Lo studente di medicina ucciso mentre correva a curare i feriti

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Lo studente di medicina ucciso mentre correva a curare i feriti
III
GIOVEDÌ 23 GENNAIO 2014
GustaLO
il Cittadino
STORIE
SUI MURI DI CITTÀ E PAESI, LE LAPIDI TENGONO VIVA LA MEMORIA DI VICENDE CHE
RISCHIANO DI ESSERE DIMENTICATE, COME QUELLA DEL GIOVANE GIOVANNI MAPELLI
Lo studente di medicina ucciso
mentre correva a curare i feriti
Sull’arco di porta Cremona il ricordo del 24enne che
fu freddato dai tedeschi il 26 aprile 1945, mentre
cercava di raggiungere i patrioti fucilati nella notte
n È l’abitudine che rende cieco
chi va lungo le strade della città
natale: se una cosa ce l’hai davanti
agli occhi tutti i giorni, alla fine
non la vedi più, neppure quando
la guardi. Ma poi un bel giorno,
mentre cammini meno in fretta
del solito, il velo dell’abitudine si
squarcia e i contorni delle cose si
fanno più nitidi, più evidenti al
pensiero. Allora, dallo sfondo
abusato di una città che fra neanche mezzo secolo festeggerà i novecento anni, emergono dettagli
portatori di storie che chiedono di
essere raccontate, soprattutto
quando non riguardano imperatori in trionfo o battaglie da commemorare, ma imprese grandi di
piccole vite. Il nome di chi le ha
compiute è ignoto alla maggior
parte dei lodigiani di oggi, eppure
sta sempre lì sotto i loro occhi, inciso in una lapide commemorativa.
In piazza Zaninelli, di questi piccoli nomi, se ne trovano tanti: sono quelli dei caduti lodigiani delle
due guerre mondiali, umili comparse di una storia che si consumò
sulle loro vite, ma che non permise loro di assistere al finale. Giovanni Mauro Mapelli, invece, era
vivo e vegeto il 25 aprile del 1945,
quando la radio annunciò che
l’Italia era stata liberata, e infatti
il suo nome non c’è fra quelli dei
soldati. Le ventuno lettere che lo
compongono (quattro in meno
degli anni che aveva quando perse la vita) sono incise su una lapide in fregio a porta Cremona, perchè è proprio ai suoi piedi che si
svolse il tragico episodio richiamato dall’iscrizione: «Furore di
teutonico in fuga stroncava qui, il
26 aprile 1945, la fiorente giovinezza di Giovanni Mapelli, laureando in medicina della III Brigata
del Popolo». Sullo stesso arco
un’altra iscrizione ricorda il partigiano Riccardo Manzi, ucciso lo
stesso giorno.
Quando venne falciato dalla mitraglia di una pattuglia tedesca,
Giovanni stava correndo verso la
chiesa di San Bernardo, nei pressi
della quale, qualche ora prima, un
gruppo di giovani patrioti lodigia-
ni aveva cercato di fermare la fuga
di una colonna di nazisti, che aveva risposto uccidendoli in loco
(vedi foto a lato). Quando la notizia si sparse in città era già notte,
come racconta Francesco Cerri in
un articolo pubblicato sul «Cittadino» nel 2008: «Gianni, senza
armi, munito di valigetta di pronto soccorso e del braccio internazionale della Croce Rossa, accorse
per prestare soccorso ai feriti, ma
arrivato a porta Cremona venne
fermato da una pattuglia di punta
dei tedeschi. Niente giustificazioni, fu abbattuto dalla mitraglia.
Sanguinante, rimase a terra nel
buio della notte. I suoi gemiti attrassero l’attenzione di un passante. Venne trasportato all’ospedale, ma nonostante le immediate
cure del chirurgo, morì il giorno
dopo».
Quando cadde in mezzo alla strada, in un quell’orribile notte di
metà primavera, il venticinquenne Gianni era a un passo dalla laurea in medicina, conquistata con
grandi sacrifici suoi e della sua famiglia. Gianni era nato a Lodi il 5
luglio 1919, in una casa di via Nino
Dall’Oro. Dopo la scuola dell’obbligo, i suoi genitori (Giovanni
Mapelli e Francesca Ramelli) lo
avevano iscritto al collegio vescovile, poi all’istituto magistrale
Maffeo Vegio, dove nel 1940 aveva conseguito il diploma di maestro. Gli studi erano proseguiti all’università, facoltà di medicina,
un contesto animato dalla presenza di gruppi di studenti impegnati anche sul fronte politico. Ma
è a Lodi che Gianni entrò in contatto con la Fuci, la Federazione
degli universitari cattolici italiani
che nel secondo anno di guerra, il
1941, aprì una sede in città, per affermare anche qui da noi i principi che la animavano a livello nazionale: «L’universitario Giovanni Mapelli – racconta Cerri - fu tra
i primi a dare il suo nome, e fu tra
i soci più assidui nel partecipare
agli incontri della Fuci. Serio, volenteroso, intelligente, aveva ottenuto negli studi ottimi risultati.
Di ideali fermamente cristiani,
praticante convinto, portava
ISCRIZIONI A sinistra la lapide
in ricordo di Giovanni Mapelli, che
si trova sull’arco di Porta Cremona
(foto sopra). Sotto (da destra) la
targa che perpetua la memoria di
Giuseppe Nappi, Samuele Verdelli e
Luciano Padrini in viale Piacenza a
San Bernardo e il marmo dei martiri
dell’asilo Bulloni, che persero la
vita nel tentativo di fermare
una colonna dei tedeschi in fuga
sempre con sè la gioia serena, che
spesso esprimeva in allegria esteriore, rendendolo un compagno
ambìto e sorridente, amato e stimato da tutti i conoscenti».
Con l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca, anche gli studenti che militavano insieme a
Gianni nella Fuci lodigiana furono
chiamati a prendere posizione e la
situazione, per loro come per gli
iscritti agli altri movimenti lodigiani che si schierarono contro il
nazifascismo, divenne difficilissima. Parecchi giovani vennero deportati in Germania, altri si unirono alle formazioni partigiane, altri
ancora si nascosero nelle cascine
per sfuggire ai rastrellamenti delle
brigate nere.
Tra i fucini e le fucine, chi aveva
l’esonero dal servizio militare o
qualunque genere di lasciapassare (per esempio i sacerdoti)
«svolgeva un prezioso servizio di
raccolta dei messaggi dei prigionieri, diffusi dalla Radio Vaticana.
Poi – conclude Cerri – venne l’ora
delle tenebre» e i tedeschi in ritirata scaricano il loro odio infernale contro chi, come Gianni, aveva
gioito per la loro sconfitta.
Silvia Canevara