MONTALBANO ELICONA (Cenni Storici)

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MONTALBANO ELICONA (Cenni Storici)
MONTALBANO ELICONA
Montalbano Elicona, caratteristico comune di circa 3.220, sorge a 907
metri sopra il livello del mare.
Il suo
territorio si estende
ad Est verso il limite dei Nebrodi coi
Peloritani, a Sud verso l’Etna, ad Ovest verso la catena dei Nebrodi, a
Nord verso il Tirreno. E’ uno dei più antichi e suggestivi centri dei Nebrodi, ricco di
storia, di arte e di
tradizioni,
tanto da essere stato
annoverato tra
i 128 comuni che
fanno
dei borghi più belli
d’Italia.
Le piccole casette del
borgo,
chiara
parte
di
impostazione
medievale,
situate su speroni di
roccia,
affioranti e addossate l’una alle altre, danno origine ad un intricato dedalo di
pittoreschi vicoli che circondano il maestoso palazzo svevo-aragonese, chiese e
palazzi signorili.
Montalbano è stato testimone di importanti vicende storiche, ed ha costituito fido
rifugio per diversi regnanti siciliani, che ivi si recavano per motivi di salute o per
sfuggire alla peste che, in un certo periodo della storia della Sicilia, decimò migliaia
di uomini.
Per quanto riguarda l’etimologia del nome, le opinioni formulate sono varie.
Alcuni credono che derivi dalle voci arabe “Al” e “Blank”, che significano “luogo
eccellente”; altri pensano che derivi da “Mons Albus” per indicare le alture innevate
su cui sorge l’abitato,durante il periodo invernale; altri ancora affermano che derivi
dal nome di
un coraggioso commilitone musulmano “Munt Alban” da cui poi
Montalbano.
La tesi araba, comunque, sembra la più probabile, sia per le vicende storiche sotto le
quali tutta la zona settentrionale fu soggetta durante il dominio arabo in Sicilia, sia
per la quantità di nomi arabi lasciati da quel dominio, sia perchè la parola risponde
alle condizioni di fertilità del luogo
L’appellativo Elicona, invece, risale alla colonizzazione greca. Furono i Dori che
pensando al mitico monte delle Muse, chiamarono Helikon (= tortuoso) il luogo, che
si trovava vicino ad un torrente, coincidente con l’altura sul quale sorse il borgo
medievale di Montalbano. Questo nome venne menzionato per la prima volta dal
matematico e geografo Claudio Tolomeo, nel II sec. d. C., nella sua "Introduzione
geografica".
La prima notizia ufficiale di Montalbano, si ha verso la metà del sec. XII, nel
celebre Libro di Re Ruggero del geografo arabo Al-Idrisi. Nel libro, sicuramente
portato a termine prima del 1154 (data della morte di Ruggero committente e
dedicatario dell’opera) Montalbano viene descritto così “”Da Randazzo a
Montalbano corrono venti miglia, la rocca di Montalbano, posta in mezzo ad alte
montagne, è aspra assai a salirvi e a scenderne. Non ha pari per l’abbondanza del
bestiame. Del miele e d’ogni altro prodotto agrario…..”
Montalbano, dunque, essendo all’epoca dei normanni, un centro agricolo di una certa
consistenza, sorse prima dell’arrivo di questi, (tesi sostenuta da alcuni storici)
probabilmente in epoca saracena e
normanni
poiché
i
hanno occupato l’isola
intorno
all’850-900, la data di nascita della
cittadina
dovrebbe farsi risalire tra il 925-
950.
Inizialmente, la dominazione araba
portò,
a
Montalbano, come nel resto della Sicilia, trasformazioni economiche, sociali,
culturali che si ripercossero nei secoli successivi.
Ovunque vi fu una crescita della produzione e del benessere. Le tasse furono basse,
equamente distribuite, diversi provvedimenti incentivavano la piccola proprietà. La
condizione degli schiavi venne migliorata, caratterizzata dalla possibilità per coloro
che si convertivano alla fede musulmana di ottenere la libertà. Fu data ai cristiani la
possibilità di continuare a professare la loro religione, anche se era proibito loro di
costruire chiese, fare processioni, portare la croce o suonare le campane.
Si realizzarono nuove strutture urbane, nuovi stili di vita, si diffuse la cultura classica,
soprattutto quella aristotelica, progredirono gli studi di medicina, la chimica,
l’idraulica.
Segni evidenti del dominio arabo a Montalbano si trovano sia nel lessico, sia nelle
nuove produzioni, da loro introdotte.
Termini come carciòfuri, tàiu, sciàrra, zargàru, màrgiu, nomi delle contrade come
Saracìni, Mustàffi, Taffùri. Produzioni come quella del miele, della coltivazione della
canna da zucchero, le tecniche dell’irrigazione, della lavorazione della seta, ne
costituiscono una testimonianza accreditata
L’ondata musulmana diventò nel corso del tempo sempre più massiccia, tanto da
investire l’Italia e l’Europa meridionale. Nella sola Sicilia, se ne contavano oltre
mezzo milione.
Una simile situazione preoccupò la Chiesa di Roma che rifacendosi ad una
“presunta” donazione di Costantino, reclamò la propria signoria su varie zone del
territorio peninsulare e sulla Sicilia.
Quando il periodo di grande floridezza musulmana iniziò il suo declino, il popolo,
stanco e sopraffatto dalle lotte intestine che lo travagliavano, iniziò a ribellarsi.
Il papato, alla guida di
Nicolò
II,
intervenne
immediatamente,
sostegno ai
Normanni,
chiedendo
gruppi
soldati di ventura scesi nel
di
nostro
territorio per brama di preda, audacia, crudeltà, assetati di bottino e di terre.
Questi capeggiati da Ruggero d’Altavilla e Roberto, detto il Guiscardo, figli del
normanno Tancredi d’Altavilla, iniziarono la sua avanzata verso la Sicilia, forti
dell’investitura ricevuta dal papa per le conquiste del Meridione
Ruggero conquistò l’isola contemporaneamente alla liberazione dai greci dell’Italia
Meridionale ad opera del fratello Guiscardo.
La conquista della Sicilia avvenne partendo da Messina (espugnata nel 1061).
Proseguendo lungo la costa settentrionale, i normanni, dalla piana di Milazzo, si
inoltrarono verso l’interno. Obbligatoriamente, per attraversare la valle dell’Elicona
in direzione di Randazzo, Maniace, Cesarò, dovettero espugnare la rocca di
Montalbano. La loro avanzata lasciò dietro macerie e città fumanti. Castelli, villaggi,
casolari vennero distrutti, gli abitanti fatti prigionieri, le donne e i bambini venduti
come schiavi.
Con l’espugnazione normanna di Palermo nel 1071, la dominazione musulmana poté
considerarsi conclusa.
Il dominio di Ruggero, insignito con il titolo di conte di Sicilia e Calabria
si
caratterizzò per la grande versatilità. Pur ridando alla Sicilia la sua impronta cristiana,
fondando vescovati, elargendo beni e concessioni, pur accogliendo le richieste della
Chiesa di Roma,
fu tollerante sia verso i bizantini che professavano il culto
ortodosso, sia verso i Musulmani superstiti.
Montalbano, in questo periodo, grazie anche al contributo della colonia lombarda,
venuta al seguito di Ruggero nel 1061, visse una nuova era di prosperità, che troverà
il suo culmine con Federico II d’Aragona.
La cittadina si arricchì di torri, si ricostruirono le porte urbiche danneggiate,
affidando ad esse delle specifiche mansioni (La porta posta nella parte alta
dell’attuale via Mastropaolo venne designata come porta di terra, per l’uscita e
l’entrata delle merci e dei prodotti sottoposti a dazio). Le fortificazioni vennero
consolidate. Montalbano diventò possedimento demaniale, sotto il diretto controllo
della corona rimanendovi anche sotto gli svevi.
I confini dell’ “oppidum et terra Montis Albani” vennero nuovamente delimitati con
cippi di pietra infissi ai punti limite. Vennero riconosciuti agli abitanti i diritti di
pascolo, di legnatico su determinate zone boschive, sulle terre demaniali e sulle terre
comuni. I titoli di possesso dei beni immobili vennero, nella maggior parte dei casi,
ipoteticamente riconosciuti .
Vi fu un lento ma costante aumento della produzione con il passaggio da
un’agricoltura di sussistenza ad un’agricoltura di profitto. Montalbano intensificò il
traffico nel litoraneo tirrenico e ionico con scambi con
Patti, Tindari, Oliveri,
Milazzo, Messina. Forti dell’aiuto dei lombardi, venne favorita l’esportazione dei
prodotti verso il continente. Si barattarono cereali, bestiame,pelli, lana, prodotti delle
colture arabe (canna da zucchero, miele, seta) di cui Montalbano era molto ricca.
La dinastia di Ruggero, il Gran Conte venne continuata dal figlio Ruggero II che
diventò re di Sicilia nel 1130.
Questi, continuando l’opera del padre ebbe il gran merito di far convivere tradizioni e
culture diverse, che dettero alla Sicilia un periodo di prosperità e benessere. Si
assistette ala rinascita della cristianità con la riapertura degli edifici di culto cristiani.
Quelli che durante la dominazione araba erano stati distrutti o trasformate in mosche
vennero ricostruiti e consacrati.
Fu proprio sotto il dominio normanno che i cristiani di Montalbano finalmente
poterono far risuonare nuovamente le campane (era vietato dagli arabi, come le
processioni) e gioire nuovamente del loro suono che proveniva dai tetti delle chiese
di S. Caterina, Spirito Santo, S. Michele, S. Nicola, S. Bartolomeo.
Ma la situazione mutò dal 1154 con la morte di Re Ruggero.
Il clima di grande versatilità e tolleranza che aveva contraddistinto il dominio
normanno mutò.
In tutta la Sicilia esplosero manifestazioni di intolleranza nei
confronti dei musulmani, le loro case e i loro beni vennero saccheggiati, alcuni
vennero uccisi. Testimonianze di
queste intolleranze
sono presenti anche a
Montalbano, nelle campagne infatti sono numerosi i cùbburi, casotti a pianta rotonda
e falsa cupola, dove i musulmani furono costretti ad isolarsi .
La dinastia normanna si concluse con il matrimonio della figlia di Ruggero II,
Costanza d’Altavilla con Enrico di Hohenstaufen, il futuro imperatore Enrico VI.
Ad Enrico VI successe il figlio Federico II di Svevia, che nel 1208 diventò re della
Sicilia. Questi rimasto orfano all’età di due anni venne affidato alla tutela del papa
Innocenzo III, che sperava di poterlo controllare. Ma Federico, ben presto, si liberò
dalla tutela del papa e, appena quindicenne, si sposò con Costanza, figlia del re
d’Aragona Pietro II.
Montalbano, durante il regno di Federico II, era un piccolissimo centro ma,
sicuramente aveva una sua importanza, come si evince da una lettera, del 1211, di
Papa Innocenzo III, dove venne ratificata una donazione che l’Imperatore Federico II
fece alla sua prima moglie Costanza d’Aragona, morta il 23 giugno del 1222, a
Catania, a causa di una febbre perniciosa “Montem Albanum cum omnibus casali-bus
et tementis eorum” Montalbano con tutti i casali e tenimenti suoi…”. In questa
occasione Federico donò alla moglie, oltre Montalbano le terre di Baronia, Oliveti, S,
Maria, Taormina ed altre.
L’ usanza che i Re donassero alle loro mogli parte delle loro baronie o feudi era stata
introdotta dai normanni, e fu successivamente detta “Camera delle Regine Siciliane”.
Sicuramente, tali donazioni, avevano anche un carattere politico, i territori, che per
anni avevano subito usurpazioni da parte dei feudatari, venivano così reintegrati nel
demanio regio. I vassalli e la chiese furono obbligati a presentare i titoli dei loro
privilegi, e l’amministrazione della giustizia fu restituita ai magistrati della corona ed
inoltre, Federico II, si riservò il controllo di tutte le fortificazioni presenti nel
territorio.
Il castello di Montalbano passò così dalle mani dei feudatari a quelle di un
governatore nominato dalla regina.
La politica federiciana ebbe sulla cittadina effetti positivi e negativi . I nuovi
ordinamenti sicuramente proteggevano dalle dissipazioni, dalle ingiustizie, dagli
abusi che soprattutto il popolo aveva subito. L’agricoltura fu incentivata, furono
distribuite terre incolte per poter essere dissodate e seminate, furono vietati i sequestri
ai contadini degli animali ed attrezzi agricoli, fu incoraggiato l’allevamento del baco
da seta, fu creato un consiglio di giurati che si occupava dell’amministrazione locale.
Ma il paese restò socialmente e culturalmente diviso. Nella parte alta, dove era situato
il castello e nelle vicinanze, vi erano i signori, nella parte bassa gli artigiani, i
contadini, braccianti, pastori. Differenze erano presenti nel modo di vestire, nel
parlare, nei comportamenti, nei riti.
Inoltre, la politica di accentramento condotta da Federico, gli causò l’inimicizia dei
nobili e della gran parte del clero, che si sentirono danneggiati dalla mancanza delle
grosse fette di decime e tributi. Ovunque si diffuse il malcontento, anche la chiesa
romana guardava con sempre più diffidenza l’operato di Federico. Nel cercare di
placare gli animi, questi fece redigere, sembra proprio da Montalbano, un gruppo di
leggi (note come costituzioni Melfitane) e convocò nel 1231 a Melfi i maggiorenti
affinché l’approvassero. Ma
le costituzioni Melfitane, riducevano ogni forma di
autonomia, ed invece di placare gli animi li inasprirono. Fu guerra, soprattutto con la
chiesa di Roma.
Facendo leva sui malcontenti delle
popolazioni locali che
ritenevano le costituzioni di Melfi lesive dei diritti dei vassalli, il papato intervenne.
Approfittando della lontananza di Federico II( impegnato ad assediare Viterbo,
roccaforte papale) Messina, Catania, Siracusa, Capizzi, Nicosia, Centurie, Troina si
ribellarono alla signoria degli Svevi. Anche Montalbano nel 1233 aderì alla rivolta.
La cittadina si trovò divisa. I militi del presidio e i sostenitori di Federico si
asserragliarono nella fortezza, e resistettero nonostante rimasero senza le riserve di
grano o altre vettovaglie, che vennero depredati dai rivoltosi. Quando seppero
dell’imminente arrivo delle forze dell’imperatore, i rivoltosi, cercarono di bloccare
l’esercito, rafforzando le mura della cinta esterna. Le forze di Federico occuparono i
punti strategici, parte si accamparono al Serru u Seggiu, sorvegliando la via della
Colla, parte a S. Todaro e Chianu i Cigàri.
Le conseguenze furono disastrose, Montalbano (totaliter destructus) dovette subire le
ire dell’imperatore Federico che placò la rivolta con inaudita ferocia: distrusse il
castello e le case, mettendone a bando gli abitanti, i superstiti dovettero trasferirsi
parte ad Augusta, parte a Palermo ed Agrigento. Altri furono costretti a lavorare
come schiavi.
Fu proprio grazie a questi ed al forte attaccamento alla loro terra, che Montalbano
poté risorgere. Il loro coraggio, la loro determinatezza,
dette loro, la forza di
rimettere in piedi le loro case, e lentamente, tra difficoltà enormi,
con grande
laboriosità, sacrifici, si prodigarono a far risorgere il paese. Certo, che ben poca cosa
avrebbero potuto fare, se non avessero ricevuto anche il forte sostegno dato dallo
stesso Federico che, consapevole dell’importanza strategica di Montalbano, ( la sua
posizione di crocevia tra la costa ionica e la tirrenica e tra quest’ultima e l’interno
della Sicilia)
lo inserì in un piano di consolidamento delle fortezze siciliane
contribuendo così, non solo a ricostruire il paese ma, a fortificarlo ulteriormente.
Tra gli interventi di fortificazione rientrò anche il castello. Vennero erette soprattutto
delle muraglie a protezione delle scorte, e delle riserve d’acqua delle cisterne,
rivelatesi più deboli durante la rivolta del 1233.
La morte dell’imperatore dette inizio ad una profonda crisi del potere che si protrasse
per decenni. Discordie civili, vendette tra famiglie rivali, bande armate,
scombussolarono l’ordine così faticosamente ricostruito. I baroni siciliani
appoggiarono allora il figlio di Federico, Manfredi, che, nel 1258 venne proclamato
re. Questi, quattro anni dopo, consolidò, il suo potere dando in sposa la figlia
Costanza a re Pietro III d’Aragona.
Montalbano, nel frattempo, era passata dal privilegio del regio demanio, alla
giurisdizione di un signore feudale. Ciò si evince dalla presenza, alla cerimonia
nuziale di Pietro III di e Costanza che doveva avere luogo a Montpellier, in
Linguadoca, del conte di Montalbano, Bonifacio Anglono, zio materno di Manfredi
Montalbano in quegli
anni continuò
la sua opera di ricostruzione. Nel 1262,
riacquistato il suo antico splendore, venne elevata al rango di contea. A questo
periodo è da attribuire la Torre del fondaco, i cui resti si possono ammirare ancora
oggi presso l’Argimusco.
Morto Bonifacio Anglona, Montalbano passò nuovamente al Demanio regio.
Nel frattempo, il papa, offrì l’investitura a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia,
che, sostenuto diplomaticamente e finanziatamene dalla chiesa, l’accettò e occupò il
Regno di Sicilia. Manfredi venne sconfitto e morì sul campo di battaglia nel 1266.
Gli angioini nel 1270 continuarono l’opera di consolidamento del paese. Tra i segni
che questi lasciarono a Montalbano si annoverano alcuni apporti linguistici, difficili
comunque da identificare con precisione.
Le vessazioni, ritorsioni angioine, crearono malcontenti e insofferenza ovunque. Di
questa situazione ne approfittarono i fautori della dinastia precedente che evocarono
come legittimo successore al regno di Sicilia, il re Pietro III, in quanto sposo di
Costanza, figlia di Manfredi.
I siciliani insorsero con la guerra del Vespro nel 1282 e chiesero a Pietro d’Aragona
di intervenire. Questi alle pressanti richieste del popolo siciliano sbarcò a Marsala e
in poco tempo conquistò la Sicilia.
Alla sua morte avvenuta nel 1285 successe al trono il figlio Federico, il quale,
arrivato in Sicilia appena decenne, divenne re dell’Isola, col titolo di Re di Trinacria.
L’elezione di Federico fu veramente singolare e unica nella storia della Sicilia, per la
prima volta un re venne eletto in base alla decisione presa dai rappresentanti della
nazione contro un diritto di successione e investitura dall’alto. A Pietro III, infatti,
successe, in un primo momento, il primogenito Giacomo, il quale, maggiormente
interessato agli affari del regno di Aragona, nominò viceré di Sicilia il giovane
fratello Federico, e contemporaneamente
temendo le ritorsioni dal papato,
intratteneva accordi segreti con il re di Napoli, preparandosi a restituirgli la Sicilia.
Il progetto di Giacomo, uscito allo scoperto, allarmò i baroni e l’intera popolazione
siciliana, i quali, alla fine del 1295, convocarono un parlamento a Catania, dove,
proclamarono il fratello Federico, re della Sicilia.
La risposta del papato non tardò ad arrivare: interdisse immediatamente Federico e si
preparò ad intervenire con le armi. Accanto alla Chiesa di Roma si schierò anche il
fratello di Federico, Giacomo, e l’ammiraglio Ruggero di Lauria, prima fedele a
Federico.
Lo scontro avvenne nel 1299 nel mare di Capo d’Orlando, Federico ne uscì sconfitto
e fu costretto a retrocedere. Tutto sembrava perso, ma i siciliani non si arresero, il
desiderio di proteggere la propria terra, la paura delle ritorsioni angioine, animarono
le schiere dei soldati, rallentando così, con tutti i mezzi e sistemi che disponevano, la
marcia degli invasori.
La conquista della Sicilia non si rivelò così facile come previsto. La resistenza fu
tale, che, Federico, sostenuto dal popolo, raccolse le poche forze rimastegli e con
coraggio e determinazione creò le condizioni per una trattativa.
Il trattato di pace venne firmato nel 1302 a Caltabellotta. Dagli accordi presi, sembrò
che non ci fossero ne vinti ne vincitori, ma Federico riuscì a conservare l’Isola,
anche se a titolo personale. Le condizioni impostegli furono pesanti ma non vennero
rispettate. La Sicilia alla sua morte doveva ritornare agli Angioini, Federico non
doveva fregiarsi del titolo di re di Sicilia, che rimaneva agli angioini, ma di Re di
Trinacria. Inoltre dovette prendere in moglie la figlia del suo antagonista Carlo II,
Eleonora d’Angiò, e restituire a Ruggero di Lauria il castello di Aci e le roccaforti di
Castiglione, Francavilla, Roccella, Novara e Tripi.
Federico anche se teoricamente accettò
le condizioni impostegli dalla pace di
Caltabellotta, non le applicò, egli infatti non si riconobbe mai nel titolo di re di
Trinacria e forte del motto “Rex Siciliane sumus et manebimus” continuò a chiamarsi
re della Sicilia. Inoltre annullò la clausola della temporalità, associando il
primogenito Pietro al Regno “Nos Fredericus Dei gratia Rex Siciliane et inclitus Rex
Petrus Secundus Siciliane Rex”.
La pace di Caltabellotta, più che definire la fine dell’ostilità, costituì una tregua.
Federico II riprese a ricostruire e rinforzare le difese sia terrestri che marine della
Sicilia. Per fronteggiare le posizioni cedute al Lauria, si affidò per il versante etneo, a
Catania e Randazzo e per il versante tirrenico a Montalbano.
In questo contesto Montalbano accrebbe la sua importanza, diventando base militare
insostituibile. Fu proprio durante il periodo aragonese che la cittadina conobbe il
periodo di massimo splendore.
Il legame che Federico aveva con Montalbano non era solo militare, ma sentimentale.
Egli, predilesse Montalbano, i ricordi che lo accompagnarono risalivano all’infanzia,
quando spesso vi sostava insieme alla madre durante i viaggi della regina da Palermo
a Messina.
Il nome Montalbano è indissolubilmente legato a quello del re Federico d’Aragona.
Questi, invasato dall’aria, dallo splendido orizzonte, amò talmente la posizione in cui
sorgeva Montalbano che abbellì e rinnovò il castello (dichiarato monumento
nazionale). Lo fortificò ulteriormente costruendovi una cinta muraria e trasformò il
nuovo corpo svevo da fortezza a reggia. L’opera di ristrutturazione fu talmente
incisiva che alcuni storici, ne hanno attribuito la fondazione allo stesso Federico. Il
Fazello nel “DE rebus Siculis” dice “ Mons ALBANUS est oppidum <<a Fredericio
secondo Siciliane rge conditum – muro cintum –ubi regias aedes lapide quadrato
conspicuas a fundamentis erexit>>.
La tesi più probabile è, invece, che la costruzione dell’imponente castello non sia
avvenuta ex-novo, ma su costruzioni arabe e normanni già preesistenti.
Per quanto riguarda l’oppidum muro cintum, citato dal Fazello, si sa che in esso si
accedeva per 4 porte: Porta Reale a Sud, Gian Guarino a ovest, Porta di terra a est,
Portella a nord. Ogni porta aveva una sua funzione: dalla prima entrava Federico, la
seconda prendeva il nome da un guerriero che morì difendendone l’ingresso, la terza
era una porta segreta e dalla quarta vi entravano i popolani.
Il castello servì a Federico II per rendere più comodo e agevole il suo soggiorno,
infatti, egli
soleva spesso recarvisi per curare una malattia di cui era affetto, la
podagra. A Montalbano infatti vi era un’acqua che scorgava della Fonte Tirone, che
per le sue sostanze oleaginose era ritenuta salutare per malattie simili. Questa fontana
esiste ancora sa 150 metri dall’abitato.
Dal castello di Montalbano, nel 1311 Federico emanò le norme per l’elezione delle
cariche amministrative della città di Palermo, che rappresentarono le più antiche
norme elettorali della storia europea. E’ in quegli anni che il castello divenne “regias
aedes”.
Sempre dal castello il re ammoniva quei religiosi che sobillando la popolazione,
osteggiavano la monarchia intromettendosi negli affari dello Stato. Re Federico II
fece di Montalbano uno dei campi di prova di nuove esperienze religiose che,
ispirandosi ad una chiesa caratterizzata dalla povertà evangelica, contrastava quella
gerarchica della Curia romana, mettendone a nudo la corruzione del clero, i riti, la
lettura. Egli istituì scuole di insegnamento evangelico accessibili a tutti, ricchi e
poveri. Aprì istituti per accogliere gli orfani, ospedali per i vecchi e gli infermi.
Molte delle chiese sorte a Montalbano che si fanno risalire al XVI-XVII sec, sembra
che in realtà fossero rifacimenti, ristrutturazioni di edifici nati proprio durante il
regno aragonese.
Ma la guerra, evitata con la pace di Caltabellotta, esplose nel 1312, con la discesa di
Arrigo VII di Lussemburgo. Questi antipapale, antiangioino, vessillifero delle sorti
ghibelline, non poteva non affiancarsi a Federico. Ma Arrigo VII
morì,
probabilmente avvelenato, gli angioini riattaccarono allora Federico, devastando
l’intera fascia costiera e zone interne dell’isola. Federico oppose ogni sua resistenza
ma, oramai stanco e ammalato, morì nel 1336. Il Fazello, così descrive il suo ultimo
tragitto: <<Arrivato a Enna dove con sommo suo contento egli soleva star la state,
essendo d’età di sessantacinque anni, stanco della vecchiezza e delle continue
fatiche, s’ammalò di gravissima infermità; ond’egli, conosciuta la gravezza e il
pericolo della malattia, si fece portare in lettiga a Catania. Ma crescendo il male nel
viaggio, si condusse a fatica a Paternione, et entrato in san Giovanni di Hierusalem,
ch’era vicino al castello, avendo secondo l’uso dei veri Cristiani presi i Sacramenti
ecclesiastici, l’anno quarantesimo del suo regno, e di nostra salute MCCCXXXVI,
addì 25 di giugno, passò di questa presente vita; et fu Principe di tal conditione, che
per le belle doti dell’animo suo, e per haver conservato l’Isola con grandissime
fatiche, e per haver abbellite città, e fatti molti benefici, i Siciliani gli sono molto
obbligati. Mentre che egli era ammalato, apparve una Cometa in Cielo, che
pronosticava la sua morte. Fu condotto il suo corpo a Catania, e riposto di notte
nella fortezza principale della città, chiamata del Orsino: e la mattina poi fu portato
nella chiesa di Sant’Agata, dove dai Siciliani gli furon fatte le esequie Reali: al cui
sepolcro fu fatto questo distico latino, che anchor oggi vi si vede: “Sicanie populi
maerent, coedestia gaudent Numina, terra gemit, Rex Fredericus obit” >>
Il progetto di Federico, di creare uno stato monarchico con un organico corpo di
leggi, un efficiente ordinamento giudiziario, autonomie locali, la speranza di un
regno in cui la pace regnasse sovrana, emerse dal testamento da lui lasciato. In esso
sono frequenti le frasi “pacis tranquillitas” o “pax firma in regno nostro” desideri che
si infransero con la sua morte.
Con la morte di Federico II, naufragò per Montalbano il sogno di affermarsi come
“città reale”, luogo di residenza privilegiato dal re, paese modello. Ebbe inizio per la
cittadina un periodo di lenta cadenza che dette i suoi primi sintomi già durante il
regno di Pietro II, successo al padre al Regno di Sicilia. La cittadina affidata, al
secondogenito Giovanni d’Aragona, figlio di Federico II, duca di Randazzo, signore
di Francavilla e Troina, perse ogni agevolazione tributaria e facilitazione negli
scambi che il re aveva precedentemente concesso.
Pietro II morì dopo appena sei anni di regno, lasciando come successore il piccolo
Ludovico e come tutore
e vicario del trono, il fratello Giovanni, barone di
Montalbano.
Ma anche Giovanni venne meno da lì a pochi anni (1348) di peste a Mascali. Prima
di morire, nominò tutore e vicario Blasco Alagona, uomo di fiducia di Federico II e
della moglie, tanto da essere stato da loro nominato esecutore testamentario.
La scelta di Giovanni fu ponderata e responsabile, Ludovico avendo dieci anni non
poteva affrontare un trono continuamente avversato dagli interessi baronali, allo
stesso tempo non poteva fidarsi dei nobili di quel tempo, non poteva fare affidamento
neanche sulla madre, perchè amica col Palizzi, conte di Novara. La scelta non
poteva non ricadere che su Blasco, il quale estraneo alle questioni siciliane gli
sembrò sicuramente il più idoneo a mantenere in quei momenti salde le basi del
regno.
Dopo la morte di Giovanni, nel 1348, il re Ludovico e la madre Elisabetta si
ritirarono a Montalbano per consiglio del medico Tantuneto o Tartureti. In Sicilia si
diffondeva sempre più la peste, e quindi, nessun luogo sembrava più idoneo, per la
salubrità dell’aria e lontano da ogni centro di contagio. La regina non vedeva di buon
occhio Blasco Alagona e, temendo che volesse usurpare il regno al piccolo Ludovico,
intraprese durante il suo soggiorno a Montalbano trattative private con
Matteo
Palazzi, che voleva diventare signore dell’isola. L’incontro tra i Palazzi e la Regina
avvenne alla riviera di Patta, ubicata sotto Montalbano.
Le contese tra Blasco d’Alagona e Palizzi divennero sempre più gravi, e vi furono
numerosi scontri. Nel 1350 si ebbe una breve tregua perché il Blasco Alagona in
cambio di Baronia, rinunziò a Montalbano che insieme a Bufera passò sotto la
dipendenza del Palizzi.
Questo scambio però durò poco tempo, perché il Palizzi fu ucciso poco tempo dopo
in una rivolta a Messina, per cui la Contea passò nuovamente a Blasco.
Intanto si accese la lotta fra i Chiaramonti ed i Catalani e per l’intromissione di
Nicolò Cesareo, del partito dei Chiaramonti vennero in aiuto, contro i catalani, gli
angioini. Egli intanto occupava Messina e chiamava presso di sé Luigi Re di Napoli
facendogli intravedere l’occupazione dell’isola.
Luigi infatti venne in Sicilia il 24 dicembre 1356. Cesario meritava una ricompensa e
Luigi di Napoli gli diede il titolo di conte di Montalbano, Naso e Tripi.
Nel frattempo morì anche Ludovico e la corona venne ereditata dal fratello Federico
detto il Semplice
Montalbano, centro degli scontri tra la parte degli angioni e la parte aragonese,
passerà diverse volte, ora a Luigi, ora a Federico III.
Da lì a poco tempo, Montalbano si ribellò. Così Michele da Piazza raccontò
l’avvenimento: << Essendo Blasco Alagona signore del Castllo di Montalbano,
recatosi sul posto, aveva rimosso il capitano della rocca Giovanni Arlotto, e lo aveva
rimpiazzato con uno del suo seguito. Il risentimento, formentato dal capitano
destituito, stava assumendo aspetti preoccupanti. Allora Blasco, temendo il peggio,
manda a dire in segreto al nuovo capitano di attirare con un pretesto l’Arlotto nella
rocca, catturarlo e inviarglielo sotto buona scorta a Catania. L’operazione procede
secondo l’ordine dato. Se non che, la notte del 22 febbraio 1356, che era quella
stabilita per il trasferimento del prigioniero, il drappello aveva percorso appena tre
miglia quando un gruppo capeggiato dal figlio di Arlortto, che si era nascosto presso
una strettoia, irruppendo gridando “Mòranu li trajturi et viva lu re e lu populu”. I
militi della scorta, presi alla sprovvista, abbandonano il prigioniero e si danno alla
fuga. Due di essi rimangono uccisi, gli altri si salvano disperdendosi nella
campagna. Che altro dire? Giovanni Arlotto e il gruppo che lo ha liberato tornano in
paese e precorrono le vie gridando “All’erta cittadini, stiamo uniti nella gioia. Il
padre di tutti, Giovanni Arlotto, ha scampato la morte”. Tutti insieme allora si
dirigono al castello, lo prendono d’assalto, catturano il capitano che Blasco aveva
imposto e spoglio di ogni bene lo cacciano fuori dall’abitato>>
Montalbano si troverà, così, ad avere contemporaneamente due titolari: uno di diritto
Blasco Alagona legato alla dinastia aragonese e l’altro Nicolò Cesareo legato agli
angioini. Ma anche questa seconda occupazione della Contea durò poco perché, il
Cesareo, la lasciò al suo legittimo possessore Blasco e successivamente passò al
figlio Artale”
Gli storici parlano di una tregua tra catalani e chiaramonti che durò fino al 1358.
Infatti nel 1359 Vinciguerra Alagona occupò Montalbano e questo irritò il Cesareo
che corse a liberarlo e dopo averlo fatto, incendiò e saccheggiò tutte le terre che si
trovavano tra Patti e Milazzo
Nel 1372 venne raggiunta la pace tra gli angioini di Napoli e gli Aragonesi di Sicilia,
l’isola rimase alla casa d’Aragona e il sovrano Federico il Semplice venne
riconosciuto come re di Sicilia. Ma anche gli angioini reclamarono il titolo, che verrà
dato alla regina Giovanna di Napoli, per cui si ebbero due regni di Sicilia e due
Sicilie: una al di là del faro e una al di qua del faro. Ambedue i regni erano soggetti
all’autorità del papa e a lui dovevano rendere obbedienza
Nel frattempo, morì Federico il Semplice, nel 1377, e con lui si concluse la
dominazione aragonese in Sicilia.
Unica erede al regno era la figlia Maria, andata sposa a Martino, figliuolo di Martino
il Vecchio di Castiglia. Maria aveva appena 14 anni alla morte del padre ed era stata
raccomandata ad Artale Alagona, che la teneva nel suo castello a Catania. Pensava di
darla in sposa al duca di Milano. Ma venne rapita dal suo avversario Raimondo
Moncada, conte di Augusta, che la condusse prima a Licata e poi Catalogna dove,
nel 1300, venne data in sposa a Martino il Giovane per contraddistinguerlo dal padre,
detto il Vecchio, fratello del re d’Aragona Pietro IV e duca di Monblanco.
La Sicilia allora era governata da quattro vicari Artale Alagona, Manfredi
Chiaramente, Francesco Ventimiglia e Guglielmo Peraltra, che governavano la Sicilia
in nome della principessa Maria
Questo fu uno dei periodi più terribili della Sicilia, ogni vicario, imponeva proprie
tasse e si impadroniva arbitrariamente delle terre demaniali. I due sovrani Martini
(padre e figlio) vennero in Sicilia a prendere possesso del regno.
I baroni siciliani temendo di perdere il potere che avevano man mano conquistato nel
regno si coalizzarono contro. Due dei quattro vicari, Francesco Ventimiglia e Peraltra
si schierarono con i Martini, gli altri due vicari si opposero. Quest’ultimi furono
decapitati e i loro beni confiscati e dati parte ai Moncada e parte ad altri baroni che
avevano sostenuto la nuova dinastia.
Poiché, Martino il Vecchio, occupava e
dominava la Sicilia in nome del figlio, iniziò a distribuire i feudi secondo le proprie
idee e, dopo aver promulgato un decreto nella Rocca Orsina di Catania, nel quale
Artale era considerato un inetto, gli toglieva la contea di Montalbano per darla a
Berengario Cruillas, nel dicembre del 1393. Ma vi rimase poco perché, Montalbano,
il 25 settembre 1396, venne dato a Tommaso Romano barone di Cesarò che aveva
reso grandi servigi alla corona, aiutando la dinastia anche con sovvenzioni di denaro.
Da reggia, il castello scade a palazzotto feudale.
La signoria dei Romano che, partendo dal 1396, durerà fino al 1500-1550, iniziò il
suo dominio con Tommaso, come compare in un diploma di infeudazione tratto da
una memoria dell’avvocato Onofrio Basile, nella causa contro i gesuiti che cercavano
di usurpare lo stato di Montalbano si legge “Concedimus benemerito atque contiguo
Thomas Romano terram e castrum Muntisalbani cum vassalli set vassallagis….non
ostante quod dicta terra olim antiquo tempore fuerat de Demanio….etiam quod per
principes predecessores nostros dicta terra Muntisalbani iamdiu in feudum, et
baroniam aliquibus fuerit riversa….et demum ad amnus curiae nostrae fuerit
riversa….et si in dictis terra et castro et eorum territoriis, et pertinentiis aliqua iura
possessionis, et bona per Siciliae reges predecessores nostros vel per nos concessa
fuerint, ea teneant et possidean”t, ecc.
Dal 1396, Montalbano divenne feudo, nel possesso dei quali nei secoli si alternano
varie famiglie. Si aprì un periodo grigio per il paese. La Contea sottoposta all’arbitrio
e allo strapotere dei signori visse una situazione di profonda crisi: vessazioni, divieti,
abusi, caratterizzarono la vita economica e sociale di Montalbano. Il governo locale
passò di mano in mano ai diversi signori che non avevano nessun interesse per
promuovere il territorio, ma solo quello di sfruttarlo per il proprio tornaconto
Dalla signoria dei Romano dopo due secoli alla fine del 500 passa a Filippo Bonanni
Edifici storici di prestigio
Castello E’ il fabbricato più insigne del luogo, monumento di alto valore culturale,
dove può leggersi tuta la storia del paese. Posto su un poggio sul quale in precedenza
era
stata
eretta
normanno-
una
piccola fortezza
sveva
(ricordata
da
Edrisi nel 1150 circa) e’
l’unico esempo
di palazzo trecentesco
sopravvissuto in
Sicilia.
Nato
come
presidio
difensivo fu edificato su
preesistenti
bizantine ed arabe. Distrutto da Federico II, “lo stupor mundi”, fu ricostruito da
Federico II d’Aragona che lo trasformò in regiae aedes.
Il castello fu luogo di cura e
riposo, ma
anche di sollazzo,
Federico II d’Aragona,
vi
soggiornava spesso in compagnia
del
dotto
medico,
astrologo,
diplomatico Arnaldo di Villanova,
qui sepolto nel 1311. Costituito in
alto da una piazzaforte normannasveva e in basso dal palatium fortificato svevo-aragonese è posto su un basamento a
scarpa. Il complesso ha forma quadrilatera con ampia corte centrale, occupata in gran
parte dallo sperone calcareo su cui si impianta la precedente fortezza, un recinto
presidiato sui lati corti da due torri, l'una rettangolare, l’altra pentagonale. Il palazzo
trecentesco si eleva su due livelli, il primo segnato da alte e sottili bifore, il secondo,
coronato da sporto merlato, con 18 grandi ed eleganti finestre sui muri perimetrali al
di sopra delle feritoie sveve e un numero considerevole di portali e porte. All'interno
vasti ambienti, definiti da robusti muri incisi da eleganti portali in pietra, individuano
le zone deputate alla guardia, ai magazzini, alla rappresentanza, agli alloggi reali.
Molto interessante è la Chiesa palatina, della Trinità, che sorge nella corte
appoggiata al corpo meridionale: un volume cubico aperto sul davanti da un grande
arco, è coperto con una volta ribassata, impostata su archetti a pennacchi. Al suo
interno vi è la cappella reale con cupola di stile bizantino, caratterizzata da tre absidi,
di cui le due laterali sono ricavate direttamente nello spessore delle mura . Al centro
di essa, davanti all’altura vi è un sarcofago di pietra, dove si pensa vi siano i resti
mortali di Arnaldo da Villanova, medico di fiducia, amico e consigliere del monarca
aragonese morto nel 1310. e’ circondato da viuzze medievali che si aggrovigliano in
continui saliscendi
Per quanto riguarda le chiese non ho notizia degli arredi
e delle opere che contengono
Chiese dello Spirito Santo 1310 ad un’unica navata con tre altari
San Sebastiano……………
San Biagio……………….
Chiesa di S. Barbara. Prende il nome dal villaggio omonimo vicino alla chiesa.
Oggi rimangono pochi ruderi.
Chiesa di San Michele. Semidistrutta dal terremoto del 1978 è chiusa al culto da
oltre mezzo secolo
Pochi resti della chiesa di S. Antonio e di San Giovanni
Santa Caterina d’Alessandria risale al 1393. e’ la chiesa più vicina al castello.
Mirabile è il portale romanico, interessanti anche il merlo “ghibellino e le due velette
per le campane ai terminali del tetto. All’interno vi sono pregevoli dipinti,come
quello della “Cena Domini” della scuola di Guido Reni e una statua marmorea della
Santa, che viene attribuita alla scuola del Cagini
Ruderi della chiesa trifora del XIII secolo, che sorgeva in contrada Monacale e
custodiva una statuetta in alabastro della Madonna del Salterio, capolavoro dell’arte
classica gotica
La Chiesa Madre edificata nel Medioevo, fin dal XII sec, è dedicata a S. Nicola,
patrono di Montalbano. Ristrutturata nel 1645 vi è stato affiancato un imponente
campanile con pregevoli campane di bronzo. Mirabile è un armadio settecentesco con
capitelli di stile dorico e corinzio scolpiti da Antonio Lembo di Novara di Sicilia
L’interno della chiesa conserva, oltre ad alcuni quadri antichi, pregevoli opere d’arte:
• Un crocifisso ligneo del 400
• Il tabernacolo e la statua di S. Nicola, attribuiti al Cagini
• Un baldacchino ligneo barocco del 700 attribuito allo scultore Francesco
Terranova di Sant’Angelo di Brolo
• Un dipinto raffigurante l’Ultima Cena attribuito alla scuola di Guido Reni
• Una tela dell’Assunta
• Un bassorilievo della Samaritana al pozzo di Giacobbe del 1680
La chiesa di San Domenico, elevata a Santuario in onore della Madonna della
Provvidenza. Autrice di numerosi miracoli è venerata particolarmente dai cittadini di
Montalbano, ma attira pellegrini anche dai paesi vicini. Al suo interno è possibile
ammirare la bellissima statua lignea della Madonna del 1730
Molto particolari sono i due portali di casa Milici, opera dello scalpellino
montalbanese Don giovanni del 1700, e casa Ballarino, di Iradi del 1600. ambedue i
portali sono stati dichiarati dalla Sovrintendenza monumenti nazionali
Lingua : il gruppo lombardo, venne al seguito del Conte Ruggero e lasciò traccia nel
lessico e nella fonetica del dialetto di Montalbano. La lingua durante il 1130 si
trasformò: sia la lingua ufficiale (un polilinguismo misto di arabo, greco, latino,
francese), sia la parlata comune, il cui impasto si arricchì di nuove acquisizioni
fonetiche, lessicali, morfologiche, sintattiche.
Qui si potrebbero includere alcuni esempi di lingua
lombarda……………
MANIFESTAZIONI ED EVENTI
Le Vie del Medioevo ( 7 agosto-12 agosto) La manifestazione, inserita nel Circuito
dei Castelli e dei Borghi Medievali (POR 2000-2006, Misura 2.02, Azione D), ha
segnato l’apertura delle Feste Aragonesi, che annualmente si svolgono, a Montalbano,
nella seconda settimana di agosto. Si è realizzato un grande evento artistico
multidisciplinare nel borgo medievale “Le Città invisibili” con la partecipazione di
botteghe e mestieri medievali, con animazioni, duelli, cavalieri, cartomanti e
fattucchiere
Ha fatto seguito la suggestiva rievocazione storica dell’ingresso di Re Federico II
d’Aragona in “Castrum et terram Montis Albani”
Oltre trecento figuranti, in costume medievale, hanno animato le vie del paese e
dell’antico borgo con una fantasmagorica mirandola di colori, suoni e canti medievali,
animati dai gonfaloni dei quartieri, dagli sbandieratori e i musici .
I nobili del luogo, nei loro ricchi costumi si sono sfidati per la conquista del palco,
deliziose donzelle ricavavano delicate note e suoni medievali da cimbali e tamburelli;
il dono al re da parte di Ferrante, principe di Maiorca, di due falconi di montagna, a
testimonianza della passione del re per la caccia, che esercitava sul piano
dell’Argimusco ; i giocolieri si sono impegnati in fantastici ed avvincenti giochi, i
popolani hanno presentato i prodotti della terra al re, il quale dopo la consegna delle
chiavi della città si è ritirato nella sua “regia aedes”.
24 AGOSTO
Nella ricorrenza della festa, i montalbanesi presenti abitualmente in paese e molti di
quelli che sono lontani ritornano per onorare e venerare la Madonna Maria SS della
Divina Provvidenza.
Numerosi sono i fedeli che arrivano in pellegrinaggio da ogni parte della Sicilia per
assistere alla celebrazione della Santa Messa e per seguire la processione che vede la
statua della Madonna, ornata degli ori votivi e posta su una vara di fiori , percorrere le
vie del paese, seguita da innumerevoli fedeli, molti dei quali scalzi a soddisfare un
voto.
La processione si conclude a tarda sera con una fiaccolata e con la ricollocazione del
Simulacro sull’altare maggiore, momento questo di intensa commozione e sentita
partecipazione popolare.
E’ dal 1522 che i montalbanesi riservano questo culto particolare alla Madonna ,
prima sotto il titolo di Maria SS del Salterio o del Rosario , successivamente sotto
quello di Maria SS della Divina Provvidenza.
Ai riti sacri, già da parecchi anni, si accompagnano spettacoli all’aperto, musica ,
danze e prosa.
Festa di San Nicola (6 dicembre)
Festa della Madonna del Salterio ( 2 luglio)
PRESEPE VIVENTE
Molto suggestiva è
la rappresentazione del Natale,
momento in cui oltre cento figuranti, giovani e meno
giovani, danno vita a un presepe vivente. Allestito nel
quartiere Serro, uno dei più antichi di Montalbano, il
presepe vivente fa rivivere, ai numerosi visitatori, lo
straordinario evento della Natività, in un atmosfera di profonda emozione e di sentita
partecipazione. Premiato nel 2000 quale "miglior presepe vivente della Sicilia".
Ambienti, attività e personaggi sono fedelmente ricostruiti all'interno di alcune
casette, oggi disabitate, ma un tempo rifugio sicuro per le famiglie numerose e
saldamente unite. Riappaiono i tanti mestieri del passato montalbanese, egregiamente
interpretati da figuranti i cui costumi richiamano alla memoria quell'angolo di terra
araba che diede i natali al Figlio di Dio. Il boscaiolo, i pastori, i vasai, i sellai, le
tessitrici, tutti intenti a svolgere il loro lavoro, mentre la tenue luce dei lumini, il
suggestivo suono delle cornamuse e le voci di un coro natalizio guidano i visitatori
verso la capanna della Natività, ultima tappa di un percorso di fede cristiana.
VENERDI’ SANTO
Molto particolare nella Settimana Santa è il pomeriggio del Venerdì Santo, allorché
un folto corteo, preceduto dagli angioletti (bambini vestiti di bianco), dall’Addolorata,
dai Giudei con i loro costumi colorati, e dalle Confraternite religiose con i ceri spenti,
contraddistinte dai relativi stendardi, dalle donne vestite a lutto, dagli apostoli che
portano sulle spalle la bara vuota, coperta da un bianco lenzuolo, parte dalla Basilica
Minore alla volta del Monte Calvario. Il corteo percorre le strade del paese e si
inerpica sulle pendici del monte, fino alla sommità. La folla muta, ascolta in religioso
silenzio l’orazione funebre ed assiste alla deposizione dalla croce del Cristo morto. Il
corteo prosegue verso la Matrice , tutti seguono la bara sulla stradina in discesa,
portando piccole casse funebri illuminate da ceri e adornate di fiori. Le musiche meste
scandiscono i passi quieti di persone commosse e di madri raccolte in preghiera che
camminano a piedi nudi, incuranti del residuo freddo invernale e delle asperità della
strada: sui loro volti c’è il voto nutrito di speranza. Fiaccole ondeggianti
accompagnano il rito funebre che prelude alla Resurrezione della Pasqua.
ECONOMIA
Economia……….da integrare
Montalbano è un centro prevalentemente agricolo. Prodotti principali sono
nocciole…………………………………. l’uva, i cereali, castagne, noci, ricotta ,
pecorino. Ma è famoso soprattutto per la provola.
Oggi si propone come stazione climatica a spiccata vocazione turistica, lo scorso anno
si sono registrate circa 10.000
GASTRONOMIA…. E specialità
“La tradizione gastronomica di questo borgo è tutta legata all’antico mondo
contadino e pastorale.
Una cucina fatta di ingredienti semplici e genuini come la nostra pasta e fagioli, fave
a macco … e i maccheroni.
Piatti comuni ma che acquistano un sapore unico, grazie all’aggiunta di alcuni
ingredienti, come il finocchio selvatico e a scurcilla ( cotica di maiale) nella pasta e
fagioli ; u sutta e suvra
( lardo e carne ) , e ricotta a forno , grattugiata nei maccheroni al sugo di maiale.
Particolare è la lavorazione dei maccheroni per la quale viene impiegato un
sottilissimo ma resistente bastoncino di giunco.
Secondi piatti privilegiati : arrosti di carni suine ed ovine .
Ottimi i prodotti della pastorizia : ricotta ( fresca , salata ed infornata), formaggi e
provole, queste ultime presentate anche sotto forma di figure animali : i cavalluzzi di
tumma .
Insaccati ( salami, pancetta, lardo) e dolci a base di nocciole di lavorazione
artigianale che arricchiscono i pranzi e le cene.
I dolci tradizionali legati alle festività pasquali ed unici in tutta l’Isola, sono i
biscotti a ciminu ( semi di anice ) , dal gusto forte e particolare.
Ci sono anche le nuvolette e le cullure (un impasto dolce a base di farina, latte, uova
e zucchero , al quale si danno varie forme e sopra vanno messe uova e decorate a
mano. Ottimi i legumi , fagioli, fave e ceci, come anche l’olio di oliva “.
IL TERRITORIO DI MONTALBANO ELICONA
Nei pressi di Montalbano, nel territorio dell’alta valle dell’Elicona, su un vasto
altopiano a 1200 metri sul mare, al confine tra Nebrodi e Peloritani,
è possibile
ammirare nel sito dell’argimusco (dal greco "argimoschion" "altopiano delle grandi
propaggini") i stupendi Megaliti, rocce calcaree giganti che, il vento e la pioggia,
nella maggior parte dei casi, hanno modellato conferendo
loro forme strane, di grande plasticità, che esercitano un
fascino irresistibile. L’Argimusco costituisce l'unico
esempio di sito megalitico in Sicilia. E’ diffusa la
credenza che in passato ebbe la funzione di antico
osservatorio astronomico luni-solare e di elementi di congiunzione tra la Natura e i
culti degli uomini. Sembra, infatti, che sia stato un luogo sacro,dove si consumavano
antichi riti propiziatori e di ringraziamento
Dall’argimusco e dal Losi nasce il fiume
Elicona che sbocca nel Mar Tirreno, tra
Falcone e Tindari. Nel corso dei secoli, ai
margini del fiume vennero costruiti i mulini
ad acqua dove un tempo gli abitanti
solevano recarsi a piedi o a dorso di muli,
trasportandovi il grano da macinare. Ancora oggi, è possibile ammirare tra la
vegetazione, i resti (ruote, mura, saitte) degli antichi mulini.
La straordinaria singolarità del territorio di Montalbano Elicona è testimoniata anche
dalla presenza dei “cubburi”, strutture il cui aspetto ricorda i trulli della Puglia e i
nuraghi della Sardegna. Quasi sempre a pianta circolare, sono disseminati
singolarmente o a gruppi. La particolare disposizione delle lastre di pietra arenaria
con cui vennero costruiti, aggettando internamente e verso l’alto ne determinano la
struttura, il cui ingresso è orientato verso il sorgere del sole. Alcuni studiosi,
assimilando i cubburi ai tholos, propendono per una loro funzione funeraria laddove
altri invece sostengono che siano stati destinati ad uso abitativo. Nella stessa zona un
altro interessante manufatto è la mandra ru gesuittu costruito con enormi blocchi di
arenaria provenienti probabilmente da un antico tempio megalitico, ubicato nelle
immediate vicinanze
IL BOSCO DI MALABOTTA
Montalbano è uno dei comuni che fa parte della riserva naturale
del Bosco di Malabotta. Questi
si trova tra la catena dei
Peloritani ad est, e i Nebrodi propriamente detti, a ovest
Il bosco è ricco di vegetazioni di faggio, quercia, castagno, pino,
nocciolo, agrifoglio, pioppo nero, ecc…. il sottobosco è ricco di
biancospini, rose selvatiche e di Citiso trifloro e Sparzio spinoso.
Tra la fauna vi sono il gatto selvatico, l’istrice, il riccio, la volpe,
coniglio, il riccio europeo, il topo ragno, il ghiro, il quercino, la
Martora, donnole, il cinghiale ecc.
Numerosi sono gli uccelli tra i quali lodolai, barbagianni, civette,
allocchi, gufi, corvi imperiali, i falchi e l’Aquila Reale. A
proposito dell’Aquila, sembra che in passato vi nidificasse
l’aquila del Monelli. Questa cacciava nella Piana di Moio, sia nelle foreste che hanno
il loro centro nella Portella Croce Mancina.
Nel torrente Licopeti, inoltre si può trovare la trota.
LEGGENDE
La leggenda dell’Argimosco
L’altopiano è stato oggetto di diverse leggende. Tra queste particolarmente
significativa, per Montalbano Elicona, è quella di Marta. La leggenda, infatti, ha
ispirato il romanzo di Melo Freni “Marta d’Elicona”, che narra dell’amore di una
ragazza, figlia di pastori che viveva nei cubburi:
“Cinquantuno cavalieri, rozzi nella foggia e primitivi nello stile,
cavalcavano a pelo, esperti come berberi, con una unica briglia di corda leggera;
affrontavano l'avventura alla ricerca di Marta, addentrandosi nel bosco che era fitto
e infido. Ai piedi degli alberi, il sottobosco di liane e di felci, di ginestre e rovetti che
infittivano la macchia, non mostravano alcun Segno di passaggio. I cinquantun
cavalieri avanzavano è scomponevano la compatta superficie verde cupa con bastoni
lunghi e sfilati come picche, avanzavano e, di tanto in tanto si scambiavano qualche
sguardo deluso. Sette ore di cavalcata, sette ore di inutile speranza Ma c'era anche
chi diceva che era meglio non incontrare alcuna traccia, per dare corpo alla
speranza che Marta se ne fosse andata in un luogo più sicuro, senza le insidie del
bosco inesplorato. I1 primo a ritornare allo scoperto, dopo un giorno di attenta
cavalcata, fu don Olindo , era l'ora della luce tremula, quando con l'aria più
rarefatta l'ora assume la trasparenza acquitrinosa dei leggeri vapori di controluce,
da non sapere distinguere se sia l'alba o il tramonto. Don Olindo usci dal bosco e si
trovò davanti, a poco più di un miglio, uno spettacolo che non conosceva ,eppure,
giurava d'esser certo che l'intera montagna non avesse segreti per lui , invece no,
quèlla vista mortificava la Sua certezza. C'era un blocco di pietra piantato sulla
crosta come un meteorite caduto all'improvviso . Non lo aveva mai Visto. Avevano
dunque ragione gli antichi a dire che era impossibile svelare tutti i misteri
dell'Argimoscu e del suo bosco. Chiamò Taninu Mbesi, il pastore cavaliere che gli
era vicino e gli disse:
- guarda laggiù, Taninu. Ci sei mai stato in quel posto?
- Io c’ero già stato – rispose – posso giurare d’esserci già stato tante volte
- E allora, di quella pietra che mi dici?
- Io non l’ho mai vista quella pietra?
- E allora non ci sei mai stato
- Ma si ci sono stato. E c’è stato pure Giacchetta, e Manfrè e Viniti, Vardati.
In poco tempo i pastori cavalieri si raccolsero davanti a quella veduta, che era
diventata l’oggetto del loro stupire.
- Voi dite di sapere, e invece basta una pietra e vi sconvolge la fantasia. Disse
Filippu Cirella, che tra tutti era il più anziano
Dimenticarono Marta e avanzarono curiosi e attenti per poter meglio guardare. Dòn
Olindo si lanciò giù dal cavallo e a mezza voce mentre si accendeva un sigaro:
- Ma questo è un prodigio , sbottò.
Tutti tenevano gli occhi sgranati e avevano sguardi increduli. Allora furono scelti
Micu Scoglio e Giuvanni Scrima per avvicinarsi al megalito e sincerarsi che fosse
pietra vera e non visione, come tante altre allucinazioni che le leggende attribuivano
a quei posti
- o è vera, o è chimera
- E’ vera
- E’ chimera
- Andiamo e vediamo
Così Micu e Giovanni si incamminarono, e una volta che furono sotto il megalito e
ne tastarono con le mani l'essenza di granito, autentica, chiamarono i compagni a
gran voce perché venissero a vedere. Già spostandosi di un cèntinaio di metri dal
punto in cui 1a truppa Si era assembrata Si. incominciava a coglière di quella pietra
il profilo di una bellezza insolita ; il profilo delicato di una donna ; ecco il volto con
la linea del naso e degli occhi, ecco le mani giunte sul petto; ecco la donna che prega
avvolta nella linea semplice di una tunica antica. La gente di tutta l'Elicona e non
solo dell'Elicona, cominciò a giungere lassù dopo che la notizia si era sparsa ed era
grande lo stupore, grande la meraviglia, perché nessuno ricordava d'averla mai vista
quella pietra sicché era un vero prodigio. Davanti al megalito dell'Orante - come il
medico Cardile l'aveva battezzato -il pensiero correva a Marta sparita; quasi la terra
l'avesse prima inghiottita e poi restituita in quella forma , e ognuno si segnava, aveva
paura ma ne era attratto, se ne stava in silenzio e non si confidava. Soltanto il
medico Cardile al bar del Popolo, nell'ora della discussione ,ricordò una storia di
miti che parlava di impossibili amori e di pietose divinità che avevano trasformato in
fiumi, in fontane , in rocce e in animali , innamorati il cui dolore sulla terra sarebbe
stato inguaribile, immenso più della distanza delle stelle.
ITINERARI NATURALISTICI
Itinerario Megaliti
L’itinerario prevede un'escursione nei siti di "Argimusco, Elmo, Losi, Mattinata e
Zilla", affascinanti località grazie alle quali, la Sicilia, entra di diritto nella mappa dei
megaliti d'Europa, insieme con Francia, Germania, Inghilterra e Spagna.
In questi luoghi si trovano molti affioramenti di arenarie adatte alla costituzione di
calendari astronomici per la determinazione dei solstizi e degli equinozi, con
riferimenti mediante menhir.
Alcuni di questi elementi sono costituiti da blocchi di
granito, condotti da lontano e collocati fra le masse delle arenarie caratteristiche dei
monti Nebrodi. Altri elementi naturali sono stati rimaneggiati e adattati per la
determinazione delle fasi lunari.
Fra gli indicatori astronomici sono collocate alcune figure mitiche come l'Aquila,
animale privilegiato che collega la terra al cielo e che indica la collocazione della
Necropoli, (purtroppo profanata nel corso dei millenni) costituita da dolmen (con
annessa camera funeraria) e da una grande quantità di cubburi, (manufatti in pietra
con struttura a cupola semisferica). Di epoca successiva sono alcune tombe scavate
nelle masse rocciose.
Itinerario riserva naturale
La Riserva di Malabotta, ricade in provincia di Messina nella zona di transizione tra i
monti Peloritani e i monti Nebrodi, interessando i comuni di Montalbano Elicona,
Francavilla di Sicilia, Tripi Roccella Valdemone, Mojo Alcantara e Malvagia. La
riserva tocca quote che vanno dai 650-700 metri sino a giungere i 1341 metri di
altezza. All'interno dell'area protetta troviamo faggi, cerri, querce, pini, castagni e
nocciolo, in misura minore troviamo anche l'acero, il pioppo nero, il salice la
carpinella, l'agrifoglio, la fusaria, il leccio, il perastro e il sambuco comune.
La Fauna della riserva è molto simile a quella siciliana così ritroviamo il gatto
selvatico, la volpe, il coniglio, l'istrice e il riccio europeo, martore e donnole , il topo
ragno, il ghiro il quercino ed anche il cinghiale. Numerosi gli uccelli molti quelli
rapaci per esempio il gheppio, la poiana lo sparviero, il falco pellegrino, il
barbagianni, la civetta, l'allocco, il lodolaio, il gufo comune, il corvo imperiale ed
anche l'aquila reale . Varie specie di rettili, anfibi ed insetti tra i quali ricordiamo
molte specie di farfalle ormai rare. Nelle acque del torrente Licopeti e dell'Elicona
ormai da anni si puo' trovare la trota.