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Verona, Biblioteca d'Arte del Museo di Castelvecchio, Inv. 4549
1504-1511 (analisi stilistica; bibliografia) · membr. · frammento · mm 193 × 71.
Stato di conservazione: buono.
Decorazione: 1504-1511 (motivi decorativi vegetali con putti alati ICONCLASS 48 A 98 3: 92 D
19 16); iniziali: ornate, a penna e/o a pennello, Parte di fregio marginale verticale, figurato e
animato con gioielli, putti alati con un nastro rosso, due draghi alati. Verso bianco.; presenza
di oro, azzurro; Antonio Maria da Villafora. Il ritaglio fa parte di un gruppo di miniature di
Antonio da Villafora, riunite per l’evidente appartenenza ad uno stesso codice, dimostrata
dall’uniformità delle caratteristiche stilistiche delle immagini e dalla verificata adiacenza fisica
di alcuni ritagli. Si tratta della parte inferiore e contigua del frammento inv. 4547-1B1848.
Il ritaglio di maggiore dimensione (inv. 4546-1B1847) contiene l’incipit del salmo "Beati
immaculati in via" (salmo 118). I restanti frammenti, ad eccezione dell'inv. 4550-1B1851, non
conservano resti di scrittura; i più hanno il verso bianco, ovvero incollato su un cartoncino, e
non danno quindi ulteriori indicazioni; l'inv. 4547-1B1848 reca nel verso il numero di pagina
«II», confermando che la scena figurata e il fregio miniato sono nella pagina I, e costituiscono
il foglio iniziale del volume. Il codice originario era un libro corale, uno "Psalterium pro
diurnis horis" che inizia la domenica, "ad Primam", con il lungo salmo 118, alla cui recita
sono dedicate le ore diurne della domenica e del lunedì. Questo cumulo di frammenti è il
risultato di una delle tante devastazioni cui andarono incontro molti manoscritti dopo le
soppressioni dei monasteri veronesi e delle loro biblioteche in maggior parte tra la fine
del Sette e l’inizio dell’Ottocento. Lo scopo di tale ottusa attenzione era pur sempre quello
della conservazione, limitata però alla sola parte ritenuta pregevole, anziché a interi fogli
percorsi da scrittura, reputata di nessun interesse. Si veda, a conferma, il foglio stappato
da un libro liturgico (inv. 4548-1B0323) dove, con diligente stoltezza, è stata asportata la
sola scrittura risparmiando l’intera decorazione. Quanto resta di questo manoscritto è
sufficiente a fare intuire di che alta qualità dovesse essere il corale cui appartenevano le
miniature. Si trattava di un Salterio, come conferma il brano di testo sopravvissuto, di cui
la grande «B» del frammento inv. 4546-1B1847, con monaci benedettini «qui ambulant in
lege Domini», era l’iniziale dipinta nella carta d’apertura. Nel tentativo di ricostruire il foglio,
si può ragionevolmente supporre che a destra della «B», a breve distanza ma non proprio
adiacente, stesse il frammento con la scritta «[E]ATI», a formare un incipit imponente, e che
il lungo fregio con pavoni, draghi e putti, e il santo con rossa tunica e spada, formato dalla
congiunzione dei ritagli invv. 4547-1B1848 e 4549-1B3270, chiudesse il margine destro della
stessa carta. La lunghezza del fregio ricostruito (461 mm) dà una approssimativa idea della
dimensione del codice. Altre coppie di frammenti combaciano, ma ogni ulteriore tentativo
di loro assemblaggio in una pagina ipotetica, rischia d’essere arbitrario. Antonio Maria,
originario di Villafora, frazione di Badia Polesine nel dominio estense, figlio d’arte di un
Bartolomeo miniatore, è documentato dal 1469 al 1511, anno della morte (Dal Santo 1999,
pp. 576-577). Visse prevalentemente a Padova, ma la sua formazione, con ogni probabilità,
dovette essere ferrarese. Attraversò diversi periodi stilistici, tra i quali è da ricordare quello
elegantissimo, con colori aciduli, tenui e sfumati, dipinti con una tecnica simile all’acquerello,
che riguarda in particolare gli incunaboli giuridici del vescovo padovano Pietro Barozzi, alla
cui decorazione Antonio Maria si dedicò tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta del
Quattrocento. In modo particolare è da considerare il periodo cronologicamente successivo,
caratterizzato dall’uso di colori squillanti e puri perché, a quest’ultima fase stilistica, che
occupa il primo decennio del nuovo secolo, appartengono per evidenza i nostri frammenti.
Spirito dotato di immaginazione visionaria, amava ideare pagine seducenti combinando
nella decorazione, grazie a un solido disegno dai contorni decisi e spigolosi e a un’accesa
varietà cromatica, motivi eterogenei: santi, putti, uccelli, gioielli, mostruose creature. Veri
e propri sfoggi di fantasia capricciosa, a volte perfino crudele: non sfuggano, ad esempio,
le ferite sanguinanti sul petto dei tre santi fanciullini nell’iniziale «B». È noto che Antonio
Maria trascorse l’ultima parte della sua vita in stretto contatto con i benedettini della
Congregazione di Santa Giustina, nel cui cimitero fu accolto nel 1511. Presso il monastero
di Santa Giustina, a Padova, miniò, così ci tramanda il "sepoltuario", «omnia psalteria nova
et missale» in una data compresa tra 1504 e 1511 (Billanovich 1968, pp. 213-214). Anche i
frammenti di Castelvecchio sono evidentemente miniati per una comunità di benedettini
neri, lo provano i protagonisti della grande iniziale. Resta valida l’ipotesi (Castiglioni 1982)
che si tratti del monastero veronese dei Santi Nazaro e Celso, confluito nella Congregazione
di Santa Giustina. Ciò non comporta che il miniatore lavorasse necessariamente a Verona.
L’ipotesi si regge su alcuni fatti: dapprima la presenza dei ritagli in una collezione veronese
dell’Ottocento, per cui è probabile che essi, come gli altri del Museo, provengano da un
monastero veronese; poi, il forte legame del miniatore con i monaci di Santa Giustina; le
documentate (Vasari) commissioni di nuovi libri da coro da parte dei monaci di San Nazaro
negli ultimi anni del Quattrocento (delle quali sopravvive almeno l’antifonario AM 4929-1866
del Victoria & Albert Museum, miniato però nell’"atélier" Dai Libri); la stretta parentela
stilistica delle miniature in esame con quelle dei salteri di Santa Giustina (Padova, Biblioteca
Civica, C.M. 811-812; Biblioteca di Santa Giustina, corale 1) e con la "Santa Scolastica" Cini
(Venezia, Fondazione Cini, 2223-167). È stato anche proposto di individuare san Celso nel
santo con tunica, spada e libro del frammento inv. 4547-1B1848 (Mariani Canova 1984), che
tuttavia non regge la palma del martirio.
Storia: Acquisito per legato Bortolo Monga / Andrea Monga nel 1911.
Illustratore: Antonio Maria: da Villafora <m. 1511> (DBMI, 36-40).
Possessore: Monga, Andrea <1794-1861> (P. Marini, Milano, 2010).
Possessore: Monga, Bortolo <1833-1911> (P. Marini, Milano, 2010).
Luogo di conservazione: Verona.
Bibliografia a stampa: G. Castiglioni, Di alcune miniature di Antonio Maria da Villafora nel
Museo Civico di Verona, in "Bollettino d'Arte", LXVII (1982), 109-114.
G. Mariani Canova, La miniatura nei manoscritti liturgici della Congregazione di S. Giustina in
area padana: opere e contenuti devozionali, in Riforma della Chiesa, cultura e spiritualità nel
Quattrocento veneto, atti del Convegno per il VI centenario della nascita di Ludovico Barbo,
Cesena 1984, 475-502.
Miniatura veronese del Rinascimeno, catalogo della mostra, a cura di G. Castiglioni e S.
Marinelli, Verona 1986, 236 nr. 49.6.
V. Dal Santo, Miniatori e "scriptores" presenti a Padova. Notizie d'archivio edite e inedite
(secoli XII_XVI), in La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra, a
cura di G. Mariani Canova, G. Baldissin Molli, F. Toniolo, Modena 1999, 573-588.
Museo di Castelvecchio. Catalogo generale dei dipinti e delle miniature delle collezioni civiche
veronesi, I. Dalla fine del X all'inizio del XVI secolo, Milano 2010, 350-351, nr. 256.3.b.
Fonti: Dizionario biografico dei miniatori italiani (secoli IX-XVI), a cura di M. Bollati, Milano
2004.
Inventario: 4549-1B1602-1B3270.
Recupero da catalogo
Fondo: miniature.
Iconclass: 48A983 motivi decorativi vegetali, 92D1916 amorini/putti.
Catalogazione:Marina Bernasconi.
Data creazione scheda:2 gennaio 1970.
Data ultima modifica: 10 dicembre 2013.