Scarica il pdf: omicron 36 - Osservatorio milanese sulla criminalità
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Omicron/36 Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord Dicembre 2001 – Anno IV – N.12 In questo numero: Introduzione/Globalizzazione: una pentola in ebollizione Spagna/Il caso di Barcellona e il contesto nazionale Francia/Il caso di Parigi e il contesto nazionale Italia/Un caso complesso di rilievo continentale Milano/Una gerarchia criminale fra etnie Conclusioni/La questione del nuovo ordine civile Rapporto di ricerca: criminalità e immigrazione Questo numero di Omicron viene interamente dedicato ai risultati della ricerca condotta dall’Osservatorio sulla criminalità da immigrazione nell’Europa mediterranea. Si tratta di una ricerca svolta lo scorso anno per l’Unione Europea nell’ambito del Programma Falcone e i cui risultati sono stati ufficialmente presentati in un convegno tenutosi a Milano il 1° dicembre 2001. Nelle pagine che seguono viene proposta una sintesi del Rapporto finale con l’obiettivo di offrire una rapida e – per quanto possibile – completa informazione sulle principali acquisizioni del lavoro svolto, a beneficio di quelle numerose categorie (politici, amministratori, magistrati, forze dell’ordine, studiosi, insegnanti, associazioni di volontariato) che sono maggiormente interessate al tema. Tema che, con ogni evidenza, è e sarà per molto tempo uno dei più controversi dell’agenda politica e istituzionale dell’Unione e di alcuni dei suoi paesi membri in particolare. E che sempre più investe in forme generali il dibattito politico e culturale, con riflessi su scelte e orientamenti legislativi attinenti a una pluralità di piani, dalla demografia al mercato del lavoro, dalla mobilità territoriale ai modelli di integrazione culturale. La ricerca si è sviluppata secondo un approccio comparativo, ponendo sotto osservazione tre distinte realtà nazionali dell’Europa mediterranea: quella spagnola, quella francese e quella italiana. E all’interno delle tre realtà nazionali ha indagato tre casi metropolitani, che per le informazioni disponibili si rappresentavano come quelle più interessanti sotto il profilo prescelto, ossia i casi di Barcellona, di Parigi e di Milano. Ha impiegato competenze di livello e natura differenziati, avvalendosi di quelle giuridiche come di quelle sociologiche e criminologiche, ricorrendo all’esperienza di operatori istituzionali (soprattutto magistrati), alla conoscenza maturata sul campo da giornalisti e ricercatori, all’apporto teorico-disciplinare di studiosi universitari. Articolandosi su tre gruppi nazionali che il sottoscritto ha avuto l’onore di coordinare (e per la cui struttura e composizione si rimanda all’ultima pagina del numero), la ricerca ha costruito in progress il proprio impianto analitico, attraverso una verifica continua dei punti di contatto tra le realtà indagate e, viceversa, delle più importanti specificità ambientali via via emergenti. Ha così elaborato alcuni schemi descrittivi e interpretativi comparati che appaiono di rilevante interesse per cogliere le modalità con cui il rapporto immigrazione-nuova criminalità si presenta nei tre diversi contesti nazionali. Schemi che finiscono indubbiamente per valorizzare il peso – assolutamente fondamentale, anche se ogni tanto esso sembra eclissarsi dal dibattito politico – della storia (politica, sociale, demografica, culturale, istituzionale) e della geografia di ciascun paese. È all’interno di questo approccio comparato, fra l’altro, che è emersa l’esistenza di uno specifico tratto della questione italiana, oggi oggetto di contese tanto appassionate. In tal senso la ricerca ha consentito di verificare come la criminalità da immigrazione sia in Italia più diffusa e più aggressiva che negli altri due paesi considerati; ma ha anche messo in luce come questo dipenda dalla doppia pressione, da sud e da est, che l’Italia (in forza di una combinazione irripetibile di fenomeni) è stata destinata ad affrontare più intensamente e con ritmi sconosciuti per Spagna e Francia, storicamente già sede di fenomeni immigratori. La discussione su questi argomenti, per quanto possa essere legittimamente orientata da differenti opzioni culturali e ideologiche di fondo, non può insomma prescindere da una seria disamina dei dati messi a disposizione dalla realtà e dalla ricerca scientifica che su di essa indaga. E in tal senso, nelle dovute proporzioni, ci sembra che la ricerca di Omicron possa oggi costituire un punto di riferimento di sicuro interesse, un utilissimo aiuto per ogni seria discussione sull’argomento. All’Unione Europea e ai gruppi di lavoro dei tre paesi interessati, va il nostro ringraziamento per averla resa possibile. Nando dalla Chiesa 2 Omicron/36 Introduzione/Globalizzazione: una pentola in ebollizione Una grande pentola in ebollizione. È forse questa la metafora che meglio sintetizza il continuo movimento, il subbuglio che scaturisce dall’incessante cambiamento; la caratteristica più evidente del mondo contemporaneo. La globalizzazione. La massima liberalizzazione dello scorrere, senza intralci, da ogni punto verso ogni altro punto del globo, però, non riguarda in egual misura tutti i fenomeni né tutti i soggetti. Essa caratterizza completamente la finanza e il capitale; generosamente ogni tipologia di merce e di potere; parzialmente e in maniera contraddittoria gli individui. Migrazioni e criminalità, i due fenomeni globali posti sotto la lente di ingrandimento, dimostrano alcune caratteristiche che fanno da sfondo alla presente ricerca nel suo complesso. Le migrazioni e il loro sempre più difficile fluire vengono da più parti additate come la principale contraddizione dell’attuale modello di globalizzazione. La criminalità in quanto potere – spesso forte –, invece, proprio da contraddizioni come questa trae energia, forza, legittimità e spunto programmatico per il futuro. Analizziamole nel dettaglio. Con riguardo ai fenomeni migratori diretti verso l’Unione Europea, la ricerca ha rilevato che sul finire dello scorso secolo sono scattate due combinazioni particolari. La prima è quella fra la “mobilità povera” e la “mobilità ricca”. Da un lato una fortissima domanda di mobilità in entrata; una spinta proveniente soprattutto dai paesi più poveri che, alla povertà, hanno dato la più semplice e classica risposta. Una spinta, in particolare, che si rivela assolutamente complementare al calo demografico (Tabella 1) e alle esigenze del mercato del lavoro dei tre paesi presi in considerazione. Dall’altro lato, poi, una sempre maggiore esigenza di mobilità sia all’interno delle regioni ricche sia da queste verso quelle più povere. In ambedue i casi, seppur con differenti modalità, sulla scia dei movimenti demografici si sono mosse anche organizzazioni e comportamenti criminali delineando una vera e propria contraddizione fra due esigenze comunitarie: quella di frontiere aperte e quella di regolare i possibili aspetti patologici dell’immigrazione. La seconda combinazione emersa è quella fra le pressioni migratorie provenienti da sud e da est verso l’Unione Europea. Gli epocali cambiamenti geopolitici iniziati nel novembre del 1989 hanno agito in maniera tale per cui alla grande spinta migratoria proveniente dal “sud” geo- grafico (segnatamente dall’Africa), si sia sommata un’altra forte spinta proveniente dall’“est” geografico. Poli geografici che, in un decennio, si sono fusi in un unico grande “sud” del mondo, povero, contrapposto a un unico grande “nord”, ricco. Ma il mito della società consumistica occidentale ha giocato ruoli differenti nei due casi. Nei confronti della più recente e repentina spinta dall’est, infatti, essa ha influito su individui mediamente più consapevoli del proprio stato di “privazione relativa” e molto meno disposti ad aspettare ancora per avere quanto ossessivamente sognato per troppi anni. Il collasso del sistema sovietico, insomma, ha liberato un surplus di spinte migratorie che si è ben presto trasformato, agli occhi di una parte dell’opinione pubblica, in una pressione insostenibile nel breve periodo. E questa seconda combinazione rischia di rallentare seriamente il programma di apertura verso est: essa infatti mette in contrasto 1) la vocazione del continente a ricongiungersi – o meglio l’attitudine dell’Europa occidentale e delle sue istituzioni economiche e politiche a coinvolgere nell’Unione del futuro l’Europa orientale – e 2) la cautela, quando non il timore, che contemporaneamente si fa strada nei confronti di un’integrazione senza filtro. Le attività criminali, da parte loro, sono anch’esse completamente coinvolte nei processi di globalizzazione e internazionalizzazione delle relazioni economiche, sociali e culturali. Esse acquistano nuove e sempre più ampie dimensioni al moltiplicarsi delle possibilità per stringere vantaggiose alleanze e traggono profitto dallo svolgimento di reati in forme inedite o completamente rinnovate. Il confine fra lecito e illecito, fra legale e illegale e poi criminale è sempre più sfumato: è una frontiera sempre più porosa e percorsa da continui interscambi. Per quanto stigmatizzata e perseguita, l’illegalità è sempre più inserita nelle società contemporanee in sacche non ben distinguibili ma sempre più ampie a misura della globalizzazione stessa. Dallo studio condotto, insomma, emerge come nei singoli paesi le tradizionali organizzazioni criminali si rafforzino e si flessibilizzino. Ma non solo. A esse se ne aggiungono di nuove, che parlano altre lingue, che hanno radici altrove e che introducono modalità di comportamento e di relazione criminale sconosciute o dimenticate in occidente (si pensi solo alla riduzione in schiavitù). Organizzazioni vecchie e nuove, infine, stabiliscono fra loro i rapporti più Tabella 1/Il quadro demografico: le proiezioni comparative Fonte: UN, 1998. Spagna 1998 Spagna 2050 Francia 1998 Francia 2050 Italia 1998 Italia 2050 39.628.000 30.226.000 58.683.000 59.883.000 57.369.000 41.197.000 Omicron/36 3 disparati, mutevoli e imprevedibili. Una problematica che, come si vedrà, si è pian piano guadagnata un ruolo assolutamente centrale nel dipanarsi della ricerca parallelamente al tema dei fattori che di volta in volta la favoriscono o la inibiscono, e a quello delle tipologie di reato che, caso per caso, la caratterizzano. I fattori criminogeni innanzitutto: quelli emersi con uno certa chiarezza nello studio non sono necessariamente collegati fra loro, ma risultano in grado di agevolare e sostenere le carriere dei gruppi più spregiudicati lungo le filiere del crimine internazionale. Tra i più evidenti sono le legislazioni fiscali e finanziarie compiacenti; le dittature militari e paramilitari caratterizzate da un’alta corruzione e – al contrario – le debolezze delle autorità politiche più democratiche ma non necessariamente meno dissolute. I conflitti locali, quindi, e poi le situazioni di embargo, le culture tribali violente, i gruppi armati in competizione per il controllo di enclaves territoriali, la socializzazione affrettata ai modelli di vita propri della società opulenta nonché i proibizionismi di ogni specie e altro ancora. E proprio a partire da tali fattori è possibile tracciare la generazione dei traffici illegali che puntualizzano il contesto del moderno universo criminale. L’accezione del termine generazione, tuttavia, è diversa rispetto a quella applicata, ad esempio, ai beni strumentali. In questo caso infatti nessuna tipologia di reato sparisce o cede il passo, anzi. Gli illeciti si ampliano, si affiancano e si sovrappongono vicendevolmente. In tal senso, e come ripreso nella Tabella 2, se il traffico di stupefacenti su larga scala è stato indubbiamente quello che ha aperto la strada ai processi primitivi di accumulazione di capitale illegale (collocandosi dunque in vetta alla scala generazionale), il traffico di esseri umani è stato l’ultimo a comparire sulla scena. In mezzo si situano il traffico di rifiuti, specialità abbracciata da alcune organizzazioni criminali a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, e il traffico di armi che ha raggiunto nuove dimensioni a partire dal crollo del sistema sovietico. centi e quello di rifiuti nascono organicamente dentro la società opulenta occidentale – risultandone, anzi, la spia di molte contraddizioni – quelli di armi e di esseri umani, invece, muovono dal grandioso evento socio-politico che è stato la crisi dell’impero sovietico, il disfacimento delle sue armate e il venire a galla, senza argini morali o coercitivi, dell’ansia repressa dei suoi cittadini verso ricchezza e consumi. Sul piano scientifico gli elementi di fatto fin qui richiamati suggeriscono due implicazioni dirette. La prima, di matrice socio-culturale, riguarda le tipologie specifiche di tali traffici. Se, infatti, il traffico di stupefa- La seconda implicazione, infine, è relativa alla dimensione territoriale della criminalità organizzata. Smentito l’assunto per il quale un contesto regionale chiuso, statico e culturalmente tradizionale favorisce strutturalmente lo sviluppo di un’organizzazione criminale, emerge con ogni evidenza dall’esperienza storica l’esatto contrario. Non sono né la mobilità sociale né quella territoriale il “nemico” per definizione delle organizzazioni criminali ad alto insediamento territoriale. Certo, il rapporto con il territorio, e in particolare il controllo di quello di origine, mantiene intatto il proprio valore strutturale e strategico per l’organizzazione criminale: ne rappresenta la prima e fondamentale risorsa anche nella globalizzazione. Ma nonostante il fatto che, formalmente, i confini attuali siano molto più numerosi, i poteri criminali hanno sviluppato l’attitudine a esaltarne la maggior permeabilità e, velocizzando azioni e reazioni, riescono spesso a presentarsi sull’odierna scena mondiale più agguerriti di prima. Con un’ultima novità di rilievo: lo spostamento del baricentro criminogeno mondiale verso est. Come appare dalla rappresentazione cartografica a fondo pagina (Figura 1), se fino ai primi anni Novanta il baricentro degli affari illegali poteva essere ragionevolmente collocato su una linea immaginaria congiungente l’Europa all’America – fase 1 –, ora, anche a seguito del contemporaneo declino della mafia statunitense, questo baricentro sembra tendenzialmente collocarsi su una linea altrettanto immaginaria che collega l’Asia all’Europa. Se prima, insomma, l’Europa e l’America risultavano essere due attori dialoganti – sponde di un sistema equilibrato di interessi illegali – nell’attuale seconda fase l’immagine che si fa strada è quella di un est asiatico-europeo in grado di attuare una formidabile pressione criminale sui sistemi europeo-occidentali. Tabella 2/Le generazioni dei traffici illeciti Figura 1/Il nuovo baricentro criminale TIPOLOGIA DEI TRAFFICI 1) Stupefacenti 2) Rifiuti 3) Armi 4) Esseri umani QUADRO INTERPRETATIVO DOMINANTE Patologie società opulenta Disfacimento URSS FASE 1 BARICENTRO SULL’ASSE EUROPA-AMERICA FASE 2 BARICENTRO SULL’ASSE EUROPA-ASIA Omicron/36 4 Spagna/Il caso di Barcellona e il contesto nazionale La vocazione marittima della metropoli catalana e la storia moderna e recente dell’intera Spagna si sono dimostrati fattori fondamentali nell’analisi delle odierne dinamiche. Se da un lato, infatti, il paese è tradizionalmente extravertito sia verso l’America latina sia verso il Maghreb, dall’altro gli oltre quarant’anni di governo autoritario hanno contribuito a evitare la formazione di strutture criminali autoctone di rilievo. Negli ultimi anni la Spagna e la Catalogna in particolare hanno conosciuto: 1) importanti flussi immigratori; 2) la crescita di forme di criminalità diffusa, accentuata dall’abitudine all’ordine nelle percezioni dell’opinione pubblica – specie quella più anziana e legata alla cultura dittatoriale –; 3) lo stanziamento di gruppi criminali stranieri spesso ben integrati nelle strutture economiche e sociali del territorio. L’odierno quadro della situazione nazionale è ben fornito da una “radiografia” preparata del ministero degli Interni. Sul territorio sarebbero presenti più di 200 gruppi di criminalità organizzata in grado di muovere complessivamente un esercito di 6 mila persone. E di queste organizzazioni, più di 120 sono apparse di recente, radicandosi territorialmente in alcune zone ben definite del Paese: il litorale Mediterraneo e Madrid. Da un punto di vista quantitativo 9 di tali gruppi contano più di cento componenti, 26 almeno 50 militanti, 56 si trovano in una posizione intermedia con un numero di membri che varia tra i 25 e i 50, e infine 118 gruppi si comporrebbero di massimo 10 aderenti. I tre quarti di tali aggregazioni sono a composizione esclusivamente autoctona – anche se all’associazione possono collaborare cittadini di altre nazionalità e soprattutto marocchini, colombiani, italiani, francesi e inglesi – e sono prevalentemente autosufficienti da un punto di vista criminale. La relativa debolezza della malavita locale e la scarsa attitudine delle forze dell’ordine a fronteggiare organizzazioni criminali forti e strutturate hanno dunque agevolato l’impianto di attività criminali di matrice esogena. A ciò bisogna aggiungere il fatto che, fra gli europei, i primi a scegliere di stabilirsi in Spagna sono stati i clan mafiosi italiani e specie i loro esponenti latitanti. La ricchezza di collegamenti discreti, il tempo e la mancanza di concorrenza hanno permesso loro di modificare profondamente gli scenari criminali nella sostanziale disattenzione delle autorità. Cosa nostra è attiva nel traffico di stupefacenti e soprattutto nel riciclaggio di denaro sporco, con investimenti, ad esempio, in grandi strutture commerciali a Barcellona. La ’Ndrangheta è dedita al traffico di hashi- sh dal Marocco, di cocaina da esportare in Italia e nel riciclaggio. Anche la Camorra campana si è ritagliata una fetta di mercato illegale sempre grazie al traffico di cocaina ma, più in generale, la ricerca dettaglia numerose operazioni di polizia – condotte congiuntamente fra Italia e Spagna – che hanno portato all’arresto di numerosi boss mafiosi con basi operative nella penisola iberica. La presenza di criminalità da immigrazione non si esaurisce però negli insediamenti di gruppi di italiani. Sebbene su un differente e più basso livello criminale, sono infatti presenti anche clan nordafricani, non particolarmente organizzati e dediti soprattutto al piccolo traffico di hashish, al furto in strada, e allo scippo. Non diversamente dalla situazione che la ricerca ha riscontrato in Italia, poi, anche in Spagna gruppi nigeriani gestiscono lo sfruttamento della prostituzione e la falsificazione di carte di credito. I gruppi di origine sudamericana, invece, si inquadrano su differenti livelli criminali: alto quello dei colombiani e, in particolare, di quelli che utilizzano la Spagna come porta di ingresso per la cocaina diretta verso i paesi europei (si stima che più della metà della cocaina circolante in Europa transiti proprio dalla Spagna). E la predilezione che avvertono i narcotrafficanti per questo paese si traduce in alleanze con i trafficanti spagnoli: sono più di venti le reti spagnole che si dedicano a questo traffico spesso collegate a gruppi di contrabbandieri. Basso quello di altri gruppi latino americani come ad esempio le bande peruviane che a Barcellona sono divenute famose dedicandosi all’assalto di auto e camion ferme nelle aree di sosta autostradali. Tra i criminali provenienti dall’est, i kosovari sono quelli che suscitano il maggior allarme tra i cittadini, essendo esperti soprattutto nei furti seriali. Dai dati emerge una preoccupante progressione nel numero dei reati da loro commessi: 10 nel 1995, più di 900 nel 1999, oltre 2 mila nell’anno 2000. Ad un livello superiore, poi, a Barcellona esiste una presenza ben radicata di gruppi russi, dediti alla tratta delle bianche, alle estorsioni e al traffico di automobili, nonché al riciclaggio di denaro nel settore edilizio. E infine, i cinesi che, come negli altri paesi oggetto della ricerca, agiscono esclusivamente all’interno della propria comunità. Estorsioni, immigrazione clandestina e rapine ai danni dei connazionali le principali attività anche se, a parere delle preoccupate istituzioni, il loro fine principale sarebbe quello di ritagliarsi completamente una zona di Barcellona, sulla quale dominare e agire nell’illegalità con l’assicurazione di una sorta di impunità territoriale. Tabella 3/I gruppi criminali stranieri prevalenti per ramo di attività Droga Colombiani Italiani Maghrebini Armi Prostituzione Furti e rapine Documenti falsificati Traffico esseri umani Russi Nigeriani Cinesi Lituani Russi Colombiani Equadoregni Francesi Peruviani Kosovari Cinesi Maghrebini Cinesi Maghrebini Equadoregni Riciclaggio Italiani Russi Colombiani Francesi 5 Omicron/36 Francia/Il caso di Parigi e il contesto nazionale Le caratteristiche delle istituzioni francesi, tradizionalmente “forti” e altamente centralizzate, hanno un’importanza fondamentale nella comprensione delle dinamiche legate alla criminalità in Francia, così come il ruolo coloniale giocato dal paese sul proscenio internazionale e la forte volontà di integrazione incidono sulle dinamiche migratorie. Già all’inizio del XX secolo la Francia contava più di un milione di immigrati (circa il 3 per cento della popolazione) e all’ultimo rilevamento la consistenza della comunità immigrata raggiungeva il 7,4 per cento sul totale della popolazione. Alla fine degli anni Novanta, però, la percentuale degli stranieri che passano attraverso le maglie della giustizia è tripla rispetto a quella dei francesi così come la percentuale dei detenuti stranieri. Sebbene tali cifre rischino di essere sovra rappresentate (un riscontro costante nello svolgimento della ricerca) e i reati maggiormente contestati siano correlati all’immigrazione clandestina e allo stato di povertà, assoluta o relativa, di determinate categorie di immigrati, la situazione appare comunque in divenire. Oggi i principali gradini gerarchici della criminalità in Francia risultano essere a) il banditismo, b) il gran banditismo e c) il “milieu” (o il grande “giro”). Furti anche sistematici, sradicamento di bancomat e assalti violenti contro esercizi commerciali, case e gioiellerie sono i reati caratteristici del banditismo. E proprio nei gradini più bassi si rinvengono interventi di criminali stranieri. Essi sono invece quasi assenti nell’ambito del gran banditismo formato da criminali specializzati e altamente professionalizzati attivi, ad esempio, negli assalti ai furgoni blindati. Nel milieu, infine, le connessioni con le organizzazioni criminali straniere sono più assodate e preoccupanti, soprattutto nelle alte gerarchie dei traffici illeciti internazionali e nel riciclaggio. Il milieu, tuttavia, manca di organigrammi strutturati e, non avendo né un progetto di ampio respiro né tantomeno un controllo del territorio, non presenta caratteristiche “mafiose” strictu sensu. Le problematiche principali emerse dalla ricerca sono tre: 1) la situazione delle “cité”, acquartieramenti popolari della periferia parigina dove regna una situazione di illegalità assimilabile a un vero e proprio stato di “non diritto”, 2) la criminalità economico-finanziaria e 3) le “nuove mafie”. Nelle cité è soprattutto la droga a innescare una spirale di violenza diffusa, omertà e desertificazione economica. Pagando le sentinelle e intimorendo gli abitanti, gli spacciatori raggiungono un notevole livello di controllo del territorio che li porta anche a praticare il racket e il riacquisto a basso prezzo delle attività, nell’ambito di quella che non sarebbe azzardato definire una “situazione mafiosa”. Per il momento proprio tale controllo del territorio sembra inibire l’arrivo e lo stanziamento di organizzazioni straniere ma, in prospettiva, non sono da escludere forme di integrazione o di conflittualità per il futuro. In termini di andamento dei reati, dalle statistiche riguardanti Parigi e la sua regione (l’Île de France) si evince un quadro piuttosto chiaro: aumentano i delitti economico-finanziari (+ 9,6 per cento) e le infrazioni legate all’immigrazione (+17,9 per cento). E se il polso dello “Stato forte” era riuscito, dall’epoca della “French connection” in poi, a evitare la formazione di pericolose consorterie criminali, oggi quello stesso Stato si ritrova fortemente preoccupato per le infiltrazioni mafiose straniere nel campo non solo del riciclaggio di denaro sporco ma anche degli investimenti. È il caso soprattutto dei clan russi e di quelli italiani (Cosa nostra, ’Ndrangheta e Camorra), ma anche di organizzazioni giapponesi, cinesi e sud americane. E i settori maggiormente investiti dal fenomeno sono quello immobiliare, quello edile (Eurodisney e Eurotunnel), quello del gioco d’azzardo ma anche i campi da golf, le cliniche private e il settore turistico. Del tutto particolare, nel caso, risulta il ruolo della criminalità cinese. Essa è completamente rivolta verso l’interno della propria diaspora e, come si evince anche dalla Tabella 4, è impegnata in un gran numero di illeciti che vanno dalla droga alla prostituzione al traffico di esseri umani. Le nuove mafie, infine, sono quelle venute prepotentemente alla ribalta negli anni Novanta, la maggior parte delle quali a seguito dell’implosione dell’impero sovietico; un fenomeno rallentato dal “filtro” geografico in ingresso esercitato dall’Italia e dalla Germania ma ormai sempre più evidente specialmente in determinate attività. È il caso del traffico di esseri umani, soprattutto donne da avviare alla prostituzione, caratterizzante in particolare i gruppi criminali albanesi e della ex Jugoslavia. Dei furti di automobili di lusso e del loro traffico internazionale, prediletto dalle consorterie di origine bulgara. Del traffico di droga. E questa attività oltre a veder impegnati un gran numero di gruppi criminali di ogni provenienza, si è anche distinta per alcuni peculiari coinvolgimenti di ordine geopolitico: come nel caso dei trafficanti libanesi, prima, e di quelli più recenti, legati ora all’Uçk (Kosovo) ora al Pkk piuttosto che ai Lupi grigi (Turchia), fino ad arrivare alle sempre più inquietanti e attuali connessioni con l’integralismo islamico. Tabella 4/I gruppi criminali stranieri prevalenti per ramo di attività Droga Maghrebini Nigeriani Cinesi Turchi Integralisti islamici Armi Russi Prostituzione Cinesi Albanesi Nigeriani Furti e rapine Bulgari Rumeni Maghrebini Documenti falsificati Traffico esseri umani Cinesi Cinesi Albanesi Kosovari Riciclaggio Italiani Russi Cinesi Omicron/36 6 Italia/Un caso complesso di rilievo continentale Il legame che si è venuto a creare in Italia fra immigrazione e fenomeni criminali è fortemente influenzato da due fattori assolutamente particolari. Essi sono 1) le modalità di sviluppo delle correnti migratorie e 2) la tradizionale, radicata, soffocante presenza sul territorio di ben quattro organizzazioni criminali di stampo mafioso. Per quanto riguarda il tema dell’immigrazione l’Italia, tradizionale terra esportatrice di mano d’opera, conosce i primi consistenti flussi in ingresso solo a partire dai primi anni Novanta. Ed è subito emergenza, sia per l’inesperienza e l’impreparazione delle istituzioni, sia per l’impetuosità del’evento sia, non da ultimo, per la centralità che il fenomeno migratorio ha avuto nella costruzione di programmi e campagne politiche ostili. Fra gli immigrati, l’Africa (e il Marocco in primis) era e continua a essere l’area più rappresentata ma la sua importanza relativa scema negli ultimi anni in favore dell’Europa dell’Est: il ritmo di crescita delle immigrazioni provenienti dall’ex area comunista aumenta del 320 per cento dal ’92 al 2000 grazie all’arrivo, fra gli altri, di 133 mila albanesi, 61 mila rumeni e 82 mila ex jugoslavi. Più in generale gli immigrati in Italia crescono da circa 500 mila unità nel ’92 a circa 1.700.000 persone (il 3 per cento dell’intera popolazione) secondo le ultime statistiche. Per quanto attiene al tema della criminalità, invece, si rendono necessari alcuni richiami in relazione allo stato delle mafie autoctone. Dopo le stragi degli anni ’92 e ’93 e la seguente riscossa dello Stato culminata nell’arresto di importanti boss delle maggiori consorterie, la mafia ha radicalmente mutato strategia rendendosi quasi invisibile. Quasi. Perché sebbene l’azione giudiziaria si sia infranta contro interessi consolidati, quella legislativa si sia via via attenuata, e presso l’opinione pubblica la mafia sia tornata a essere un non problema, le quattro organizzazioni mafiose italiane (Cosa nostra, ’Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita) sono vive, vegete e continuano a guidare importanti affari criminali. Esse però hanno via via abbandonato gli affari più rischiosi dedicandosi invece al riciclaggio e agli investimenti nelle attività lecite, onché a crimini poco pericolosi seppur molto remunerativi. tività che spesso è portata a proiettare sugli stranieri ogni male del paese. 2) I nuovi gruppi criminali di matrice straniera: di dimensioni locali, non troppo esposti pubblicamente ma stabilmente strutturati e autosufficienti, essi amministrano affari soprattutto nell’organizzazione dello spaccio di droga, nella gestione e nello sfruttamento della prostituzione e del lavoro nero nonché nelle rapine seriali. Nella droga e nella prostituzione, in particolare, alcuni di tali gruppi si collocano nelle più basse gerarchie criminali e reclutano manovalanza nel bacino degli immigrati clandestini; altri, invece, risalgono gli anelli della filiera o monopolizzando una determinata maglia della catena illecita o strutturandosi come un vero e proprio “circuito corto” di raggio comunque internazionale. 3) La criminalità transnazionale: sempre più presente con radicate teste di ponte in diverse aree della penisola e impegnata soprattutto nel riciclaggio di denaro sporco, negli investimenti e nei grandi traffici internazionali (segnatamente armi, droga, esseri umani e rifiuti). Così come accade anche nelle occupazioni legali, insomma, l’italiano lascia il posto allo straniero soprattutto nelle mansioni più faticose o pericolose. E in un rapporto di reciproca funzionalità si delinea, soprattutto nei gradini più bassi delle gerarchie criminali, un processo di sostituzione della devianza – e della criminalità – straniera rispetto a quella italiana. “Il fenomeno della specializzazione etnica criminale è comune caratteristica dei tre singoli casi nazionali” Per quanto riguarda, invece, la criminalità di origine straniera, il tema della sicurezza a essa correlato ha contribuito in maniera sostanziale a distogliere l’attenzione dal problema mafia nostrana. E in effetti, negli ultimi anni, gli stranieri denunciati, arrestati e incarcerati sono evidentemente aumentati tanto in valore assoluto quanto in valore percentuale rispetto agli italiani. Il fenomeno tuttavia si presenta sotto tre aspetti molto differenti fra loro e nelle loro conseguenze. 1) La criminalità diffusa e disorganizzata: una realtà consistente che affonda le sue radici soprattutto nella clandestinità e nella marginalità – economica e sociale – nella quale versano molti immigrati non ancora integrati. Essa si manifesta con reati (furti, rapine, contrabbando, reati contro la persona, falso, spaccio, e prostituzione) particolarmente detestati dalla collet- La comunanza etnica, con i suoi corollari di identità, lingua, cultura e di vincoli parentali e ambientali rimane il più forte elemento di distinzione e coesione dei gruppi criminali di matrice esogena. Una generalizzazione che, lungi dal voler criminalizzare intere componenti etniche, si rende necessaria per comprendere il fenomeno della specializzazione etnica criminale evidente nelle tabelle sottostanti a tutti e tre i casi nazionali. Gli albanesi hanno una distribuzione territoriale diffusa e un’alta visibilità sociale per le implicazioni nello spaccio, nella prostituzione nei furti e nelle rapine. Essi però sono distribuiti su tutti i gradini delle gerarchie criminali, dalla micro-criminalità urbana fino alle consorterie transnazionali (Fares). I maghrebini sono in generale altrettanto diffusi territorialmente e criminalizzati dall’opinione pubblica sebbene il loro impegno sia circoscritto allo spaccio di droga mentre i nigeriani, anch’essi additati ma territorialmente più circoscritti, sono molto meglio organizzati sia nel traffico di droga che nella prostituzione. I criminali provenienti dall’est Europa in generale privilegiano i furti e lo sfruttamento della prostituzione ma non sono granché organizzati (eccezion fatta per una rete transnazionale kosovara con forti implicazioni geopolitiche internazionali). Il dibattito sulla criminalità da immigrazione, infine, tende a dimenticare i cartelli colombiani e i gruppi turchi – nonostante il mai interrotto impegno nei traffici di droga –, le quasi invisibili mafie russe attive nel traffico di armi e nel riciclaggio e le Triadi cinesi che, nonostante l’effervescenza non sempre legale della rispettiva comunità immigrata, riescono ancora a mantenersi nell’ombra. Omicron/36 7 Milano/Una gerarchia criminale fra etnie Milano è una città multietnica. Il 9 per cento dei residenti è di nazionalità straniera e solo negli ultimi dieci anni l’incremento registrato degli iscritti in anagrafe è stato del 196 per cento. L’area milanese è il più grande centro di insediamento di immigrati nel nord Italia e costituisce da sempre un interessante osservatorio dei mutamenti culturali e delle nuove tendenze in atto nel paese. Ma se da un lato i forti flussi migratori hanno portato individui che si sono integrati nella vita sociale ed economica della metropoli, dall’altro hanno favorito l’ingresso di immigrati, per lo più clandestini, che si sono inseriti nel circuito del crimine e della illegalità. Quali sono allora le cause di un così profondo radicamento nel tessuto criminale milanese? Proviamo a individuarne cinque. 1) Gli spazi vuoti. Dalla seconda metà degli anni Novanta in poi, a Milano inizia un forte e incisiva repressione nei confronti dei sodalizi criminali mafiosi. In pochi anni sono arrestati circa tremila appartenenti alle mafie tradizionali. Si creano così spazi vuoti sul territorio, che favoriscono l’infiltrazione e l’insediamento delle strutture malavitose straniere. 2) I settori vuoti. Non solo gli spazi vuoti, ma anche i cosiddetti settori vuoti favoriscono il radicamento dei gruppi stranieri. Alcune attività che caratterizzano i gruppi etnici non sono mai o quasi mai state gestite dalle mafie italiane. Un esempio tra tutti, lo sfruttamento della prostituzione. Questa attività illegale storicamente non viene gestita dalla mafia perché considerata non altamente remunerativa e soprattutto, per un certo tempo, non “morale”, secondo il codice d’onore delle organizzazioni storiche. Inoltre per alcuni gruppi etnici il reclutamento forzato delle donne da inserire nel mercato della prostituzione è facilitato dalla creazione di rapporti schiavistici che rendono il mercato ancor più fruttuoso. 3) Le nuove attività. I gruppi stranieri non solo hanno riempito i vuoti ma hanno anche il dato il via ad attività delinquenziali “nuove”, che hanno permesso loro di ritagliarsi spazi di insediamento senza necessariamente dover confliggere con le organizzazioni preesistenti sul territorio. Tra queste, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’accattonaggio agli incroci stradali, i furti seriali, le rapine improprie, ovvero i cosiddetti sequestri lampo, e la vendita di merci contraffatte, dai cd ai capi di abbigliamento agli accessori. 4) Gli spazi di convivenza. I sodalizi criminali stranieri a Milano operano anche in settori tipici della criminalità italiana, come il traffico di sostanze stupefacenti e di armi. Due sono le possibili spiegazioni che la ricerca avanza: da un lato si può sostenere che siano proprio le stesse strutture criminali decimate dopo anni di repressione che hanno dato il nullaosta agli stranieri. Soprattutto la ’Ndrangheta, che è numericamente la più presente nella provincia milanese, ha accettato, in un momento di debolezza in cui deve ricostruirsi, di farsi affiancare da nuove realtà criminali; dall’altro lato, alcuni paesi di provenienza dei gruppi criminali su base etnica sono produttori di droghe di ottima qualità e la vicinanza geografica all’Italia permette anche che venga esportata e commercializzata a prezzi assolutamente concorrenziali. Inoltre, le guerre che si sono succedute negli ultimi anni nei paesi balcanici hanno fatto sì che i gruppi criminali provenienti da quei territori diventassero tra i principali di fornitori di armi. 5) La centralità di Milano. Infine il ruolo centrale che ricoprono Milano e la Lombardia nella costruzione di una mappa del crimine nazionale e internazionale. Sono infatti importanti centri logistici e di smistamento, nonché cuore pulsante delle attività finanziarie. La Lombardia è considerata in Italia la quarta regione di mafia, dopo Sicilia, Calabria e Campania, che da sempre ha un primato rispetto alle altre: quello di ospitare tutte le organizzazioni mafiose italiane. E da qualche tempo anche quelle straniere che sul territorio regionale lombardo si aggiudicano una sorta di attestato di acquisita forza criminosa. Ma quali sono i gruppi stranieri che si sono maggiormente radicati a Milano? Sopra tutti i clan albanesi e kosovari, che stanno al vertice della gerarchia criminale su base etnica. Sono ai primi posti nella commisione di reati, quali i furti, le rapine, gli omicidi, le lesioni, le estorsioni e lo sfruttamento della prostituzione. Sono in grado di stringere strette alleanze con le mafie tradizionali nella gestione dei traffici internazionali di droga e di armi. A seguire i gruppi cinesi che operano, come risaputo, all’interno della propria comunità. Principali attività: l’immigrazione clandestina dei connazionali, lo sfruttamento del lavoro e la falsificazione di tutti i documenti necessari per ottenere regolari permessi di soggiorno. I criminali cinesi sono inoltre tra i maggiori indagati per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso. I gruppi maghrebini e nigeriani, di più antico insediamento, operano a Milano normalmente con ruoli subalterni e alle dipendenze di altre organizzazioni, sia italiane sia straniere. Infine, è importante segnalare la presenza di organizzazioni rumene che detengono il primato nella commissione di furti seriali, soprattutto di automobili di grossa cilindrata, e di gruppi russi che operano nel settore economico-finanziario cittadino, anche se lontani da ogni forma di radicamento territoriale. Tabella 5/I gruppi criminali stranieri prevalenti per ramo di attività Droga Armi Prostituzione Albanesi Maghrebini Colombiani Rumeni Turchi Albanesi Jugoslavi Albanesi Nigeriani Rumeni Furti e rapine Documenti falsificati Traffico esseri umani Riciclaggio Rumeni Albanesi Cinesi Nigeriani Albanesi Jugoslavi Nigeriani Cinesi Albanesi Russi 8 Omicron/36 Conclusioni/Una sintesi comparata La mole di informazioni raccolte nell’analisi dei tre Stati e delle rispettive metropoli può essere così sintetizzata. A questo scopo appare efficace la comparazione di alcuni dati che riguardano: a) la consistenza del fenomeno criminale, b) la consistenza del fenomeno migratorio, c) l’incidenza della popolazione immigrata sui principali reati commessi, e infine d) l’incidenza della popolazione immigrata su quella carceraria. Partiamo dunque dal comparare i valori di alcuni indicatori della questione criminale (a). Tre sono i reati analizzati: gli omicidi, i furti d’auto e le rapine. In generale, come si può vedere dalla tabelle a fondo pagina, la Francia e l’Italia rivelano un tasso di illegalità molto più elevato rispetto alla Spagna. E se la Francia mostra un grado di violenza omicida leggermente più alto di quello registrato in Italia – all’interno di un comune andamento calante del fenomeno – (vedi Tabella 6), quest’ultima segna un numero estremamente più elevato di rapine (vedi Tabella 7). Ma ci sono altri aspetti di rilievo e di assoluto interesse relativi all’Italia: il primo riguarda una forte disomogeneità nella ripartizione territoriale degli omicidi, al punto di poter parlare dell’esistenza di un “modello duale” (vedi Grafico 1). Infatti gli omicidi commessi al sud sono al di sopra dei livelli francesi e, viceversa, quelli compiuti nel centro-nord pongono il paese a livelli paragonabili a quelli spagnoli. Il secondo aspetto riguarda l’influenza esercitata dalla violenza disorganizzata sul numero degli omicidi, i quali risultano dipendere in ordine decrescente dalla violenza diffusa, dalla criminalità organizzata e dalla criminalità comune. È in questo contesto generale che si inseriscono gli altri elementi di indagine e di confronto: le dimensione del fenomeno migratorio (b) e l’incidenza della popolazione immigrata sul totale dei delitti commessi (c). Come si vede dalla Tabella 9 c’è un sostanziale allineamento della situazione italiana e di quella spagnola, mentre il dato relativo alla Francia è sensibilmente più elevato, a rimarcare una specificità della situazione di tale paese, come descritto a pagina 5. La situazione cambia se si osservano le incidenze degli immigrati sui reati commessi: ancora si deve sottolineare una specificità italiana. Nonostante il peso degli stranieri sulla popolazione totale sia in Italia pari a poco più della metà di quello francese, l’incidenza della popolazione sulla commissione dei reati diventa pari a più di due terzi, e uguale se riferito alla popolazione carceraria. L’Italia dunque appare il paese sottoposto, in linea di tendenza, al maggiore rischio criminalità di matrice esogena. Anche se dai risultati della ricerca emerge che in tutti e tre i paesi si assiste all’ingresso di nuove organizzazioni criminali coinvolte 1) in attività una volta controllate o praticate dalle strutture criminali autoctone, 2) in attività gestite da organizzazioni di più antico insediamento senza che ciò dia luogo a conflitti, 3) in attività nuove, congeniali con le loro caratteristiche di origine. Questa sorta di effervescenza criminale a cui si assiste è direttamente collegabile ai fenomeni di internazionalizzazione del crimine e della mobilità di persone e capitali che si è sviluppata nell’ultimo decennio. Infatti l’incidenza degli immigrati sugli autori di reati è significativamente più alta rispetto all’inizio dell’ultimo decennio. La pressione da est, collegata alla fine del regime comunista, ha coinvolto tutti e tre i paesi anche se si manifesta in forme e con intensità differenti. Ma pur nella costatazione che ci si trova di fronte a maggiore immigrazione, maggiore criminalità e maggore criminalità da immigrazione, è necessario affermare che l’Italia evidenzia ancora una volta una sua specificità. La presenza di organiz- Indicatori criminologici a confronto Tabella 6/Numero omicidi e incidenza ogni 100 mila abitanti Grafico 1/Numero omicidi ogni 100 mila abitanti in Italia 7 1992 1996 1999 Spagna 473 (1,21) 394 (1,00) 416 (1,06) Francia 1.342 (2,35) 1.171 (2,01) 952 (1,61) 5 Italia 1.444 (2,54) 943 (1,64) 805 (1,40) 4 Tabella 7/Numero rapine ogni 100 sportelli 6 Sud e isole 3 2 Anno 1999 Spagna Rapine ogni 100 sportelli 1,95 Francia Italia 2,5 11,46 1 Centro-Nord 0 1990 Tabella 8/Numero furti d’auto e incidenza ogni 100 mila abitanti 1992 1996 1999 Spagna 113.794 (292,04) 113.916 (290,29) 136.797 (347,25) Francia 373.077 (652,02) 345.625 (593,27) 299.036 (507,07) Italia 325.196 (572,96) 317.897 (544,47) 294.726 (511,57) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 Tabella 9/Immigrazione e criminalità Immigrati regolari Spagna 1,2 milioni (3% pop.) Francia 3,2 milioni (5,6% pop.) Italia 1,7 milioni (3% pop.) Incidenza popolazione immigrata sul totale dei delitti commessi Non disponibile 18,6% (sul totale degli indagati) 13,3% (sul totale dei denunciati) 1999 Omicron/36 9 La questione del nuovo ordine civile zazioni criminali straniere è nettamente superiore per forza, continuità e capacità espansiva rispetto a quelle insediate in Spagna e in Francia. La pressione migratoria da est si è fatta sentire soprattutto in Italia poiché paese direttamente di frontiera mentre la pressione da sud coinvolge anche la Spagna. Sono questi, infatti, i due Stati maggiormente protesi verso il Mediterraneo. La Francia invece beneficia da un lato dei filtri geografici costituiti a sud e a est dagli altri due paesi, dall’altro beneficia, per la sua storia coloniale, di ammortizzatori attivati da tempo verso le migrazioni provenienti dai paesi africani. Comparando poi la presenza autoctona e immigrata delle organizzazioni criminali nei tre paesi emerge una successione di pericolosità e diffusione crescente dalla Spagna alla Francia all’Italia. Se nel primo paese la presenza di criminalità locale è ben confinata in esperienze contenute, la criminalità da importazione appare più consistente, e soprattutto a Barcellona. Tra i gruppi di spicco quelli italiani e orientali, nonostante la predominanza numerica della componente nordafricana. La Francia si colloca in una posizione intermedia. Sia per la presenza di criminalità autoctona, anche se quella attuale non è certo confrontabile per capacità organizzativa e attività su scala internazionale con quella dei clan marsigliesi, sia per la presenza di gruppi stranieri operanti in attività con un limitato grado di violenza Infine, l’Italia che si pone invece in cima alla scala della gravità. La criminalità autoctona è costituita, come risaputo, da quattro grandi associazioni criminali che hanno solide radici nel sud ma ormai da tempo sono proiettate verso il nord e presentano ramificazioni internazionali. Ad affiancarle molti gruppi stranieri che operano sul territorio in funzione sostitutiva o addizionale, autonomamente ma anche in joint venture. Impegnate su vasti traffici e in alcuni casi, come dimostra la realtà milanese, non lontane dall’avvio di forme di controllo del territorio. Dovendo proporre uno schema comparato, la Tabella 10, rende così l’idea: se l’Italia registra la presenza di un numero rilevante di gruppi criminali stranieri che svolgono sia la funzione sostitutiva sia quella addizionale tanto nei settori preesistenti quanto in quelli nuovi, per la Francia e la Spagna, da un punto di vista numerico, la presenza è nettamente più bassa. Ma l’Italia diventa caso anche nel momento in cui pone sul Tabella 10/La criminalità straniera: modelli comparati piatto della bilancia la quesitione dell’ordine civile. Come si può vedere dalla Figura 2 a piè pagina, distribuendo su un piano cartesiano i tre casi nazionali in funzione della pericolosità criminale e degli orientamenti razzisti, l’Italia riscontra i valori più alti. La spiegazione è che essa paga la brevità del periodo nel quale ha sperimentato l’incontro con i movimenti migratori e soprattutto con le particolari attività illegali che vi si sono sviluppate a ridosso. Si è così creata una ostilità sociale diffusa che ha alimentato ideologie politiche fondate sul pregiudizio etnico e sulla cultura del sospetto. Questo ha fatto sì che si realizzasse l’equazione: presenza di immigrati = maggiore insicurezza. Negli altri due paesi la situazione è diversa. Perchè 1) negli ultimi anni la pressione sui confini è stata meno forte rispetto all’Italia, 2) hanno sperimentato un rapporto prolungato con le popolazioni straniere e con quelle di colore in particolare. E ora uno sguardo alle tre metropoli. Ognuna mostra una propria peculiarità storica nell’incontro con la criminalità straniera. Ricorrendo alla sintesi immaginifiche, si può sostenere che Milano, città crocevia e di insediamento remunerativo, si caratterizza come la citta-scuola. I gruppi criminali che arrivano sono costretti a fare rapidamente i conti con due problematiche: 1) un ambiente ostile e 2) una forte criminalità preesistente. Parigi è invece la città-anfitrione. Non vi sono clan autoctoni forti e offre molte possibilità di insediamento ai gruppi esogeni soprattutto nel settore del riciclaggio. È la “mensa ricca” più accessibile per i gruppi oltre confine. Più difficile l’inserimento nella gestione dei traffici al minuto in mano a forme non particolarmente organizzate ma agguerite di malavita locale. Infine, Barcellona, la città-prateria. Per due ragioni: 1) la natura di metropoli aperta sul mare che ne ha fatto luogo di accesso e radicamento ideale, considerati anche i vantaggi dati dai collegamenti naturali con il sudamerica e le relative rotte della droga; 2) la debolezza della malavita locale che ha consegnato ai nuovi gruppi un terreno privo di sostanziale concorrenza. Ecco dunque che l’insediamento di gruppi malavitosi è risultato agevolato, proprio come una corsa in una prateria. In queste tre immagini è possibile riassumere le situazioni illegali e criminali e i processi storici osservati dal gruppo di ricerca. Figura 2/Immigrazione e società: il nuovo ordine civile Numerosità gruppi etnici BASSA Tipologia funzione svolta SOSTITUTIVA A C Francia B ADDIZIONALE ALTA Italia D Spagna Francia MATURAZIONE ORIENTAMENTI RAZZISTI ITALIA FRANCIA SPAGNA Italia DIMENSIONE CRIMINALITÀ STRANIERA Omicron/36 10 Gruppo di ricerca Direttore: Prof. Nando dalla Chiesa (Associato di Sociologia economica all’Università degli Studi di Milano) Spagna Coordinatore di ricerca: Dott. Ramon Macia Gomez (Magistrato Audiencia di Barcellona) Ricercatore: Dott. Salvatore Gurrieri (Docente Liceo italiano di Barcellona) Francia Coordinatore di ricerca: Prof. Jacques Soppelsa (Presidente e Ordinario di Geopolitica all’Università La Sorbonne di Parigi) Ricercatore: Dott. Fabrice Rizzoli (Dottorando di ricerca all’Università La Sorbonne di Parigi) Italia Coordinatore di ricerca: Prof. Nando dalla Chiesa (Associato di Sociologia economica all’Università degli Studi di Milano) Ricercatori: Dott. Giuseppe Muti (Dottorando di ricerca all’Università La Sapienza di Roma) Dott.ssa Simona Peverelli (Direttrice di Omicron) Omicron Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord Comitato scientifico/Giancarlo Caselli, Adolfo Ceretti, Nando dalla Chiesa, Michele Dalla Costa, Vittorio Grevi, Alison Jamieson, Maurizio Laudi, Marcelle Padovani, Livia Pomodoro, Virginio Rognoni, Maurizio Romanelli, Adriano Sansa, Bartolomeo Sorge, Armando Spataro, Federico Stella Direttore responsabile/Gianni Barbacetto Caporedattrice/Simona Peverelli Redazione/Alberto Busi, Lillo Garlisi, Patrizia Guglielmi, Laura Incantalupo, Ombretta Ingrascì, Paola Murru, Giuseppe Muti, Mario Portanova, Tommaso Santuari, Eva Tallarita Registrazione/Tribunale di Milano N. 249, 19 Aprile 1997 Stampa/In proprio – Tiratura: 1.300 copie Abbonamento annuale/Ordinario Euro 25 Sostenitore Euro 50 Editore/Omicron – Onlus viale Col di Lana 12, 20136 Milano Tel. 02/89421496 Fax 02/8356459 Internet: www.omicronweb.it – E-mail: [email protected] Per lasciare messaggi o informazioni, chiamare dal lunedì al venerdì Omicron/36 Osservatorio Milanese sulla Criminalità Organizzata al Nord COMMISSIONE EUROPEA Direzione Generale: "Giustizia e Affari Interni" Unità: " Crimine Organizzato " Programma Falcone: 2000/FALCONE/183