed infornata), formaggi e provole, queste ultime presentate anche sotto forma di figure animali : i cavalluzzi di tumma . Insaccati ( salami, pancetta, lardo) e dolci a base di nocciole di lavorazione artigianale che arricchiscono i pranzi e le cene. I dolci tradizionali legati alle festività pasquali ed unici in tutta l’Isola, sono i biscotti a ciminu ( semi di anice ) , dal gusto forte e particolare. Ci sono anche le nuvolette e le cullure (un impasto dolce a base di farina, latte, uova e zucchero , al quale si danno varie forme e sopra vanno messe uova e decorate a mano. Ottimi i legumi , fagioli, fave e ceci, come anche l’olio di oliva “. IL TERRITORIO DI MONTALBANO ELICONA Nei pressi di Montalbano, nel territorio dell’alta valle dell’Elicona, su un vasto altopiano a 1200 metri sul mare, al confine tra Nebrodi e Peloritani, è possibile ammirare nel sito dell’argimusco (dal greco "argimoschion" "altopiano delle grandi propaggini") i stupendi Megaliti, rocce calcaree giganti che, il vento e la pioggia, nella maggior parte dei casi, hanno modellato conferendo loro forme strane, di grande plasticità, che esercitano un fascino irresistibile. L’Argimusco costituisce l'unico esempio di sito megalitico in Sicilia. E’ diffusa la credenza che in passato ebbe la funzione di antico osservatorio astronomico luni-solare e di elementi di congiunzione tra la Natura e i culti degli uomini. Sembra, infatti, che sia stato un luogo sacro,dove si consumavano antichi riti propiziatori e di ringraziamento Dall’argimusco e dal Losi nasce il fiume Elicona che sbocca nel Mar Tirreno, tra Falcone e Tindari. Nel corso dei secoli, ai margini del fiume vennero costruiti i mulini ad acqua dove un tempo gli abitanti solevano recarsi a piedi o a dorso di muli, trasportandovi il grano da macinare. Ancora oggi, è possibile ammirare tra la vegetazione, i resti (ruote, mura, saitte) degli antichi mulini. La straordinaria singolarità del territorio di Montalbano Elicona è testimoniata anche dalla presenza dei “cubburi”, strutture il cui aspetto ricorda i trulli della Puglia e i nuraghi della Sardegna. Quasi sempre a pianta circolare, sono disseminati singolarmente o a gruppi. La particolare disposizione delle lastre di pietra arenaria con cui vennero costruiti, aggettando internamente e verso l’alto ne determinano la struttura, il cui ingresso è orientato verso il sorgere del sole. Alcuni studiosi, assimilando i cubburi ai tholos, propendono per una loro funzione funeraria laddove altri invece sostengono che siano stati destinati ad uso abitativo. Nella stessa zona un altro interessante manufatto è la mandra ru gesuittu costruito con enormi blocchi di arenaria provenienti probabilmente da un antico tempio megalitico, ubicato nelle immediate vicinanze IL BOSCO DI MALABOTTA Montalbano è uno dei comuni che fa parte della riserva naturale del Bosco di Malabotta. Questi si trova tra la catena dei Peloritani ad est, e i Nebrodi propriamente detti, a ovest Il bosco è ricco di vegetazioni di faggio, quercia, castagno, pino, nocciolo, agrifoglio, pioppo nero, ecc…. il sottobosco è ricco di biancospini, rose selvatiche e di Citiso trifloro e Sparzio spinoso. Tra la fauna vi sono il gatto selvatico, l’istrice, il riccio, la volpe, coniglio, il riccio europeo, il topo ragno, il ghiro, il quercino, la Martora, donnole, il cinghiale ecc. Numerosi sono gli uccelli tra i quali lodolai, barbagianni, civette, allocchi, gufi, corvi imperiali, i falchi e l’Aquila Reale. A proposito dell’Aquila, sembra che in passato vi nidificasse l’aquila del Monelli. Questa cacciava nella Piana di Moio, sia nelle foreste che hanno il loro centro nella Portella Croce Mancina. Nel torrente Licopeti, inoltre si può trovare la trota. LEGGENDE La leggenda dell’Argimosco L’altopiano è stato oggetto di diverse leggende. Tra queste particolarmente significativa, per Montalbano Elicona, è quella di Marta. La leggenda, infatti, ha ispirato il romanzo di Melo Freni “Marta d’Elicona”, che narra dell’amore di una ragazza, figlia di pastori che viveva nei cubburi: “Cinquantuno cavalieri, rozzi nella foggia e primitivi nello stile, cavalcavano a pelo, esperti come berberi, con una unica briglia di corda leggera; affrontavano l'avventura alla ricerca di Marta, addentrandosi nel bosco che era fitto e infido. Ai piedi degli alberi, il sottobosco di liane e di felci, di ginestre e rovetti che infittivano la macchia, non mostravano alcun Segno di passaggio. I cinquantun cavalieri avanzavano è scomponevano la compatta superficie verde cupa con bastoni lunghi e sfilati come picche, avanzavano e, di tanto in tanto si scambiavano qualche sguardo deluso. Sette ore di cavalcata, sette ore di inutile speranza Ma c'era anche chi diceva che era meglio non incontrare alcuna traccia, per dare corpo alla speranza che Marta se ne fosse andata in un luogo più sicuro, senza le insidie del bosco inesplorato. I1 primo a ritornare allo scoperto, dopo un giorno di attenta cavalcata, fu don Olindo , era l'ora della luce tremula, quando con l'aria più rarefatta l'ora assume la trasparenza acquitrinosa dei leggeri vapori di controluce, da non sapere distinguere se sia l'alba o il tramonto. Don Olindo usci dal bosco e si trovò davanti, a poco più di un miglio, uno spettacolo che non conosceva ,eppure, giurava d'esser certo che l'intera montagna non avesse segreti per lui , invece no, quèlla vista mortificava la Sua certezza. C'era un blocco di pietra piantato sulla crosta come un meteorite caduto all'improvviso . Non lo aveva mai Visto. Avevano dunque ragione gli antichi a dire che era impossibile svelare tutti i misteri dell'Argimoscu e del suo bosco. Chiamò Taninu Mbesi, il pastore cavaliere che gli era vicino e gli disse: - guarda laggiù, Taninu. Ci sei mai stato in quel posto? - Io c’ero già stato – rispose – posso giurare d’esserci già stato tante volte - E allora, di quella pietra che mi dici? - Io non l’ho mai vista quella pietra? - E allora non ci sei mai stato - Ma si ci sono stato. E c’è stato pure Giacchetta, e Manfrè e Viniti, Vardati. In poco tempo i pastori cavalieri si raccolsero davanti a quella veduta, che era diventata l’oggetto del loro stupire. - Voi dite di sapere, e invece basta una pietra e vi sconvolge la fantasia. Disse Filippu Cirella, che tra tutti era il più anziano Dimenticarono Marta e avanzarono curiosi e attenti per poter meglio guardare. Dòn Olindo si lanciò giù dal cavallo e a mezza voce mentre si accendeva un sigaro: - Ma questo è un prodigio , sbottò. Tutti tenevano gli occhi sgranati e avevano sguardi increduli. Allora furono scelti Micu Scoglio e Giuvanni Scrima per avvicinarsi al megalito e sincerarsi che fosse pietra vera e non visione, come tante altre allucinazioni che le leggende attribuivano a quei posti - o è vera, o è chimera - E’ vera - E’ chimera - Andiamo e vediamo Così Micu e Giovanni si incamminarono, e una volta che furono sotto il megalito e ne tastarono con le mani l'essenza di granito, autentica, chiamarono i compagni a gran voce perché venissero a vedere. Già spostandosi di un cèntinaio di metri dal punto in cui 1a truppa Si era assembrata Si. incominciava a coglière di quella pietra il profilo di una bellezza insolita ; il profilo delicato di una donna ; ecco il volto con la linea del naso e degli occhi, ecco le mani giunte sul petto; ecco la donna che prega avvolta nella linea semplice di una tunica antica. La gente di tutta l'Elicona e non solo dell'Elicona, cominciò a giungere lassù dopo che la notizia si era sparsa ed era grande lo stupore, grande la meraviglia, perché nessuno ricordava d'averla mai vista quella pietra sicché era un vero prodigio. Davanti al megalito dell'Orante - come il medico Cardile l'aveva battezzato -il pensiero correva a Marta sparita; quasi la terra l'avesse prima inghiottita e poi restituita in quella forma , e ognuno si segnava, aveva paura ma ne era attratto, se ne stava in silenzio e non si confidava. Soltanto il medico Cardile al bar del Popolo, nell'ora della discussione ,ricordò una storia di miti che parlava di impossibili amori e di pietose divinità che avevano trasformato in fiumi, in fontane , in rocce e in animali , innamorati il cui dolore sulla terra sarebbe stato inguaribile, immenso più della distanza delle stelle. ITINERARI NATURALISTICI Itinerario Megaliti L’itinerario prevede un'escursione nei siti di "Argimusco, Elmo, Losi, Mattinata e Zilla", affascinanti località grazie alle quali, la Sicilia, entra di diritto nella mappa dei megaliti d'Europa, insieme con Francia, Germania, Inghilterra e Spagna. In questi luoghi si trovano molti affioramenti di arenarie adatte alla costituzione di calendari astronomici per la determinazione dei solstizi e degli equinozi, con riferimenti mediante menhir. Alcuni di questi elementi sono costituiti da blocchi di granito, condotti da lontano e collocati fra le masse delle arenarie caratteristiche dei monti Nebrodi. Altri elementi naturali sono stati rimaneggiati e adattati per la determinazione delle fasi lunari. Fra gli indicatori astronomici sono collocate alcune figure mitiche come l'Aquila, animale privilegiato che collega la terra al cielo e che indica la collocazione della Necropoli, (purtroppo profanata nel corso dei millenni) costituita da dolmen (con annessa camera funeraria) e da una grande quantità di cubburi, (manufatti in pietra con struttura a cupola semisferica). Di epoca successiva sono alcune tombe scavate nelle masse rocciose. Itinerario riserva naturale La Riserva di Malabotta, ricade in provincia di Messina nella zona di transizione tra i monti Peloritani e i monti Nebrodi, interessando i comuni di Montalbano Elicona, Francavilla di Sicilia, Tripi Roccella Valdemone, Mojo Alcantara e Malvagia. La riserva tocca quote che vanno dai 650-700 metri sino a giungere i 1341 metri di altezza. All'interno dell'area protetta troviamo faggi, cerri, querce, pini, castagni e nocciolo, in misura minore troviamo anche l'acero, il pioppo nero, il salice la carpinella, l'agrifoglio, la fusaria, il leccio, il perastro e il sambuco comune. La Fauna della riserva è molto simile a quella siciliana così ritroviamo il gatto selvatico, la volpe, il coniglio, l'istrice e il riccio europeo, martore e donnole , il topo ragno, il ghiro il quercino ed anche il cinghiale. Numerosi gli uccelli molti quelli rapaci per esempio il gheppio, la poiana lo sparviero, il falco pellegrino, il barbagianni, la civetta, l'allocco, il lodolaio, il gufo comune, il corvo imperiale ed anche l'aquila reale . Varie specie di rettili, anfibi ed insetti tra i quali ricordiamo molte specie di farfalle ormai rare. Nelle acque del torrente Licopeti e dell'Elicona ormai da anni si puo' trovare la trota.