Il premio Giani va alla Caritas

Transcript

Il premio Giani va alla Caritas
NOTIZIARIO
DELLA DIOCESI
DI S. MINIATO
3 novembre 2013
Piazza del Seminario,13
56028 San Miniato (Pisa)
tel. e fax 0571/400434
[email protected]
Notiziario locale
Direttore responsabile:
Andrea Fagioli
Coordinatore diocesano:
Francesco Ricciarelli
Reg. Tribunale Firenze n. 3184 del 21/12/1983
Chi ha
paura di
Halloween?
DI
l’agenda del VESCOVO
omenica 3 novembre - ore 11,15: Cresime a Palaia.
D
Ore 13: a San romano, conviviale col generale dei Frati
Minori. Ore 16:Cresime a Lavaiano.
Martedì 5 - ore 9,30: udienze. Ore 17: a Ponsacco, concerto
dei Blu Confine.
Mercoledì 6 - ore 9,30: udienze.
Giovedì 7 - ore 9,30: in seminario, ritiro mensile del clero.
Venerdì 8 - ore 21,15: a San romano, incontro con i membri
dei consigli d’unità pastorale.
Sabato 9 - ore 8: Pellegrinaggio a Capannoli. Ore 11:
inaugurazione della festa del tartufo a San Miniato
Il premio Giani va alla Caritas
Un impegno costante a servizio di chi è in difficoltà
DON FRANCESCO RICCIARELLI
gli inizi degli anni ’60
Umberto Eco scrisse una
lettera al figlio neonato
promettendogli di
regalargli in futuro, per Natale,
tante armi giocattolo, in barba alle
riserve dei pedagoghi. Ricordando
i giochi bellici della propria
infanzia, l’Autore ravvisava in essi
quasi una funzione catartica. "Mi
immagino invece l’infanzia di
Eichmann. Prono, lo sguardo da
ragioniere della morte, sul
rompicapo del meccano, seguendo
le istruzioni del manualetto",
proseguiva caustico Eco e metteva
in guardia: "Temete i giovani che
costruiscono piccole gru! Nelle
loro fredde e distorte menti di
piccoli matematici si stanno
comprimendo i complessi atroci
che agiteranno la loro età matura".
Pericolosa sarebbe quindi,
secondo Eco, non la fantasia,
anche se popolata di battaglie e di
mostri, ma l’aridità emotiva.
Ripensavo a queste intuizioni,
considerando l’ormai consueta
fallimentare crociata contro
Halloween. Dovremmo
preoccuparci per i bambini
travestiti da streghe e vampiri che
cantano canzoncine in inglese o
che vanno in giro la sera
questuando dolcetti e
minacciando scherzetti? I bambini,
salvo casi patologici, sanno ben
distinguere la differenza tra
convenzione ludica e realtà. E
neanche le feste mascherate per i
più grandicelli hanno un
potenziale diseducativo e
trasgressivo superiore alla norma.
Se c’è equilibrio mentale, nessuna
suggestione horror né musica
martellante produrrà mai dei killer
satanisti.
Il diavolo semmai è nascosto tra le
pieghe del quotidiano, nella
banalità del male. Si annida dove i
figli vengono lasciati soli davanti
allo schermo della tv, del computer
o del telefono cellulare; dove le
famiglie si sfasciano, dove
l’educazione è improntata
all’ipocrisia del politicamente
corretto e i valori diventano parole
vuote; dove i ragazzi subiscono
l’influsso di cattivi maestri
nichilisti e disillusi.
Halloween è una festa stupida,
priva di significato. Certo, sarebbe
bello se i giovani festeggiassero i
Santi. Ma qui il problema sta a
monte. Le zucche vuote,
purtroppo, ci sono tutto l’anno.
A
DI
RICCARDO CARDELLICCHIO
abato 26 ottobre, nella sala
consiliare del comune di
Montopoli in val D’Arno, si è
svolta la cerimonia di
premiazione (all’insegna della
semplicità) del 3° premio «Alla
vita» in memoria di Alberto
Giani. Premio promosso
dall’Associazione Culturale
Capannese con il patrocinio dei
Comuni di Montopoli in val
D’Arno e di Fucecchio.
Come recita la motivazione, per
l’anno 2013 il premio è stato
assegnato alla Caritas diocesana
di San Miniato: «Per l’opera da
tanti anni svolta, con impegno
costante e nascosto, a favore delle
fasce più deboli della società.
Senza mai chiedere ’chi sei?’ a
chiunque vada a bussare alla sua
porta. Sempre e soltanto
ponendosi con umiltà al servizio
dell’uomo. Qualunque sia il
colore della sua pelle e il suo
credo religioso».
Dopo una memorabile lettura del
discorso «I have a dream» di
Martin Luther King, fatta da
Daniele Venturelli, introdotti da
Riccardo Cardellicchio,
presidente del comitato
promotore del premio, hanno
parlato il sindaco di Montopoli
Alessandra Vivaldi, il vicesindaco
di Fucecchio Sara Matteoli e il
vescovo di San Miniato
monsignor Tardelli.
Il vescovo ha ringraziato il
comitato per l’assegnazione del
premio alla Caritas, sottolineando
come essa sia strumento pastorale
indispensabile di ogni diocesi, di
ogni parrocchia. Il premio, ha
detto, sarà motivo di ulteriore
impegno vista la gravità della crisi
economica che attanaglia l’intera
società.
Monsignor Tardelli ha invitato
anche a considerare Alberto come
ancora «vivente» e presente nella
luce della fede in mezzo a noi. Il
sindaco di Montopoli, tra l’altro,
ha voluto mettere in evidenza la
S
buona collaborazione con la
Caritas. Sara Matteoli si è
soffermata sulla figura di
Giani.
Sentite parole di
ringraziamento da parte di
don Romano Maltinti, attuale
direttore della Caritas
diocesana, che ha ritirato il
premio dalle mani della
vedova Giani, Rita Mancini.
Fuori programma, proprio
Rita ha chiesto di dire due
parole. Con la voce rotta dal
pianto, in un clima d’intensa
commozione che ha preso
tutti i presenti, ha ricordato
chi è stato Alberto per lei, per i
figli, per la comunità prima di
Fucecchio, poi di Capanne e il
suo legame con la Caritas. Ha
detto: «La Caritas era un luogo
molto caro ad Alberto, il luogo
dove ha ulteriormente maturato e
concretizzato la sua vocazione. Il
suo modo di dedicarsi agli altri si
può sintetizzare con una frase di
Benedetto XVI: ’Dedicarsi all’altro
con le attenzioni suggerite dal
cuore in modo che questi
sperimenti la loro ricchezza di
umanità’. Credo che Alberto abbia
portato questo modo d’agire in
ogni ambito della sua vita:
ecclesiale,
familiare, sociale
e professionale.
Metteva
sicuramente
un’attenzione
particolare nella
cura delle
relazioni e un
impegno
costante nella
formazione
personale, Sopra
a tutto questo vi
era un attingere
alla preghiera in
modo fedele e
costante. Per
Alberto, stare
vicino agli
emarginati, agli
extracomunitari,
alle persone sofferenti era davvero
concretizzare la sua fede. Una
fede che diventava così operante
nell’amore. Vorrei ricordare gli
inizi del suo cammino nella
Caritas, la sua decisione di
diventare obiettore di coscienza e
di farlo nella Caritas. Con affetto
ricordo quando mi parlava delle
accese, ma proficue, discussioni
che faceva in macchina con il
vescovo Ricci e don Nencioni
mentre andavano a vari incontri.
La Caritas è stata un po’ la sua
seconda famiglia, una famiglia
che vorrei ringraziare in modo
particolare per quanto è stata
vicina a me e ai miei figli. Una
presenza costante, non invadente,
ma decisamente presente in tutti
questi anni».
Eugenio Cino, anche lui facente
parte del comitato promotore del
premio, ha offerto due intermezzi
musicali cantando e
suonando canzoni
adatte alla circostanza.
Gli altri componenti
del comitato sono Sara
Matteoli, vice sindaco
del Comune di
Fucecchio; Riccardo
Marconi;; Rosita Pallesi,
medico, in
rappresentanza del
Comune di Montopoli;
Raffaele Di Lorenzo e
Giampiero Vincenti,
rispettivamente
presidente e vice
presidente
dell’Associazione
culturale capannese.
II
TOSCANA OGGI
LA DOMENICA
3 novembre 2013
Il contributo di
DON MATTEO
UN ESEMPIO
CHE NON SI
PUÒ
DIMENTICARE
DI DON
MATTEO PHUTENPURAKAL*
iamo qui questa sera perché
abbiamo riconosciuto che la luce
Sdella
figura Sacerdotale presente in
Mons. Danilo Maltini, ha acceso in
noi il desiderio di ricordalo e
onorarlo insieme. Il suo essere prete, e
prima ancora il suo essere cristiano, è
stato un invito ad una santità
concreta. È andato incontro agli altri
per portare la presenza di Gesù. La
sua voce era affabile, mai vuota ma
piena di umanità. Ci ha lasciato
l’invito ad amare la vita, ad essere sani
e santi.
Personalmente io non l’ho
conosciuto Mons. Danilo Maltinti. La
sua figura di essere prete e pievano di
Montopoli l’ho conosciuta attraverso
i montopolesi e attraverso il Diario
della pieve che lui curava dal 1963, di
cui quest’anno facciamo il 50°.
Chi legge attentamente il diario della
Pieve può capire che personalità era
mons. Danilo Maltinti.
Sono molto interessanti e istruttivi i
consigli e esortazioni che il Pievano
rivolge alla sua gente con l’amore di
un buon pastore. La sua attenzione
per i malati e poveri è molto
premurosa. Curò molto l’Azione
Cattolica dei giovani e adulti,
Chierichetti della Pieve e Fratelli della
Compagnia.
È difficile sintetizzare in poche parole
le grandi doti di questo sacerdote
dall’animo tenace e allo stesso tempo
timido per natura, ma superato dalla
grazia, la quale spesso ha piegato ai
mirabili disegni di Dio impennate
clamorose e scelte singolari. Don Elio
Veracini, nel 50° dell’Ordinazione di
Maltinti scrisse queste parole: Non
esiste perfezione, che appaghi i
desideri di tutti. È perfezione però che
ognuno possa dire con onesta e
convinzione: il nostro pievano è un
vero prete, monoco con Gesù, pastore
col popolo.
All’età di 87 anni e con ben 64 anni di
sacerdozio, di cui quasi 60 anni
passati nella comunità di montopoli,
19 agosto 2003 Don Danilo Maltinti
è salito al cielo.
Oggi lo ricordiamo con profonda
gratitudine e affetto per quanto ha
saputo darci in questi 60 anni vissuti
in mezzo a tutti noi. Sacerdote di
grande fede, dai forti tratti di
umanità, esempio di vita, guida e
importante punto di riferimento per
tutta la comunità.
Non potremo mai dimenticare ciò
che è stato per Montopoli Mons.
Danilo Maltinti. La memoria della
sua intera esperienza pastorale, ci
rende orgogliosi, ci aiuta e da fiducia
per il futuro. Mons. Danilo Maltinti
ha saputo far crescere la comunità
aiutandola a mantenere i valori
importanti di fede e di vita cui oggi
godiamo i frutti di quello che ha
seminato. A Montopoli Mons. Danilo
Maltinti non verrà e non potrà essere
dimenticato e il suo esempio aiuterà
tutti noi a guardare con serenità al
domani.
Vogliamo dire dunque grazie al
Signore perché possiamo ancora
godere dei frutti del ministero
sacerdotale profuso da don Danilo
con grande zelo.
La raccolta fotografica che abbiamo
oggi, della vita del Pievano Danilo è
frutto di tanti sacrifici di alcune
persone della Parrocchia. Vorrei
riportare i nomi e lodare queste
persone per il meritato lavoro che
hanno svolto. Sono Maria Carla
Petralli, Sauro fogli, Valeria Freschi e
Lucia Atzori. Dietro di loro hanno
contribuito due ingeneri
professionisti che sono Andrea
Benvenuti e Alvio Sartucci e figlia
Mariaceleste. Un grazie anche a
coloro che hanno portato le fotografie
dalle loro case. Uno speciale
ringraziamento va anche ai nipoti di
Mons. Danilo per aver contribuito
con le fotografie dell’infanzia dello
Zio.
*Parroco di Montopoli
SPECIALE Montopoli val’d’Arno
Il ricordo di don Danilo
Maltinti:
un sacerdote d’altri temp
DI
MICHAEL CANTARELLA
uando un sacerdote
resta per oltre mezzo
secolo in una
parrocchia, il segno
che lascia in quella comunità è
profondo, indelebile,
incancellabile. È un imprinting
forte, che marchia a fuoco i
cuori delle persone, e che spesso
ne segna la vita, ne costituisce i
ricordi, rappresenta un esempio
che, anche per i più scettici,
ritorna utile nei vari momenti
della vita.
Un esempio di questi sacerdoti
di «razza» è stato don Danilo
Maltinti, pievano di Montopoli
dal 1944 al 2003, di cui
quest’anno si celebra il
decennale della morte. Don
Matteo Putenpurakal assieme ai
parrocchiani ha voluto ricordare
questo anniversario allestendo
una bella mostra fotografica che
raccoglie gli scatti più
significativi della vita del
«Signor Pievano» e della
comunità parrocchiale di
Montopoli.
Molti Montopolesi illustri
hanno preso parte alla tavola
rotonda che ha ricordato don
Danilo.
Mons. Tardelli, aprendo il
dibattito, ha ricordato che nella
nostra diocesi esistono delle figure
eccezionali di sacerdoti e vescovi,
che hanno lasciato il segno in
diocesi. E che don Danilo fa parte di
questa categoria, assieme ad altra
figure come don Divo Barsotti o il
vescovo Giubbi.
Andrea Pieroni, in veste di
«chierichetto invecchiato» ha
ricordato Maltinti definendolo «un
grande sacerdote che per noi giovani
dell’epoca ha rappresentato un
Q
importante punto di riferimento».
«Una figura autorevole, tanto che –
confessa l’attuale presidente della
provincia – quando passava per
strada era consuetudine fermare il
gioco e il chiacchiericcio per salutare
il pievano: quasi ci mettevamo
sull’attenti!». «Un uomo – ha
concluso Pieroni – che ha
profondamente segnato la nostra
crescita umana e spirituale».
Anche l’attuale sindaco di
Montopoli, Alessandra Vivaldi, ha
testimoniato
l’esperienza vissuta con
il professor Maltinti,
insegnante di religione
alle scuole medie di
Montopoli: «ha saputo
darci degli
insegnamenti che si
sono rivelati molto utili
nella vita, anche se da
piccola non capivo, e
spesso contestavo
alcune delle rigide
TOSCANA OGGI
LA DOMENICA
3 novembre 2013
III
pi
lezioni di don Danilo».
Commosso il ricordo di don Piero
Malvaldi, figlio spirituale di don
Maltinti, parroco di Forte dei Marmi
ed attento custode dei diari
spirituali del sacerdote
montopolese: «Quando ci
intrattenevamo in conversazione, ed
io gli parlavo dei problemi e delle
difficoltà che avevo con la cura dei
ragazzi che al tempo mi erano stati
affidati all’oratorio di Pontedera,
don Danilo mi ammoniva sempre
ricordandomi “salus animarum,
suprema lex”, la salvezza delle
anime è la legge fondamentale». Un
uomo – ha affermato ancora
Malvaldi – che ha fatto della verità e
della povertà uno stile di vita. Una
sincerità autentica nei confronti
degli altri ma anche nei confronti di
se stesso, e uno stile di vita
monastico che non può che destare
ammirazione. Un sacerdote – ha
concluso don Piero – che ha amato
profondamente il suo paese ed i
suoi parrocchiani».
Al dibattito hanno partecipato
anche due sacerdoti Montopolesi,
don Marco Pupeschi e don Luciano
Niccolai, che hanno
sperimentato fin da
piccoli i modi del
giovane pievano
Maltinti. Don
Niccolai ha ricordato
l’attenzione che fin
da subito, addirittura
dal giorno
dell’ingresso in
parrocchia nel 1944,
don Danilo ha dato
ad ogni singolo
chierichetto: «faceva
sentire importante
ognuno di noi». Don
Pupeschi invece ha
voluto anche
ricordare i momenti
difficili di Maltinti:
«don Danilo ha
avuto un amore
assoluto per il paese
di Montopoli. Con il
suo stile severo e
intransigente ha
saputo dialogare con
le persone e anche
con la politica,
nonostante quelli
fossero anni difficili e
particolari. Ha
dimostrato il suo
amore fino all’ultimo
respiro nei confronti
dei montopolesi,
anche se a volte
viveva con amarezza
le vicende
parrocchiali». «Non potrò mai
dimenticare – ha concluso il parroco
di Santa Maria a Monte – che anche
durante l’ultima celebrazione,
quando ormai la fine era vicina e le
forze l’abbandonavano – il pievano
continuava ancora a muovere la
mano in segno di benedizione». Il
segno e il saluto di un sacerdote
d’altri tempi.
TRA MONTOPOLI
E CENAIA,LE
«GRANDI OPERE»
DI MALTINTI
on Maltinti domenica 12 novembre
D
1944 faceva il suo ingresso a
Montopoli, dove il vescovo Giubbi
l’aveva chiamato a succedere al pievano
canonico Omero Guidotti, morto per una
cannonata durante il passaggio del
fronte. Nel periodo di sacerdozio (cessato
il 19 agosto 2003 per la sua morte) don
Danilo Maltinti ha ricoperto l’incarico di
insegnante di religione nell’istituto
magistrale e nella scuola media di
Montopoli. Nel 1950 sono state
realizzati, grazie al suo interessamento,
affreschi sul soffitto della pieve dei santi
Stefano e Giovanni a cura del pittore
Gaioni. A Montopoli don Maltinti ha
potuto vedere ordinati sacerdoti, proprio
nella sua pieve, due suoi chierichetti, don
Luciano Niccolai e don Marco Pupeschi,
tutt’ora sacerdote di Santa Maria a Monte.
60 anni di sacerdozio inserendo la sua
azione pastorale nel contesto culturale di
quegli anni, partendo soprattutto dalla
gioventù. Il catechismo e le opere di
carità furono i punti di forza del
dinamico pievano. Ancor’oggi nelle
abitazioni di Montopoli viene
consegnato dai volontari a tutte le
famiglie il “Diario della pieve”, bollettino
dove vengono riportate notizie del luogo,
ideato da don Maltinti nel 1963.
Molte le doti del sacerdote montopolese,
tra cui il coraggio: nel 1944 don Danilo
scongiurò una rappresaglia nazista in
quel di Cenaia, facendo pressione su un
ufficiale tedesco che aveva in precedenza
soccorso e curato in canonica.
TOSCANA OGGI
LA DOMENICA
3 novembre 2013
Divo Barsotti collaboratore
de L'Osservatore Romano
Pubblichiamo la prima parte dello speciale su don Divo Barsotti. Scopriremo un
Barsotti inedito, che vantava una collaborazione con il quotidiano della Santa Sede
DI FEDERICO
MAZZEI
alla fine del 1941
all’ottobre 1945, il
giovane sacerdote
diocesano Divo Barsotti
(del quale il prossimo anno
ricorrerà il centenario della
nascita, avvenuta il 25 aprile
1914) trascorse un periodo di
ininterrotta permanenza nella
casa familiare di Palaia. Il suo
rifugio in famiglia non fu
determinato dagli avvenimenti
bellici, ma dalla privazione di
incarichi diocesani a cui era
stato condotto dalla tormentata
ricerca di una vocazione
singolarmente contemplativa e
missionaria. Dall’Ordinazione
del 18 luglio 1937 in cattedrale
a San Miniato, Barsotti aveva
trascorso solo tre brevissimi
periodi di servizio pastorale «in
cura di anime» nelle parrocchie
di Castel del Bosco, La Rotta e
Capannoli, che ne rivelarono
precocemente l’inattitudine alla
vita sacerdotale ordinaria. Già il
6 agosto 1937 aveva scritto al
Vescovo Giubbi di sentirsi
«perfettamente felice soltanto se
potessi seguire Dio solo, povero
di tutto, in paesi di missione,
contento di Dio», ma destinati
al fallimento si rivelarono anche
i suoi primi tentativi di
inserimento nelle Opere
missionarie. L’attività diocesana
di Barsotti si ridusse
sostanzialmente a quella di
insegnamento in Seminario
come professore di Lettere al
Ginnasio e di Patrologia nel
Corso Teologico. Inoltre don
Divo affiancò il fratello
Giovanni (docente anche lui di
materie filosofiche in
Seminario) nella collaborazione
a «La Domenica», per la quale
redasse occasionalmente
editoriali (si ricordi soltanto
quello del 5 marzo 1939
dedicato all’elezione pontificale
di Pio XII, Principe della pace) e
la rubrica di commento al
Vangelo domenicale dal luglio
1939 al Natale dello stesso
anno.Rientrato in Diocesi dopo
un periodo di soggiorno a Roma
in cui aveva infruttuosamente
cercato di intraprendere gli studi
universitari, Barsotti dovette
adeguarsi alla temporanea
condizione di «prete in casa»
nella sua Palaia con una
cappellania di sette ettari di
terreno, di cui il Vescovo Giubbi
aveva voluto renderlo
beneficiario. Nei successivi
quattro anni che lo resero
«pressoché inutile alla diocesi»
(come egli steso scrisse in una
lettera personalmente
indirizzata al Pontefice Pio XII),
Barsotti attraversò un sofferto
itinerario di mortificazione, ma
anche di «tragico
combattimento» alla ricerca
della vocazione più congeniale
al carisma mistico di cui veniva
riconoscendo le radici nella
meditazione teologica. E
proprio in questo periodo di
isolamento Barsotti si immerse
in una ascesi di studio e di
preghiera, che lo avrebbe
interiormente consacrato
all’esigenza di «cercare Dio
solo». Di questa mistagogia
restano testimonianza i diari
spirituali che Barsotti avrebbe
pubblicato nel 1954 (La lotta
con l’angelo. Diario di
un’anima, 28 settembre 1941-29
gennaio 1942) e nel 1957 (La
fuga immobile. Diario
spirituale, 25 maggio 1944-8
novembre 1946, ristampato
anche in edizione tedesca nel
1960 con la Prefazione di Hans
Urs Von Balthasar).
«Dimenticato, povero, in mezzo
ad una popolazione che non
D
saprò avvicinare, senza sapere
come consumare il mio tempo,
vicino ai miei paesani, senza
nulla di straordinario, una vita
uguale, ordinaria, oscura.
L’accetto per te, perché Tu sia
sempre il mio Dio, il mio Unico.
Mi basta conoscerti e amarti»:
così lo stesso Barsotti avrebbe
ritratto la propria esperienza
sacerdotale in una pagina di
quegli anni. Malgrado questa
condizione di isolamento, già
negli anni di Palaia il
nominativo di Barsotti iniziò a
circolare oltre i confini
diocesani. Il 17 dicembre 1942
la firma del «sac. Divo Barsotti»
comparve in prima pagina su
«L’Osservatore Romano» con un
editoriale dal titolo Esegesi di
una preghiera, dedicato alla
consacrazione del genere
umano al Cuore Immacolato di
Maria da parte di Pio XII. Dopo
di questo seguirono altri 18
articoli interamente redatti nella
casa di Palaia, che trovarono
ospitalità fino al 14 settembre
1944 sul quotidiano della Santa
Sede diretto dal conte Giuseppe
Dalla Torre. Fu la mediazione di
Giorgio La Pira, incontrato nel
Convento fiorentino di S. Marco
intorno alla fine degli anni
Trenta, ad accreditare
inizialmente il giovane
sacerdote presso la redazione de
«L’Osservatore Romano»,
garantendogli una
collaborazione che potesse
ricompensarlo del disimpegno
diocesano e magari aprirgli
l’accesso alla professione
giornalistica. Per interessi di
dottrina sociale cristiana e
continuità di pubblicazione
(fino a quattro nel solo febbraio
1943), gli articoli di Barsotti
possono essere legittimamente
accostati ai commenti
redazionali di Guido Gonella al
magistero di guerra del
Pontefice, ristampati in quegli
anni dalla Poliglotta Vaticana.
Non dissimilmente da quelli di
Gonella, gli interventi
barsottiani documentano il
passaggio della stampa vaticana
dalla denuncia dei totalitarismi
all’alternativa di ricostruzione
cristiana, anche in vista della
transizione italiana al postfascismo: la voce di Pio XII nel
radiomessaggio di Natale del
1942 sull’ordine interno delle
nazioni («non lamento, ma
azione è il precetto dell’ora»)
avrebbe acquisito - per lo stesso
Barsotti - «il tono non tanto di
maestro autorevole quanto di
condottiero animoso, perché i
cristiani realizz[assero] il
Cristianesimo integrale». Sulla
scorta del modello di «cristianità
nuova» di Jacques Maritain,
Barsotti rivendicava nei suoi
articoli l’identificazione fra
cristianesimo e società umana,
ma interpretava questo
principio di ricostruzione come
conversione spirituale della
persona a Cristo, piuttosto che
come perfettistica sostituzione
di ideologie e istituzioni
storiche: «Tutte le radicali
riforme sociali politiche
economiche suppongono per
essere vere riforme, la riforma
morale dell’uomo», scriveva nel
suo articolo del 10 giugno 1943.
Da qui anche le attenzioni
teologiche di Barsotti per una
Enciclica come la Mystici
Corporis di Pio XII, che poneva
a fondamento di una «mistica
sociale» l’unità «interiore,
invisibile, carismatica» della
Chiesa. In questo senso la
ricostruzione del «nuovo
Ordine» veniva incentrata da
Barsotti sulla «azione della carità
nella vita sociale», ma anche
sulla extra-territorialità del
cristiano da ogni forma di
messianismo politico-religioso.
Appena due mesi dopo la
liberazione di Roma nel giugno
1944, Barsotti intraprese un
secondo viaggio nella capitale e
si presentò personalmente alla
sede del giornale vaticano,
coltivando l’aspettativa che i
suoi articoli potessero valergli
una prospettiva di
stabilizzazione redazionale. Ma
anche questo tentativo si
infranse in un insuccesso ed
esso pose praticamente fine
all’esperienza giornalistica di
Barsotti: «A Roma - scriveva il 10
settembre 1944 sul suo diario ho trovato solo silenzio. Dio
non parla. Mons. Rampolla è
fuori di città. La Pira è tornato
con la prima automobile a
Firenze. Mons B. mi ha
ricevuto come se non mi
avesse mai conosciuto. P.
Grendel mi ha mandato dal
suo segretario Leo
Haberstroh. Il Provinciale
della Compagnia mi ha
ascoltato per aprirmi,
sorridente, la porta. Sono
solo. Mi sembra come di
esser perduto nella
luce».Questa collaborazione
con la stampa vaticana non
riuscì neppure a procurargli
la reintegrazione nelle
nomine diocesane, ma
soltanto l’incarico di una
serie di conferenze sulla
dottrina cristiana della
ricostruzione, affidatogli a
titolo personale dal Parroco di
Partino alla fine del 1944. Gli
appunti preparatori di queste
lezioni, Temi per una nuova
coscienza sociale, furono
pubblicati a Pisa dall’Editrice
Salesiana di don Telio Taddei,
direttore della prestigiosa
collana di pensiero sociale
cristiano «Il Crivello» che
includeva anche titoli di Igino
Giordani e di don Primo
Mazzolari. Come ricorda padre
Serafino Tognetti nella sua
informatissima biografia di
Barsotti, questo opuscolo «oggi
introvabile» avrebbe
rappresentato «il primo e ultimo
testo riguardante tali
problematiche» nella
bibliografia mistico-spirituale
del sacerdote di Palaia. Una sua
copia in bozze con correzioni
manoscritte di Barsotti è stata
adesso recuperata e ordinata da
Alexander Di Bartolo nel
«Fondo Divo Barsotti» della
nostra Biblioteca diocesana. Vi
riaffiorano i motivi
«antitotalitari» degli articoli di
Barsotti su «L’Osservatore
Romano», ossia il «primato
dello spirituale» sulle istituzioni
politiche e la rifondazione della
libertà politica dal
cristianesimo: «Il nemico più
grande del popolo è il
totalitarismo di Stato che si
presenta sotto tante forme ed è
una sopravvivenza o una
rinascita del paganesimo antico.
È stato il Cristianesimo che ha
portato la libertà nel mondo e
gli uomini debbono ancora
lottare per conservarla». Anche
nelle conferenze di Partino la
«mistica sociale» di Barsotti
continuava a definirsi,
insomma, a partire
dall’incompatibilità del
cristianesimo con ogni forma di
politica sacralizzata.
V
IL CONSULTORIO
GIANI EFFETTUA
CONSULENZE
ON LINE
ell’intervista rilasciata il mese
scorso a «La Civiltà Cattolica»
che tanta eco ha avuto in
tutto il mondo, il Papa parla
della Chiesa come «ospedale da
campo»
esprimendosi,
nel suo stile
semplice e
diretto, in questi
termini: «Io vedo
con chiarezza che
la cosa di cui la
Chiesa ha più
bisogno oggi è la
capacità di curare
le ferite e di
riscaldare il cuore dei fedeli, la
vicinanza, la prossimità. Io vedo la
Chiesa come un ospedale da campo
dopo una battaglia. È inutile chiedere a
un ferito grave se ha il colesterolo e gli
zuccheri alti! Si devono curare le sue
ferite. Poi potremo parlare di tutto il
resto. Curare le ferite, curare le ferite…
E bisogna cominciare dal basso… Le
persone vanno accompagnate, le ferite
vanno curate».
L’ascolto, la prossimità,
l’accompagnamento, il consiglio, il
fare luce sulle situazioni di buio sono
le cose di cui oggi, in un’epoca di crisi e
di grandi cambiamenti, si avverte un
estremo bisogno.
Da poco più di un anno e mezzo dalla
sua nascita, il Consultorio Familiare
Diocesano «A. Giani» si muove sulla
scia di quanto chiede Papa Francesco:
ascoltare, consigliare, farsi prossimi,
curare le ferite, soprattutto spirituali e
psicologiche che le persone si portano
dentro. In particolare c’è spesso
bisogno di infondere speranza, là dove
la vita ha perso ogni senso o non se
trova più uno.
Nel corso dell’anno il Consultorio ha
registrato un aumento di richieste di
aiuto, da parte di singole persone,
coppie in difficoltà di relazione,
giovani e ultimamente anche bambini,
feriti da situazioni familiari turbolente.
Per rispondere alle nuove richieste, il
Consultorio vuole sperimentare anche
le possibilità offerte dai moderni
strumenti di comunicazione e per
questo ha attivato, a partire da ottobre,
un nuovo servizio di «consultazione
on line».
Si tratta di colloqui effettuati non nei
locali del Consultorio bensì on line
mediante, appunto, l’ausilio dei
moderni strumenti offerti da internet.
È un servizio pensato per rispondere
alle richieste di aiuto di coloro che
sono temporaneamente impossibilitati
a raggiungere il Consultorio o che per
diversi motivi di tipo psicologico,
fisico, lavorativo, di isolamento
geografico, di tempo, si sentono più a
loro agio con una modalità di
consultazione on line.
La consulenza avviene tramite
l’utilizzo di Skype, servizio gratuito che
consente la comunicazione audiovideo tramite webcam, dialogando in
tempo reale, con tutte le caratteristiche
di un dialogo faccia a faccia.
Per il momento il servizio può essere
richiesto solo da persone maggiorenni
e per consultazioni di tipo psicologico.
Dopo un sufficiente arco di tempo di
sperimentazione, il Consultorio
valuterà se mantenere, allargare oppure
cessare questa modalità di servizio.
Per accedere alle consulenze on line è
necessario che il richiedente invii via
mail un apposito modulo scaricabile
dal sito diocesano, all’indirizzo mail
della Segreteria:
consultoriofamiliare@diocesisanmini
ato.it.
Una volta ricevuta la mail, l’utente
verrà contattato per concordare
l’appuntamento via Skype con
l’operatore del Consultorio.
Per maggiori informazioni è possibile
anche contattare la Segreteria via mail
oppure ai seguenti recapiti telefonici :
tel. 0571.844511, Cell. 328.1575989 in
orario di apertura (martedì 10-13 e 1619, giovedì 10-13).
Inoltre è possibile saperne di più
consultando il sito diocesano
www.sanminiato.chiesacattolica.it alla
pagina del Consultorio Familiare
Diocesano.
N
VI
TOSCANA OGGI
LA DOMENICA
3 novembre 2013
ECUMENISMO.........
A SAN MINIATO
CONVEGNO
ANNUALE PER
L’ECUMENISMO E
IL DIALOGO
INTERRELIGIOSO
DI
FRANCESCO BAGATTI
nche quest’anno si celebrerà, il 15
Novembre dalle ore 17 alle ore 20 nella
A
Sala delle Conferenze presso il nostro
Seminario, il Convegno annuale Diocesano
per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso.
Nel darne notizia credo sia opportuno
aggiungere alcune brevi considerazioni per
specificare i contenuti e gli obiettivi che
stanno nelle intenzioni dei proponenti e dei
relatori. Comincio riportando in evidenza
alcune frasi di papa Francesco pronunciate
durante il colloquio con Scalfari pubblicato
sul giornale "La Repubblica" il 1° ottobre
2013. Sono parole che ci hanno indirizzati e
allo stesso tempo commossi per l’esattezza
del riferimento e l’inconfutabile
obbligatorietà di un impegno che ne
consegue e che spinge tutti a seguirne
l’esempio. Sta parlando, il papa, del Concilio
Vaticano II° e dice: «quell’evento, ispirato da
papa Giovanni e da Paolo VI°, decise di
guardare al futuro con spirito moderno»
(notare questi aggettivi qualificativi) e di
aprire alla cultura moderna. I padri conciliari
sapevano che aprire alla cultura moderna
significava ecumenismo religioso e dialogo
con i non credenti. Dopo di allora fu fatto
molto poco in quella direzione. Io ho
l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare». E
detto ciò subito aggiunge: «la Chiesa non
cresce per proselitismo, ma per attrazione e
per testimonianza; ma bisogna conoscersi e
ascoltarsi». Il nostro Convegno Diocesano
vuol essere un’occasione di attenzione e di
approfondimento a queste parole di papa
Francesco, pur essendo coscienti che le tre
ore che abbiamo a disposizione sono
appena sufficienti a un approccio al tema.
Vogliamo però sperare che per tutti i
convenuti suoni davvero forte un
campanello d’allarme che faccia di seguito,
con volontà ferma di conversione, meditare
sulla contraddizione fra quanto «i padri
conciliari sapevano» e quanto noi, in
cinquanta lunghi anni, dopo, non abbiamo
saputo né affermare con la chiarezza e la
forza necessarie né mettere in pratica
doverosamente. Mi limito a suggerire due
motivi immediati di riflessione che sono poi
i contenuti essenziali delle due relazioni al
Convegno: in primo luogo occorre ritornare
a considerare l’Ecumenismo e il Dialogo
come i due principali moventi del Concilio e
conseguentemente portare avanti nella
Chiesa un’evangelizzazione veramente
nuova, cioè missionaria nel mondo, in
controcorrente con le principali motivazioni
che il mondo propugna nella sua concezione
della cultura moderna" (relativismo,
consumismo, mercato dominante unico
produttore di benessere); In secondo luogo
questa è una riflessione che anche la nostra
Commissione Regionale delegati CET
(Conferenza Episcopale Toscana) intende
portare avanti con determinazione:
richiamare i Vescovi a prendere in
considerazione la necessità di promuovere
L’Ecumenismo e il Dialogo come esigenza
pastorale nelle parrocchie con le dovute
sottolineature utili nella pratica (battesimi,
matrimoni misti, accesso ai sacramenti ecc.).
Ci auguriamo che il convegno Diocesano
abbia successo di presenze e soprattutto
desti l’interesse dei parroci, che vengano a
dire la loro per aiutarci a procedere sulla
buona strada, la più adatta al necessario
cambiamento e riforma di cui abbiamo
bisogno nella Chiesa.
IL PROGRAMMA DEL CONVEGNO
Ore 17,00: Accoglienza e saluto di S.E.
Mons. Fausto Tardelli Vescovo di San
Miniato
Ore 17,30- 18,15 Relazione:
«Ecumenismo e Nuova Evangelizzazione,
La recezione ecumenica del Concilio
Vaticano II»
Ore 18,30-19,15: Relazione: «Lo Spirito
dice alle parrocchie: prima di tutto l’Unità
dei Cristiani».
Ore 19,15- 19,55: domande e chiarimenti
Ore 20,00 chiusura del Convegno
Relatori della serata: Prof. Riccardo
Burigana, Direttore del Centro Studi per
l’Ecumenismo in Italia di Venezia e don
Mauro Lucchesi Segretario Commissione
Regionale
per l’Ecumenismo e il Dialogo della CEI
Toscana.
NOTIZIE
DALLA
DIOCESI
La diocesi ricorda il maestro che ha donato a San Miniato molte delle sue opere
Ricordo di Dilvo Lotti a
cento anni dalla nascita
DI
LUCA MACCHI
lcuni maestri
vorrebbero dirti come
devi fare, sia in quella
che è la loro
disciplina, come nelle cose
della vita. Ci sono poi Maestri
che non dicono come devi
fare, ma lo rendono evidente
con il loro esempio. Dilvo
Lotti apparteneva senza
dubbio a questi ultimi. Con il
fare ha dato l’esempio. Mai
l’ho sentito parlare male di
qualcuno, mai l’ho sentito
trovare difetti nelle opere degli
altri. Ed era sempre pronto, lui
che aveva al suo attivo
Biennali di Venezia,
Quadriennali di Roma, premi
vinti ovunque, a esporre nei
luoghi più semplici e con tutti
indistintamente. Nel 2014
saranno, infatti, cento anni
dalla nascita di Dilvo Lotti
(1914 - 2014) e San Miniato
potrà festeggiare una delle
persone che più hanno dato
per la propria città. Lotti è
nato il 27 giugno del 1914 e ci
ha lasciato nell’aprile del
2009. Novantacinque anni
d’impegno quotidiano
nell’arte, nella pittura ma
anche in tante altre tecniche
con le quali si è espresso.
Grande artista, Dilvo, ha
realizzato affreschi nelle
chiese e in palazzi pubblici e
privati, sue opere figurano in
importanti collezioni in Italia
e all’estero. Inizia a dipingere
nei primi anni Trenta spinto
da una particolare visione del
mondo, già presente nella sua
tesi su Daumier dove scrive:
"... conclusi, mentre preparavo
l’acqua che mi occorreva per
lavarmi la mattina dopo e mi
spogliavo: che si può arrivare
all’anima dell’uomo anche
con delle stecche, anche
facendolo ridere, ma quando
le cose che si dicono siano pur
espresse male hanno
nell’anima di chi le guarda o
di chi le ascolta delle
risonanze intime". Nelle sue
opere cercava attraverso i
particolari soggetti e i forti
contrasti cromatici di toccare
corde profonde. Dilvo poi
aveva dell’Arte il concetto
della grande famiglia. Gli
artisti erano per lui uniti da un
comune modo di sentire e di
vedere, quelli contemporanei
come quelli del passato.
L’appartenere a una medesima
missione nella vita.
A
Lotti è il principale autore
della San Miniato che oggi
conosciamo, ha attraversato
tutto il Novecento ed ha
gettato le basi delle varie
iniziative e istituzioni culturali
ancora oggi presenti.
L’avventura, con altri amici,
dell’Istituto del Dramma
Popolare, con
rappresentazioni che hanno
fatto la storia del teatro
italiano dal dopoguerra a oggi.
Altra grande impresa è stata
quella di avviare lo studio
monografico di Lodovico
Cardi detto il Cigoli con la
grande mostra del 1959 a 400
anni dalla nascita del pittore.
Nel corso delle ricerche sulla
mostra del 1959 per
l’esposizione
all’Accademia degli
Euteleti, della quale è
stato presidente per un
decennio, sono emerse
le lettere e soprattutto i
verbali delle riunioni
del Comitato
organizzatore che
testimoniano il ruolo
di primo piano svolto
da Lotti. E poi ancora la
costituzione nel 1966
del Museo Diocesano
d’Arte Sacra, quando
con la Signora
Giuseppina partivano
in auto per raggiungere
le parrocchie più lontane della
Diocesi per prendere visione
delle varie opere. Una Diocesi
ricca di opere d’arte, quella di
San Miniato, che rendevano
difficile il dover fare
esclusioni. Ecco dunque che
da questa ricognizione nelle
parrocchie, alla ricerca di
opere per la costituzione del
Museo Diocesano, nasce la
Mostra d’Arte Sacra della
Diocesi di San Miniato del
1969 tenutasi nel Seminario
Vescovile. Si devono a lui la
mostra concorso "Cristo Luce
del mondo" e l’operazione di
San Rocco in piazza
Buonaparte, cioè il recupero di
quella ex cappella, ridotta a
magazzino, che viene
restaurata, affrescata e
riconsegnata al culto. Era il
1967, in piena
contestazione giovanile.
Dilvo Lotti si è cimentato
anche nella storia, infiniti i
saggi pubblicati nel
Bollettino degli Euteleti, e
poi ecco le pubblicazioni
San Miniato, vita di
un’antica città, per i 150
anni della Cassa di
Risparmio di San Miniato,
Napoleone Buonaparte
Toscano Europeo, e le due
monografie che dedica al
suo Maestro Pietro Parigi:
Pietro Parigi, incisore
fiorentino e Pietro Parigi, un
incisore del XX secolo a
Firenze. Negli ultimi anni,
forse cedendo a una vena un
po’ nostalgica, che non gli
apparteneva, pubblica La
morte del paese, romanzo
autobiografico scritto nel
1947 con il quale era arrivato
tra i finalisti di un concorso
letterario, e Memoria di Porta
Romana, il ricordo degli anni
indimenticabili della sua
formazione professionale
all’Istituto d’Arte di Firenze.
Nel libro Dilvo dedica ritratti
agli insegnanti come Libero
Andreotti, Francesco
Chiappelli, Pietro Parigi,
Gianni Vagnetti e tanti altri,
racconta episodi divertenti che
avevano come protagonisti i
compagni di studio tra i quali
Renato Alessandrini, Virgilio
Carmignani, Vera Cipriani,
Vitaliano de Angelis, Marcello
Fantoni, Sineo Gemignani,
Venturino Venturi, e infine
Rolando Filidei e Otello Pucci
con i quali strinse un sodalizio
durato oltre gli anni della
scuola. "Non bisogna mai
cedere al desiderio di tornare, scrive in chiusura di Memoria
di Porta Romana - rivedere i
luoghi dove siamo stati felici,
quando la vita sembrava
portarci in alto, e puntavamo
con tutte le nostre forze;
credevamo nell’avvenire,
avremmo sfondato." Alla sua
inventiva si devono anche il
Carnevale dei bambini, la
Festa degli Aquiloni, i Fuochi
di San Giovanni, il Corteo
storico. I frati di San Francesco
hanno dedicato a Lotti
l’Auditorium del loro grande
Convento sanminiatese. Per
questo centenario nuove
iniziative sono in fase di
progettazione.