fatti non contestati - Studio Legale Panuccio

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fatti non contestati - Studio Legale Panuccio
Avv. Prof. Vincenzo Panuccio
I FATTI NON CONTESTATI
Intervento al seminario ‘La giustizia tra emergenze e prospettive’
tenuto a Locri in data venerdì 10 e sabato 11 giugno 2011
1
I FATTI NON CONTESTATI E IL NUOVO ART.115 CPC.
1.- E’ una regola antica che un fatto rilevante per la decisione della causa, se non è contestato, cioè
non è controverso nella sua realtà, non ha bisogno di un accertamento mediante mezzi di prova,e
fatto incontroverso è sinonimo di fatto pacifico.
Questa regola, indiscussa, rimase a lungo confinata fra le regole implicite, riposando nella
indeterminatezza, fino a che non si è avvertita la esigenza di potenziarne l’applicazione, per
contenere quanto possibile le attività istruttorie. Ciò ha condotto al risultato finale di riconoscere il
c.d. principio di non contestazione. Questo principio è tema assai delicato, in quanto involge tutti o
quasi i principi del processo, di non univoca soluzione. Come è noto, il nostro ordinamento conosce
in tema di prove, tre principi generali espliciti: quello della disponibilità della prova ex art.115 cpc.;
il principio della valutazione della prova, secondo il prudente apprezzamento del giudice,ex art.116
cpc., e il principio dell'onere della prova ex art.2697 cc. Accanto ad essi se ne indica un quarto, dal
fondamento incerto, il principio di non contestazione, secondo cui, nei processi relativi a diritti
disponibili,i fatti non contestati non hanno bisogno di prova. Questo ultimo principio, come é stato
definito1, indica la regola per cui ,nel processo civile, su rapporti disponibili (vedremo in seguito
che significhi questa limitazione) non hanno bisogno di essere provati i fatti, allegati da una
parte,che non sono stati espressamente contestati dall’altra. Si tratta cioè di un comportamento
omissivo in cui si inquadra il fatto incontroverso, così ricomprendendo nel novero dei fatti pacifici,
non solo quelli ammessi (espressamente o implicitamente) , ma anche quelli non espressamente
contestati dalla controparte. Quanto ciò fosse utile per ridurre l’onere probatorio per l’attore,
evitando attività inutili, e realizzasse esigenze di semplificazione e di economia processuale, fu
giustamente rilevato da autorevole dottrina2.
Si giunse per tal via, dopo circa 50 anni,all’intervento del legislatore che, con la L. 69/2009,
ha sancito il principio di non contestazione nell’art.115 cpc., modificato con l’aggiunta al 1° co.
della previsione che:” il giudice deve porre a fondamento della decisione oltre le prove, anche i fatti
non specificamente contestati dalla parte costituita”. Così agli argomenti di interpretazione
sistematica sui quali si coonestava già il principio di non contestazione, si aggiunge ora la forza del
dato legislativo che tale principio riconosce. Restano tuttavia aperte, e lo vedremo nel corso
1
CARRATTA, Il principio di contestazione nel processo civile, Milano, 1995; PAPAGNI, La novella
dell’art.115 cpc. e il riconoscimento del principio di non contestazione, in Giur.merito,2010,5,1329.
2
PROTO PISANI, Allegazione dei fatti e principi di non contestazione nel processo civile, in Foro It.,
2003,I,606; e ID:, in Foro It., 2006,I, 3143 ss.
2
dell’ulteriore svolgimento, tutte quelle incertezze che caratterizzarono questo istituto nel corso degli
anni in giurisprudenza e in dottrina. Ciò si intende facilmente, considerando come l’istituto incide
sull’onere della prova di cui all’art.2697 cc., e quindi esige il più generale coordinamento con le
regole che disciplinano il potere del giudice e delle parti nella dialettica processuale,. Questa
particolare evoluzione legislativa esige quindi un riassunto dei problemi precedenti e delle relative
decisioni giurisprudenziali come vedremo, nelle continue oscillazioni3, fino a quella che può
considerarsi una svolta (tuttavia neanche tranquillizzante) di una famosa decisione della Cassazione
a SS. Unite del 2002.
2.- Iniziamo, dunque,a considerare il dato giurisprudenziale in materia.
Possono distinguersi tre periodi: il primo va dal 28/10 1940,n.1443, fino alla novella del 26/11
1990,n.353; l'ultimo è quello successivo al 2002,e cioè fino alla riforma dell'art.115, e cioè fino al
18/6 2009,n.69.
a) Nel primo periodo la giurisprudenza muoveva dal presupposto che non esisteva nel nostro
ordinamento un generalizzato onere processuale di contestazione dei fatti alligati dalla controparte,
conseguentemente veniva escluso che un fatto dedotto in giudizio potesse considerarsi pacifico in
dipendenza dalla mancata contestazione4. Si riteneva occorrente per la valutazione come fatto
incontroverso, la esplicita ammissione, oppure, al massimo, il compimento di atti o fatti
incompatibili con la volontà di contestare il fatto5, ammettendo una sorta di fatto pacifico nella
ipotesi in cui la parte contestasse esplicitamente e specificamente solo alcuni fatti, mostrando un
disinteresse ad un accertamento degli altri.
b) fino alla novella del 26/11.1990 n.353 non sono da registrare mutamenti da questo consolidato
orientamento, pur utilizzandosi la non contestazione per le specifiche esigenze di certi settori
disciplinari,ove essa realizzava finalità eterogenee; fra i più significativi il caso dell'art.416 3° co.
Cpc. che onera il convenuto nel processo del lavoro, di contestare (pena la decadenza) nel suo
primo atto introduttivo i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda6.
Le ragioni di un certo mutamento sono collegate alle novità introdotte dalla L.353/1990 in materia
di comparsa di risposta (art.167,1° co. Cpc.) essendosi stabilito l'onere per il convenuto di prendere
posizione
sui
fatti
di
cui
alla
citazione,
pur
non
richiedendo
espressamente
tale
3
Un ampio panorama in DEL CORE, Il principio di non contestazione nel processo civile,:profili sistematici
,riferimenti di dottrina e recenti acquisizioni giurisprudenziali,in Gius.Civ., 2004, II, 219 ss., che aggiorneremo per gli
anni successivi.
4
Cass., 2000,n.13904; Cass., 2002,n.16575,
5
Nel primo senso Cass., 2001,n.10482; e Cass.,2001,n.5149, nel secondo senso
6
Per una attenta analisi dei rapporti fra l'art.416,3° co e l'art.155 cpc. cfr.: DE ANGELIS, il processo del lavoro
tra ragionevole durata e interventi normativi del biennio 2008-2009,in Il processo civile riformato,diretto da Taruffo,
cit.,pag.472-477.
3
articolo,diversamente dall'art. 416 cpc., che la presa di posizione sia assunta “in maniera precisa e
non limitata ad una generica contestazione7.
c) Nell'ultimo periodo è da segnalare la significativa sentenza della Cassazione a Sezioni
Unite,n.761/2002, ( la cui importanza non sfuggì alla dottrina8, contro la quale tuttavia si
registrarono resistenze e dissensi da parte della giurisprudenza successiva), che,in un obiter dictum
ha chiaramente affermato che:”negli artt.167 e 416 cpc. è ravvisabile un vero e proprio onere di
contestazione gravante sul convenuto, tale,per cui il fatto non contestato resta sottratto dall'ambito
degli accertamenti richiesti”.La sentenza doveva risolvere il quesito se, contestando l'an debeatur,
potesse o meno ritenersi implicitamente contestato anche il quantum. La Corte ha affermato che la
contestazione sull'an implica anche quella sul quantum, solo qualora quest'ultimo sia compatibile
con l'an, restando altrimenti la parte onerata anche della specifica contestazione sul quantum. La
novità consisteva nel passaggio cruciale che ha portato ad estendere la nozione di fatto pacifico a
fatto non contestato:è forse qui il caso di ricordare che nella sfera dei fatti pacifici sono da includere
non solo quelli ammessi, esplicitamente o implicitamente dalla controparte, ma anche i fatti da
questa non espressamente contestati. L'estensione, come dicevamo, della nozione di fatto pacifico al
fatto non contestato è stata compiuta dal giudice di legittimità, equiparando la ammissione implicita
alla non contestazione. Così si è limitata l'area entro la quale la mancata contestazione rende il fatto
pacifico, considerando però la natura sostanziale del fatto contestato; se questo rientra fra i fatti
costitutivi relativi a diritti disponibili, il potere di allegazione” costituisce riflesso processuale
dell'autonomia sostanziale delle parti”. Solo entro quest'ambito deve essere riconosciuta la validità
della non contestazione, ravvisata dalla Corte in “un comportamento univocamente rilevante ai fini
della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice che dovrà
astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato,e dovrà ritenerlo sussistente.
Viceversa, se il fatto non contestato appartiene all'area dei così detti fatti secondari, ossia dedotti
solo in funzione probatoria, la non contestazione “viene restituita alla più generica categoria dei
comportamenti non vincolanti per il giudice, ma apprezzabili liberamente come semplici argomenti
di prova”9.
Questa ricostruzione del fenomeno non contestativo ha sollevato la critica di parte della dottrina,
che la ha commentata sotto significativi titoli10,ed anche la successiva giurisprudenza non si è
7
Per la interpretazione restrittiva, contraria quindi alla trasposizione dal rito del lavoro a quello ordinario in
cui,quindi basterebbe una contestazione generica: COMOGLIO,FERRI,TARUFFO, Lezioni sul processo
civile,I,Bologna,2006,pag.378; di diverso avviso sembra VERDE,Diritto processuale civile,2 processo di
cognizione,Bologna,2010,pag.17, che considera “enfatica” la formula del 416 cpc.
8
Si vedano le numerose citazioni contenute alla nota 11 di pag.185 di ROTA,op.cit.
9
PAPAGNI, op. cit., n.6.
10
CEA, il principio di non contestazione tra fronda e disinformazione,in Foro it., 2003,I,2106; ID.,la non
contestazione dei fatti la Corte di Cassazione: ovvero di un principio poco amato,ivi,2005,I,727.
4
conformata al precedente delle Sezioni Unite, talora ignorandolo, e finendo per riaffermare
l'orientamento tradizionale, escludendo la possibilità di riconoscere nella non contestazione una
forma di ammissione implicita,o precisando che la mera mancata contestazione, in quanto tale, non
può avere automaticamente l'effetto di prova11.
Certo, non sono mancate conferme, anche recenti12, della impostazione della sentenza delle Sezioni
Unite del 2002, con ciò, precedendo di poco l'intervento legislativo di cui all'art.115 cpc., (in vigore
dal 4.7.2009), e dando un quadro non univoco e incoerente, in contrasti solo apparenti o dissensi più
terminologici che di sostanza13
Nella fin qui rilevata oscillazione giurisprudenziale trovano posto alcune decisioni di legittimità,
che, sulla scia della più volte richiamata sentenza 761/2002, hanno ritenuto di approfondire
l'esistenza di un onere di contestazione, sulla base di alcuni dati qualificanti del sistema,
individuabili, ora nella struttura dialettica a catena, propria del processo discendente dal suo
carattere dispositivo, ora nel sistema delle preclusioni che comporta l'onere delle parti di collaborare
fin dalle prime battute processuali a circoscrivere la materia controversa; ora,infine,soprattutto nel
principio di economia che deve informare il processo, con riguardo al canone della ragionevole
durata, sancito dall'art.111 della Costituzione14.
Sicché, effettuando una sintetica diagnosi della evoluzione della giurisprudenza anteriormente alla
riforma del 2009, sembra doversi affermare che la elaborazione è pervenuta ad una più compiuta
sistematizzazione del fenomeno non contestativo, che ha visto quale protagonista,più che non
direttamente, il principio di non contestazione, bensì l'onere di contestazione, radicando
quest'ultimo nell'ordinamento processuale,abbandonando però la prospettiva legata al principio
dispositivo, per privilegiare il rimando a principi che sono espressione di esigenze di natura
pubblicistica, quali la concentrazione e la ragionevole durata dei processi.
3.- La dottrina ha affrontato il fondamento e gli effetti del principio di non contestazione
confermando il consenso al riconoscimento secondo lo ius vivens dell'onere di contestazione15,non
condividendo tuttavia la ricostruzione che di questi due aspetti fra loro collegati era stata effettuata
dalla Cassazione. Nel 2002 la Cassazione rifacendosi come si è visto al principio dispositivo
11
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13
14
15
Cass.,15.6.06,n.13958; Cass., 4.2.05,n.2273, la quale ultima ammette che la non contestazione sia valutabile
non semplicemente di per sé, ma come espressione significativa del comportamento processuale della parte,ex
art.116 cpc.,tanto da costituire persino unica e sufficiente fonte di prova.
Cass., 5.3.2009,n.5356.
Cfr.D.SASSANI,l'onere di contestazione,in www.judicium.it.2010,2.
Cass.,2005/n.12636; Cass.2007/n.1540; Cass.,2007/n.25269; Cass., 2007/n.23638.
Per tutti CEA,la tecnica della contestazione nel processo civile cit., pag.189.
5
sostanziale,in tema di non contestazione, ha mostrato di seguire la concezione carneluttiana della
fissazione formale dei fatti di causa16.
La veduta sostanzialista ha consentito di ricondurre la non contestazione, a un principio generale del
processo, cioè a quello della domanda. Questo collegamento, però, esige che si riconosca
alle parti il potere di disporre di una signoria sui fatti di causa, corrispondente alla
disponibilità dei diritti riconosciuta sul piano sostanziale. Da ciò deriva che il giudice in
materia di diritti disponibili è obbligato a porre a base della decisione, senza alcuna
verifica probatoria,i fatti principali che non siano stati contestati dalle parti, senza alcun
convincimento circa la verità di essi17. Tesi però esattamente criticata perché il principio
sostanziale, come l'oggetto del processo e del giudicato, riguarda soltanto i rapporti
giuridici,non i fatti che sono ad essi di fondamento. Questo potere poi non deriva dalla
autonomia sostanziale, rispondendo alla esigenza
della terzietà ed imparzialità del
giudice,non già dipendendo dalla natura disponibile o indisponibile dei diritti. Questo
ultimo aspetto è poi ulteriormente criticabile, perché dalla disponibilità dei diritti si fa
discendere il vincolo per il giudice di tenere per vero il fatto non contestato, così
massimizzando l'economia processuale, al costo però inaccettabile di consentire una
decisione che sia fondata sulla esistenza di un fatto la cui verità risulti addirittura esclusa in
base alle risultanze istruttorie acquisite in processo18.Il che,in altre parole, significa
sacrificare l'esigenza che la decisione sia giusta19. Esattamente si è osservato che la verifica
probatoria dei fatti allegati non può essere surrogata da una concezione negoziale della
verità processuale, come quella che si fonda sull'assimilazione del comportamento non
contestativo della parte ad un atto di natura negoziale20.
Un'altra configurazione della non contestazione è quella che la equipara alla ficta confessio;
l'opinione è criticabile, perché così il nostro istituto aggiungerebbe una prova legale, non prevista,
in contrasto con l'art.116 1° co. cpc. Invece, l'ufficio della non contestazione è quello della relevatio
ab onere probandi21, cioè: la parte che ha allegato il fatto non contestato è dispensata dal fornire la
prova ex art.2697 cc.
16
CARNELUTTI,La prova civile, Roma,1947,pag.16,fondata sul potere dispositivo delle parti sul materiale di
fatto, tale cioè da legittimare che il giudice sia costretto a porre nella sentenza un fatto immaginario,diverso
dalla realtà,che le parti concordi abbiano affermato.
17
Sostenitore della tesi,sostanzialista in vari scritti è VERDE, voce “domanda (principio della) I) diritto
processuale civile,in Enciclopedia giuridica,XII,Roma 1989,pag.9.
18
Giusto rilievo di RASCIO,Note brevi sul principio di no9n contestazione(a margine di una importante
sentenza),in dir.giur.2002,pagg.82 s.
19
Così TARUFFO,Idee per una teoria della decisione giusta,in riv.trim.dir.proc.civ.,1997,pagg.315 ss.
20
Vedi ROTA, op.cit., pag.191 che richiama l'ampia critica di TARUFFO nei confronti della verità negoziata.
21
Basta ricordare i contributi di TARUFFO,CARRATTA, CREA,RASCIO-quest'ultimo in Corriere
6
La configurazione sopra richiamata comporta che il fatto non contestato non abbisogna di prova,il
che risponde alla finalità di economia processuale, ed anzi tale valore si ritrova a fondamento del
principio medesimo 22. Da ciò deriva una notevole implicazione circa la portata applicativa, giacché
se gli effetti della non contestazione si fanno risalire non già al principio dispositivo
sostanziale,bensì a ragioni di opportunità e tecnica processuale, non si può più distinguere tra fatti
principali e secondari,e secondo alcuno a diritti indisponibili (infra par.6).Se infatti,in applicazione
della sentenza della Cassazione 761/2002, la non contestazione opererebbe come riflesso del
principio dispositivo sostanziale l'espansione del thema probandum opererebbe solo in relazione ai
fatti principali, non già per quelli secondari, dato che questi, per così dire, esulano dal monopolio
delle parti e del giudice, e quindi la non contestazione si tradurrebbe in un comportamento della
parte valutabile come argomento di prova, ex art.116 2° co. cpc., con l'effetto di vincolare il
giudice23.
Se invece il principio di non contraddizione trova la sua ragion d'essere in superiori esigenze di
semplificazione, non sembra possano sussistere ragioni per negare l'applicabilità ad ogni specie di
fatto,principale, o secondario e quindi rilevante per la decisione24.Di per sé l'art.155 non offre
appiglio per la distinzione teorica, e di non semplice riscontro pratico, tra fatti principali e
secondari,né il richiamo ai fatti idonei ad essere posti a base della decisione potrebbe indurre a
ritenere che si tratti dei soli fatti principali; una simile interpretazione è poco credibile, perché è
impiegata anche a proposito dei fatti notori (al comma 2), che si presentano quasi sempre come
fatti secondari. Dunque, si applica anche ai c.d. fatti processuali25, cioè solo a quei fatti la cui
rilevanza opera solo sul piano delle situazioni di carattere processuale.
L'aspetto più importante che deriva dalla configurazione di relevatio ab onere probandi, è che ad
essa non può riconoscersi effetto vincolante né per le parti, né per il giudice26, quindi questi potrà
disconoscere l'esistenza del fatto, benché non contestato, sulla base di documenti o di altre prove(e
potrà persino sul punto ammettersi una prova testimoniale).
Tuttavia non vi è concordia di vedute sugli spazi che rimarrebbero aperti per l'accertamento
probatorio del fatto non contestato. In effetti si annoverano due contrapposte interpretazioni che,
prima della riforma del 2009, hanno risolto in senso positivo il problema della vigenza nel processo
di tale principio di non contestazione; esse sono incompatibili, per il principio del terzo escluso, ma
accomunabili nel negare alla non contestazione l'idoneità di offrire al giudice elementi di
22
23
24
25
26
Giur.2009,1171.
PROTO PISANI, Allegazione dei fatti cit., pag.608; CEA,La tecnica della non contestazione cit., pag.202.
Cass.,27.2.2008,n.5191,ex plurimis.
Da ultimi SASSANI, in Commentario alla riforma del cpc.,Torino,2009,70; BALENA,la nuova pseudo riforma
cit., pag.776 s.
Cass., 2005 n.12636,in punto di legittimazione.
ROTA,op.cit,pag.193.
7
convincimento. Il quadro del dibattito dottrinale sul fenomeno non contestativo richiede anche che
si ricordino le posizioni negatrici del principio generale che riconoscono alla non contestazione una
efficacia su piano probatorio, come comportamento processuale della parte27, e, in quanto
comportamento, varrebbe a fornire argomenti di prova ex art.116,2° co, cpc.(pur nella equivocità di
questo termine:argomento di prova).
In un contesto del genere si colloca la tendenza ad assimilare la non contestazione a una tacita
ammissione, ritenendosi però che in tal caso il fatto non contestato non può esser posto fuori
discussione come accertato, perché é il giudice che deve stabilire il valore probatorio della mancata
contestazione.
4.- L'art.115 cpc., come modificato, stabilisce: “nei casi previsti dalla legge, il giudice deve porre
afondamento della decisione, leprova proposte dalle parti o dal pubblico ministero”.
Ora, si tratta di verificare, alla luce del nuovo art.115, se l'intervento legislativo è in grado di
fornire risposte univoche ai molteplici interrogativi sollevati, o se, invece,la soluzione dei problemi
concernenti l'operatività del principio di non contestazione sia ancor oggi lasciata agli interpreti.
I quesiti residui concernono: è un dilemma stabilire quando è insorto il riconoscimento del principio
di non contestazione?
Quale è la nozione di contestazione: fra difesa e concezione assertiva?
Quale l'ambito di applicazione del principio?
La contestazione deve essere specifica?
Quali sono i limiti temporali della contestazione?
Come opera la non contestazione rispetto al contumace?
E infine qualche conclusione.
Questa è la scaletta ulteriore del nostro discorso, che cercheremo di riempire al minimo possibile.
4 a.- Così, per risolvere il dilemma, di cui subito diremo, preferiamo lasciar da canto il
riconoscimento normativo del principio di contestazione per la prima volta (nel diritto societario)28,
e la conseguente intenzione di consacrare il principio estendendolo al processo ordinario29, nonché
della diatriba sulla collocazione di tale principio al primo o secondo comma della norma in
27
A partire da ANDRIOLI,Voce Prova nel Novissimo Digesto italiano,XIV,1967,pag.274 ss.
Art. 10 2 bis, d.legs.5/2003 e integrazione
con decreto correttivo del 2004.
29
d.d.l.Mastella,approvato dal Cons.dei Min.il 16/3 2007,con l'aggiunta in fine al comma1 dell'art.115
cc.delle parole “nonché i fatti non specificamente contestati”.
28
8
discorso,da cui qualcuno riteneva di trarre un significato sostanziale differente30.Preferiamo quindi
discutere:
4b. della natura della non contestazione: si tratta di una prova liberamente apprezzabile,o di un
elemento di prova, di per sé discutibile, e da respingere nell'ottica del rigoroso accertamento della
verità dei fatti? Questo il dilemma,tutt'altro che teorico soltanto, con riguardo al quale affiora la
comprensibile tendenza, di fronte a una norma non perspicua, a mantenere ferma l'impostazione
precedente all'intervento legislativo31.
4 c.- Quale è la nozione di contestazione? Essa è definita l'esplicita negazione della esistenza e/o
verità di un fatto (oppure l'affermazione della sua inesistenza o falsità); alcuni autori parlano di
allegazione negativa32, ricomprendendosi la contestazione del fatto allegato dalla controparte nelle
mere difese33, le quali differiscono dalle eccezioni (fatti impeditivi o estintivi del diritto dedotto i
giudizio). Si tratterebbe, secondo questa veduta, di un comportamento reattivo, mentre se il concetto
di contestazione sia svincolato da una precedente allegazione,essa diverrebbe assertiva, assumendo
il significato più ampio di “attività processuale mediante la quale si deducono e si offrono alla
considerazione dell'avversario elementi positivi che si pongono come materia di contrasto”34. Se si
segue l'una o l'altra configurazione le conseguenze sono diverse: ad es. nel primo caso (mere difese)
la contestazione non comporta estensione dei fatti di cui al thema decidendum, non così nel
secondo caso; ed anche quanto alle preclusioni se si tratta di mera difesa,la mancata contestazione
assume un più marcato carattere di provvisorietà35.
Non è certo se l''impianto codicistico consenta di stabilire in modo sicuro se si tratti dell'una o
dell'altra accezione; esistono argomenti plausibili nell'uno e nell'altro senso. A noi sembra
preferibile l'accezione più ristretta di contestazione, come negazione del fatto alligato,ex
adverso,salva l'indicazione di circostanze ulteriori ai fini della specificità. Mentre la nozione
assertiva non trova conferme normative, la nozione reattiva come forma di risposta alla luce del
30
Cfr. per quella diatriba e sul significato sostanziale che si vuole attribuire alla collocazione
normativa:ROTA,op. Cit.,pagg.196-198.
31
Il cui testo era il seguente:” salvi i casi previsti dalla legge,il giudice deve porre a fondamento della decisione
le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero”. Il raffronto fra i due testi fa dire al BALENA,Le preclusioni
istruttorie tra concentrazione del processo e ricerca della verità, in Giusto processo civ.,2006,56, che gli effetti del
principio si producono sul terreno schiettamente probatorio.
32
COMOGLIO FERRI TARUFFO,Lezioni sul processo civile, Bologna,2006,pagg.264 e 266
33
Sul concetto di mera difesa: ORIANI,Voce eccezione in Dig.civ., VII,Torino 1991,262 e 265.Secondo Cass.,
12.2.2004,n.2699,la contestazione tardiva sarebbe mera difesa.
34
34
CIACCIA CAVALLARI, La contestazione nel processo civile,I,La contestazione fra norme e
sistema,Milano,1992,xvi.
35
Così ROTA,op.cit.,pagg.200-201.
9
combinato disposto degli artt.167,416 e 115 cpc. appare finalizzata alla fissazione del thema
probandum e non alla più compiuta determinazione del thema decidendum36.
4 d.- Quale l'ambito di applicazione del principio di non contestazione? L'attribuzione di portata
generale del principio lo rende applicabile a qualsiasi tipo di procedimento,diverso da quello
ordinario di cognizione, così ai procedimenti cautelari e sommari,e al nuovo procedimento
sommario di cognizione37. Per determinare in concreto tale ambito occorre considerare la portata
oggettiva dell'onere di contestazione, che è il presupposto indispensabile del principio di non
contestazione.
Va tenuto presente che detto onere concerne i fatti,non la loro qualificazione giuridica, che spetta de
iure al giudice38; e deve trattarsi di fatti rilevanti per la decisione della causa. Sebbene la norma non
risolva la relativa questione già sollevata sotto l'impero della normativa precedente, si ritiene che
l'effetto della non contestazione operi solo con riguardo ai fatti relativi a diritti disponibili, limite
ovvio se si ritiene trattarsi di un principio dispositivo sostanziale39, opinione messa in dubbio da chi
respinge tale inquadramento, perché altrimenti le parti si approprierebbero surrettiziamente del
potere di disposizione della situazione sostanziale dedotta in giudizio, che la legge loro nega. In
effetti però, ove si neghi la esistenza di un vincolo per il giudice di attenersi al fatto non contestato,
dovrebbe ritenersi che anche il limite dei diritti indisponibili dovrebbe venir meno40.
Sulla applicabilità del principio ai fatti secondari, non ci ripeteremo avendo trattato l'argomento
supra al n.3 di pag.4 (in fondo).
Piuttosto occorre ricordare che non tutti i fatti allegati sono oggetto dell'onere di contestazione, ma
solo quelli che la parte allegante ha l'onere di provare ex art.2697 cc 41.
Oggetto di discussione é se il principio di non contestazione sia applicabile quando il fatto allegato
concerne l'esistenza di un negozio per il quale la legge richieda la forma scritta ad substantiam o ad
probationem. Nel primo caso la non contestazione non è idonea a sollevare dall'onere della prova la
parte che vanta diritti nascenti da un contratto solenne: la non contestazione non può surrogare la
36
Cfr.ROTA,op. Cit., pag.202.
Conformi CONSOLO, una buona novella al cpc.cit., 738; M.FABIANI, il nuovo volto cit.,in Foro
it.,2010,I,477.
38
DEL CORE,Il principio di non contestazione è diventato legge:prime considerazioni su alcuni punti ancora
controversi, in Giust.civ.,2009,II,280, che richiama la sentenza della Cassazione 15.5.2007,n.11108.
39
Così VERDE,op.cit., pag. 616.
40
FABIANI, Il nuovo volto cit., pag.1173; DE ANGELIS, la prova nel processo del lavoro e la corte di
Cassazione,Riv.it.dir lav.,2005,I,325 s.Ma l'opinione è ritenuta dubbia nella prospettazione della relevatio ab onere
probandi da ROTA,op. Cit., pag.204.
41
Si fa l'esempio dell'attore che,oltre ad allegare i fatti costitutivi del credito azionato,affermi che il debitore non
lo ha pagato; poiché non spetta all'attore provare il mancato pagamento,è evidente che la non contestazione sul punto
non può produrre la relevatio ab onere probandi (ROTA,op. Cit.,pag.207)
37
10
prova scritta dell'atto negoziale42; nel secondo caso, invece, posto che non sia in contestazione la
esistenza dell'atto, si ammette che qualora la parte non contesti la circostanza che il contratto sia
stato stipulato per iscritto, tale fatto può considerarsi pacifico43.
Un caso particolare è quello dei processi in cui sia intervenuto il pubblico ministero, o vi sia,
comunque una pluralità di parti; si può utilizzare in questa ipotesi il principio della non
contestazione? Pur non sussistendo ostacoli alla utilizzabilità di tale principio, valutabili sul piano
probatorio, perchè si determini la esclusione del fatto dal thema probandum, essa dovrà provenire
da tutte le parti sulle quali non grava il relativo onere di prova44.
4 e)- La specificità della contestazione. L'art.115 cpc. novellato dispone che i fatti non devono
essere stati specificamente contestati,il che significa che, per il nostro ordinamento, la contestazione
deve essere specifica, e significa altresì che
la contestazione generica equivale alla mancata
contestazione, che si ha anche quando la contestazione si diriga verso più fatti45.Ciò indurrà i
difensori ad abbandonare le generiche contestazioni di tutto quanto argomentato ex adverso; e non
basterà neanche,quando sono allegati dall'attore una molteplicità di fatti, la contestazione formale
specifica per ciascuno di essi, che non perderà il carattere della genericità46
Come pure, per il già illustrato rilievo che la contestazione deve concernere fatti non rapporti, una
contestazione che si appuntasse sul rapporto,anziché sui singoli fatti costitutivi, non consentirebbe
di stabilire quali fatti sono contestati, e quindi su quali fatti occorresse la prova del contrario.
Qualche decisione
47
aveva negato che la contestazione generica corrispondesse a non
contestazione,mancando del requisito della inequivocabilità; ma deve osservarsi che ora diviene
irrilevante stabilire se la non contestazione sia o no inequivocabile, poiché, dovendosi desumere che
la contestazione meramente generica, così come il silenzio, equivale a non contestazione,qualsiasi
ulteriore indagine sulla inequivocabilità diviene superflua.
Lo standard legislativo circa la specificità è stato riempito dalla considerazione di alcune ipotesi in
cui si ritiene sussistente: si è ritenuto che occorre che essa sia circostanziata,cioè introduca elementi
di merito che contrastino quanto asserito dall'avversario. Dato il contesto in cui opera,il requisito
42
FABIANI,op.cit.,pag.1174; CEA,La tecnica della non contestazione cit., pag.220.
SASSANI, L'onere della contestazione cit.,par.12,CARRATTA,Il principio cit., pag.332; VERDE,voce prova
cit,pag.616 in nota 236.
44
FABIANI, il nuovo volto cit., pag.1174,il quale equipara il caso alla fattispecie della confessione
processuale,distinguendo nei processi con pluralità di parti le cause scindibili da quelle inscindibili
45
SASSANI,op. Cit.,pag.70; Cass., SS.UU:, 23.1.2002,n.761; Cass.SS.UU:, 17.6.2004,n.11353.
46
Una sentenza della Cassazione,21.5.2008,n.13079 ha affermato che nel caso di fatto costitutivo complesso,
cioè connotato da una concomitante ricorrenza di più circostanze,occorre che la contestazione del convenuto si appunti
esplicitamente su una o più circostanze di fatto,essendo altrimenti priva della specificità necessaria a radicare per la
parte l'onere di offrire la prova, e per altro verso al giudice il dovere di procedere ad uno specifico esame.
47
Cass., 3.5.2007,n.10182 ; Cass.2.5 2007,n.10098
43
11
della specificità è relativo; il grado di essa va valutato in un'ottica di proporzionalità,trovando il suo
limite nel corrispondente grado di specificità che assume il fatto oggetto di contestazione48
Al quesito della diversa relazione fra il fatto e la parte nei confronti della quale la allegazione è
diretta, se cioè sia direttamente riferibile all'avversario o del tutto estranea alla di lui sfera di
conoscenza, si è risposto che,ove il fatto sia a lui riferibile, egli sarà onerato di una specifica
contestazione; diversamente detta dichiarazione di non essere a conoscenza del fatto, configurerà
una sufficiente presa di posizione. Infine è possibile la deduzione di fatti incompatibili con quelli
allegati da controparte che,pur con molte cautele, potrà considerarsi motivazione implicita e quindi
soddisfazione dell'onere contestativo.
4 f).- Il problema circa i limiti temporali della non contestazione si combina ovviamente con le
preclusioni previste dal codice di procedura nel giudizio ordinario, diversamente dalla disciplina
anteriore alla riforma del 1990 in cui si riteneva la provvisorietà della non contestazione, che se non
effettuata in un certo momento, poteva anche essere formulata in un momento successivo 49.
Occorre quindi distinguere, se la contestazione consiste in mere difese, va considerato il disposto
dell'art.167 cpc.che pone sì a carico del convenuto nella comparsa di risposta l'onere di prendere
posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento dell'azione, ma non a pena di decadenza (come è
agevole dedurre a contrario dalla previsione di altre attività:eccezioni in senso stretto, domanda
riconvenzionale previste a pena di decadenza);è quindi ammissibile la contestazione dei fatti in un
momento successivo 50(impropriamente detta contestazione tardiva). Probabilmente, trattandosi di
un vero e proprio onere, il comportamento omissivo potrà essere sanzionato come contegno
processuale sleale o scorretto ex art.88 cpc.,con la conseguente applicazione dell'art.116,2°
comma51.
In riferimento alle preclusioni previste nel rito ordinario per la fissazione del thema probandum e
del thema decidendum, va applicata la scansione di cui all'art.183 cpc.; nell'ipotesi in cui nella
udienza di trattazione non venga dato alcun termine per la presentazione di memorie (ipotesi
piuttosto rara) il termine per la contestazione è rappresentato da questa udienza. Nel corso di tale
udienza è possibile l'attività contestativa, stante il co.5 che prevede la possibilità di modificare e
precisare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. Qualche problema insorge nel
caso in cui sia disposta una ulteriore trattazione scritta; si applicherà il termine per le preclusioni
assertive o per quelle delle possibilità di deduzioni istruttorie? Sembra preferibile considerare il
48
49
50
51
ROTA,op. cit., pag.209 s.e citazioni a nt.84.
PROTO PISANI,Allegazione dei fatti cit., pag.606:Trib.Rovereto, 3.12.2009,Redazione Giuffré, 2010.
Per la dottrina prevalente cfr.ROTA,op.cit.,pag.212 nell'ampia nota 90.
PROTO PISANI,Lezioni cit.,pag.91; CIACCIA CAVALLARI,op. Cit., pagg.159 s.
12
termine nel quale avviene la definitiva fissazione del thema probandum, e cioè la memoria di cui al
n.2 del comma 6. Più rigoroso il rito del lavoro ex art.416 3° co; una parte della dottrina fissa il
termine alla comparsa di risposta, anche se la legge non sanziona la decadenza52. Sembra sempre
per la rigidità del sistema in materia di udienza di discussione (art.420 u. periodo)che la
contestazione del convenuto in udienza possa esser fatta solo quando il giudice, ricorrendo gravi
motivi, abbia autorizzato la modifica delle domande,eccezioni e conclusioni già formulate; il rigore
dipende dal fatto che sono già maturate le preclusioni istruttorie con gli atti introduttivi. In ogni
caso potrà farsi ricorso,ma la soluzione è assai dubbia, alla rimessione in termini53.
Questione controversa è se sia possibile contestare, per la prima volta in appello, un fatto che era
risultato pacifico in prima sede. Poiché il divieto di cui all'art.345,e secondo la interpretazione
dominante dell'art.437 cpc.,il divieto di nuove eccezioni concerne solo quelle non rilevabili di
ufficio, tale eccezione dovrebbe essere pacificamente ammissibile anche quando integri una
eccezione in senso lato (secondo taluno54 solo quando si tratta di mere difese).Si dubita da altri che
occorrerebbe che quel medesimo fatto sia stato allegato tempestivamente in primo grado55
Una simile impostazione è smentita dalla giurisprudenza più recente,ed avversata dalla prevalente
opinione, anche se di essa potrà tenersi conto al fine della condanna alle spese e della valutazione
del comportamento delle parti ex art.116 2° co,cpc.56
Infine, non sembra accettabile che l'onere di fornire la prova del fatto che era rimasto incontestato in
primo grado torni a gravare sulla parte che l'aveva allegato; sembra preferibile ritenere che,poiché si
era avuta la chiusura del precedente giudizio, si sia consolidata la relevatio ab onere
probandi,avendolo il giudice posto a base della decisione come fatto pacifico.
4.g).-La non contestazione e la contumacia. Due principi vanno tenuti presenti relativamente a
questa ipotesi: 1)la contestazione ex art.115 deve pervenire dalla parte costituita; per il principio di
parità l'onere di contestazione grava su entrambe le parti; a contrario dunque pare che detto
principio non debba valere per la parte contumace. L'art.115 ha implicitamente seguito il principio
giurisprudenziale, secondo cui la contumacia non può essere interpretata come comportamento non
contestativo, ma neutro57, dal quale non possono discendere conseguenze pregiudizievoli. Ciò
deriva dalla non costituzione,che sola conferisce poteri e diritti e doveri di cui si compone la
52
Tuttavia si badi che la Cass a SS.UU:,23.1.002,n.761 è nel senso che la contestazione possa essere fatta al più
tardi in prima udienza(Cass.2003,n.535; Cass., 2004.n.4556; Cass., 2005.n.12636).
53
Per le oscillazioni della dottrina, richiami in ROTA,pag.214,nt.97.
54
DEL CORE,op.cit., pag.284.
55
Così Cass SS:UU:, 2001,n.226, sconfessando la tesi restrittiva di cui alla sent.a SS.UU:,1998,n,1099.
56
In questo senso per il rito del lavoro Cass.,12 agosto 2000,n.10758 per violazione dell'onere di cui ll'art.416
cpc.
57
Cass,2009,n.14623
13
dinamica procedimentale. Il silenzio del contumace è dunque diverso da quello costituito sul piano
delle inferenze probatorie (vengono in gioco per il primo il brocardo qui tacet neque negat neque
utiteque fatetur (Paolo Dig.50.17.124); per il secondo:qui tacet consentire videtur,si loqui debuisset
ac potuisset (regola iuris canonistica C.43 in VI,5.12). Non si può negare che il silenzio della parte
costituita è più significativo, perché solo questa avrebbe potuto e dovuto contestare. Tuttavia questa
opinione suscita perplessità: contrariamente alla non contestazione della parte costituita,il silenzio
del contumace finisce per equivalere a contestazione! La valenza della contumacia è quella della
ficta contestatio.I primi commentari hanno sottolineato lo sbilanciamento
a favore del
contumace,che si risolverebbe così in un incentivo a non costituirsi in giudizio 58.Con riferimento
all'art.167 1° co novellato dalla legge 1990 si era rilevata la stranezza, confermata dal legislatore
anche all'art.186 bis cpc.Probabilmente ha influito la sentenza della Corte Costituzionale
n.340/2007che ha dichiarato incostituzionale l'art.13,2° co. del d.legisl 5/2003 nella parte in cui
prevedeva l'effetto della ficta confessio per la parte rimasta contumace, nel rito societario. Da più
parti si è criticata questa posizione, rilevando fra l'altro che nell'art.663 cpc. in tema di locazione è
stabilito che la mancata costituzione del convenuto vale come ammissione dei fatti posti a base
della domanda. Deve attendersi una modifica legislativa,e pare che nel progetto di riforma organica
del processo civile, sia previsto che in materia di diritti disponibili,ove il convenuto non si sia
costituito,il giudice deve ritenere esistenti i fatti posti dall'attore a fondamento della domanda.59
58
59
V.ampie citazioni in ROTA,op.cit., pag.217 nt.109
CEA,La modifica dell'art.115 cpc cit.,pag.270. Il progetto Proto Pisani è pubblicato in foro it.,2009,V, 1 ss.
14
CONCLUSIONI
Le novità apportate dalla modifica dell’art.115 cpc.appaiono frutto delle esigenze manifestate da
una interpretazione sistematica, in assenza di una disciplina normativa specifica e determinata, alla
quale, tuttavia, va riconosciuto il merito di aver costruito il c.d.principio di non contestazione60
Può aggiungersi che già da questa essenzializzata esposizione risulta quanti nodi sono rimasti
irrisolti rispetto alle precedenti decisioni della prassi giurisprudenziale e dottrinale. Tanto che
qualcuno ha affermato la possibilità che il quadro oggi sia ancor più complicato dalla nuova
formulazione dell'art.115 cpc61. Si tratta quindi di un interessante e non frequente caso, in cui
l’interpretazione per principi ,induttivamente desunti dal sistema, suscita nel legislatore, sia pure a
distanza di molti anni (nella specie oltre mezzo secolo) l’opportunità di disciplinare espressamente
il principio emerso dalla interpretazione sistematica. Con la conseguenza che oggi, dal 4.7.2009, in
poi, quel principio ha assunto la forza del dato. Diverso problema è quello della retroattività,legato
alla natura interpretativa o costitutiva della nuova legge.
Accanto a questa considerazione, attinente ai rapporti fra la giurisprudenza e la legge, è poi da
considerare come la ratio della innovazione dell’art.115 cpc.(così introdotto dall’art.45 ,14° co.della
L.18/6 2009.n.69) che presenta all’inizio del comma 1° l’inciso “nonché i fatti non specificatamente
contestati dalla parte costituita”, nonché al 2° comma la precisazione che è il giudice ad applicare
(ex officio?) il principio di non contestazione, ponendo a base della decisione quei fatti non
specificamente contestati dalle parti. Questa ratio, nella sua configurazione astratta potrebbe
ravvisarsi nell’alleggerimento a favore delle parti dell’onere probatorio, evitando laboriose richieste
di istruttorie di lungo tempo, istanze rese più rigorose dalla modifica dell’art.167 1° co. Cpc.,il
quale prevede l’onere per il convenuto nella comparsa di risposta nel rito ordinario di prendere
posizione sui fatti costitutivi allegati in citazione. Ciò è ulteriormente aggravato per l’art.416 cpc., il
quale richiede che nelle controversie di lavoro, la presa di posizione sui fatti costitutivi sia assunta
“in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione”.Si riscontra in proposito un
duplice orientamento interpretativo; secondo il primo la formula dell’art.416 cpc.varrebbe anche per
la interpretazione dell’art.167 del rito ordinario
62
; mentre per un’altra interpretazione dottrinale ,se
pure espressa con formula eventuale,la differente formulazione dell’art.167, rispetto a quella
dell’art.416 sembrerebbe comportare che nel procedimento ordinario il convenuto possa limitarsi ad
una contestazione generica63 . Ma nella realtà una considerazione malevola della ratio della norma
60
Si vedano i contributi di CARRATTA, Il principio di non contestazione nel processo civile, Milano,1995; e di
PROTO PISANI, in Foro It., 2003,I,606. e 2006,I,3143.
61
ROTA,op. Cit., pag.21
62
VERDE, Diritto processuale civile,2,processo di cognizione. Bologna,2010,17.
63
COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile,I, Bologna,2006,378.
15
novellata potrebbe condurre a ritenere la effettiva ratio,diciamo così indiretta, simulata o addirittura
fraudolenta, di mascherare il vantaggio per la parte, perseguendo invece l’accelerazione del
processo ,mutilandolo dei tempi lunghi per l’istruttoria.
Anche sul funzionamento in concreto del principio di non contestazione sono stati avanzati dubbi,e
auspicato che la fase preparatoria fosse imperniata sull'interrogatorio libero delle parti, da rivalutare
a sensi degli artt.117 cpc e 183,4° co cpc. Si è proposto di introdurre forme di interpello che
consentano alle parti di prendere posizione, anche senza il giudice, sui fatti allegati.
Ma la maggiore deficienza assio-pratica è che l'art.115 non consente di risolvere il problema
principale, quello del fondamento e degli effetti del principio di non contestazione; anche se taluno
ritiene che il legislatore abbia implicitamente accolto l'orientamento per cui la non contestazione
opera solo sul sistema probatorio (la relevatio) tuttavia il tenore del primo comma non sembra
tranquillizzare nel senso che in futuro la giurisprudenza, riprendendo la decisione a
SS.UU:761/2002,assuma il fatto non contestato come vincolante per il giudice (escludendo la
valutazione di merito). Più che risolvere i conditores della legge 69/2009 problemi teorici,si sono
limitati a codificare quello che lo stesso organo della magistratura definiva nel parere del 30/9
2008, un pacifico principio informatore del processo civile, lasciando agli operatori ogni
responsabilità sulla concreta applicazione.
Per ciò si auspica quanto meno un nuovo intervento nomofilattico che elimini la possibilità della
decisione volta a volta del giudice sulla non contestazione con argomenti arbitrari, che nulla hanno
che vedere con la durata del processo né con la ricerca della verità dei fatti.
Locri,10/06/2011
Vincenzo Panuccio
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