lO statO e I suOI OrGanI: PresIDente Della

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lO statO e I suOI OrGanI: PresIDente Della
LO STATO E I SUOI ORGANI:
7 PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA,
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MAGISTRATURA, CORTE COSTITUZIONALE
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Il Presidente della Repubblica
L’impedimento e le dimissioni
Impedimento L’impedimento del Presidente della Repubblica può essere temporaneo o permanente. In caso
di impedimento temporaneo (ad esempio per malattia o per un viaggio all’estero ecc.) è sufficiente l’intervento in qualità di supplente del Presidente del
Senato.
Anche se la Costituzione nulla dice in proposito, è
chiaro che il Presidente del Senato deve limitarsi a
compiere gli atti ordinari indispensabili al funzionamento delle istituzioni (ad esempio la promulgazione
delle leggi o l’emanazione degli atti del Governo), ma
deve astenersi da quelli che pregiudicano l’andamento generale della vita politica e possono attendere la
ripresa delle funzioni da parte del Presidente (come
per esempio lo scioglimento delle Camere).
Vi possono però essere anche casi di impedimento
permanente (ad esempio una malattia irrimediabile,
come l’ictus cerebrale che colpì il Presidente Segni nel
1964). In tal caso – accertato il carattere permanente della malattia – il Presidente della Camera indice
l’elezione del nuovo Presidente. La stessa regola vale
in caso di morte o dimissioni del Presidente in carica.
Dimissioni
Rientra tra le valutazioni insindacabili del
Presidente della Repubblica la decisione in ordine
alle proprie dimissioni. In quanto atto personale del
Presidente, le dimissioni, a differenza di tutti gli altri
atti presidenziali, non richiedono la controfirma ministeriale.
Nel 1992 il Presidente Cossiga ha fatto uso del potere di dimissioni due mesi prima del termine del suo
mandato, di fronte a una situazione politica che ri-
chiedeva la pienezza dei poteri presidenziali, mentre
la posizione del Presidente in quel momento era indebolita dal fatto che ci si trovava nel «semestre bianco».
In tal modo si è aperta la strada all’elezione anticipata
di un Presidente dotato di tutti i suoi poteri. E nel
1999 il Presidente Scalfaro si è dimesso qualche giorno prima della scadenza del suo mandato essendo già
stato eletto il suo successore, per evitare una sovrapposizione.
La clemenza penale: amnistia, indulto e grazia
Vi possono essere casi in cui speciali esigenze di giustizia richiedono di “passar sopra”, in tutto o in parte,
alle sentenze di condanna.
Si pensi ai reati commessi durante la guerra partigiana di liberazione (dal 1943 al 1945) o durante periodi
di tensioni sociali, sindacali, studentesche ecc. (come
nel 1968-1969). Può apparire giusto, una volta superato il momento, fare opera di pacificazione attraverso
l’esercizio della clemenza.
Oppure, si può pensare a colui che è stato condannato a una pena detentiva lunga il quale abbia dato
prova, tramite il suo comportamento successivo, di
meritare il perdono.
I provvedimenti di clemenza penale sono:
a)L’amnistia è un provvedimento a favore di intere categorie di imputati o condannati, con il quale si cancella
totalmente il reato. Perciò non si potrà essere condannati per un reato amnistiato (e se si è stati condannati prima della concessione dell’amnistia, verranno a
cadere tutte le conseguenze della condanna).
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b)L’indulto vale anch’esso in generale, ma non elimina il reato e le condanne. Esso si limita a eliminare
la pena, in tutto o in parte. Questo significa che
il condannato rimane “bollato” come colpevole del
reato (che viene registrato in un apposito archivio,
detto “casellario giudiziario”).
c)La grazia e la commutazione delle pene sono invece
misure di clemenza individuale, cioè a favore di
questo o quel condannato. Anch’esse, come l’indulto, riguardano solo le pene e non la condanna,
che rimane. La commutazione delle pene è oggi in
disuso. Essa aveva un significato in passato, quando serviva per sostituire la pena di morte con l’ergastolo.
Fino alla l. cost. n. 1 del 1992 tutti e tre i poteri di
clemenza penale erano esercitati dal Presidente della
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La Magistratura
Il processo civile
La giurisdizione civile è quella parte della giurisdizione
che ha per oggetto la tutela dei diritti soggettivi dinanzi ai giudici civili.
Di fronte ai giudici civili si esercita l’azione, che è il
potere di ricorrere all’autorità giudiziaria per la tutela
di un proprio diritto. La domanda giudiziale produce l’effetto di instaurare un rapporto processuale tra
chi propone la domanda, cioè l’attore, e colui contro
il quale la domanda è proposta, cioè il convenuto (ad
esempio, il creditore e il debitore inadempiente).
Il processo di cognizione Vale a stabilire quale sia la situazione giuridica tra le parti litiganti (cioè a stabilire chi
tra i contendenti abbia ragione e chi torto).
Il procedimento di cognizione può concludersi con
tre diversi tipi di sentenza:
1.sentenza di accertamento: in essa il giudice si limita
ad accertare la situazione giuridica tra le parti;
2.sentenza di condanna: in essa il giudice non si limita
ad accertare una data situazione giuridica, ma condanna la parte soccombente (cioè quella che perde
la causa) a dare o fare qualcosa in favore della parte
vittoriosa;
3.sentenza costitutiva: si può avere in determinate situazioni eccezionali in cui la legge consente che
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Repubblica, la grazia direttamente e l’amnistia e l’indulto sulla base di una legge di delegazione approvata
dalle Camere.
Volendosi porre dei limiti all’abuso della clemenza
generale, la legge costituzionale citata ha modificato
l’art. 79 Cost. nel senso che oggi l’amnistia e l’indulto
sono approvati direttamente dal Parlamento, con una
legge per la quale è peraltro richiesta la maggioranza
qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna
Camera.
Nulla è stato mutato, invece, per la grazia, che continua a essere un potere del Presidente della Repubblica. Tale potere deve essere esercitato con il consenso
del Governo, consenso che è manifestato attraverso
la controfirma del Ministro della Giustizia (art. 87,
comma 11, e art. 89).
il giudice crei o modifichi , con la propria decisione, un rapporto giuridico (ad esempio, imponendo
una servitù su un fondo).
Il processo esecutivo
Una volta conclusa la fase di cognizione con la pronuncia di una sentenza passata
in giudicato, può darsi che la parte soccombente non
voglia dare spontanea esecuzione alla decisione.
La parte vittoriosa può allora iniziare il procedimento
esecutivo (o esecuzione forzata).
Tale procedimento tende ad attuare concretamente
la sentenza di condanna, contro la volontà della parte soccombente che non vuole conformarsi a questa
sentenza (ad es., possono essere venduti forzosamente i beni del debitore, per soddisfare il diritto del creditore).
I procedimenti speciali I procedimenti speciali riguardano per lo più determinate materie in relazione a casi
particolari previsti dalla legge. I più importanti sono:
››il processo del lavoro;
››il procedimento per ingiunzione (o per decreto ingiuntivo);
››il procedimento per convalida di sfratto;
››i procedimenti cautelari;
››i procedimenti possessori;
››i procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone.
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Il diritto penale
Il diritto penale è il settore dell’ordinamento giuridico
che si occupa degli illeciti più gravi, che ledono interessi essenziali della collettività: i reati. La loro repressione è uno dei fondamentali e inderogabili compiti
dello Stato; ove non si fosse in grado di fare rispettare il diritto penale, e dunque di proteggere i beni
principali come la vita, la proprietà, l’incolumità, la
sicurezza ecc. vi sarebbe non uno Stato ma l’arbitrio
di tutti contro tutti.
Le norme del diritto penale sono sottoposte a un particolare e rigoroso regime giuridico giustificato dalla
gravità delle conseguenze che possono derivare per
gli autori di reati.
Conformemente a un’idea che si è affermata in tutti i paesi civili (nullum crimen nulla poena sine lege =
nessun delitto e nessuna pena senza una legge che li
stabilisca), in materia penale valgono i seguenti principi generali:
a)una riserva assoluta di legge (art. 25, comma 2,
Cost.): questo significa che nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto come reato
dalla legge né colpito con pene che non siano stabilite dalla legge (art. 1, c.p.);
b)il divieto di leggi penali retroattive a meno che siano più favorevoli al reo (l’abolizione di reati e la
diminuzione delle pene valgono così anche per il
passato). Questo significa che «nessuno può essere
punito per un fatto che, secondo la legge del tempo
in cui fu commesso, non costituiva reato» e che «se
la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le
leggi successive sono diverse, si applica quella più
favorevole al reo» (art. 2 c.p.).
I reati Il codice penale e le leggi speciali prevedono
numerosissimi reati, cioè comportamenti che danno
luogo a responsabilità penale. I reati si distinguono in
due grandi categorie, a seconda della loro gravità: i
delitti (i reati più gravi, puniti con sanzioni più gravi)
e le contravvenzioni (i reati meno gravi, puniti più lievemente).
Un principio di civiltà vuole che la responsabilità penale sia personale (art. 27, primo comma, Cost.): questo
significa che nessuno può essere chiamato a rispondere per un fatto compiuto da altri.
Un concetto fondamentale del diritto penale è la colpevolezza, in base alla quale si può essere puniti solo
se vi è il dolo o la colpa di chi ha agito. Si ha dolo
quando il fatto è intenzionale, cioè quando è previsto
e voluto dal soggetto agente, si ha invece colpa quando
il fatto non è intenzionale ma si verifica per negligenza o imprudenza.
La legge stabilisce quando si risponde per dolo (caso
normale) o anche per colpa (caso eccezionale). Naturalmente, i reati dolosi sono molto più gravi di quelli
colposi (si pensi a un omicidio premeditato o a un
omicidio causato per guida imprudente) e perciò sono puniti con pene più severe.
Le pene Chi commette un reato va incontro a determinate sanzioni, che si denominano pene.
Conformemente agli ideali umanitari che ispirano la
Costituzione, l’art. 27, comma 3, stabilisce che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione
del condannato». La pena, quindi, non ha più solo
una funzione punitiva (come era in passato), ma ne
ha acquisito una di recupero sociale.
La pena di morte è una caratteristica dello Stato totalitario, lo Stato che pretende tutto dai suoi sudditi,
anche la vita. Il rifiuto della pena di morte è invece
l’essenza della democrazia. Così si spiega il perché la
pena capitale, introdotta dal fascismo, sia stata abolita
al momento della liberazione.
Le pene, variabili a seconda della gravità dei reati,
consistono:
a)nella detenzione, che può essere perpetua (ergastolo) o temporanea: la reclusione (per i delitti) e l’arresto (per le contravvenzioni);
b)nel pagamento di una somma di denaro: la multa
(per i delitti) e l’ammenda (per la contravvenzioni).
Quelle anzidette sono le pene principali. Ad esse possono talora aggiungersene altre, dette accessorie, come
ad esempio, l’interdizione dai pubblici uffici (cariche
elettive, funzioni pubbliche in generale), per coloro
che si siano resi colpevoli di infedeltà verso la cosa
pubblica (si pensi alla corruzione, all’interesse privato in atti d’ufficio, ecc.).
Le pene per i diversi reati sono di regola previste dalla
legge non in modo fisso, ma in una misura compresa
tra un minimo e un massimo. Per esempio, l’omicidio colposo è punito con la reclusione da sei mesi
a cinque anni. Questa elasticità serve a permettere al
giudice di graduare la pena secondo le singole situazioni, in modo che essa sia adeguata ai casi, ognuno
dei quali è diverso dagli altri. Si dovrà tenere conto
delle modalità dell’azione, della gravità del danno cagionato, dell’intensità del dolo e del grado di colpa e
della capacità di delinquere, del carattere del reo, dei
precedenti penali, della condotta complessiva e delle
condizioni personali, familiari e sociali, ecc.
Il processo penale Il processo penale è il complesso di attività che, dopo lo svolgimento di indagini, porta alla
formulazione di un’accusa, al giudizio e, a seconda dei
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casi, alla condanna o al proscioglimento dell’imputato.
L’importanza del processo penale è grande poiché in
esso sono in gioco i beni essenziali dell’individuo,
la sua libertà e la sua reputazione. Esso è essenziale
all’ordinato vivere civile ma può diventare uno strumento pericolosissimo di oppressione. Per questo,
la Costituzione stabilisce importanti principi rivolti
a bilanciare le esigenze della società e i diritti degli
imputati.
A differenza del processo civile, che serve alla tutela di interessi privati rinunciabili, il processo penale
serve l’interesse pubblico alla punizione dei reati, ed
è perciò irrinunciabile. I reati, infatti, devono essere
puniti, anche se la persona offesa, intendendo lasciar
correre, non presentasse denuncia (una parziale eccezione al principio appena enunciato è rappresentata
dai reati perseguibili solo in seguito a querela della
persona offesa, come la diffamazione).
L’irrinunciabilità del processo comporta che l’azione penale (cioè l’inizio del processo a carico degli indiziati
di reato) è obbligatoria (art. 112 Cost.) e non discrezionale. Un organo giudiziario, il pubblico ministero,
è specificamente incaricato di esercitarla.
Il pubblico ministero (il p.m.) è il magistrato al quale
spetta promuovere l’azione penale, mettendo sotto accusa gli indiziati di reato. La funzione di p.m. è svolta
da magistrati che appartengono alla magistratura ordinaria e godono delle stesse garanzie di indipendenza stabilite a favore degli altri magistrati (art. 107 u.c.
Cost.). I magistrati addetti al pubblico ministero sono
strutturati in uffici, chiamate procure, che operano
presso i giudici penali. Così, esistono procure presso
i Tribunali, presso le Corti d’appello e presso la Corte
di cassazione.
Il p.m. è simile all’attore nel processo civile (mentre
l’imputato è simile al convenuto). Tuttavia, trattandosi di un magistrato, sottoposto – come tutti i magistrati – soltanto alla legge, il suo compito non è quello
di agire sempre e comunque contro l’imputato. Il suo
è un compito di giustizia imparziale, in attuazione
della legge. Per questo, deve promuovere il giudizio
penale e chiedere la condanna solo quando ritenga
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che ve ne sia motivo, ma può e deve lasciar cadere
l’azione se è senza fondamento, chiedendo al giudice
l’archiviazione del processo. Per questi motivi, si dice
che il p.m. è una parte imparziale.
A garanzia dei singoli, la Costituzione (art. 27 secondo comma, Cost.) stabilisce che l’imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva, cioè
fino alla sentenza passata in giudicato (la sentenza
che non può più essere impugnata). Questo significa
che l’imputato, fino alla conclusione del processo, ha
diritto a non essere sottoposto a restrizioni, se non
per quel tanto che è strettamente indispensabile.
Questo vale soprattutto per la «custodia cautelare»
(cioè la carcerazione preventiva), disposta come misura di precauzione.
Essa non è una anticipazione della pena ma serve solo a impedire la fuga, a preservare le prove dalle loro possibili manipolazioni e a impedire che vengano
commessi gravi reati.
Le fasi fondamentali del processo penale Nella sua forma
ordinaria, il processo penale si svolge in tre fasi:
a) le indagini preliminari del pubblico ministero il quale, a questo fine, dispone della polizia giudiziaria
(art. 109 Cost.);
b) l’udienza preliminare, nella quale il pubblico ministero presenta le sue richieste e le prove al giudice
per le indagini preliminari (il Gip). Questi deve valutare se esse sono sufficienti per passare al giudizio vero e proprio, cioè al dibattimento, ovvero se
l’imputato deve essere immediatamente prosciolto.
c) il dibattimento, che si svolge davanti al giudice (che
è diverso dal Gip). Nella discussione davanti al giudice – si dice – devono formarsi le prove.
Il pubblico ministero e la difesa presenteranno le prove, contrarie e favorevoli all’imputato, e procederanno all’interrogatorio dei testimoni. Il giudice siede in
posizione del tutto imparziale tra le parti, secondo i
principi del rito accusatorio, e valuta se le prove sono
sufficienti per la condanna.
Al termine del dibattimento, il giudice pronuncia la sentenza, che potrà essere di assoluzione o di condanna.
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la corte costituzionale
La dissenting opinion
L’assenza dell’opinione dissenziente (“dissenting opinion”) non è facile da giustificare. Certe decisioni toccano convinzioni profonde dei giudici e non poterle
manifestare quando si è rimasti in minoranza può apparire una limitazione alla loro libertà di coscienza;
tanto più perché l’opinione della maggioranza, risultante dalla motivazione, è attribuita anche ai giudici
in disaccordo.
Si comprende così perché da anni si auspichi il superamento della situazione attuale.
Oltre alle ragioni di coscienza, che riguardano i singoli giudici, ve ne sono altre di natura istituzionale. I
cittadini sarebbero edotti delle ragioni discusse dalla
Corte e i singoli giudici se ne assumerebbero la responsabilità. Questo è conforme a un’esigenza di trasparenza e democrazia.
Inoltre, l’opinione dissenziente costringerebbe i giudici di maggioranza a uno sforzo di approfondimento
e a una motivazione più rigorosa, per reggere alla critica dei giudici di minoranza.
Infine, le opinioni di minoranza di oggi potrebbero
diventare maggioritarie domani e ciò darebbe maggior dinamismo alla giurisprudenza costituzionale.
Malgrado queste buone ragioni, finora non se ne è
fatto niente. È prevalsa la convinzione che il riserbo
sulle posizioni dei giudici protegga l’indipendenza
loro e della Corte nel suo complesso. Campagne politiche e di stampa potrebbero essere attuate contro
i giudici, per intimorirli. Nel nostro paese, non esiste (a differenza di altri) un atteggiamento di rispetto
verso i giudici e spesso, del tutto impropriamente, si
considerano le loro decisioni come atti politici, su cui
è lecito far pesare tutte le pressioni possibili. Finché
questo costume non cesserà, è facile che l’opinione
dissenziente resti solo un auspicio.
Tipi speciali di sentenze
della Corte costituzionale
Oltre alle sentenze di accoglimento e di rigetto esistono
altri tipi di decisione. Non sempre, per raggiungere
il risultato dell’eliminazione del vizio di incostituzionalità, è necessario o è sufficiente eliminare del tutto
la legge. In questi casi su usano sentenze denominate
manipolative, perché “manipolano” il contenuto della
legge, senza eliminarla.
Esse possono assumere varie forme:
a)le sentenze additive (dal latino addere – aggiungere)
dichiarano incostituzionale la legge non per quello
che prevede ma per quello che omette di prevedere e
la Costituzione esige che preveda. Queste sentenze
si usano soprattutto quando c’è di mezzo il principio di uguaglianza e quindi la parità di trattamento.
Ad esempio, se la legge prevede per i pensionati
una integrazione delle pensioni minime, non può
discriminare tra i pensionati, escludendo senza
motivo determinate categorie dal beneficio, a seconda della anzianità, delle categorie produttive di
appartenenza, ecc. In questi casi, la legge viene dichiarata incostituzionale nella parte in cui essa non
vale anche a favore degli esclusi;
b)le sentenze di incostituzionalità parziale riguardano
leggi che non sono incostituzionali in toto, ma solo
in una parte del loro contenuto. Ad esempio, un
articolo del T.U. di pubblica sicurezza prevede che
il prefetto possa prendere tutte le misure necessarie
per la tutela dell’ordine pubblico. La Corte costituzionale ha ritenuto questa norma incostituzionale
là dove parla di “tutte le misure”, in quanto questa
formula abbraccia anche misure lesive dei diritti
fondamentali (libertà di associazione, di riunione,
di circolazione, ecc.) che la Costituzione circonda
di particolari garanzie. La legge è stata perciò annullata solo parzialmente, nella parte in cui prevedeva questo potere del prefetto in contrasto con i
diritti fondamentali;
c)le sentenze interpretative riguardano leggi incostituzionali non in sé stesse, ma solo se interpretate in
un certo modo. In questi casi, sarebbe assurdo annullare una legge che può essere interpretate in modo conforme alla Costituzione, solo perché i giudici
l’interpretano in modo difforme. Con le sentenze
interpretative, si dichiara l’incostituzionalità della
legge in quanto interpretata in quel modo, lasciando
sussistere solo l’altra interpretazione (conforme alla Costituzione). Un esempio: la legge prevede certe
provvidenze per i lavoratori che abbiano subito danni alla salute a causa dell’attività lavorativa. I giudici
interpretavano la legge in modo restrittivo, riconoscendo il diritto a tali provvidenze solo in caso di
malattie che impedivano l’attività lavorativa. La Cor5
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te costituzionale ha ritenuto quella interpretazione
in contrasto con l’art. 32 Cost. che protegge la salute
come tale, indipendentemente dal fatto che il danno
pregiudichi l’attività lavorativa e ha così dichiarato
l’incostituzionalità della legge solo in quanto interpretata in modo restrittivo. La legge è rimasta così
in vita, ma in un’interpretazione più larga, che ammette il diritto al risarcimento del danno alla salute
anche se questo non elimina o diminuisce la loro
capacità di lavoro.
Le sentenze manipolative hanno tutte un carattere comune: la legge resta scritta tale e quale era prima della
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decisione della Corte costituzionale, ma i giudici devono sapere che al suo significato si deve aggiungere
qualcosa (sentenze additive), si deve togliere qualcosa
(sentenze di accoglimento parziale) ovvero che certe interpretazioni sono vietate e solo altre ammesse
(sentenze interpretative). Perciò, nelle raccolte di leggi, nei codici, ecc. gli articoli di legge, colpiti da sentenze del tipo ora indicato, continuano a essere scritti
come prima, con l’avvertenza però che, secondo quella certa sentenza, tale articolo deve essere inteso con
l’aggiunta, con la modifica, o nell’interpretazione stabilite dalla Corte costituzionale.