Non solo Pininfarina. Tutte le "indiane" d`Italia

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Non solo Pininfarina. Tutte le "indiane" d`Italia
Economia Italiana: articoli, interviste, news di economia - Non solo Pininfarina. Tutte le "indiane" d'Italia
24/08/16, 18:33
mercoledi 24 agosto 2016
Non solo Pininfarina. Tutte le "indiane" d'Italia
L'azienda piemontese è stata solo l'ultimo acquisto fatto da società del Subcontinente in Italia. Da Bellora a Guru, ecco
come stanno andando le principali imprese made in Italy con il "turbante"
28/12/2015
di NADIA ANZANI
«Voglio che sia chiaro, Pininfarina
rimane italiana. Io resto al mio
posto e lo stesso il management.
Adesso andiamo avanti verso nuovi
traguardi, verso un nuovo futuro. Ci
occuperemo sempre di auto, ma
anche di design globale, che sta
crescendo a ritmi enormi non solo in
Europa e negli USA dove noi già
siamo presenti, ma pure in Paesi
dove vivono miliardi di persone che
vogliono cose belle e dove noi
ancora non siamo presenti». A dirlo
è stato Paolo Pininfarina, il giorno in
cui ha siglato l’accordo di vendita
della sua azienda a Mahindra, il
gruppo indiano che darà alla società
piemontese nuove risorse
finanziarie, nuovi mercati e in
cambio avrà creatività e stile made
Il museo Pininfarina nella sede dell'azienda
in Italy conosciuti in tutto il mondo.
Tra gli entusiasti e gli scettici c'è chi
teme che ci sia uno smembramento, con parti dell'azienda destinate a traslocare oltreconfine e le inevitabili ripercussioni sul
personale. E chiede garanzie. Paure legittime, vista l'aria che tira, che a volte però vengono smentite dai fatti. Come è successo nel
caso delle numerose aziende tricolori già passate sotto l'ala di multinazionali indiane. Finora, infatti, le holding del Subcontinente che
hanno fatto shopping in Italia hanno dimostrato di voler valorizzare brand dal potenziale ancora inespresso e di puntare
all'ampliamento del loro business sui mercati internazionali. Non è un caso che gli imprenditori di Nuova Delhi abbiano finora
puntato prevalentemente su settori che hanno fatto del made in Italy il fiore all'occhiello della manifattura nazionale, focalizzandosi
su aziende operanti nell'innovazione, nel design, nella moda e nell’ingegneria. Comparti da cui poter assorbire il know-how
necessario per poter offrire ai mercati prodotti di alta gamma, in grado di dare quel valore aggiunto che oggi fa la differenza
ovunque nel mondo. La gestione in tandem, che vede la proprietà indiana da una parte e il management italiano dall'altra, per il
momento, ha portato a buoni risultati, anche se non mancano rare eccezioni.
Bellora più forte e competitiva con Himatsingka
Ne è un esempio Bellora, azienda con sede a Fagnano Olona, nota in tutto il mondo per la produzione di lino destinato alla
confezione di biancheria per la casa, che nel 2007 ha visto entrare nella compagine azionaria Himatsingka, società produttrice di
tessuti per l’arredamento. L'anno scorso il gruppo indiano ha rilevato il 100% della proprietà, una mossa che ha favorito la visibilità
dell'azienda lombarda e l'apertura di nuovi punti vendita monomarca in Cina, Russia, USA, Emirati Arabi. La base creativa del brand,
però, è rimasta a Varese con fornitori a chilometro zero che danno occupazione a un centinaio di persone, a cui si aggiungono i 40
dipendenti dell'azienda.
Un passaggio di proprietà che, nel giro di un anno, ha consentito a Bellora non solo di affrontare il difficile momento economico, ma
anche di tornare a crescere, tanto che il management pensa di chiudere il bilancio 2015 con un fatturato in aumento del 20% e
perdite di bilancio pressoché azzerate. E già fissa nuovi obiettivi, primo fra tutti l'espansione sulle piazze del Middle East e su quelle
asiatiche. Senza trascurare però l'Italia, dove i negozi Bellora hanno aumentato le vendite del 18%, il resto di Europa e gli USA, da
sempre mercati di riferimento della società.
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Klopman, sei anni in crescita al fianco di MW Unitexx
Un anno dopo, nel 2008, gli indiani di MW Unitexx, società controllata dalla holding MW Corp., si sono messi in pancia Klopman,
azienda con sede a Frosinone, dove con i suoi 400 dipendenti produce tessuti tecnici per abiti da lavoro. Tra i clienti vanta nomi di
primo piano come Audi, BMW, McDonald’s, Michelin, Goodyear e Bosch, ma anche la Polizia di Stato e la Croce Rossa Italiana. La
maggior parte del fatturato viene realizzato all'estero e precisamente: il 28% in Germania, Austria e Svizzera; il 26% in Francia,
Belgio e Nord Africa; mentre in Italia, Russia ed Est Europa la percentuale oscilla tra il 4 e il 6%. E i ricavi ne hanno beneficiato
tanto da salire negli anni fino a toccare i 115 milioni di euro nel 2014, registrando un incremento del 10% rispetto all'esercizio
precedente. Ora nel mirino c'è l'espansione sui mercati extra UE, come confermato anche dall'amministratore delegato della società,
Alfonso Marra, che entro il 2016 conta di portare la produzione per la piazza asiatica a 15 milioni di metri di tessuto l’anno. Senza
smettere però di progettare e pensare in Italia, dove ogni anno l'azienda investe 3 milioni di euro in innovazione di prodotti e
tecnologie produttive.
ELGi Equipments ha aperto le porte dei mercati internazionali a Rotair
Investimenti in innovazione e valorizzazione del brand sui mercati internazionali anche per Rotair, azienda specializzata in
progettazione e produzione di motocompressori, elettrocompressori, materiali idraulici e minitransporters cingolati, che nel 2012 è
stata acquisita al 100% dalla multinazionale indiana ELGi Equipments. L’accordo, dopo 18 mesi di trattative, prevedeva, oltre alla
conservazione del nome dell'azienda piemontese e della produzione a Caraglio (Cuneo), anche il mantenimento dei 60 dipendenti.
Alla guida della società sono rimasti i fondatori, le famiglie Musso e Donadio, che hanno continuato a ricoprire ruoli dirigenziali.
La multinazionale indiana è legata a doppio filo al settore dell'edilizia, che in Italia ancora arranca, ma la sua forte esposizione
oltreconfine (conta 14 filiali in tutto il mondo) permette a Rotair di guardare al futuro con fiducia.
BRFL e l'investimento flop in Guru
Non sempre però lo shopping indiano in Italia è stato fortunato. Ne è un esempio Guru, il marchio della margherita lanciato nel 1999
da Matteo Cambi, imprenditore poi finito in disgrazia (venne arrestato con l'accusa di bancarotta fraudolenta dopo aver creato in
azienda un buco di oltre 100 milioni di euro). Così nel 2008 il brand venne acquisito da Bombay Rayon Fashion Limited (BRFL),
gigante del settore tessile con circa 30mila dipendenti spalmati in tutto il mondo. La società indiana in questi ultimi anni ha
finanziato i tentativi di rilancio del marchio con liquidità fino a 63 milioni di euro. A nulla è valsa anche la mossa messa in atto, nel
2012, che ha visto gli indiani affidare a Cambi un incarico triennale come responsabile della comunicazione con la missione di
resuscitare il marchio. Del resto la sfida non era delle più semplici da vincere: il brand aveva come target di riferimento i giovani e i
giovanissimi, più sensibili ai repentini cambiamenti della moda. Un faccia a faccia che non è stato in grado di reggere, tanto da
essere schiacciato dalla concorrenza, decisamente alta e prolifica in questo segmento di mercato. Così agli inizi del 2015 BRFL ha
inviato una richiesta di concordato preventivo al tribunale di Parma, dove l’azienda ha sempre avuto sede. Il piano proposto dal
gruppo indiano prevede un pagamento di circa il 10% dell’indebitamento (circa 80 milioni di euro) nell’arco di oltre quattro anni,
piano su cui già c’è l’assenso del commissario giudiziale.
VDC penalizzata dall'ottovolante della tecnologia
Un investimento sfortunato anche quello nella VDC di Anagni, in provincia di Frosinone, passata all'indiana Videocon nel 2005. Con
la nuova proprietà l'azienda modificò nome in VDC Technologies e cambiò anche il tipo di produzione passando dai tubi catodici ai
televisori al plasma e LCD, piazzati sul mercato con il brand Nordmende. A questi si affiancarono anche i condizionatori. Ma,
nonostante nel corso degli anni fosse diventata il terzo fornitore europeo di televisori, Videocolor andò in crisi a causa della gran
parte degli apparecchi al plasma invenduti. La produzione si è fermata definitivamente nel 2009 e da allora i 1.100 lavoratori sono in
cassa integrazione. Lo scorso giugno, dopo un lungo standby, il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha firmato un
protocollo d’intesa con il Consorzio ASI (Consorzio per lo Sviluppo Industriale) di Frosinone per la reindustrializzazione del sito ex
Videocon, accordo che prevede la fornitura di supporto tecnico, organizzativo e operativo da parte del Consorzio stesso. Per poi
promuovere una call internazionale per raccogliere proposte di imprese interessate a investirvi. Funzionerà? Difficile prevederlo ora,
non resta che attendere.
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